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Wagner in Italia
Wagner in Italia



Da Renzo Cresti, Wagner in Italia, Rivista "Feeria" n. 42, Panzano in Chianti 2012. E da Richard Wagner, la poetica del puro umano, LIM, Lucca 2012.



Nell’estate, con Theodor Uhlig e Karl Ritter compì delle scalate e dei giri a piedi nella Svizzera centrale. Doveva avere un’ottima forma fisica per compiere delle scalate che per quei tempi erano assai impegnative. Che Wagner fosse un vero amante della natura, non solo nel senso ideale e romantico, ma in maniera concreta, lo dimostrano le sue passeggiate quotidiane e rigeneratrici, i suoi vagabondaggi attraverso la regione del Toggenburg, la traversata dell’alta montagna del Säntis o quella sul Faulhorn. Insieme ai monti e alle foreste, Wagner fu molto attratto dall’acqua sia del mare (Genova, La Spezia, Venezia) sia del lago (Zurigo, Ginevra, Lucerna, Maggiore), anche perché era l’acqua a procurargli sollievi dalla sua infiammazione della cute e delle mucose. L’immersione nella natura forniva a Wagner l’isolamento indispensabile a ricaricare le energie e a concentrarsi sulle sue idee artistiche. Fu l’esperienza del sublime di cui tutte le sue opere portano tracce.

Lo spirito nordico viene accoppiato, in questo periodo, a quello latino, riprendendo l’idealizzazione della Grecia antica che, da Winckelmann in avanti, percorreva le pagine degli scrittori austriaci e tedeschi. Wagner ebbe sempre un amore-odio nei confronti della latinità, ma i suoi numerosi soggiorni in Italia, soprattutto negli ultimi anni di vita, dimostrano come l’avversione si risolva in affetto crescente per l’avvolgente silenzio veneziano e per la terra dei limoni, dove venne concepito, non a caso, Parsifal, con i suoi colori vivi e trasparenti e con un calore affettuoso assai lontano dalle brume nordiche del Ring e di Tristan, caligini espressive e musicali sempre più odiate da Nietzsche.

A parte uno sconfinamento a Formazza, durante le gite in montagna che Wagner amava fare, il primo viaggio in Italia venne realizzato nell’estate 1853, quando lasciò Zurigo per delle cure a Sankt-Moritz e da qui proseguì per Torino, dove arrivò il 29 agosto, ma città che non piacque, proseguì allora per Genova e ne ebbe una «magnifica impressione», come racconta ne La mia vita. Il 4 settembre, con un battello, raggiunse La Spezia, lo colpì la dissenteria ed ebbe bisogno di riposare, cadde in un dormiveglia in cui ebbe l’intuizione del pedale di mib che apre L’oro del Reno (ricordò questo sogno sonoro, oltre che nella sua autobiografia, anche nella lettera che, il 7 novembre 1871, indirizzò a Boito, dopo la première di Lohengrin a Bologna).

Alcuni dissero che non fu Mathilde a ispirare Tristan, ma fu la temperatura emotiva emanata da quest’opera a coinvolgere lei e Richard in una passione travolgente. Cosima aveva l’esigenza di giustificare ai figli le avventure del loro padre, soprattutto quella innegabile con Mathilde, ma lo stesso Wagner dovette sentire il bisogno di minimizzare la sua storia con la «graziosa» Mathilde, il ricordo amoroso della quale lo accompagnerà per anni. Intanto cercò rifugio a Ginevra, quindi, il 29 agosto 1858, fu a Venezia, dove lo raggiunse Karl Ritter. La città dipendeva dall’amministrazione austriaca e questo lo avrebbe tenuto lontano dalle grane con la polizia tedesca. Prese alloggio all’hotel Danieli, poi abitò nel mezzanino di Palazzo Giustiniani, dai grandi e spogli saloni, con muri ammuffiti e ricoperti di velluti sbiaditi; qui, dal suo arrivo fino alla partenza, avvenuta il 24 marzo dell’anno seguente, lavorò con regolarità e con sublime ispirazione al Tristan, in solitudine. L’autunno e l’inverno veneziano, con le sue brume ben si addicevano allo stato d’animo. Solo Ritter, il pianista Winterberger, allievo di Liszt, l’altro pianista Tessarin e il principe russo Dolgoruki riuscirono a frequentarlo. I canti dei gondolieri gli crearono forti suggestioni e gli suggerirono la melodia del pastore nel Tristan. Era circondato dall’acqua, come i suoi eroi, dal silenzio rotto solo da vibrazioni che traducevano la lingua in suono.

