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Carlo Alessandro Landini, "L’orecchio di Proteo"
Carlo Alessandro Landini, L’orecchio di Proteo. Saggio di neuroestetica musicale. Ambiguità, trappole cognitive, strategie decisionali, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2021, pp. 848, 60 euro.

 
Chi è Proteo? È una divinità del mare della mitologia egizia poi ripresa da quella greca che aveva la caratteristica di mutare aspetto e forma, da cui il termine proteiforme. Già da questa prima considerazione s’intravede l’impostazione del libro di Carlo Alessandro Landini,[1] che porta il sottotitolo di ‘saggio di neuroestetica musicale’. Non è la prima volta che la riflessione sull’arte e la musica in particolare viene determinata da considerazioni neurologiche,[2] ma i ragionamenti che si snodano e si riannodano nel sostanzioso volume[3] di Landini prendono strade particolari, a volte divergenti, altre concordanti, ora controverse ora confluenti. Il secondo sottotitolo spiega dove si va a parare ossia verso l’approfondimento del concetto e della prassi artistica dell’ambiguità, della finzione, delle mezze-tinte, della con-fusione, dell’enigmaticità, della doppiezza ed equivocità, delle trappole cognitive e di strategie decisionali subdole.

Il termine ‘trappola’ è piuttosto singolare, lo potremmo assimilare all’inganno a fin di bene, ma significa anche tranello, imbroglio, truffa, raggiro, frode, tutte parole/concetti non proprio rispettabili e oneste. Vi è un sottile profumo di zolfo nel brivido dell’ambiguità. E chi tende questa imboscata cognitiva? È il compositore stesso o viene comunque da sé una volta impostato il lavoro sul concetto di finzione? E non può accadere che il gioco della doppiezza si risolva in una gabbia? Ossia può succedere di rimanere imbrigliato in un carcere dove si agogna la libertà, la luce, la chiarezza, l’evidenza, la semplicità, una salutare scappatoia che conduca a strategie luminose e certe. Ma non è la salute che interessa ma la malattia, la passione nel suo significato autentico. Come Thomas Mann, Landini non è attratto dalla sanità ma dalle affezioni morbose, dal malessere psichico, dalla linea di confine fra bene/bello e male/brutto: «Demoniaca non è l’irrazionalità pura – che non esiste – demoniaca è una razionalità che fa emergere in sé l’irrazionale».[4]

Nel Faust di Goethe lo Spirito della Terra respinge Faust e questi si salva. Nel Faust di Mann, la musica è tentatrice, Leverkühn va dal seminario di Halle in un Conservatorio, scopre la terribile ambiguità della musica che non salva ma condanna. Il “mortale controllo del raziocinio” del metodo dodecafonico costruisce una struttura artificiale, rigida e chiusa, dove l’artista si sente sovrano, allontanandosi sempre più dalla natura quale forza rigenerante e di salvezza. Analizzare, scomporre, indagare, atomizzare è un atto intellettuale che allontana dall’esistenza che è umbratile, emotiva, apprensiva, ambigua appunto. L’operare e l’opera non sono procedimenti e oggetti chiari e univoci, come la ragione ragionante reclama, ma fanno riferimento a un Logos che trascende il mero raziocinio, il Logos sta prima della logica! Fanno appello a ciò che Heidegger chiama la potenzialità dell’“eventuale”. A ciò che (ac)cade nel farsi, Einfall, di cui l’artista non è del tutto consapevole perché appartiene all’Umgreifende come l’intende Jaspers, al tutto-abbracciante, all’ulteriorità, alla comprensività infinita. L’intelligenza di Landini si esplica in una scrittura razionale e a motivazioni scientifiche, mettendosi però sempre in gioco con la propria ombra e con i giochi chiaroscurali che essa produce.

Cosa avviene nell’opera per cui essa può definirsi d’arte? È l’arrivo improvviso della verità, lo stanziarsi inaspettato del fondamento di vita. È il presagio che nell’operare si sia toccato il senso ultimo dell’opera. Il sesto senso dell’artista e il senso ultimo sono la stessa cosa, entrambi rimandano a una sorta di illuminazione, di rivelazione, rinviano alla percezione di un essere così e non altrimenti. Attingere all’interno del rapporto col non-esser-nascosto - come dice Heidegger, in quell'illuminante libro che è Sentieri interrotti. -  Ciò che è (stato) nascosto, celato, velato, intimo e segreto è ciò che Landini cerca di afferrare, abitando in un mondo di mezzo, dove la confusione dei confini è enigmatica, fra finzioni e realtà, in un gioco di doppiezze allo specchio deformante.
 
