Antonio Bellandi, "Il teatro musicale di Michele dall’Ongaro"
Antonio Bellandi, Il teatro musicale di Michele dall’OngaroAntonio Bellandi, pistoiese classe 1974, è apprezzato compositore, pianista, direttore d’orchestra e anche musicologo, fra le sue pubblicazioni spicca il saggio del 2005 Carlo Della Giacoma e Pietro Gori: musica e politica nella Livorno ottocentesca. Di recente ha pubblicato per Aracne editrice, Canterano (RM) 2020, il libro Il teatro musicale di Michele Dall’Ongaro, con Prefazione di Sandro Cappelletto e suddiviso in quattro capitoli: Breve biografia di Michele dall’Ongaro – Musica e teatro – Intermezzo – Le opere liriche; seguono due pagine di Conclusioni e una Bibliografia.
La parte biografica è sintetica, come del resto tutto il libro, ma riesce a segnalare gli avvenimenti più importanti. Michele dall’Ongaro è nato a Roma nel 1957; pianista e musicologo, ha studiato musica elettronica con Franco Evangelisti, canto popolare con Diego Carpitella e composizione con Aldo Clementi. Vincitore di vari premi è musicista ben presente nelle istituzioni: da sempre collabora con la RAI, è stato dirigente responsabile della programmazione musicale di RADIO3 e sovrintendente dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e di Santa Cecilia; inoltre, accademico della Filarmonica romana. È stato presidente dell’Associazione Nuova Consonanza, curatore delle attività permanenti della Biennale di Venezia, consulente della Fondazione Roma-Europa, vice-presidente del Centro Tempo reale e altro. Ha recentemente condotto la trasmissione Petruška su RAI5. Nel 2017 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli ha conferito il titolo di Commendatore.
Come musicologo dall’Ongaro nel 1986 ha pubblicato l’analisi di tutte le opere di Giacomo Puccini (Pacini Editore, Pisa). Ha ideato e coordinato la pubblicazione della prima raccolta in italiano di saggi analitici dedicati all’opera di Anton Webern (Anton Webern – spunti analitici: interpretazioni e metodologie, Nuova Consonanza, Roma 1991). È autore, fra l’altro, del saggio La musica tra suono e silenzio raccolto nell’Atlante del Novecento (UTET, 3 voll., 2000) e di La musica liquida del XXI Secolo (NOVA, L’Enciclopedia UTET, Scenari del XXI Secolo, 2005). Ha scritto su Petrassi, Clementi e altri autori, lavorando per numerose riviste.
Interessante è la dichiarazione di dall’Ongaro che chiarisce il suo rapporto con la musica: «Per la musica, innanzitutto, ho un’attrazione che definirei intensamente fisica» (pag. 18). Questo potrebbe spiegare la sua vocazione drammaturgica, presente, a nostro avviso, anche nella musica strumentale seppur più di ricerca, mentre per Bellandi musica teatrale e strumentale sono «nettamente distinte» [cfr. intervista]. Vi è in dall’Ongaro un’esigenza di narrazione e di contatto con la fisicità del racconto, del gioco, dell’(auto)ironia che ci pare costituisca una costante nel suo modo di affrontare la musica, al di là dei generi.
Numerose e importanti le collaborazioni che dall’Ongaro ha realizzato negli anni; ha collaborato con Luciano Berio alla riedizione del ciclo di conferenze C’è musica e musica; con Gianni Rodari (Il filo, intermezzo in un atto, 1975); con Vittorio Sermonti (melologo Gilda, mia gilda, 2001, La signorina Valerì, 2007); con Luca Ronconi (musiche originali per Lisistrata, 1999), e ancora con Stefano Benni (ciclo conferenze su Fantasia e musica, 1998), Michele Serra (Jekyll, radiofilm musicale, 1995, Il Signor Carmine e altri animali, 1996), Alessandro Baricco (City reading, 2003), Ennio Morricone (Una via crucis, cantata per soli, coro, voce recitante, organo e orchestra, 1992), Carlo Vecchi (Tartufo di Molière, 2007). Con Claudio e Daniele Abbado ha partecipato alla realizzazione dei video su Alexandr Nevskij e molto altro. Un’attività compositiva sostanziosa che va ad aggiungersi a quella dirigenziale e organizzativa e a quelle benemerita di divulgazione, facendo di dall’Ongaro un personaggio a tutto tondo del mondo musicale italiano.
