Libro: "L'instabilità del quesito" a cura di Gabriele Manca
Libro, L’instabilità del quesito, la domanda nel fare artistico, a cura di Gabriele Manca, ETS, Pisa 2021.Va data notizia di un’interessante iniziativa dei Laboratori WARM (Workshop on Artistic Research in Music) che il Conservatorio Verdi di Milano organizza dal 2015 assieme al Conservatorio Cherubini di Firenze e l’Orpheus Instituut di Gent. Questi laboratori hanno il compito di mettere in contatto fra loro intelligenze e competenze diverse, in una prospettiva di continua creazione, senza mai fermarsi a soluzioni che sarebbero comunque provvisorie. Ricerca e trasformazioni di esperienze costituiscono gli aspetti fondanti di questi laboratori collettivi. Alcuni dei partecipanti al Workshop di ricerca artistica in musica hanno scritto dei testi che sono raccolti in un libro curato da Gabriele Manca, dal titolo esplicito L’instabilità del quesito che rimanda al dinamismo di una continua investigazione. Il volume fa parte dei Quaderni del Conservatorio milanese n. 1 del 2021. In Quasi una Prefazione, Manca scrive: «la ricerca non soccorre come rimedio miracoloso, come reperimento di ‘ritrovati’ utili a dare un maquillage, ma crea, questo sì, la prospettiva. Anzi, proprio una ricerca in prospettiva contrapposta a una ricerca riflessiva, adatta cioè al solo approfondimento dell’esistente, ci porta alla finalità ultima, cioè quella della creazione in sé e del desiderio di modellare, trasformare» (pag. 7).
Tiziano Manca inserisce il concetto di ostacolo nel percorso di approccio alla ricerca artistica: «l’approccio più fruttuoso mi sembra quello di individuare un ostacolo, un problema, un punto (nella propria pratica artistica o là fuori, nel mondo) che solleva dubbi» (pag. 12).
Sopra la nascita e lo sviluppo di un progetto di ricerca artistica per i Conservatori italiani è il titolo del saggio di Francesco Torrigiani che parla del Laboratorio WARM e si auspica «che ai Conservatori deve essere resa possibile una Ricerca di alto livello» (pag.16). Stare con la domanda, s’intitola in modo significativo il saggio di Lucia D’Errico: «la domanda è movimento e apertura, essa è fondata sulla propria incompletezza» (pag. 24).
Maria Vincenza Cabizza si chiede cosa intendere per musica contemporanea.[1] Chi scrive se lo chiede da una vita e ultimamente ha scritto due voluminosi libri sulle molteplici interpretazioni dei concetti di musica e di contemporaneità. Il secondo di questi libri s’intitola Musica presente, intendendo non solo la musica dell’oggi ma pure quella musica presente a sé stessa, che ha la consapevolezza del proprio essere nel mondo, del suo come ma anche del suo cosa, delle motivazioni e delle finalità. Che possiede profondamente il pensiero critico. «Concezione di presenza come energia, come insieme di tensioni», scrive David Antúnez Rodriguez, nel suo saggio Comporre la presenza.
Riprendendo alcune riflessioni di Giorgio Agamben, Elisa Corpolongo parla di energeia che significa qualcosa che è in opera. Nella Grecia classica l’artista era classificato fra i technitai ovvero fra coloro che praticavano una tecnica, apparteneva dunque alla grande famiglia degli artigiani, ciò che compariva importante era il risultato finale del lavoro il quale, per essere considerato ‘d’arte’, non doveva solo essere ben fatto, come tutti gli altri prodotti artigianali, ma essere abitato “dal delirio delle Muse” (Platone, Fedro, XXII, 245), le quali imprimevano energia, forza, pienezza dell’esistere, eros. Dunque, nell’opera è in essere un’energeia, un’attività che la rende dinamica e viva, che solleva l’artigiano alla sfera della problematicità dell’esistere.[2]
La Corpolongo scrive anche un breve saggio su L’era della macchina: «quale sia la vera e originale caratteristica della macchina odierna, sotto tre luci distinte: prima fra tutte la connessione; la capillarità di un contenuto informatico, che resta nella macchina; la condivisione di dati, contenuti e persone» (pag. 115). Utilizzando esempi da Beethoven, Mussorgky e Ravel, Johann Vacher scrive il saggio Nex perspectives with Stephen Paulello’s opus 102. Performing and composing on a 102-key concert grand piano, unico scritto in inglese (forse per uniformità sarebbe stato meglio tradurlo).
