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Lucca, Paganini e la chitarra
Paganini, Lucca e la chitarra



Da Renzo Cresti, Lucca, Paganini e la chitarra, Rivista “Il Rigo musicale” n. 49, La Spezia 2012.



Il 25 giugno del 1795 veniva pubblicato su «La Gazzetta di Genova» l’annuncio di un concerto che «Un giovinetto già noto alla Patria per la sua abilità nel maneggio nel violino», dal nome di Niccolò Paganini, avrebbe tenuto il 31 luglio presso il teatro sant’Agostino, con lo scopo di procurarsi qualche denaro per potersi recare a studiare a Parma nella scuola di Alessandro Rolla. In quel concerto il tredicenne Niccolò eseguì, fra l’altro, la sua prima composizione, Variazioni sull’aria piemontese La Campagnola, per violino e chitarra. Il giovane musicista aveva appreso i primi rudimenti musicali sul mandolino, sotto la guida del padre, strumentista dilettante e commerciante di mandolini, è dunque dal mandolino che deriva l’approccio alla chitarra, avvenuto da autoditta, al contrario dello studio del violino che iniziò sotto la guida dei maestri Giovanni Servetto e Francesco Gnecco, per poi perfezionarsi, proprio l’anno successivo al concerto al teatro di sant’Agostino, con Giacomo Costa, maestro di Cappella presso la chiesa di san Lorenzo. Sarà nel periodo toscano e lucchese che Niccolò si perfezionò nella tecnica chitarristica, prendendo gusto a “pizzicare la chitarra”, com’egli stesso disse nella sua autobiografia.[1]

Il 18 maggio 1804 Napoleone fu incoronato imperatore di Francia e l’anno successivo re d’Italia; distribuendo troni ai suoi parenti, Lucca toccò alla sorella Elisa, già sposata al capitano córso Felice Baciocchi, che giunse a Lucca nel luglio del 1805. Ma Paganini fu a Lucca quattro anni prima, per la tradizionale festa della santa Croce; scrisse Paganini: «Quattro anni prima dell’incoronazione di Napoleone a Milano, mi recai a Lucca per la rinomata funzione della santa Croce […] La Repubblica di Lucca mi nominò primo violino di Corte».[2] Il desiderio di Paganini di recarsi a Lucca fu determinato dal cercare di affermarsi in una città dalla ricca vita musicale, dopo che aveva riportato successi a Firenze, Pisa, Livorno e specialmente a Modena quando, il 21 dicembre 1800, mandò in visibilio il pubblico con il suo virtuosismo onomatopeico che, come vedremo, sarà invece causa di molte critiche nel concerto che si tenne per la festa della santa Croce, il 14 settembre 1801. Era giunto a Lucca non con il padre tutore Antonio ma con il fratello Carlo, anche lui presterà servizio alla futura Cappella di Palazzo.

La Cappella Musicale di Palazzo era stata istituita nel dicembre 1543, quando il Consiglio Generale della Repubblica aveva data mandato agli Anziani di assumere 5 o 6 musicisti “Pro ornamento et honore civitatis et reipublicæ”. Col tempo l’orchestra di Palazzo assunse il ruolo di vero centro catalizzatore della vita musicale cittadina, i suoi musicisti venivano ‘prestati’ ad altre istituzioni e a privati che intendevano allestire esecuzioni musicali. I musicisti di Palazzo dovevano anche prestare servizio scolastico istruendo giovani nell’arte del suonare, questo servizio rimase in vigore anche dopo che la Cappella Musicale di Palazzo venne sciolta, nel 1805,[3] e subentrò la Real Cappella di Corte di Elisa Baciocchi, lo stesso Paganini dette lezioni di musica a vari strumentisti, non solo violinisti ma anche violoncellisti e contrabbassisti: «Paganini diede continuamente lezione al sig. Angelo Torre nel suono del violoncello con molto profitto. Si prestò ancora a titolo di amicizia per il prof. Francesco Bandettini, primo contrabbasso alla Real Cappella con fargli adottare un nuovo metodo nel suono del contrabbasso, del quale si è egli trovato molto bene. Il prof. Delle Piane e il prof. Giovanetti furono buoni allievi per il suono del violino»,[4] ai nomi di Bandettini, “primo contrabbasso” della Cappella di Corte, di Agostino Delle Piane, che fu il primo maestro di Camillo Sivori, di Massimiliano Giovanetti, pure direttore d’orchestra, va aggiunto anche quello di un altro allievo di Paganini, quello di Raffaele Giannini, per cui si può con certezza affermare che la presenza di Paganini a Lucca fu foriera di novità e di interessi musicali che si prolungarono ben oltre la sua permanenza.