Tutto il libro è argomentato in maniera stringente, con metodo, ma dal criterio logico affiora costantemente l’appello a ciò che potrebbe apparire il suo contrario ossia l’ambiguità, ma il grande insegnamento di queste pagine è che il criterio metodologico, ogni sistema normativo, ha in sé una doppiezza, un fondamento ambiguo. La maschera, simbolo molto caro a Nietzsche, potrebbe essere la metafora che meglio di altre ci fa capire la complementarietà di verità e falsità, di profumo di rose e di quello di zolfo. Landini sembra negare la chiara compattezza dell’Unità e così facendo ci fa provare la nostalgia dell’Uno.

Una volta Luciano Berio disse a Franco Donatoni che la sua musica soffriva di depressione, che la musica doveva basarsi sulle solide fondamenta della salute. Donatoni rispose che proprio la malattia che lo affliggeva era la garanzia di verità, di essere affetto dalla vita seppur nei suoi lati negativi che sono ineliminabili e complementari a quelli positivi. Dunque malattia come verità e sanità come maschera?

Dice Nietzsche che la biografia degli artisti dovrebbe essere scritta dai loro medici e non v’è dubbio che sia così, anzi, diremmo che il rapporto fra l’aspetto biografico e la fisiologia sia fondamentale per tutti, non solo per gli artisti. Del resto la fisiologia è la scienza che studia le strutture e le funzioni di ogni essere vivente ed è sorella della patologia perché non esiste una natura pura dell’organismo se non come ipotesi di scuola. Ogni configurazione purista deve fare i conti col cambiamento e con la degenerazione di un corpo che non può rimanere sempre uguale a se stesso, anzi, decade rapidamente, per cui fisiologia e patologia  convivono.

Vi è un lato normale di un’anomalia? O una parte anormale in una norma? Das Irrsal hilft, lo smarrimento aiuta perché è un momento di verità. La profondità del sogno non è mai raggiunta nella veglia. Il disorientamento diventa pienezza dell’attesa dell’(ac)cadere. «Dove c’è regola c’è deroga» - scrive Umberto Galimberti - «La pato-logia raggiunge la sua essenza che non è da cercare nella malattia, ma in quel patire (pathos) che si fa parola (loghia)».[5]

Ancora Nietzsche il quale, nella quarta parte di Umano, troppo umano, intitolata Dell’anima degli artisti e degli scrittori, scrive: «La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale tendenza suscita facilmente nausea), ma che s’insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi e il cuore di nostalgia». Ecco questa bellezza un po’ noiosa, che “s’insinua lentamente” ha molto a che fare con quella propugnata da Landini.[6]
 
Landini parla di ‘suono grigio’ (pag. 523) che ha a che vedere con un certo positivo grigiore, nel senso di una presa di distanza dalla musica che “trascina” e “scatena”, ovvero di un’affettività che si lega alla logora quotidianità e alla stanca consuetudine. Il grigio ha in sé anche un carattere amorfo, vagamente fluido, brumeux, che neutralizza le tensioni, ma è pure «Il colore che meglio di qualunque altro si presta ad illustrare sub specie symboli il tramonto di un’epoca». Landini fa diversi esempi, dalle Nuages gris di Liszt al Quatour pour la fin du Temps di Messiaen, passando per Schubert e Schumann, a cui Landini dedica pagine interessantissime, come quelle nel capitolo L’addio di Schumann e la fine del tempo (pp. 495 e seg.).
 
Ogni analisi è comunque un’auto-analisi. Dice Lacoue-Labarthe «Il soggetto che si scrive: che scrive su di sé, di cui si iscrive, che è scritto – in breve, che è tale, o ‘tale’, solo per il fatto di essere in un modo o nell’altro iscritto».[7] Le considerazioni di neuroestetica che svolge Landini potrebbero essere riferite alla sua musica, a lui stesso. In tal senso sono calzanti le molte e illuminanti pagine dedicate a Brahms (pp. 460 e seg.). Volete sapere chi è Carlo Alessandro Landini e che radici ha la sua musica? Studiatevi queste pagine portentose e coraggiose.
 
