Berlioz e la "Sinfonia Fantastica"
Hector Berlioz e la Sinfonia FantasticaCollegati al Modulo, in particolare alla prima Unità e al 16.4 Berlioz e l'evento timbrico
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L’inizio della Symphonie proviene dalla cantata Herminie a dimostrazione della prassi degli innesti molto praticata. Per inciso, nel 1829 Berlioz aveva scritto un’altra cantata, finalizzata al conseguimento del Prix de Rome, (1) intitolata Cléopâtre, nella quale vi si notano passaggi di notevole interesse sia dal punto di vista delle figurazioni ritmiche che armoniche. Appena ascoltata la melodia che apre la Sinfonia fantastica (2) si è subito avvolti da un procedere musicale che si autoalimenta in una sonorità incerta e strana, straniera come l’uomo che vaga sulla terra; il tessuto orchestrale procede per aritmie (di un cuore malato) che danno un senso di «diffidenza», secondo le parole dello stesso Berlioz, in un contrasto continuo di stati d’animo differenti, di evocazioni, ricordi e visioni. Il tema iniziale mantiene l’origine vocale, anche se rispetto alla cantata Herminie il maestro desidera esprimere tremore e insicurezza, comunicate attraverso un ritmo puntato, comunque questa introduzione conserva il caratteristico largo respiro della cantata. Berlioz tiene molto al fatto che i suoi temi abbiano un carattere cantabile, libero e aperto; Schumann percepì tutto questo, infatti scrisse, nella sua lunga recensione alla Sinfonia, conosciuta attraverso la straordinaria trascrizione per pianoforte fattane da Liszt.
"Il nostro tempo non ha prodotto un’altra opera in cui, come in questa, le relazioni simili di battuta e ritmo siano state più liberamente unite e usate colle dissimili. La fine della frase non corrisponde quasi mai al principio, né la risposta alla domanda. […] Con quale mano ardita sia prodotto tutto questo in guisa tale che non si possa aggiungere o toglier via nulla, senza sottrarre al pensiero la sua penetrante efficacia. […] Sembra che la musica voglia di nuovo ritornare alle sue origini, quando ancora non l’opprimeva la legge del rigore della battuta, e sollevarsi fieramente indipendente al discorso libero d’ogni costrizione. […] Tutto mi pare così orchestralmente ben intuito e pensato. […] Le nuove combinazioni e i nuovi effetti orchestrali, in cui Berlioz si dice sia veramente geniale. […] Virtuoso nato dell’orchestra, Berlioz esige senza dubbio l’impossibile tanto dal singolo strumento come dalla massa. […] Sebbene Berlioz trascuri il particolare e lo sacrifichi al tutto, egli attende però con molta cura a renderlo ingegnoso e finemente lavorato. Ma non spreme i suoi temi fino all’ultima goccia e non ci toglie, come spesso fanno gli altri, il piacere d’una bella idea con una noiosa modulazione tematica. […] Le sue melodie si distinguono precisamente per tale intensità di quasi ogni loro suono che, come vecchie canzoni popolari, sovente esse non sopportano alcun accompagnamento armonico e anzi perderebbero sovente di pienezza sonora. Perciò Berlioz le armonizza per lo più con il basso fondamentale naturale, oppure con accordi di quinte aumentate e diminuite, sui gradi vicini." (3)
Quest’ultima annotazione è assai importante per capire la differenza più grande fra la concezione e lo stile musicale di Berlioz e quello di Wagner ossia il contrasto nel concepire l’armonia, discordanza che non farà scorrere in modo sempre amichevole il loro rapporto. Wagner è un grande innovatore dell’elemento armonico, mentre Berlioz, come scrive giustamente Schumann, armonizza in modo elementare non tanto o non solo per la mancanza di ricerche specifiche sull’armonia (sul contrappunto forse sì), quanto per una scelta stilistica che reclama un tessuto armonico semplificato, per meglio far risultare le melodie e il loro intreccio, per meglio giocare con ritmi e colori. Anche Berlioz, come del resto tutti i compositori dell’epoca, usa il cromatismo ma non è interessato a spingerlo ai limiti del sistema tonale, anzi il procedere ininterrotto di armonie modulanti è un modus operadi assai lontano da quello a ondate tipico di Berlioz.
Nella precisa recensione di Schumann si sottolineano alcuni aspetti che trapasseranno anche nella musica di Wagner, come la ricerca di una strada innovativa diversa da quella beethoveniana; come il fraseggio libero che si colloca vicino al concetto di ‘prosa musicale’ molto sfruttato da Wagner; come il virtuosismo orchestrale.