Fu atterrito dalla vista delle gondole nere, quasi come se avesse avuto un presagio che una di quelle avrebbe trasportato la sua salma. I canti dei gondolieri però lo affascinavano e gli suggerirono il lamento del corno pastore all’inizio del terzo atto di Tristan. Il tempo sospeso della città sull’acqua lo faceva sentire beato. Nel silenzio veneziano riuscì a comunicare al mondo il più sublime lamento d’amore.

Sei furono i soggiorni veneziani, oltre a questo del 1858-59 ve ne furono altri cinque (novembre 1861, settembre 1876, ottobre 1880, aprile 1882 e dal 14 settembre dello stesso anno alla morte) e ognuno di essi fu causato dall’esigenza di scappare da qualcuno o da qualcosa, per rifugiarsi nel silenzio dei labirinti dei canali, lontano dall’affaristica volgarità delle città industrializzate (come più volte ebbe a dire). Di questo primo soggiorno e del secondo, avvenuto due anni e mezzo dopo, Wagner ne parla ne La mia vita, nel cosiddetto diario veneziano e nelle lettere a Mathilde Wesendonk, mentre degli altri quattro abbiamo notizie dagli appunti che Cosima prese, nel suo diario quotidiano, dal 1869 al 1883.[1]

Riusciva ad avere qualche notizia di Mathilde da Frau Wille, la quale aveva detto alla signora Wesendonck che Wagner non possedeva un pianoforte nel suo soggiorno veneziano, fu così che Mathilde gliene procurò uno che fece la felicità di Richard. Riuscì ad avere notizie anche da Minna, la cui salute stava peggiorando, fu Liszt a mandargli qualche denaro per le cure necessarie alla moglie. A Venezia ascoltò le sue prime musiche in territorio italiano, realizzate dalle bande dei due reggimenti austriaci in sede, si trattò delle ouverture di Rienzi e di Tannhäuser.

Il governo di Sassonia aveva informato quello austriaco della residenza su suolo veneziano di un suo ricercato, fu così che il 6 febbraio 1859 gli venne notificato di essere stato bandito da Venezia, del resto, dopo avergli suggerito il grande duetto d’amore, la città aveva terminato il suo compito; il 24 marzo 1859 lasciò Venezia, con in valigia il secondo atto concluso del Tristan. Partì per Lucerna, via Milano dove si recò alla Scala e dove si rese conto del lusso esteriore e del degrado del gusto artistico italiano (forse aveva anche pensato di fermarsi a Milano, ma la prima impressione negativa cancellò questo pensiero). L’umore era nero e si sentiva un uomo distrutto e un musicista da far pietà! Come ci dicono le lettere di questo periodo. Il 26 marzo lascia Milano e torna .

Nel 1861 Wagner scrisse ai Wesendonck della situazione difficile a Vienna, dove era prevista la rappresentazione di Tristan ma che trovava molte difficoltà. Forse per rasserenarlo o forse per sadomasochismo, i coniugi gli fissarono un appuntamento a Venezia, dove, nel novembre Wagner si recò, attraversando il Semmering, facendo tappa a Trieste e giungendo in battello nella città lagunare, qui vi trascorse quattro giorni, dall’8 all’11 novembre, nei quali si rese conto che il suo rapporto con Mathilde doveva considerarsi concluso. Otto e sua moglie dimostrarono di aver rinsaldato il loro rapporto, per di più lei era incinta. L’unica esperienza estetica veneziana fu la vista dell’Assunzione di Tiziano che gli causò una forte emozione, talmente forte da spingerlo – come lui stesso dichiara ne La mia vita - a riprendere il progetto de I Maestri cantori. Cosa c’entri l’Assunta con I Maestri è cosa difficile da capire (la prima scena dell'opera è comunque in una chiesa), probabilmente Wagner si riferiva all’euforia tipica dei momenti in cui si sente crescere l’energia creativa, una forte spinta al lavoro, ma anche al fatto che della sua opera aveva parlato, probabilmente il giorno prima o il giorno stesso della visita al capolavoro del Tiziano, con Mathilde[2] chiedendole la restituzione dell’abbozzo che aveva steso nel 1845 e che le aveva regalato, lei glielo restituì quale dono nell’imminente Natale. Wagner non aspettò di riavere l’originaria bozza, infatti, stese un nuovo copione, pressoché uguale a quello originario, che evidentemente era rimasto bene impresso nella sua memoria, e lo spedì all’editore.