Vediamo come il violista Jacopo Chelini descrive il concerto che Paganini tenne per la festa della santa Croce nel 1801: «La musica fu lunga assai. […] Si ebbe il poco riguardo di fare eseguire, caso del tutto nuovo, un concerto di violino da un tal Paganini Giacobino Genovese che era venuto alla musica subito dopo il Chirie eleison e questo concerto durò 28 minuti. Questo professore aveva una grande abilità ma non aveva né criterio né giudizio musicale. Imitava col violino il canto degli uccelli, i flauti, le trombe, i corni etc. di modo che il suo concerto terminò in opera buffa facendo ridere tutti nel tempo che restavano ammirati dell’abilità».[5] Da questa testimonianza esce fuori tutto il carattere paganiniano che certamente sconvolse i fedeli, non tanto per la lunghezza ma per gli effetti speciali che Paganini sapeva tirar fuori dal suo violino; i fedeli erano abituati a ben altra musica in chiesa, ma lo stupore si trasformò in entusiasmo e questa eccitazione venne sfruttata dal governo cittadino e dalla nobiltà, è infatti certo Paganini tenne anche altri concerti in sale private.

Dopo il citato concerto per la festa della santa Croce, Paganini suonò l’11 novembre per la festa di san Martino (al quale è dedicata la cattedrale di Lucca) e l’8 dicembre tenne un concerto presso la chiesa di santa Maria Cortelandini. Tornò a suonare a Lucca nell’autunno del 1804, il 28 settembre e l’11 ottobre al teatro Nazionale, in questo periodo compose la Sonata concertata per chitarra e violino, dedicata a Emilia Di Negro.

Tra il 1801 e il 1804 Paganini visse Toscana, intavolò buoni rapporti, oltre che con le donne, con il violinista Giuseppe Romaggi, primo violino della Cappella di Palazzo, che lo spinse a presentare domanda alla nuova orchestra della Cappella di Corte che Elisa aveva voluto in sostituzione della Cappella di Palazzo, domanda alla quale si rispose, il 22 gennaio 1805: «Il Gonfaloniere e anziani intesa la domanda del cittadino Niccolao Paganini Genovese Professore di Violino, veduto il rapporto del Magistrato dell’Interno e la relazione dei cittadini anziani Merli, Pellini e Cotenna, decretano quanto segue: il soprannominato Paganini è ascritto tra i Professori della Cappella Nazionale. […] Egli avrà l’obbligazione di fare allievi».[6] Dal gennaio 1805 alla primavera del 1807 ebbe l’incarico di secondo violino (e fu anche nominato Capitano delle Guardie d’Onore), solo nell’estate 1807 divenne primo violino dell’orchestra di Palazzo. Nel 1808 la principessa Elisa si trasferì a Firenze, divenendo granduchessa; Paganini la seguì in qualità di virtuoso da camera, ruolo che gli lasciava più tempo per dedicarsi all’attività concertistica, infatti, tenne concerti a Livorno, Torino, Cesena, Rimini, Bologna, Ferrara e Parma.

Durante gli anni in cui prestò servizio presso Elisa, Paganini seguì la corte nei vari spostamenti, a Bagni di Lucca, Viareggio, Pisa, Piombino, Marlia, Massa e Firenze. Abitava nel palazzo della sarta Anna[7] Quilici Bucchianer, nel quale organizzò serate musicali e un gran ballo (il 15 gennaio 1809). Ovviamente tenne concerti ogni volta che la famiglia reale lo riteneva opportuno, in occasioni pubbliche o private, religiose o laiche, anche in spettacoli teatrali o di balletti.