Bellandi prende in considerazione la dimensione teatrale nella musica di dall’Ongaro, soffermandosi su brani quali Grimoire, l’oratorio Una Via Crucis e Manuale di esorcismo, per il quale parla di “meta-teatralità” (pag. 27). L’affabulazione è una delle caratteristiche dello stile di dall’Ongaro, la si riscontra in pressoché in tutta la sua produzione. Bellandi si sofferma sul radiofilm Jekyll e sull’opera teatrale Il filo. Ma è soprattutto l’opera Bach haus che Bellandi approfondisce analizzandola in modo dettagliato, sono pagine che ci permettono di entrare nel pensiero compositivo di dall’Ongaro e nel suo svolgimento formale. Da ricordare che l’opera è stata incisa nel 2018 dalla Ema Vinci Records.
A metà del libro, non manca un Intermezzo, come viene chiamato, che accenna al contesto dell’opera teatrale contemporanea in Italia; si tratta del succinto terzo capitolo La scena operistica italiana tra XX e XXI secolo, un tema molto vasto che, per ovvi motivi, viene tratteggiato genericamente.
Nelle Conclusioni, Bellandi mette a fuoco la poetica e la scrittura di dall’Ongaro, sintetizzando quanto aveva espresso nelle pagine precedenti del libro e scrive che dall’Ongaro «sembra non rifiutare a priori nessuna delle forze che lo potrebbero spingere verso il vecchio o il nuovo: accanto al radiofilm troviamo l’Intermezzo settecentesco, accanto al ‘grottesco per teatro di figura’ troviamo il balletto o il melologo. […] Questo uso, che potremmo definire pragmatico, dei vari stili […] unito alla grande originalità del pensiero e alla sapienza compositiva fanno di dall’Ongaro un autore non riassumibile da nessuna etichetta, un autore imprevedibile, capace di fecondi ritorni al passato quanto di repentini slanci verso il futuro» (pag. 62).
Un’utile Bibliografia chiude questo agile volumetto che ci avvicina a una delle figure più interessanti e influenti del mondo della musica di oggi, non “compositore da lavagna”, come avrebbe detto Cocteau, ma divulgatore nel senso alto del termine, per il quale musica e cultura, musica ed educazione fan tutt’uno. Un lavoro apprezzabile e un plauso ad Antonio Bellandi.
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Intervista ad Antonio Bellandi
1) Quando sei venuto in contatto con dall’Ongaro?
Sono entrato con in contatto con dall’Ongaro nel 2008 dovendo fare, su indicazione del mio maestro Andrea Nicoli, una tesi proprio sul teatro musicale del compositore romano. Negli studi RAI di Via Asiago ho potuto così trascorrere alcuni pomeriggi con dall’Ongaro nei quali, con una gentilezza infinita, mi ha parlato degli aspetti più minuti della sua musica teatrale (e strumentale). Poter studiare la musica di un autore direttamente a contatto con lo stesso è un'esperienza che arricchisce notevolmente.
2) Cosa ti ha colpito del suo teatro?
La cosa che più mi ha colpito, e continua a colpirmi, del teatro di dall’Ongaro è la sua sincerità, la sua poliedricità ed il suo ironico rapportarsi al passato in maniera mai banale. Uso il concetto di sincerità riferendomi al fatto che nella musica di dall’Ongaro si possono riconoscere pienamente le sue caratteristiche umane, il suo modo d’essere.
3) Che rapporto trovi fra il suo teatro e la sua musica strumentale?
I due filoni del Catalogo compositivo del compositore romano sono a mio parere nettamente distinti. La musica strumentale si concentra maggiormente sulla ricerca e sul linguaggio mentre la musica teatrale sull'immediatezza e sulla comunicazione.
4) Ci sono relazioni con quello che fai tu?
Devo dire che il mio linguaggio musicale è molto distante dall’estetica di dall’Ongaro e proprio per questo ho trovato lo studio delle sue partiture così interessante, mi è servito ad allargare la mia tavolozza come autore e a rapportarmi in maniera diretta con un linguaggio diverso dal mio.
5) Cosa stai facendo musicalmente in questo periodo?