Durante il viaggio di ritorno a Vienna ebbe la prima ispirazione musicale de I Maestri cantori e concepì subito, con la massima precisione, come racconta ne La mia vita, la parte principale del Vorspiel in do maggiore.

Immergendosi nei meandri sonori di Tristan la mente è portata in luoghi lontani che evocano il già accaduto e prefigurano cosa potrebbe accadere; sono i luoghi del mito ma quelli dell’inconscio, legato alla vita corrente ma contemporaneamente lontano dal presente, luoghi dove la cronologia è oscillante come il rapporto con la realtà. Una successione di istanti irrelati è ciò che succede anche nell’esperienza amorosa, dove tutto si concentra sull’oggetto amato che sospende ogni ordine temporale e ogni spazio concreto, certamente la relazione con Mathilde ha contribuito alla creazione della particolare temporalità spazializzata del Tristan, come ha contribuito il soggiorno a Venezia, luogo sostanzialmente utopico, fermo nel tempo e sospeso nello spazio. Venezia non ha un centro, come non ce l’aveva Wagner nel momento in cui compose i Wesendonck-Lieder e Tristan o meglio il suo centro era quello di un essere instabile, di un amore sfuggente, di una meta irraggiungibile.

Venezia è una città labirintica e il labirinto è il simbolo di un processo iniziatico, labirinto doppio di pietra e di acqua,[3] con la doppia simbologia della pietra e dell’acqua che sta a significare il passaggio, il cammino della vita verso l’esodo e l’avvento, il superamento della morte poiché a ogni fine corrisponde un nuovo inizio, un trapasso. La ricerca dell’agognata morte di Tristan e Isolde corrisponde alla ricerca dell’uscita dal labirinto, all’esigenza di varcare la soglia della materia per ritornare all’unità originaria. Chissà quante volte il solitario Wagner veneziano si sarà perso nel dedalo di calli e canali, lasciandosi prendere dal silenzio e dal suono ipnotico dello sciacquio dell’acqua, meditando sul suo amore irraggiungibile e sul (suo) destino. Thomas Mann ha magnificamente descritto, in La morte a Venezia, la sospensione del tempo, l’intreccio morboso fra bellezza e decadenza, la brama per l’eterno che questa città provocava e che anche Wagner sentiva fortissimo.

La storia avviene in un tempo sospeso, tende all’archetipo e a rendere esplicito il rigor mortis, nel quale gli eroi sono avvinti ancor prima della loro fine vera e propria. La musica non può che essere di una sottigliezza straordinaria, per descrivere, tratteggiare, ricamare, evocare non fatti ma stati d’animo, gli stessi motivi devono smussare i lori profili per meglio intersecarsi fra loro, seguire il testo, rendere al meglio ogni sfumatura, ogni turbamento, ambiguità, ondeggiamenti, doppiezze di espressioni, oscurità. La coppia alienazione-redenzione deve rimanere viva in ogni momento, con tutti i suoi infiniti rimandi psichici. In questo lavoro capillare Wagner si dimostra un cesellatore sopraffino.

Il Tristan und Isolde è un dramma diverso dagli altri fin dal titolo, poiché in quasi tutte le altre la titolazione indica il protagonista, in solitudine (Rienzi, l’Olandese, Tannhäuser, Lohengrin, Siegfried, Parsifal), mentre qui è l’unione indissolubile ad annunciarsi: «Il nostro amore, / non si chiama Tristan / e Isolde?» ma anche la congiunzione infine verrà tolta, Isolde vuol diventare Tristan e lui vuol divenire lei.[4] È un’opera che ha l’ambizione di avvicinarsi all’ontologia.

Tristan e Isolde non esistono in quanto persone, ma unicamente per la loro passione: tutta l’opera è esclusivamente tensione, priva di ogni riferimento oggettuale. Secondo l’insegnamento di Schopenhauer, la musica non può esprimere sentimenti individuali ma comunica l’universalità del sentire.[5]
La condizione normale della sua mente era quella di un’incandescente tensione che, abbinata a un’indomabile forza di volontà, gli consentì di affrontare mille difficoltà sia personali sia professionali, ben evidenziate nello scritto autobiografico. In Mein Leben molte sono i fatti personali narrati e con piglio vivace, a volte con un tocco di umorismo, altre con una sottaciuta amoralità; soprattutto i fatti più lontani, quelli dove la memoria si lascia facilmente contaminare con l’invenzione poetica hanno pure un discreto pregio letterario: gli anni giovanili, quelli vissuti a Parigi, il soggiorno a Venezia e la Svizzera appartengono alla buona letteratura, così come i ritratti della Schröder-Devrient e di Tichatschek, quelli di Berlioz e Liszt sono gustosi e pungenti.