Quei primi anni dell’Ottocento videro Paganini dedicarsi soprattutto alla chitarra, prima di ricevere il secondo incarico a Lucca aveva pressoché cessato l’attività concertistica e anche quando la riprenderà terrà la chitarra in grande considerazione, scrivendo, nel primo decennio del secolo, la maggioranza delle principali opere per violino con accompagnamento di chitarra, strumento a cui ricorse più volte soprattutto nei momenti più intimi della sua biografia. Fu dunque nei soggiorni lucchesi e toscani, fra il 1801 e il 1809,[8] quando, nel dicembre di quell’anno, si licenziò dal servizio di Elisa Baiocchi per dedicarsi integralmente alla libera professione,[9] che la chitarra ebbe un ruolo preminente e videro la luce alcune delle pagine più belle per questo strumento nel ruolo dialogante col violino. Le composizioni per violino e chitarra costituiscono la parte più abbondante della musica da camera paganiniana

La chitarra era per Paganini uno strumento più confidenziale del violino col quale amava stupire il pubblico. La chitarra era più adatta alla musica da camera, quella che si doveva praticare nelle Accademie e nei circoli della corte lucchese, affidata a volte anche a musicisti dilettanti; sulla chitarra cercava armonie e passaggi che poi riportava sul violino (come il pizzicato con la mano sinistra). Paganini scriveva per chitarra a sei corde che in quel periodo soppiantò quella "spagnola" a nove corde (quattro doppie e una singola nella parte alta detta cantino) e questo spiega il suo estro negli scoppiettanti pizzicati sul violino.

Berlioz, che scrisse di Paganini nel suo Trattato di orchestrazione, ci lascia una testimonianza di quanto la chitarra fosse essenziale per Paganini: «Questo genio, unico ed eccezionale nel suo genere, si formò in Italia sullo scorcio dei più grandi avvenimenti mai menzionati nella storia. Cominciò ad esibirsi alla corte di una delle sorelle di Napoleone, nell’ora più solenne dell’impero. […] Quando il violino lo affaticava troppo, tirava fuori una raccolta di duetti per violino e chitarra e dava la parte del violino a Sina, un apprezzabile musicista tedesco, lui invece suonava la parte della chitarra, traendo da questo strumento effetti inauditi.»[10] La testimonianza di Berlioz risale agli ultimi anni di vita di Paganini, ma è importante perché conferma come Paganini si sapesse destreggiare assai bene con la chitarra e come questo strumento lo accompagnasse soprattutto nei momenti intimi (ai quali Berlioz partecipò, mentre non ebbe mai l’opportunità di ascoltare Paganini in un recital pubblico). Berlioz ci parla anche della chitarra terzina che sicuramente Paganini usava, anche perché all’epoca era molto in voga per l’accompagnamento.

Al primo periodo creativo, anteriore al 1805, risalgono i Sei duettini, così strutturati: 1) Amoroso – Andantino, in do. 2) Laghetto –Allegretto, in sol. 3) Andante – Allegro in re. 4) Introduzione – Andantino in do. 5). Quasi Adagio – Polonese, andantino in la. 6) Maestoso – Valzer in mi. Si tratta di pezzi molto semplici, probabilmente pensati per essere suonati da musicisti dilettanti. Allo stesso periodo appartengono anche il Duetto in sol, suddiviso in due parti, Allegretto e Andantino, la Sonata per Rovene, in mi, con i tempi Arietta, Largo, Introduzione – Andante sostenuto – Andantino brillante, inoltre una successiva serie di Sei duetti che, rispetto ai Duettini, dimostrano una più sicura individuazione stilistica seppur ancora svolta in modalità assai semplici: il primo è in mi minore con le indicazioni Amoroso espressivo – Andantino scherzando; il secondo è in la Cantabile con anima – Rondò brillante; il terzo è in la minore Romance laghetto amabile – Polanese mosso; il quarto è in fa Placidamente con grazia – Andantino trescando; il quinto è in re minore Andante sostenuto con aspirazione – Allegro spiritoso con energia; il sesto è in sol Cantabile pacificamente – Rondò quasi Allegro placidamente; se, da un punto di vista formale e armonico, i Duetti rientrano nella tradizione, da quello espressivo si nota una particolare e curiosa tendenza a caricare una sorta di pittura degli affetti.