«Ogni sforzo di conciliare la scienza e l’arte o la scienza e la religione ebbero il loro fondamento in quella stessa idea eterna che per noi si è concretizzata nel gioco. […] Che non era soltanto esercizio e svago, era la coscienza concentrata di una disciplina spirituale. Si scoprirono sempre nuove relazioni, analogie e corrispondenze tra le formule astratte».[8] Landini, quale Magister Ludi, cita subito (pag. VII) il gioco delle perle di vetro, consapevole che tutto il suo poderoso ragionamento si concretizza nella disciplina di approfondire “analogie e corrispondenze”, in un gioco di continue prospettive in mutamento, alla ricerca della prospettiva di tutte le prospettive.
 
È impossibile entrare nelle spire concettuali dei ragionamenti proposti in questo fenomenale volume, proviamo a entrarvi citando alcune delle parole-chiave che di per se stesse sono assai significative. La parola-concetto ‘ambiguità’ sta nel titolo di 6 capitoli su 34: 1) Delizie e pericoli dell’ambiguità. 5) Glissando e auditory streaming. Il tempo ambiguo. 18) Beethoven, la destabilizzazione tonale, l’ambiguità dell’emozione. 19) Condizioni atte a facilitare il prodursi dell’ambiguità. 26) Ambiguità cognitive. L’inversione del piano di ascolto. 32) Le ambiguità del villaggio globale. Il concetto di ambiguità viene declinato in tutti i suoi significati dal dubbio all’indeterminatezza, dall’enigmaticità alla finzione, dalla doppiezza alla velatura dal nebbioso al rapporto vero-falso, bello-brutto, sano-malato etc. 
 
Altre parole-chiave che fanno di contorno a quella di ambiguità sono: impermanenza, instabilità, categoria del perturbante, trompe d’œil, sfocatura, sfasatura, disorientamento, erranza, volatilità, collasso cognitivo, non-linearità, biforcazioni, varietà di livelli, equilibrio precario, punti di vista, doppio, ombra, pre-conscio, nebbia, specchio, spazio tridimensionale, tempo amorfo, ipoconnotato, interrogazione, silenzio, distanza, grigiore, coni d’ombra, zone di incertezza, stato liquido, logica non assertiva… tutto espresso seguendo la fuzzy logic. Musicalmente tutto converge sulla tonalità sospesa, sull’ineliminabile condition vague dell’armonia (pag. 679), sul tritono, sul cosiddetto ‘accordo mistico’ di Skrjabin, sul Tristan-Akkord, su alcuni procedimenti compositivi che Landini mette magistralmente in rilievo, volti alla riduzione delle tensioni intervallari, al controllo delle dinamiche e dei colori, alla negazione di una risoluzione attesa (nella sua Sonata n. 5, che fa ricorso alla scala ottotonica, la tensione armonica diviene evidente solo nel singolo accordo).
 
«Proprio nella sua radicale irresolutezza risiederà, paradossalmente, la forza espressiva ed evocativa di un brano musicale» (pag. 783), paradossalmente non tanto, dopo quello che Landini ha spiegato con convinzione e dopo aver ascoltato la sua musica che di forza evocativa è piena. Evocare come un ricordare e richiamare in vita.
 
Nel 29mo capitolo, intitolato Approssimazione e logica fuzzy, Landini presenta un’epigrafe che riprende parole di Cassier: «Non già nella vicinanza al dato immediato, ma nel progressivo andamento da esso risiedono il valore e la natura specifica del linguaggio come dell’attività artistica» (pag. 656). Questa affermazione viene convalidata da molteplici esempi, quasi tutti ripresi da autori romantici, in particolare da Beethoven, Schubert (la Himmlische Länge), Chopin, Schumann, Liszt, Wagner, Brahms, Mahler e altri ma anche da J. S. Bach, Debussy, Schönberg, Stravinskij, Skrjabin, Prokof’ev, Messiaen, Ligeti, casi illuminanti, anche perché nell’articolato percorso interdisciplinare del libro a volte la musica passa in secondo piano, in quanto il ragionamento ruota spesso su tematiche neurologiche oppure filosofiche o legate alle altre arti.
 