Attualmente sto ultimando il mio quarto melologo dal titolo Le lune di S. Anna, su testo del poeta Loretto Rafanelli e strumentato per chitarra a 10 corde e quartetto d’archi. Il lavoro è frutto della stretta collaborazione artistica che ho con Leonardo De Marchi. Contemporaneamente sto portando avanti la stesura di nuovi brani per strumento solista. Ho inoltre iniziato la stesura di un nuovo saggio musicologico riguardante Dante Alighieri e la musica contemporanea.
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Parte della scheda critica su Antonio Bellandi, da Renzo Cresti, Musica presente, tendenze e compositori di oggi, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2019 lim@lim.it
Nel 2011, Bellandi con la composizione La leggenda del nocciòlo e del caprifoglio ha vinto il Premio Nazionale delle Arti; seguono altre composizioni premiate, quali Andersen’s quintetto (2015) e Memorie di un burattino (2017). Fra le composizioni recenti è da citare Quattro antifone (2017), per soli, coro e orchestra d’archi. Lo stesso maestro, pone fra i suoi lavori di rilievo La favola di Apollo e Marsia (2017), per clarinetto basso e chitarra a 10 corde, basato sul racconto mitologico fatto da Igino; qui l’indagine timbrica sottolinea fedelmente i passi del racconto (Marsia/clarinetto, Apollo/chitarra) e si associa a procedimenti di sviluppo del materiale melodico presentato all’inizio del brano (piccole cellule che si ingrandiscono e si organizzano in diverse maniere nel corso del brano). Fra gli ultimi brani la Piano suite (2018), per pianoforte, in 5 movimenti: I) Con lentezza e rigore - II) Vivace e ritmico (sulla formazione di un ritmo) - III: Andante, tempo di blues (su frammenti di Gershwin) – IV) Veloce ed appassionato / Più lento / Tempo I (sulle trasformazioni di un bicordo) - V): Presto, aggressivo (sopra un’altezza): note o ritmi fulcro sui quali si impernia la ricerca del suono giusto. Infine, E A-cantus (2018), per contrabbasso, che prende spunto da 10 capitelli romani.
Dopo una fase durata circa un decennio nella quale alla ricerca timbrica (aspetto prominente anche del mio attuale approccio al mondo sonoro) ho accompagnato strutture derivate da proporzioni fisico-matematiche e geometriche, sono alcuni anni che ho iniziato ad utilizzare i più svariati materiali in una maniera più postmoderna, applicandoli anche alle forme musicali del passato, riattraversate e, a volte, cambiate di segno. In tutto questo percorso resta invariato il mio interesse per il suono in quanto tale. Spesso utilizzo frequenze non temperate e scale utilizzanti elementi quartitonali, che possono addirittura divenire centri gravitazionali di un’intera composizione oppure essere funzionali a creare un mondo sonoro differente per ciascuno dei vari momenti di composizioni più vaste (nei quali si possono anche alternare episodi temperati e non, o essere sovrapposti in uno stesso momento). Ultimo elemento: i rimandi al mondo dell’infanzia e al mondo dell’arte figurativa e letteraria sono frequentissimi nel mio catalogo (testimonianza).[1]
[1] ELEONORA DI CINTO, Programma di sala per il concerto dei brani vincitori del Premio Nazionale delle Arti tenutosi presso l’ISMEZ, Roma 2012: «Traendo spunto da opere e topoi letterari, o da personaggi appartenenti al mondo delle arti, Antonio Bellandi crea la propria musica dedicando un’attenzione particolare alla componente timbrica. […] La ricerca sulle possibilità espressive del timbro assume forme inaspettate quando gli strumenti accolgono un testo recitato: in Corno inglese (2009), brano che trae il proprio titolo dall’omonima lirica di Eugenio Montale, la parola poetica entra in un “mondo sonoro” generato dall’elettronica, “interamente ricavata da un lavoro sul canto degli uccelli”. Su caleidoscopi timbrici, è costruita anche La leggenda del Nòcciolo e del Caprifoglio, per voce recitante, flauto, clarinetto, sax soprano e tenore, percussioni, pianoforte e quartetto d’archi. L’opera […] rilegge il mito di Tristano e Isotta, presentando un testo ricavato, oltre che dall’antico lai francese du Chèvrefeuille, proprio dall’epistolario wagneriano, di cui presenta numerosi estratti». http://antoniobellandi.wixsite.com/antoniobellandi