È curioso notare come invece in Italia proprio le opere che generalmente sono considerate le maggiori furono quelle scarsamente stimate: «Fra il Wagner di Lohengrin e quello di Tristan c’è un abisso. […] La comprensione del valore artistico di questo nuovo indirizzo è andata perduta nelle grandi masse. Se Tannhäuser veniva ancora capito da migliaia di persone, Tristan appare oramai comprensibile soltanto ad alcune dozzine»,[6] questo è quello che pensava l’ascoltatore medio italiano. Se per la cultura musicale italiana la linea di demarcazione su ciò ch’è apprezzabile o meno si situò in Lohengrin, questa situazione ci aiuta a comprendere quale salto artistico abbia compito Wagner, leggendo infatti in controluce l’affermazione riportata si capisce come dai Wesendonck-Lieder in avanti Wagner abbia iniziato un percorso assolutamente unico, anche se in continuità con le idee, la prassi e le opere precedenti.

Nell’autunno del 1865 Wagner riprese la partitura di Siegfried, un miracolo dopo così tanto tempo! Intanto a Monaco, oltre alle solite proteste per le pretese economiche di Wagner era circolata anche la battuta acida che, come il nonno si era trovato una Lola, il giovane Ludwig si era trova un ‘Lolo’. Con la tristezza nel cuore, il re fu costretto ad allontanare Wagner, così il 10 dicembre lasciò Monaco, partì con il cane Pohl, suo unico compagno. Cornelius lo aspettava alla stazione e, come racconta, Wagner aveva un aspetto spettrale e Cosima era disfatta. Interessante è lo sguardo plurimo della storia, appena due settimane dopo che Ludwig aveva intimato a Wagner di lasciare Monaco, il maestro venne nominato, con decreto di Vittorio Emanuele II Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Il 14 settembre 1868 ebbe inizio il quarto viaggio di Wagner in Italia, scese con Cosima attraverso il Gottardo e fece la prima tappa sul lago Maggiore, poi proseguì per Genova, dove, per la seconda volta, trascorse giorni felici. Quindi si recò a Milano per incontrare l’editore Giovannina Lucca. La coppia ritornò in Svizzera passando da Como (la città nativa di Cosima).

Il 1871 fu anche l’anno che vide la prima messa in scena di un dramma wagneriano in Italia, Lohengrin, a Bologna nel novembre; nello stesso mese, da Tribschen, Wagner indirizzò ad Arrigo Boito una lettera che l’artista italiano tradusse e divulgò tramite stampa, vi si legge la soddisfazione per l’accoglienza e per il successo e l’auspicio di un connubio fra i popoli geniali d’Italia e di Germania. È interessante chiederci che cosa Wagner conoscesse della musica italiana: fece un elogio del canto italiano negli scritti giovanili, amava soprattutto Bellini, ma non Donizetti; in Opera e dramma l’opera italiana viene paragonata a una prostituta! Di Verdi probabilmente non conosceva nulla e nessuna sua dichiarazione c’è pervenuta sulla musica del maestro di Busseto. Della musica prima di Paisiello e Cimarosa, conosceva Piccinni e un po’ di repertorio sacro, in particolare quello di Palestrina.

Le vere città wagneriane furono Bologna e Venezia. Il capoluogo emiliano stava conoscendo una profonda trasformazione determinata dalla fine dello Stato Pontificio e la nascente borghesia vedeva nel teatro comunale un luogo dove poter ritrovarsi, costituendone un polo importante per la cultura della nuova Italia e siccome il nome tutelare di Verdi era un privilegio de La Scala, si pensò che l’astro nascente di Wagner potesse fare al caso, fra l’altro il direttore d’orchestra Angelo Mariani, che aveva da anni, dal 1860, rapporti con il teatro bolognese, aveva rotto i rapporti con Verdi e si era avvicinato al repertorio wagneriano. L’allora sindaco di Bologna, Camillo Cesarini, insieme alle Edizioni Lucca e ai critici giornalistici Enrico Panzacchi e Gustavo Sangiorgi, riuscì a combinare la prima italiana di un’opera di Wagner, il quale mandò una lettera a Mariani da Triebschen inviandogli una legenda su come rappresentare Lohengrin. La prima ebbe un successo incredibile tanto che furono replicati i due Vorspiel e la marcia nuziale. A Bologna ben cinque furono le prime italiane: Lohengrin (1871), Tannhäuser (1872), L’Olandese volante (1877), Tristan e Isolde (1888) e Parsifal (1914). Wagner fu presente all’esecuzione di Rienzi al Comunale di Bologna il 18 novembre del 1876, il direttore d’orchestra fu Mancinelli che venne molto apprezzato da Wagner, i due furono in corrispondenza dal 1880 alla morte di Wagner. La stima verso Mancinelli fu dimostrata dal fatto che Wagner lo volle come direttore della sua Sinfonia in do a Venezia, in occasione del 45° compleanno di Cosima, e lo volle a Londra a dirigere le prime rappresentazioni de I Maestri cantori e del Tristan. Come compositore Mancinelli rese omaggio a Wagner nella sua opera Isora di Provenza, rappresentata a Bologna nel 1884. Nel 1886 Mancinelli lasciò Bologna e suo successore fu Martucci, successore anche nel senso di eccellente interprete della musica wagneriana.