Daniela Fantechi scrive sui microfoni piezoelettrici e sul loro utilizzo sugli strumenti acustici: «il microfono piezoelettrico è usato per suonare direttamente il corpo dello strumento» (pag. 117). Raffaele Marsicano torna su un’annosa e interessante questione ossia quella di considerare l’errore come opportunità e metodo. Interessante il racconto del ‘suono nuvola’ (pag. 148). Il saggio è lungo e ben articolato con vari esempi, manca però dell’utile bibliografia che invece è presente negli altri testi. Anche lo scritto di Pietro Dossena si sviluppa in maniera ampia e con esempi. S’intitola Attorno al suono ed è una riflessione sul «rinvio esterno nei processi di significazione musicale» (pag. 158). Álvaro Núñez Carbullanca scrive su una curiosa relazione fra Comminare, comporre, pulsare: «l’idea di una morfologia musicale derivata da quella immagine in cui il ritmo è costretto, ristretto all’attività motoria del camminare, e non solo ad un’astrazione acustico-mentale» (pag. 203).
Complimenti a Gabriele Manca che ha curato una bella iniziativa e un bel libro, del resto l’intelligenza musicale e l’abilità compositiva di Manca è nota e lo pone come una delle figure di riferimento nel mondo della musica di oggi e non a caso anche del Conservatorio milanese.
In margine è da segnalare un altro volume curato da Gabriele Manca, assieme a Luigi Manfrin, Fare strumento, che uscì nel 2017, come Quaderno del Conservatorio Giuseppe Verdi, Edizioni ETS, Pisa. Si tratta di un interessante riflessione collettiva, con interventi di Giulia Accornero su Un’organologia critica per una nuova liuteria, di Maurizio Azzan su Il suono instabile (Azzan cura anche La poetica dell’oggetto, intervista a Francesco Filidei), di Zeno Baldi su Punto di fusione, di Emanuele Palumbo su Le mani sul suono: la pratica strumentale del compositore, di Giovanni Verrando su Krummholz e la trasformazione strumentale, di Emiliano Turazzi su Sorpresa e stupore, di Simone Benvenuti su Golfi d’ombra, di Paolo Mottana su Esperienza immaginale e nominazione della materia sonora, inoltre due interviste a Frank Bedrossian di Julien Malaussena e di Giulia Accornero.
[1] Il saggio s’intitola Come combattere gli stereotipi sulla musica contemporanea, in poche mosse. Comporre nuove strategie di curatela per la musica contemporanea. La Cabizza sposta l’attenzione su Nuove strategie di curatela per la musica contemporanea ossia su come presentare il concerto in modo che sia ben accolto dal pubblico. Giuste riflessioni che gli organizzatori di concerti dovrebbero imparare a memoria. Anche Alice Manuguerra ci parla del pubblico e del performer, prendendo in esame l’agitazione che spesso si verifica, infatti, il suo articolo s’intitola Viaggio dentro l’ansia e la performance musicale.
[2] GIORGIO AGAMBEN, Creazione e anarchia, Neri Pozza, Trebaseleghe (Pd), 2017, pp. 14, 15, 16: «‘Opera’ si dice in greco ergon, e l’aggettivo energos significa ‘attivo, operante’; significa che qualcosa è ‘in opera, in attività’, nel senso che ha raggiunto il suo fine proprio, l’operazione a cui è destinato. […] L’opera d’arte appartiene costitutivamente alla sfera dell’energeia, la quale, d’altra parte, rimanda nel suo stesso nome a un essere-in-opera. […] L’energeia, l’attività produttiva vera e propria non risiede nell’artista ma nell’opera. […] L’artista è un essere che ha il suo fine, il suo telos, fuori di sé, nell’opera».