Minimalismo II, "Less than Zero"
Minimalismo II, Ellis, Less Than ZeroLinguaggio e azione: due mondi in rivolta contro la comunicazione
Clay è fondamentalmente inattivo e inconcludente. Sebbene infatti tanto lui quanto i suoi amici siano in continuo movimento, si muovono in uno spazio chiuso, come quello delle freeways. Ovunque si trovano, vogliono andare da un'altra parte, ma quando si muovono non si muovono di molto. Per lo più vanno da un locale ad un altro, da un party ad un altro. Le situazioni e le persone non cambiano, l'impressione dominante in questi spostamenti è del deja vu. Dialoghi come il seguente sono molto frequenti:
"I ask him what he's been doing.
‘Been doing?'
‘Yeah'
‘Hanging out'
‘Hanging out where?'
‘Where? Around" (159).
"Gli chiedo che ha fatto
‘Fatto?'
‘Sì'
‘Un giro'
‘Un giro dove?'
‘Dove? In giro."
E se andando in giro finiscono in una strada chiusa non ha nessuna importanza:
"Where are we going? I asked
‘I don't know,' he said. ‘Just driving.'
‘But this road doesn't go anywhere,' I told him. ‘That doesn't matter.'
‘What does?' I asked, after a while.
‘Just that we are on it, dude, he said." (195).
"Dove stiamo andando? chiesi.
‘Non so,' disse. ‘Un giro in macchina'
‘Ma questa strada non va da nessuna parte,' gli dissi.
‘Non importa.'
‘Cosa importa?' chiesi, dopo un pò.
‘L'andare bello mio' disse."
E ancora:
"I want to go back,' Daniel says, quietly with effort.
‘Where?' I ask, unsure.
There's a long pause that kind of freaks me out and Daniel finishes his drink and fingers the sunglasses he's still bearing and says, ‘I don't know. Just back'" (17-18).
"Voglio tornare,' dice Daniel, piano, a fatica.
‘Dove?' Chiedo, incerto.
Una lunga pausa mi manda in paranoia e Daniel finisce di bere, tormenta gli occhiali da sole che non si è mai tolto e dice, ‘Non so. Tornare e basta".
Questi dialoghi ridotti all'osso, se a prima vista possono rassomigliare a quelli di On the Road di Jack Kerouac, in realtà sono molto differenti. Anziché esprimere la volontà di correre alla ricerca di qualcosa, seppur trascendente, esprimono passività, apatia e l'idea di una perdita del controllo delle proprie azioni. Sono stanchi, e ogni frase , pronunciata spesso con fatica, rimane sterile, fine a se stessa. A domanda spesso si risponde con la medesima domanda, dando luogo a dei non-dialoghi che hanno un sapore molto cageano:
"You must do something'
‘Oh, I don't know'
‘What do you do?' she asks.
‘Things, I guess. ' I sit on the mattress.
‘Like what?'
‘I don't know. Things' (148).
"Devi fare qualcosa'
‘Ma, non so'
‘Tu che fai?' domanda.
‘Delle cose, credo.' Siedo sul materasso.
Esempio?'
‘Non so. Cosa."
E poi ci sono gli innumerevoli “pausa”, “lunga pausa”, “lungo silenzio”, “non dico niente” che costellano tutto il romanzo. Sono momenti di vuoto che rompono ulteriormente un dialogo già di per sé faticoso e frammentato dall'uso del linguaggio giovanile con il suo caratteristico understatement o meglio non-statement , il sottintendere a volte in modo esasperante.
L'incapacità di comunicare a volte dà luogo a situazioni paradossali. Clay va a trovare Muriel che è appena uscita dall'ospedale dove era ricoverata per problemi di anoressia e i due, lei fissa davanti al televisore acceso, non si dicono nulla.
Se la comunicazione con gli amici è difficile, con i genitori la partita è persa in partenza. Come nel dialogo tra Clay e la madre e quello tra Clay e il padre, forzati e intessuti di futilità.
A Clay e agli altri non interessa sapere, domandare. Alzano continuamente le spalle a dimostrazione che in fondo tutto non ha importanza. E alla domanda “Perché?” la risposta più ovvia non può essere che “Perché no?”.
Questo linguaggio svuotato di potere comunicativo a volte sembra addirittura acquistare una propria autonomia rispetto a chi pronuncia le parole:
"I try to wish her Merry Christmas, but the words just don't come out" (68).
"Provo a dirle Buon Natale ma le parole semplicemente non escono."
Nel complesso il linguaggio usato nel romanzo è assai ripetitivo. Si tratta di un codice molto limitato, costituito da un numero ridotto di elementi che si combinano tra loro e si ripresentano continuamente senza mai dar segno di una variazione a livello di comunicazione, di contenuto.
Come il linguaggio è ripetitivo e minimizzato, tali sono anche i gesti che lo accompagnano e riempiono le pause. Sono gesti banali, gesti sui quali comunemente non ci soffermiamo a riflettere. In Less Than Zero vengono accese un numero indefinito di sigarette, una addirittura se la mangia un cane. C'è un togliersi e mettersi continuo di occhiali da sole, un gingillarsi con essi. Sembra che i dialoghi facciano da contrappunto a questi piccoli gesti piuttosto che il contrario:
"He pauses for a minute...
I take off my sunglasses and look at his bandaged hand...
Daniel leaves his sunglasses on and nods and doesn't smile...
I put my sunglasses back on.
Daniel turns back to the pool...
I nod...
Blair comes over... and lights a cigarette" (55).
"Fa una pausa di un minuto...
Mi tolgo gli occhiali da sole e gli guardo la mano bendata...