È un libro smisurato, ma «nell’idea di dismisura vi è qualcosa di autenticamente rivoluzionario».[9] Vi è un apparato di note sostanziosissimo che già di per sé costituisce un filo rosso per seguire il sinuoso ma organizzatissimo percorso che Landini magistralmente costruisce. Infinite sono le citazioni ma sempre trattate con capacità affabulatoria. Le note costituiscono anche riferimenti bibliografici ma vi è anche una bibliografia in fondo al volume assieme a un lungo elenco dei nomi, dal quale si deduce quali siano i riferimenti a scrittori, scienziati, filosofi e poeti che ricorrono più spesso. Adorno è molto citato, così come Aristotele, Barilli, Baudelaire, Canali, Calvino, Cartesio, Freud, Hegel, Heidegger, Lucrezio, Mann, Proust, Raboni, Schenker e ovviamente molti altri. Come si vede, l’ambito culturale in cui si muove Landini è strettamente legato a quello mitteleuropeo, allargato all’antica cultura greco-latina, un ambito che costituisce il sub-strato mentale e argomentativo dell’intero volume.
 
Molte le parti decisamente scientifiche legate al funzionamento del cervello nelle quali si avvalora la neuroestetica. Vi sono però anche pagine legate al concetto di gusto e alla sociologia, al mercato e ai suoi meccanismi perversi, al Postmoderno e alle contaminazioni, all’ibridazione culturale. Nel paragrafo 32.10, intitolato Simbiosi e commensalismi socio-culturali, si legge di «Mobilità estrema dei flussi linguistici. […] Sacrificare la perizia di ‘color che sanno’ sull’altare di quella che Baudelaire chiama ‘l’impotenza degli eclettici’. […] Una pragmatica della comunicazione la quale abbia per fine la diffusione e la volgarizzazione dell’arte (così barattando la nozione di qualità con quella di quantità)» (pp. 734, 735). Di nuovo viene fuori il Landini compositore, mille miglia lontano da una comunicazione volatile che nulla comunica e attentissimo, ossessionato perfino, da un sottile lavoro di cesello che scava e approfondisce, come una spirale che scava nei meandri dell’essere (dell’opera).
 
La lettura delle 786 pagine di testo, più quelle importanti dedicate alla bibliografia e all’indice dei nomi, pretende attenzione, concentrazione, impegno, qualità rare anche nei lettori abituali, ma solo in questo modo si riesce a seguire bene il discorso di Landini. Richiede lentezza e riflessione, di ponderare anche dopo aver posato il libro.
 
È un volume speciale, anche dal punto di vista dell’editing realizzato da Ugo Giani, redattore, grafico e autore del layout della LIM. Un volume eccezionale sia nel senso di stupefacente sia in quello etimologico del termine di cosa che fa eccezione nel panorama editoriale di tutte le discipline. Dice Giani «La mole di contenuti condensati, la grande messe di esempi corredati da didascalie a volte enciclopediche, la presenza di testi in greco antico (che ho ricomposto quasi tutti), sanscrito, cinese e le numerose citazioni matematiche (del tutto inusuali nel mondo della musicologia convenzionale) hanno richiesto uno sforzo e una pazienza non indifferenti. Sette o otto giri di bozze e due sessioni di impaginazione (una prima, che possiamo definire esplorativa, a cui è seguita una seconda resa necessaria da una profonda rilettura del testo), sono cose che richiedono una quantità di tempo non preventivabile: se non ricordo male circa quattro anni. La stesura degli indici è stata fatta dallo stesso Landini, l’unico che poteva farla con cognizione di causa. […] L’entusiasmo e la determinazione ammirevoli che Landini ha profuso in ogni aspetto della produzione ha certamente contribuito alla nascita del libro e di un rapporto tra autore e redattore che va oltre gli aspetti meramente professionali. Per quel che mi riguarda, sono soddisfattissimo di aver contribuito a mettere in catalogo un titolo così innovativo e un punto di vista così particolare sulla musica nei suoi aspetti psicologici, fisiologici e artistici». La copertina è di Carlo Maria Mariani, pittore molto amato da Landini, le cui opere ha utilizzato più volte anche per copertine di cd, s'intitola Eclipse # 5 ed è un olio su tela del 2002.
 