La prima parte, (4) Rêveries, passions, in tonalità di do minore, inizia con un Largo e delle terzine in pp ai flauti e clarinetti, a cui subito si aggiungono quelle degli oboi e quindi dei fagotti e corni che vanno a completare la parte armonica. Il sostenuto uso degli strumenti a fiato interesserà assai Wagner e, in particolare, proprio di oboi, fagotti e corni. Sull’ultimo sedicesimo dell’accordo i violini primi, con sordina, iniziano il tema del Largo, tema ripreso dalla Romanza d’Estelle e molto simile alla linea melodica; dopo l’esposizione di questo tema gli archi introducono un intermezzo, al quale segue una serie di accordi che annunciano l’Allegro agitato e appassionato, la tonalità passa dal maggiore al minore e il tempo si fa più veloce. Un pizzicato di tutti gli archi porta all’enunciazione dell’idée fixe; se considerata in termini accademici, il suo trattamento è vicino alla forma del rondò; l’intervallo principale risulta essere il semitono che svolge una funzione di motore dinamico del procedere sonoro, con presenze di scale cromatiche, funzione che diverrà importante in Wagner il quale però, spingendo il procedimento al limite della sua elasticità, ridurrà le aree tonalmente stabili che sono invece ben presenti in Berlioz.
La simbologia legata all’idée fixe rappresenta non solo l’amata, ma anche la presenza della donna nella mente del giovane musicista e instaura una rete di reminescenze e proiezioni che nell’ultima versione del programma si dissolvono nel costante clima onirico. Su questo aspetto Wagner deve aver riflettuto profondamente. L’equivocità della visione fantastica porta a creare un clima fra sogno e realtà che viene descritto da una costante trasfigurazione in cui gioca un ruolo determinante la timbrica, vero elemento creativo della Sinfonia grazie al quale tout se tien. Il sogno/incubo diverrà centrale nella versione definitiva del programma e sarà protagonista anche della continuazione della Fantastique ossia Lélio, dove Berlioz si ricorda de La tempesta di Shakespeare e cita la frase: «Noi siamo stati fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni».
La visione onirica sta fra l’incubo e l’allucinazione, è la strada per esplorare l’oscurità interiore, come farà Wagner che «Condivideva, fra tutti i musicisti contemporanei proprio con Berlioz, il ‘mostruoso’ o, più esattamente, l’oscuro». (5) L’emotività domina l’attività, s’insinua il sentimento dell’assurdo, quello stesso che Camus descriverà più tardi. Il senso che deriva dalla mancanza di senso, descritto nel paradossale trattamento orchestrale e nello strano procedere del fraseggio musicale. «Unité poétique saisiè avec quelque chose de sonnant, variété musicale à la guise du souffle poétique sans plus d’égards pour l’architectonique immuable des différentes sections traitées l’une après l’autre par numéro». (6)
La nebbia del vagheggiamento è descritta con un trattamento orchestrale che lascia stupiti in un giovane musicista, sembra di assistere a un’esperienza surrealista: la frantumazione del tessuto orchestrale in temi derivati dall’idea fissa, la ritmica irregolare, le intuizioni proto espressionistiche, come il trattamento della religiosità stravolta del Dies irae; il grottesco stupendamente descritto da uno strumentale che imita gli urli e le risate; molti sarebbero i punti innovativi da sottolineare come nella Scène aux champs, in tonalità di fa, il dialogo stereofonico fra il corno inglese, (7) in orchestra e l’oboe in lontananza, posto dietro le quinte, dando così l’illusione di uno spazio vuoto (giochi acustici che Wagner riprenderà); nella stessa scena fecero scalpore gli accordi affidati ai timpani (che saranno più finemente elaborati nel Requiem); il melanconico passaggio del corno inglese farà da esempio alla scena del pastorello in Tannhäuser. L’ultima pagina della Scène aux champs è straordinaria nella minuzia delle indicazioni dinamiche, con note isolate e ognuna con la propria indicazione, come avverrà in certi momenti di Lohengrin (pagine foriere di un’espressività proto-weberniana).
Altri momenti geniali sono la Klangfarbenmelodie espressa dal tema della Marche au supplice (che deriva dalla Marche de Gardes, composta per un’opera mai realizzata, Les francs), gli strilli dei violini e la parafrasi grottesca dell’idée fixe affidata a un timbro acido del clarinetto nel Songe d’une nuit du Sabbat (scena debitrice alla scena della Gola dei lupi ne Il franco cacciatore). Questa scena, insieme a quella dell’orgia dei briganti nell’Harold en Italie sarà ben presente nella mente di Wagner quando si appresterà a scrivere le scene corali di Tannhäuser. All’inizio di questo quinto tempo violini e viole, con note acutissime in sordina, si suddividono in otto parti reali, scontrandosi con i violoncelli e contrabbassi e creando una fascia sonora estremamente differenziata fra acuto e basso, perché nessun altro strumento s’inserisce, lasciando scoperte le sonorità mediane. Nelle ultime battute del Larghetto e all’inizio dell’Allegro si moltiplicano i segni dinamici, tanto che in poche battute si passa da un ppp del corno a un ff dell’intera orchestra, attraverso un fitto alternarsi di diminuendi e crescendi. Nell’Allegro assai la scrittura si fa fittissima, diradandosi nel Lontano dove l’organico è veramente inusitato sia come quantità sia come strumenti usati, quale, per esempio, il clarinetto piccolo, rarissimo, poi ripreso da Wagner ne La Walkyria. Nel Dies irae et ronde du sabbat è noto come le mescolanze timbriche e dinamiche creino un amalgama sonoro davvero sorprendente e Wagner se ne ricorderà nella stesura del primo atto de L’Olandese volante.
