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Puccini, il Postmoderno, Schoenberg, Stravinskij e Debussy
Da Renzo Cresti, Puccini e il Postmoderno, Edizioni dell'Erba, Fucecchio 2008.



Dalla Prefazione 

150 anni dopo, Puccini nostro contemporaneo


Giacomo Puccini non ha certo bisogno di un anniversario per essere ricordato, solo una fortunata opportunità fa uscire il nostro lavoro nel 2008, in occasione dei 150 anni della nascita del Maestro.
Questo libro non vuole aderire a una metodologia accademica né, all’opposto, proporsi come uno scritto divulgativo o semplicemente basato su aneddoti biografici, vorrebbe percorrere una strada di confine, fra il rigore della riflessione musicologia e la leggerezza del racconto, in modo che ogni lettore possa avvicinarsi al sostanzioso contenuto con l’aiuto della scorrevolezza del testo, sapendo però che gli argomenti sono trattati con la serietà dello studioso.

La vita e l’Opera di Puccini sono viste nell’ottica attuale, in una prospettiva che tiene conto delle dinamiche sociali e culturali del Novecento e soprattutto delle coordinate musicali degli ultimi decenni, quelli della cosiddetta cultura postmoderna (1), in cui il teatro di Puccini si è definitivamente imposto.

Chiudere il Maestro nelle coordinate culturali del proprio tempo significa storicizzarlo nell’immobilità del passato ossia seppellirlo nel rigor mortis dell’ermeneutica accademica, quando la musica di Puccini è vivissima e lo è proprio perché in sintonia con la civiltà e sensibilità contemporanea. Lo storicismo appartiene al Moderno, mentre negli ultimi decenni la storia viene vista raggomitolata, un tempo storico che si rende aperto e disponibile ad essere trasformato per poter prendere da questo tempo/spazio ciò che serve alle dinamiche dell’oggi.

Si pensi al Puccini in jazz, al Puccini in musical, al Puccini in pop, ai rapporti di Puccini con il cinema, tutti i generi musicali hanno ripreso Puccini, per non dire delle infinite citazioni che troviamo ovunque nella musica colta dei cosiddetti neo-romantici. Per spiegare il clamoroso successo che la musica e il teatro di Puccini stanno ottenendo bisogna partire dalla cultura che questo successo ha risvegliato e continua a scatenarlo, altrimenti non si capisce perché, proprio dagli anni Settanta del secolo scorso (quando ha iniziato a imporsi il Postmodern), Puccini è diventato nostro contemporaneo.
 
Il caso Puccini

Puccini è stato un “caso” fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando il pubblico lo osannava ma la critica era piuttosto scettica, oggi però il “caso Puccini” pare definitivamente chiuso, grazie anche alla cultura postmoderna che trova molti punti di contatto con il grande Compositore, la quale permette di superare l’impasse critico e costituisce il substrato della Puccini-Renaissance.

Dal punto di vista del pubblico ben poco è cambiato, Bohème, Tosca, Madama Butterfly sono Opere amatissime oggi come un secolo or sono; rispetto a qualche decennio fa però altre Opere sono entrate definitivamente nel cuore del pubblico, Manon Lescaut, La fanciulla del West, Turandot, Gianni Schicchi. Ciò che muta, dagli anni del secondo dopoguerra del Novecento, è la stima che Puccini gode nell’ambiente degli addetti ai lavori a livello internazionale, soprattutto da quando, ai nostri grandi direttori d’orchestra come Toscanini, Guarnieri, De Sabata, Marinunzi, Gavazzeni, Sanzogno, Serafin, Bartoletti e altri, si aggiungono Mitropoulos (che inserì La fanciulla del West nel cartellone del Maggio Musicale Fiorentino), Karajan (che diresse Tosca inserendola nel Festival di Salisburgo) e in seguito Schippers (che portò la Manon Lescaut al Festival di Spoleto, con la regia di Visconti). L’interesse dei grandi registi è stato un altro sintomo del fatto che Puccini stava entrando nel mondo dell’alta cultura: Visconti, Enriquez, Frigerio, Zeffirelli, Strehler sono solo alcuni dei famosi registi che si sono innamorati della musica di Puccini.