Una delle composizioni più tipiche e interessanti, dedicata alla principessa Elisa, fu il Duetto d’amore che si suddivide in 10 episodi: Principio (in la maggiore), Preghiera (in la minore), Acconsentito (in la), Timidezza (la minore), Contentezza (sol), Lite (do), Pace (la), Segnali d’amore ancora in la), Notizia della partenza e Distacco (entrambi in la minore); si nota la predisposizione di Paganini al racconto sonoro che diverrà peculiare e particolare.

Nel periodo in cui si trova alla corte di Elisa, Paganini compose anche le Sei Sonate op. 2 e le successive Sei Sonate op. 3, la prima raccolta è dedicata ad Agostino Delle piane, un allievo dello stesso Paganini ed è così strutturata: Minuetto in Adagio – Polanese in quasi Allegro, in tonalità di la; Larghetto espressivo – Allegro spiritoso in do; Adagio maestoso – Andantino galantemente in re minore; La Sinagoga in Andante calando – Andantino con brio in la; Andante moderato - Allegro spiritoso in re; Largo con precisione – Tempo di valzer in la minore; lo schema formale è quello consueto dell’alternanza di tempi lenti e veloci; i ritmi di polanese e di valzer ammiccano a un accenno a movenze popolareggianti; rispetto ai brani precedenti qui notiamo passaggi di agilità e fioriture e una pronunciata cantabilità.

Le Sonate op. 3 sono ancora raggruppate per sei, sono dedicate “Alla ragazza Eleonora” (Quilici) e hanno un carattere brillante: «In queste Sonate troviamo elementi tecnici che non erano ancora apparsi nelle precedenti opere dello stesso genere. Sono frequenti passaggi a note doppie, in genere terze e seste; due brani, l’Adagio della seconda Sonata e l’Adagio amoroso della quinta sono quasi integralmente costruiti per terze, e rappresentano un po’ i prototipi di certi malinconici ‘Adagi a doppie corde’ che compariranno in successive opere da concerto – segnatamente nella Sonata con Variazioni su un tema di Weigl. Nell’ampio e vario Andantino scherzoso della seconda Sonata troviamo arpeggi saltellati che si spingono nell’acuto fino al sol6, mentre nel Presto variato della prima l’unica variazione è interamente giocata sull’alternanza di arco e pizzicato. […] La chitarra ha un breve episodio solistico nell’Allegretto della quinta Sonata».[11]

Vi è una tradizione aneddotica secondo cui Paganini avrebbe scritto una Scena amorosa per violino con solo due corde per una dama di corte ed Elisa, gelosa, se la prese a male pretendendo una composizione su una corda sola che fu la Sonata Napoléon, sulla corda di sol, eseguita per il genetliaco dell’imperatore di Francia. Il brano si suddivide in tre movimenti: Introduzione in Adagio; Larghetto; Tema in Andantino con variazioni e Finale. Questa Sonata ebbe un notevole successo, non è un caso che, dal decennio successivo, le composizioni virtuosistiche si intensificheranno, mentre diminuiranno i Duetti e Duettini e le Sonate e Sonatine.

Durante il periodo toscano, Paganini compose anche una Serenata per due violini e chitarra e una successiva Serenata in do, per viola, violoncello e chitarra; è in quattro tempi, il primo è un Allegro spiritoso, il secondo un Minuetto, seguito da un Adagio non tanto e da un Rondò; il secondo tempo vuole alludere a un’unione fra due innamorati, realizzata da una melodia all’unisono di viola e violoncello, seguendo facili e ingenue simbologie che saranno tipiche anche del Paganini successivo; nell’ultimo movimento s’inserisce una Canzonetta genovese, anche questo riferirsi a brani popolari sarà una costante.

Sempre nello stesso periodo, sono da citare due serie di Quartetti per violino, viola, violoncello e chitarra, entrambe le serie sono composte da tre brani nella prima serie di primo quartetto è in la minore, il secondo in mib e il terzo in la; nella seconda serie il primo quartetto è in re, il secondo in do e il terzo in re minore. Paganini aveva già scritto dei Terzetti con chitarra in epoca giovanile, sono brani che più che alla tradizione classica austriaca si rifanno a quella dei nostri Viotti e Cambini che coltivarono il ‘quartetto concertante’ di tradizione parigina, dall’andamento più sfavillante.