Al Teatro La Fenice di Venezia fu rappresentata quella ch’è la terza opera wagneriana in Italia, Rienzi, (dopo Lohengrin nel 1871 e Tannhäuser l’anno successivo). La città lagunare si dimostrò molto propensa ad accogliere le opere di Wagner, tanto da realizzare un festival wagneriano nell’aprile del 1883, quando fu rappresentato l’intero ciclo del Ring, curato dalla compagnia di Neumann, che fu ripreso integralmente e a seguire a Bologna, Roma, Torino e Trieste; occorrerà aspettare il 1926 per riascoltare le quattro giornate a La Scala, che programmò il Ring per cinque anni di seguito.

Per riposarsi dopo le fatiche dell’allestimento del Ring a Bayreuth, i Wagner, il 14 settembre 1876, partirono per l’Italia. Passando da Verona, raggiunsero Venezia, qui fu recapitata a Wagner una lettera dell’amministratore del festival, Feustel, che informava il maestro del debito di 120.000 marchi, una cifra enorme che Wagner dubitò di reperire. Gli fu prospettato di trasferire il festival a Monaco, ma ovviamente non accettò. Acconsentì però che La Walkyria fosse staccata dal ciclo e rappresentata da sola a Vienna (progressivamente dette l’autorizzazione alla messa in scena di questa singola giornata, che fu la più richiesta, anche in altri teatri). Fu così che, nella primavera dell’anno successivo, dovrà partire per Londra, accettando l’ooferta di dirigere concerti all’Albert Hall.

All’arrivo dell’autunno i Wagner scesero a Napoli e Sorrento, dove ritrovarono Nietzsche, era là per curarsi, in compagnia di Paul Rée; i vecchi amici s’incontrarono solo due volte, oramai il loro dialogo si era interrotto. Quindi risalirono verso Roma, dove si trattennero per quattro settimane, durante le quali Wagner fu festeggiato dall’ambasciatore tedesco von Keudell, che dette una serata in suo onore, e dalla Reale accademia di santa Cecilia, che lo nominò ‘socio onorario’. Dall’ambasciatore conobbe Giovanni Sgambati, fu colpito dal suo Quintetto per pianoforte e lo presentò alle edizioni Schott (che poi pubblicò molte composizioni di Sgambati), fu uno dei pochi compositori a cui Wagner degnò attenzione. A Roma Cosima incontrò la principessa Sayn-Wittgenstein e Wagner conobbe Gobineau.

Il 3 dicembre Wagner fu a Firenze e il giorno dopo a Bologna, per la rappresentazione di Rienzi, quindi fece ritorno nel capoluogo toscano, soggiornando nel bel palazzo Ricasoli, affacciato sull’Arno; si trattenne 14 giorni, durante i quali si recò più volte agli Uffizi, accompagnato dal barone Liphardt (rimase affascinato soprattutto da La primavera di Botticelli, nella quale vide trasfigurata Freia). Visitò anche san Miniato, Fiesole e Pisa. Ebbe modo di rivedere Jenny Laussot e di conoscere il compositore fiorentino Giuseppe Buonamici, che era stato allievo di Hans von Bülow al Conservatorio di Monaco.[7]

