Intervista a Enzo Porta
Con Enzo PortaR. C. Possiamo considerarti un esecutore-ricercatore, vuoi descriverci il tuo lavoro?
E. P. Mi ha sempre attratto la vena inesauribile delle risorse del violino. Lo studio approfondito del repertorio del passato è la condizione prima per poter compiere ulteriori passi verso l'esplorazione di possibilità nascoste. /.../ Il mio lavoro sugli armonici è nato dall'esigenza di aggiornare un patrimonio che ha suscitato in molti autori un interesse senza precedenti. Sono partito da alcune novità già attuate nella pratica e le ho applicate, chiarificando le altezze degli armonici naturali extratemperati, classificando gli armonici artificiali possibili nell'ambito dell'ottava, e ho analizzato gli armonici doppi, spetterà poi ai compositori utilizzare questo materiale al meglio. /.../ Tutti gli armonici presenti nel mio libro erano da tempo noti ai teorici e classificati con le relative altezze in hertz e cents, ma si credeva che non fossero eseguibili. Uno studio di tal fatta porta anche altri vantaggi che riguardano la qualità del suono, lo sviluppo del senso del tatto, la sensibilità alle distanze minime che si riflette positivamente sull'intonazione e sulla varietà del vibrato.
R. C. Che differenza c'è nell'affrontare un brano del repertorio tradizionale o un pezzo di musica contemporanea? E per chi ascolta?
E. P. Sia la musica del passato che quella di oggi richiedono coinvolgimento emotivo, cambia il linguaggio, con la consuetudine gli autori contempornaei possono diventare comprensibili come il linguaggio tonale, che pone un problema ossia deve essere rivitalizzato, l'interprete gli deve ricreare una verginità perduta, il nemico è l'usura. /.../ La musica del '900 ha bisogno di grandi esecuzioni, purtroppo le esecuzione sono trascurate, frettolose, imprecise. A ciò si deve aggiungere la rincorsa alla prima esecuzione che induce a un consumismo esasperato e gli interpreti sono costretti a non approfondire mai niente.
R. C. Hai suonato in formazioni cameristiche e in orchestra, vuoi parlarci di queste esperienze?
E. P. A volte il quartettista si fa prendere la mano dal timore di perdere la precisione, l'equilibrio sonoro, ponendo in secondo ordine la fonte principale, il rapporto con l'autore. /.../ L'orchestra è composta da individui che non possono esprimere alcunché, essa ha bisogno di quel personaggio divinizzato che è il direttore. /.../ Quando svolgo l'attività di spalla aiuto il direttore, ma spesso lo sento estraneo.
R. C. Quale solista come organizzi il tuo studio?
E. P. Il primo momento riguarda la classificazione, consiste nello stabilire quale combinazione tecnica sia collegata in qualche modo al passato ciò permette di evidenziare il nuovo e i punti deboli. Sgombrato il campo dai probelmi della tecnica e del linguaggio posso rivolgermi allo spirito della composizione e lasciare spazio alla fantasia. /.../
R. C. Quali sono i criteri che ti indirizzano verso una composizione invece che un'altra?
E. P. A volte la stima verso un compositore mi ha indotto a chiedergli un pezzo e ho partecipato alla gestazione, altre volte mi viene chiesta l'esecuzione di una partitura nuova di autori di cui ho stima, altre volte ancora mi viene imposta come conditio sine qua non. E qui mi prendo la libertà di scontro. La conoscenza del repertorio mi consente giudizi fondati. /.../ Un altro criterio è quello di non subire il fascino strettamente strumentale, a volte una scrittura accattivante o una trovata violinistica possono fuorviare l'esecutore. /.../
R. C. Come consideri l'insegnamento del violino in conservatorio?
E. P. Una seria selezione dei docenti, mediante il ripristino di esami di concorso. Specializzazione dei docenti, mediante corsi di aggiornamento. Radicale riforma dei programmi. Ampliamento del periodo di studio. Selettività verso gli allievi. /.../ Decenni di miopia ministeriale, di demagogia e abbagli sindacali hanno ridotto i Conservatori a una fatiscente fabbrica in disarmo.
Da Renzo Cresti, Con Enzo Porta, "La musica" n. 20, Roma luglio 1991.