Lavoro straordinario che per fortuna ha ben poco da condividere con la musicologia (che il mio grande maestro Luigi Rognoni considerava una parolaccia) e molto con la cultura intesa in senso alto occidentale. Libro fuori dall'ordinario anche dal punto di vista editoriale e la cosa va sottolineata, soprattutto in epoca in cui l’editoria è assai sciatta e omologata. Come le cose sbalorditive e rare va considerato con rispetto, reverenza, come fosse un testamento spirituale.
 
Ed ho studiato, ahimé, filosofia,
giurisprudenza nonché medicina;
ed anche, purtroppo, teologia.
Da cima a fondo, con tenace ardore.
Eccomi adesso qui, povero stolto;
e tanto so quanto sapevo prima.
(J. W. Goethe, Faust)
 
 


[1] Di Carlo Alessandro Landini, compositore fra i più stra-ordinari, scrittore fra i più singolari e autore di musica preziosa, abbiamo già recensito la sua stupefacente Sonata n. 5, recensione con intervista  http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=2&quale_dettaglio=345. Se ne ascolti un estratto https://www.youtube.com/watch?v=N75G7D6o-Jk. Inoltre, sempre su questo sito vi è una scheda critica nella sezione Autori http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=3&quale_dettaglio=89, aggiornata nel nostro libro Musica presente https://www.lim.it/it/saggi/5701-musica-presente-tendenze-e-compositori-di-oggi-9788855430012.html
[2] Per esempio, John O’Shea ha scritto un libro sui profili medici di alcuni grandi compositori, fra cui J. S. Bach, Händel, Mozart, Beethoven, Paganini, Weber, Rossini, Schubert, Chopin, Schumann… su quest’ultimo insiste molto Landini, in pagine assai acute. Cfr. John O’Shea, Musica e medicina, EDT, Torino 1991. Per il concetto di ambiguità, cfr. l'Introduzione di Flavio Manieri, a Freud, Psicanalisi del genio, Newton Compton, Roma 1969, in particolare il capitolo intitolato Funzione estetico-sociale dell'ambiguità.
[3] Adoro i libri di 1000 pagine, quello di Landini è ‘solo’ di 848, ma in formato 30X21! Mentre i libri che constano di poche decine di pagine mi sono sempre apparsi sospetti, troppo mingherlini per tenersi robustamente in piedi. Perché allora non scrivere un saggio da pubblicare in qualche rivista? Un libro, seppur un libriccino, è più semplice da argomentare e da tenere assieme, lo si fa pubblicare, spesso a proprie spese, perché dà più visibilità di un saggio e gratifica meglio il proprio ego.
In una recente presentazione del mio libro Musica presente, tendenze e compositori di oggi, sempre edito dalla LIM, avvenuta al Conservatorio di Piacenza, dove Landini insegna composizione, il Maestro ha esordito dicendo che i miei ultimi due libri, Ragioni e sentimenti nelle musiche europee dall’inizio del Novecento a oggi e appunto Musica presente, insieme pesano due chilogrammi e ottocento grammi, il peso della cultura! Ebbene L’orecchio di Proteo da solo pesa oltre due chili! Questo è davvero il sostenibile e insostituibile peso di una grande cultura come quella di Landini. Io sono soddisfatto di imparare tante cose e per certi versi stupito da tanto contenuto che ti avvinghia come le spire di un serpente (velenoso). La lettura dello straordinario libro di Landini dovrebbe essere resa obbligatoria ai neo-banali, a tutti coloro che hanno un pensiero assente.
[4] Vittorio Mathieu, La voce, la musica, il demoniaco, Spirali edizioni, Milano 1983, pag. 14.
[5] Umberto Galimberti, Prefazione a Genio e follia di Karl Jaspers, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, pag. XIV.
[6] Nel suo libro Misura e dismisura, Musica Practica e Didattica Attiva, Torino 2016, il capitolo n. 25 è dedicato all’Elogio dello sbadiglio, mentre il trentacinquesimo ad Arte e malattia.
[7] Philippe Lacoue-Labarthe, La melodia ossessiva, psicanalisi e musica, Feltrinelli, Milano 1980, pag. 10. Il soggetto umano è sottoposto a un processo di deterioramento, a uno smarrimento, che produce una «compulsione auto-analitica» (pag. 20).
[8] Hermann Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, Mondadori, Milano 1990, pp. 12 e 30.
[9] Carlo Alessandro Landini, Misura e dismisura, cit., pag. 12.

 




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