Il 31 dicembre 1879 i Wagner, con i bambini, partirono per Napoli, dove arrivarono il 4 gennaio installandosi a villa d’Angri, stupefacente dimora sulle alture di Posillipo, dalla quale si gode un panorama mozzafiato che va dal golfo di Napoli a Posillipo. Con loro era anche Heinrich von Stein, giovane ma reazionario studioso, precettore del piccolo Siegfried. Alla villa andò a trovarli il pittore russo Paul von Joukowsky, futuro scenografo di Parsifal. I Wagner si recarono a Napoli più volte, andarono al san Carlo per assistere a una rappresentazione de L’Ebrea di Halévy e si recarono pure in visita al conservatorio di san Pietro a Maiella, ricevuti da un Francesco Florido esultante. I coniugi si recarono inoltre in visita ad Amalfi e a Ravello dove, nel parco di villa Rufolo, Wagner ebbe l’ispirazione per la messa in scena del magico giardino di Klingsor, nel quale ammiccavano sensuali, fra rosai profumati, le fanciulle fiore.
Giunta l’estate, il caldo diventò troppo forte e si formò il desiderio di un posto che sia «meno Africa e più Italia»; Cosima riuscì a trovare un posto adatto e la famiglia, in agosto, si trasferì a villa Torre Fiorentina, alle porte di Siena. Risalendo dalla costa amalfitana si fermarono a Roma e, prima di arrivare a Siena, rividero Firenze e, per la prima volta, Pistoia e Perugia; il 22 agosto arrivarono a Siena, dove Wagner fu affascinato dal duomo e fu proprio dalla cattedrale e fu proprio dal duomo della bella città toscana che Joukowsky prese ispirazione per il tempio del Graal. Liszt trascorse 10 giorni con loro e insieme al generò Wagner suonò tutto il terzo atto di Parsifal. Ludwig acconsentì che Parsifal venisse rappresentato esclusivamente a Bayreuth.

Il 1° ottobre i Wagner partirono da Siena e, dopo una nuova sosta a Firenze, arrivarono a Venezia. Dal 4 al 30 ottobre i Wagner furono a palazzo Contarini a Venezia. Il 31 ottobre rappresentazione di Lohengrin a Monaco, con Ludwig II e Wagner soli nel palco reale. Ai primi di novembre, su desiderio del re, Wagner diresse il preludio di Parsifal, fu il loro ultimo incontro.

Nel novembre 1882, dopo il secondo ciclo di rappresentazioni a Bayreuth, la famiglia Wagner si recò a Palermo, alloggiando prima nel lussuoso Hôtel des Palmes e successivamente a villa Gangi ai Porrazzi, qui Wagner riprese un frammento che aveva abbozzato per Tristan ma mai concluso, si tratta di 13 battute in lab che vogliono simboleggiare il collegamento fra Tristan e Parsifal, il rapporto fra due epoche della propria vita, ma forse anche la relazione fra i caratteri Dei due protagonisti. Queste battute sono note come il Tema di Porrazzi e furono regalate a Cosima, la quale ebbe anche, per il suo compleanno, il dono dell’esecuzione dell’ouverture Polonia composta da un giovane Richard nel 1836.

Nella città, dove, tanti anni or sono, senza conoscerla, aveva ambientato Il divieto d’amare, ora Wagner progettava anche di scrivere musica orchestrale e di riprendere, come desiderava e sollecitava Ludwig, I vincitori, ma l’abbozzo non era più utilizzabile perché molte idee erano passate a Parsifal.
Gli si presentò Auguste Renoir, che stava facendo un viaggio in Italia e che avrebbe voluto portare ai fan wagneriani a Parigi, un ritratto del maestro, cosa che avvenne effettivamente; Wagner disse che nel ritratto di Renoir sembrava un pastore protestante e il pittore, da parte sua, dichiarò che la testa di Wagner era meravigliosa![8]

Il 20 marzo i Wagner si trasferirono ad Acireale, insieme a loro il conte siciliano Gravina, fidanzato di Blandine. Furono testimone del passaggio di Garibaldi ferito e ne furono commossi. Ad Acireale Wagner fu colto da uno spasmo cardiaco, fu la prima avvisaglia di ciò che lo condurrà alla morte. La famiglia visitò Catania, Giarre, Riposto e Taormina che, con la sua stupenda posizione, colpì profondamente Wagner. Ai primi di aprile partirono per Venezia, dove giunsero il 15, trattenendosi per due settimane, prima di ripartire per Monaco.

Il 13 gennaio del 1882 terminò Parsifal a Palermo. Nell’aprile i Wagner intrapresero il viaggio di ritorno, passando da Acireale, Napoli e Venezia, dove si fermarono a palazzo Vendramin. Curiosa coincidenza il fatto che Wagner scrisse in quel mese a Venezia il saggio Sul maschile e il femminile nella cultura e nell’arte, su un argomento analogo scriverà anche il suo ultimo saggio, ancora a Venezia, Del femminino nell’umano.