Daniel si lascia gli occhiali da sole e annuisce e non sorride...
Mi rimetto gli occhiali.
Daniel torna a girarsi verso la piscina... Annuisco...
Blair ci raggiunge... e accende una sigaretta."
E poi ci si guarda le mani e le scarpe continuamente, si abbassa lo sguardo continuamente, dopo frasi non dette, risposte non date. Il dialogo è come una musica sempre uguale, o se vogliamo è come il Silenzio di Cage, dove i piccoli gesti sono i rumori della sala da concerto che per quanto noti e banali catturano la nostra attenzione. Ma anche i gesti come il linguaggio non hanno la pretesa di comunicare e sfuggono al controllo:
"I can't believe I'm nodding my head" (103).
"Sorprendentemente la mia testa fa cenno di sì."
O realmente si rifiutano di essere controllati:
"I’m surprised at how much effort it takes to raise my head up and look at her" (18).
"Mi sorprende lo sforzo che devo fare per sollevare il capo e guardarla."
La vita di Clay, limitata in uno spazio chiuso, apatica, priva di prospettive, fatta in sostanza di pochi gesti e parole che sfuggono al controllo quasi a volersi caricare di una vita propria, indecifrabile, sembra non poter essere scritta. Per Natale una sorella gli regala un'agenda sul quale non annoterà nulla. Già una volta aveva tentato di tenere un diario, ma si confondeva e scriveva cose tanto per scriverle.
Se è dunque vero che la realtà in cui Clay vive è vuota e inconsistente e rifugge ogni spiegazione, allora Ellis ha ben pensato di non spiegarla, bensì di ‘mostrarla' tramite immagini, con le sue stesse parole.
Sono dunque emersi alcuni aspetti comuni a minimalismo musicale, figurativo e letterario. Ne è risultata l'immagine di un'arte consapevole dei propri mezzi di espressione, del proprio linguaggio il quale mostra eventi, fatti della realtà (come nel caso della letteratura) o semplicemente mostra se stesso e le proprie possibilità (come nel caso della musica e delle arti figurative). Questo “mostrare” libera l'arte da finalità etiche e critiche, esclude la possibilità di domande e di risposte in quanto le domande defunzionalizzate diventano fini a se stesse come qualsiasi enunciato, suono, immagine. Tale arte, inoltre, si presenta come arte spaziale e non temporale, in quanto prima di prospettive future e di legami col passato: semplicemente pone se stessa e le proprie regole in un determinato spazio. Un'evoluzione del concetto di arte ha avuto luogo in questo secolo sotto la potente spinta della diffusione dei sistemi formali che hanno sviluppato una vera e propria dottrina dell'indeterminazione rendendo tutto possibile e niente sicuro.
In campo musicale questa spinta, in America, si fa sentire a partire da John Cage per arrivare attraverso di lui ai minimalisti. Nelle arti figurative segna la cosiddetta Seconda Avanguardia, l'avanguardia dell'era ‘tecnotronica', dell'era dell'intelligenza artificiale, cui appartengono la Pop Art, il Minimalismo e il Concettualismo.
L'indeterminazione trova un terreno fertile nella società del boom economico e dell'utopia realizzata. Con la fine del sogno americano, essendo preclusa la possibilità di estensione nello spazio, con tutto ciò che ha sempre comportato per la cultura americana (ovvero scoperta e innovazione), nel gioco delle combinazioni inserito entro i limiti di un pentagramma, di una tela o di una pagina bianca (per lo meno con la Stein), si scopre una potenzialità di espressione illimitata ed incalcolabile: una nuova possibilità di apertura.
In campo letterario, le innovazioni della Stein si trasmettono al minimalismo tramite Hemingway che vi aggiunge un rinnovato realismo e un forte pessimismo. Il Minimalismo letterario infatti mostra una realtà immobile, senza prospettive, articolata in uno spazio dove le parole non comunicano, non spiegano, non giudicano. Le frasi brevi, sintetiche, essenziali, ripetute cento e cento volte con varianti minime, mostrano la propria inconsistenza, superficialità ed impotenza.
Questi limiti estremi cui giunge la letteratura emergono molto bene nel romanzo di Ellis Less Than Zero. Nel possibile e nell'indeterminato la generazione di cui Ellis parla anziché intravedere un gioco con potenzialità infinite, vede in nonsenso di un'esistenza che non si può spiegare perché tutto offre senza offrire niente. Con il suo mondo di apparenze, di parole vuote e di silenzi, di gesti e frasi che sfuggono al controllo, col suo pessimismo esasperato, il romanzo di Ellis sembra non prospettare vie di scampo. L'unica alternativa alla disperazione è l'aridità interiore, la sterilità dei rapporti umani e dei sentimenti, una forma alternativa di autodistruzione. Questa è la via scelta da Clay che, rifiutando ogni etica e ogni spiegazione, vive il nonsenso del mondo con indifferenza.
“Il mondo è indipendente dalla mia volontà” dice Wittgenstein “Nel mondo tutto è come è e tutto avviene come avviene, non v'è in esso alcun valore... è chiaro che l'etica non può formularsi. L'etica è trascendentale”. Questo è il nucleo fondamentale attorno al quale si sviluppa il minimalismo tanto nelle arti (per le quali il contatto con Wittgenstein è diretto) quanto in letteratura, seppur con caratteri distinti. E riflette la non-etica dei giovani americani degli anni Ottanta, generazione senza futuro, senza desiderio.
Da Chiara Calabrese, Minimalismo e il romanzo di Ellis, "Meno di zero", in Rivista "Pietraserena", Lastra a Signa (Firenze) 1998.