Vanno, infine, citate due composizioni per mandolino, Minuetto per l’amandorlino e la Serenata per l’amandorlino e chitarra, composte attorno al 1805 e stilisticamente vicine ai Duetti per violino e chitarra; il Minuetto è brillante e luminoso; la Serenata mostra una notevole grazia espressiva, al mandolino è affidata la parte del canto mentre la chitarra accompagna spesso con arpeggi.

Non v’è dunque alcun dubbio che il periodo lucchese fu per Paganini il primo grande periodo creativo, dal quale prese avvio la sua folgorante carriera; fu inoltre particolarmente importante per la chitarra, tanto più se si considera che all’epoca Paganini poteva conoscere i metodi chitarristici di Federico Moretti e poco altro (e non la produzione di Carulli, Giuliani e Sor) quindi le composizioni per chitarra sola e per chitarra d’accompagnamento furono pensate in maniera autonoma e originale, da qui l’importanza del soggiorno alla corte di Elisa.[12]



Vedi intervista video http://blip.tv/fattitaliani/paganini-lucca-e-la-chitarra-fattitaliani-intervista-il-musicologo-renzo-cresti-6306033




[1] Un pezzo per chitarra sola, precedente al periodo lucchese, fu la Sinfonia Lodovisia, trascrizione dell’Ouverture dell’opera Lodoïska di Rodolphe Kreutzer, brano chitarristico composto dal giovane Niccolò fra il 1800 e il 1801. A quegli stessi anni appartengono anche un Andantino in sol, un Valzer in do con Trio in fa, un Andantino in fa minore, una Marcia in la, tutte per chitarra sola, alla quale vengono dedicati altri numerosi piccoli pezzi giovanili.
[2] Questa testimonianza fu per la prima volta pubblicata da Vincenzo Morelli in «L’arte pianistica» anno XII, Napoli 1925, Rivista fondata nel 1914 e che poi prenderà il nome di «Vita musicale italiana».
[3] Dopo il 1805 vennero soppressi conventi e oratori e anche alcuni organi, come quelli delle chiese di san Giovanni, san Girolamo e san Salvatore, vennero distrutti per ricavarne materiali, come piombo e stagno, che servirono per la ristrutturazione della reggia di Marlia.
[4] Arturo Codignola, Paganini Intimo, edizione a cura del Municipio di Genova, 1935.
[5] Testimonianza tratta dallo Zibaldone, IV, scritto dal violinista della Cappella Palatina Jacopo Chelini (1759-1824), autore anche di varie cronache.
[6] Archivio di Stato di Lucca, Repubblica Lucchese, quarto governo democratico, n. 18 cc. 44r. e v.
[7] La sorella di Anna, Eleonora, fu forse il primo grande amore di Niccolò.
[8] Esiste una tradizione aneddotica per la quale Paganini fu il direttore d’orchestra de Il matrimonio segreto di Cimarosa allestito nel teatro di corte nel 1807, pare però che l’opera venne diretta da Domenico Puccini.
[9] Pietro Berri, Paganini, Bompiani, Milano 1982, p. 85: «Se ne partì veloce da Firenze. […] Vi era da parte di Niccolò non soltanto stanchezza di un rapporto ma irritazione verso Elisa, quasi certamente dettate dal suo prepotente intervento in situazioni sentimentali, frutto di gelosia».
[10] Hector Belioz, Serate d’orchestra, EDT, Torino 2006, pp. 189-190.
[11] Danilo Prefumo – Alberto Cantù, Le opere di Paganini, Sagep Editrice, Genova 1982, p. 60. La struttura dell’opera n. 3 è la seguente: primo movimento in la Laghetto – Presto variato; secondo in sol Adagio – Andantino scherzoso; terzo in re Andante sostenuto – Rondò molto Allegro; quarto in la minore Andante largo – Allegretto motteggiando; quinto in la Adagio amoroso – Allegretto energicamente; sesto in mi minore Andante innocentemente – Allegro vivo e spiritoso. Le ripetute indicazioni di scherzoso e spiritoso dimostrano gli aspetti ironici e ludici molto spesso presenti nella musica paganiniana.
[12] Per quanto riguarda il mandolino, la letteratura per questo strumento aveva avuto a Genova una certa diffusione, dimostrata da diverse raccolte contenute nella Biblioteca del Conservatorio genovese di Rolla, Playel, Stamitz, Sala, Giuliani.



A Giovanna Polacco


 




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