Berlioz ha inoltre la tendenza a usare gli strumenti nei loro registri estremi, più acuti o più bassi, il che porterà a un’estensione dell’orchestra fino a sei ottave. Vi si nota anche l’inclinazione a riprendere strumenti caduti in disuso, come l’oficleide, al fine di ricercare nuovi timbri. L’arpa, pur di moda nei salotti borghesi, era strumento raro nella musica orchestrale, così come l’insistito uso del corno inglese, degli ottoni e della gran cassa, (8) (tutti strumenti cari a Wagner), ma non sono tanto le singole invenzioni, seppur importanti, a fare di questo brano un capolavoro e un apripista per esperienze successive, è la concezione generale, il nuovo approccio narrativo che spinge l’elaborazione sonora orchestrale a effetti teatrali, il suo gesto enfatico e gli effetti spaziali, ossia è la diversa prospettiva musicale in cui la Sinfonia si pone che ne fa un pezzo cardine della storia della musica europea degli anni Trenta e alla quale guarderanno non solo Liszt e Wagner.
Mentre la musica tedesca era intenta ad ampliare le funzioni armoniche, Berlioz si pose alla ricerca dell’oggetto sonoro, in tal senso anticipando molte conquiste delle avanguardie novecentesche. Anche da un punto di vista formale, il musicista francese non fu interessato alla dialettica e allo sviluppo, piuttosto venne attratto da percorsi visionari, da situazioni intuitive. Del resto le metodologie compositive legate alle forme classiche stavano cambiando e negli anni Trenta, proprio nel periodo in cui i teorici codificavano le forma sonata, anche in Germania i metodi stavano o erano già mutati. Malignamente Vincent d’Indy (9) insinuò che a Berlioz mancasse la capacità di costruire una forma classicamente solida e per questo utilizzava il programma o il testo che gli servivano per collegare le parti formali della sua composizione che non sapeva come tenere insieme. A parte che non viene sempre utilizzato un testo, esplicito o sottaciuto, ma questa accusa, che si potrebbe rivolgere anche ai poemi sinfonici di Liszt e perfino a Wagner per l’importanza che ha il testo nei suoi drammi (rilevanza – dilettantesca? - che potrebbe coprire disfunzioni della forma musicale) dimostra semplicemente qual’era l’angolo di lettura dei musicisti più conservatori che non avevano attraversato le intemperie della cultura romantica, la quale ampliava il concetto di forma e lo rendeva permeabile alle sollecitazioni dell’extra musicale, le quali richiedono che il classico sviluppo debba essere sostituito da procedimenti rotazionali, dove ritorni e nuovi inizi non sono preventivamente codificati ma seguono un’impostazione cangiante che, di volta in volta, il compositore sceglie seguendo l’ispirazione poetica. Questa nuova retorica interessò non solo Berlioz, Liszt e Wagner, ma anche molti compositori della stessa generazione, come Schumann, e di quella successiva, come Franck, che fecero ricorso alla cosiddetta forma circolare che si basa su elementi tematici modulari, i quali vengono spazializzati in un tempo musicale a spirale che non rispetta il susseguirsi di sequenze armoniche rettilinee, ma crea una struttura curvilinea e aperta a inserimenti insoliti (come quelli descrittivi in Sibelius o tratti da materiali di consumo come in Mahler etc.).
Il senso della polifonia, come evidenzia Richard Strauss (nella prefazione alla sua revisione del Traité d’orchestration), fu estraneo a Berlioz, ma bisogna aggiungere il senso ‘classico’ della polifonia perché, al di là dei molti passi strettamente polifonici della sua produzione, Berlioz creava intrecci di suoni, di timbri, di registri, di blocchi, anticipando quella scrittura a masse sonore che verrà in auge nel secondo Novecento. Il suono liberato di Berlioz indica, negli anni Trenta, soluzioni nuove e si proietta verso la musica francese dei decenni fra fine secolo e inizio Novecento. (10) Purtroppo il Berlioz successivo non riuscirà a mantenere vivo il suo impulso Stürmer e rivoluzionario, ma ciò che fece in quel decennio costituì una pietra miliare della storia della musica di quel periodo.