Il 22 maggio Wagner festeggiò a Wahnfried il suo sessantanovesimo compleanno, Ludwig gli inviò due cigni neri. La morte di Gobineau scosse profondamente lui e Cosima, tanto che nel diario di quest’ultima si legge un sincero lamento per «il nostro amico più caro».

Il 26 luglio, dopo sei anni, il Festspielhaus riaprì per la prima rappresentazione di Parsifal. A festival terminato, per rilassarsi dalla tensione e dalle fatiche, i Wagner vollero tornare in Italia, giunsero a Venezia il 16 settembre, sistemandosi per alcuni giorni all’Hotel Europa poi ancora a Palazzo Vendramin, del quale Wagner aveva affittato le 15 stanze del mezzanino.

La città ci piace. […] Andiamo sulla Riva dove passeggiamo a lungo. […] Poi ci rechiamo al giardino pubblico, dove Richard vuole informarsi se Siegfried possa imparare là a cavalcare. […] Al giardino Papadopoli, i pappagalli e le belle aiuole piacciono molto a Richard. […] La vista del Canal Grande, da sotto il ponte di Rialto, gli procura sempre una grandissima gioia; il ponte stesso con gli ampi gradini, gli dà un senso di sicurezza. E resta dell’opinione che nessuna città possa competere con Venezia.[9]

In ottobre giunse la notizie della morte di Gobineau, che sconvolse Cosima. Nello stesso mese giunse, in luna di miele, Blandine sposata al conte Gravina. La salute di Wagner si dimostrò malferma, nel novembre ebbe un attacco cardiaco, in piazza san Marco. Poco dopo Cosima festeggiò il suo 45mo compleanno e per l’occasione Richard rielaborò la sua giovanile Sinfonia in do, che fu eseguita al teatro La Fenice il 24 dicembre, dai docenti e dagli allievi del conservatorio. Era giunto, il 19 novembre, anche Liszt per trascorrere qualche settimana con i Wagner, per porgere gli auguri di buon compleanno alla figlia e per quelli di Natale a Wagner. Liszt rimase fino al 13 gennaio dell’anno successivo, quando ripartì per Budapest. La struggente e melanconica atmosfera invernale di Venezia, ispirò all’abbé Liszt, forse in preda a un presentimento, una delle pagine più belle del suo ultimo periodo creativo, La gondola funebre, brano che sembra presagire l’imminente fine di Wagner.

In questi mesi Wagner ebbe un contrasto con Giovannina Lucca, la quale affermava di avere i diritti anche su Parsifal, fu grazie ai buoni uffici del dottor Strecker che la questione si appianò, non andando a intaccare l’esclusiva che Wagner aveva concesso a Schott.

All’inizio del 1883, Cosima seppe che sarebbe giunta a Venezia Carrie Pringle, il soprano che aveva interpretato una donna fiore alla premiére di Parsifal. Sembra che il 12 febbraio vi fu un violento litigio ed è possibile che questo alterco, come pare sostenne il medico che fu chiamato dopo il malore di Wagner, sia stato la causa dell’infarto mortale; il cuore del maestro cessò di battere il giorno dopo, 13 febbraio.
Wagner stava lavorando al saggio Del femminino nell’umano. Nietzsche, che stava lavorando allo Zarathustra, definirà poi, in Ecce home, «sacra» l’ora della morte di Wagner. Il giorno dopo, 14 febbraio, Verdi scrisse a Ricordi: «Trieste! Triste! Triste! Wagner è morto! Leggendone il dispaccio ne fui atterrito». Bruckner, l’unico compositore insieme a Sgambati, che Wagner apprezzò al di fuori di quelli che formavano la Cancelleria di Bayreuth, stava componendo la Settima sinfonia, la Coda fu intitolata Musica funebre per il maestro defunto.