1) Premio conseguito poi con la scialba cantata Sardanapale.
2) Da ricordare che Berlioz sottopose la sua Sinfonia a diverse revisioni la più significativa delle quali è quella realizzata durante la permanenza in Italia fra la fine del 1831 e l’anno seguente.
2) Da ricordare che Berlioz sottopose la sua Sinfonia a diverse revisioni la più significativa delle quali è quella realizzata durante la permanenza in Italia fra la fine del 1831 e l’anno seguente.
3) ROBERT SCHUMANN, La musica romantica, Einaudi, Torino 1950, pp. 38, 50. Nello stesso articolo Schumann sente il bisogno di parlare anche della trascrizione di Liszt: «La riduzione per pianoforte Liszt l’ha condotta con sì grande diligenza ed entusiasmo, ch’essa dev’esssere considerata come un’opera originale, come un résumé dei suoi studi profondi, come una scuola pratica di pianoforte per la lettura di partiture».
4) Il secondo movimento è Un ballo, trascinante valzer in la, con il tema affidato a due clarinetti. La terza parte, Scena campestre, è un lirico Adagio in fa. Il quarto tempo, Marcia al supplizio, è un Allegretto in sol minore; infine l’ultimo movimento è Il sabba, con andamenti diversi di 6/8, con la trasfigurazione della sequenza gregoriana del Dies irae e il vorticoso fugato del Rondò di sabba. L’organico è composto da: 2 flauti (il secondo con l’obbligo dell’ottavino), 2 oboi (con corno inglese), 2 clarinetti (anche in mib), 4 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, 2 cornetti, 1 ophicleide e 1 serpentone (oggi rimpiazzati da una tuba tenore e da una tuba bassa), 2 set di timpani, percussioni, arpa e archi.
5) MARIO BORTOLOTTO, Wagner l’oscuro, Adelphi, Milano 2003, p. 38.
6) CLAUDE BALLIF, Berlioz, Editions du Seuil, Parigi 1968, p. 71: «Il n’y a pas de développement dans la forme, mais enveloppement par périodes successives qui peuvent l’étendre jusqu’aux limites plus vaste de tout un grandiose épisode. Relier ces épisodes ? La question ne se pose pas puisqu’ils révèlent déjà un univers indépendant. Si, d’aventure, la question se posait, un symbol musical, sorte de maître-son ou idée fixe, va conjuguer l’ensemble sans cependant l’astreindre à jouer constamment le rôle de chien de berger come, plus tard, son couin vigilant, le leitmotiv. Ce deux procédés, aussi vénérable que l’écriture musicale, mis en fonction par Berlioz et Wagner de façon très consciente dans le jeu des associations et des correspondances, apportent l’un et l’autre un splendide moyen d’expression musicale qui permettra, au-delà même de l’énoncé thématique classique, de concilier l’unité poétique et la variété musicale».
7) Il corno inglese sarà strumento impiegato in maniera eccezionale da Wagner; Berlioz utilizò in maniera nuova anche i tromboni, i due musicisti furono tra i primi a utilizzarli per creare atmosfere nuove, solenni o tenebrose.
8) Cfr. PAOLO RUSSO, Berlioz: Sinfonia Fantastica, una guida, Carocci, Roma 2008.
9) Cfr. VINCENT d’INDY, Cours de composition musicale, II, Durand & fils, Parigi 1903.
10) MARIO BORTOLOTTO, Tunisine française, in Consacrazione della casa, Adelphi, Milano 1982, a p. 324, Bortolotto elenca alcuni aspetti importanti dello stile di Berlioz: «La razionalità in organici quasi cameristici, o in supremazie momentanee, che non scendono mai al vero solismo (con le sue implicazioni formali), ma si avvalgono di tutte le indicazioni che il virtuosismo del solista comporta; la costanza dei pedali, con particolare acuzie nel registro alto, intravedenti le possibilità del suono isolato e il suo “proprio valore pressoché puntiforme” (Confalonieri); lo sfruttamento massivo degli strumenti di banda, alle soglie di Mahler, come nella Symphonie funèbre et triomphale; le stereofonie del Tuba mirum (anche se forse troppo preoccupato di riuscire agghiacciante); l’addensamento di figure ritmiche diverse, si da determinare imprevedibili poliritmie e, infittendosi, da scatenare indistinti barbagli; le sovrapposizioni tematiche, ciascuna conservante la propria individualità, e registranti per la prima volta in maniera da conservarne l’autonomia, le sincronie sonore della realtà, quasi anticipi di Ives».
Da Renzo Cresti, Richard Wagner, la poetica del puro umano, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2012.