Il giovane D’Annunzio, che nella sua prima fase subì fortemente l’influenza wagneriana, fu fra coloro che sostennero il feretro che da palazzo Vendramin fu portato alla gondola nera che lo condusse alla stazione.
Durante il viaggio di ritorno verso Bayreuth la salma di Wagner fu onorata da una gran folla, specialmente a Monaco, dove erano giunte molte corone di fiori, fra cui quella di Ludwig, il quale avrebbe preteso di seppellire lui il corpo dell’amatissimo amico, cosa che non sarebbe stata certo sconveniente.
Due mesi esatti dopo la morte di Wagner, la compagnia di Neumann rappresentò l’intero ciclo nibelungico al teatro La Fenice, era il 14 aprile, il 19 si tenne al conservatorio un concerto solenne in memoria del maestro e una maestosa cerimonia si svolse sul Canal Grande. L’anno successivo, con l’ode barbara carducciana, Presso l’urna di Percy Bysshe Shelley, conclusa il 13 dicembre 1884, ebbe inizio la consacrazione di Wagner nella letteratura italiana.



Note
[1] Il periodo in cui Wagner periodicamente frequentò Venezia è lungo 25 anni e alla città lagunare egli confidò «I suoi malumori, la tristezza di un amore finito, la malinconia del tempo che passa, il suo lavoro, il piacere della compagnia dei figli, la profondità del rapporto con la moglie e, talvolta, in modo inaspettato, il suo umoristico sarcasmo», la città esprimeva quel «Desolato senso di abbandono che tanto aveva colpito Wagner la prima volta che la visitò, ma pur sempre scrigno di sogni e desideri, di bellezze e meraviglie» da Itinerari veneziani di Richard Wagner, immagini d’epoca e foto di Mario Vindor, a cura dell’Associazione Richard Wagner di Venezia, Punto Marte, Venezia 2008, p. 123.
[2] È probabile che, nelle continue identificazioni che Wagner faceva con i personaggi dei suoi lavori, gli fosse balenata nella mente la figura di Sachs: come il cantore-ciabattino anche lui, il Wagner-Tristan di una volta, avrebbe dovuto farsi da parte per lasciare a Mathilde-Eva di godersi la propria gioventù.
[3] BRUNO CERCHIO, Postfazione, in GIUSEPPE SINOPOLI, Parsifal a Venezia, Marsilio, Venezia 2002, pp. 137, 138: «In Venezia la terra è annullata. Uguagliare le pietre della città lagunare alla terra risulterebbe impreciso: la pietra in verità costituisce l’“aspetto uranico della qualità terrestre”, e non solo perché vi sono pietre (le meteoriti) che piovono da cielo, ma perché lo spirito arcaico assimila la stabilità della roccia a quella del mondo superno. Le pietre inoltre contengono il fuoco e sono uguagliate al fulmine: se si scontrano due selci ne sprizzano scintille».
[4] Nessuno può diventare un altro se non nella patologia schizzofrenica, di cui indubbiamente i due personaggi sono affetti; normalmente è possibile raccogliere le sensazioni e le energie, incrementandole con quelle dell’amato.
[5] Esprimere è un verbo che si riferisce a un dire interpersonale, mentre comunicare = entrare in comunità fa riferimento a un coinvolgimento alla collettività, a un dire pubblico e meno legato a individualità.
[6] OSKAR PANIZZA, Wagneriana, a cura di Giovanni Chiarini, Spirali, Milano 2010, pp. 88-89. Per la cultura italiana le composizioni di Wagner dai Wesendonck-Lieder in avanti sono troppo ricche di nuove informazioni che ne impediscono la chiara comunicazione, ma anche oltremodo grondanti di passionalità e traboccanti di simbologie che contrastano con il realismo di base tipico della cultura italiana.
[7] Buonamici (Firenze, 1846-1914) fu pianista assai stimato da Liszt, tanto che questi lo invitò a Weimar nel 1879. Fu presente alla première di Parsifal a Bayreuth. Il giorno della partenza di Wagner da Firenze per Bayreuth, il 17 dicembre, in occasione di un rinfresco per salutare il maestro, venne eseguito un quartetto di Buonamici (che aveva composto a Monaco dopo aver ricevuto i consigli di Rheinberger).
[8] Dallo schizzo che Renoir fece a Palermo ricavò poi il ritratto, esposto alla biblioteca dell’Opéra.
[9] Itinerari veneziani di Richard Wagner, immagini d’epoca e foto di Mario Vindor, a cura dell’Associazione Richard Wagner di Venezia, Punto Marte, Venezia 2008, pp. 51, 52, 73, 57. Questi appunti di Cosima sono tutti volti ad annotare i (f)atti e le reazioni di Richard, quasi come se le sue e quelle delle altre persone non esistessero. L’acqua, i giardini, i cavalli, i pappagalli, le bellezze di una natura silenziosa attirano Richard più Dei monumenti e Dei musei.


 
A Nino Campagna







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