Dal punto di vista musicologico e della critica giornalistica il “caso Puccini” è stato più complesso, ma c’è una data che possiamo utilizzare quale spartiacque, il 1958, centenario della nascita del Maestro; prima sembrava che Puccini fosse troppo popolare perché se ne dovesse occupare la musicologia accademica (2), dopo è iniziato un crescente interesse, anche se la musicologia non ha saputo (come spesso le succede) interloquire con il pubblico, rimanendo nella stretta cerchia degli addetti ai lavori. Non è un caso che fra i primi a interessarsi con intelligenza del fenomeno Puccini siano stati i letterati, (3) come Debenedetti, Siciliano, Arbasino, Baldacci, in grado di cogliere quel surplus espressivo che la musica di Puccini emana e che a molti musicologici dava fastidio. Un’opera d’arte è tale per il suo quid espressivo assolutamente originale non certo per i procedimenti strettamente tecnici, la tecnica è condizione necessaria ma non sufficiente a creare l’opera d’arte, la quale deve vibrare di vita vissuta, provocare eccitazioni e batticuori, da questa angolatura Puccini è davvero eccezionale sia dal punto di vista della musica sia da quello del teatro. Puccini quale grande comunicatore è davvero attualissimo nell’epoca della comunicazione.

Fra i vari saggi che escono nel 1958 o poco dopo occorre ricordare almeno quelli di Sartori, Gavazzeni, Giovanetti, Carner, Gallini; vengono inoltre pubblicati per Ricordi i Carteggi pucciniani, curati da Gara, carteggi incompleti ma che comunque descrivono bene il percorso biografico e artistico, lettere sulle quali gli studiosi successivi si baseranno per ricostruire molti lati della vita e della musica del Maestro. Successivamente Morini, Pintorno ed altri studiosi raccolgono nuove lettere del voluminosissimo carteggio, compreso l’epistolario curato da Giuseppe Adami, librettista e amico del compositore, riproposto a cura di Renzo Cresti, nel 1999 per Pagano editore in Napoli.

Puccini ha sempre avuto una critica ondivaga, sia che questa lo osannasse per le sue doti espressive, sia che lo stroncasse per il linguaggio attardato. La bibliografia pucciniana, certo inferiore a quella su Wagner ch’è la più sostanziosa al mondo (dopo quella su Napoleone), si è infoltita e si è divisa in più parti contrapposte: la critica che faceva capo alla “Rivista Musicale Italiana” diretta da Bocca e che mal sopportava la retorica melodrammatica (Torchi), in nome di un ritorno alle asciutte esperienze della tradizione strumentale italiana pre-romantica e contro l’incipiente commercializzazione, come scrisse nel 1912 Fausto Torrefranca: “Puccini ci parve la sola figura che incarnasse con la maggiore compiutezza tutta la decadenza della musica italiana attuale e ne rappresentasse tutta la cinica commercialità, tutta la sua impotenza e tutta la trionfante voga internazionale”, una riflessione questa di Torrefranca che, se vista con gli occhi postmoderni, tocca aspetti importanti ma volti al positivo, come la “commercialità” ossia il riuscire a comunicare a un vasto pubblico e la “voga internazionale” che, in epoca di globalizzazione, appare un aspetto ineluttabile.

Altro impianto critico, questa volta favorevole alle Opere di Puccini, è quello che si basa(va) sull’impostazione estetica crociana (Gatti) che si è trovata a suo agio con il carattere del teatro musicale del Maestro, visto in chiave idealistica e romanticheggiante. Più recente è la cosiddetta critica engagée impegnata sul versante sociale (Tedeschi) che ha considerato Puccini un qualunquista, critica impegnata sul versante linguistico, tanto più vicina alle esperienze delle Avanguardie, dunque al Moderno, quanto lontana dalla musica del Maestro. Inoltre vanno considerate la critica che ha tentato un’analisi psicanalitica (Carner), quella che si è incentrata sugli aspetti squisitamente biografici (Pinzauti) e ancora molto altro; già il fatto delle diverse angolature dimostra la straordinaria vitalità delle Opere di Puccini, in grado di sollecitare ermeneutiche sfaccettate e rinnovabili nel tempo. La cultura di questi ultimi anni ha evidenziato, anche grazie ad alcune esperienze dei compositori contemporanei (Bussotti), quello che pare essere il tratto saliente di Puccini: il saper fare degli aspetti intimistici, legati al Crepuscolarismo, uno spettacolo assolutamente coinvolgente, non legato a momenti storici specifici, ma universalizzato, creando il prototipo dello spettacolo filmico e televisivo (Stravinskij), anticipando i tratti tipici della nostra contemporaneità.
Che lo stile di Puccini sia un po’ larmoyant è vero (almeno una scena per far piangere), ma l’attuale cultura del cosiddetto neo-romanticismo o della leggerezza dell’essere non è forse sullo stesso piano? Che il fiuto teatrale di Puccini sia furbesco non c’è dubbio, ma pare proprio un’anticipazione degli studi che oggi fanno gli esperti di comunicazione di massa. Che la musica del Maestro sia eclettica e che ricorra a momenti di quotidianità (musicale) è certo, ma proprio il suo carattere composito e il superamento dei generi musicali la rende assolutamente contemporanea (fusion si direbbe con un termine alla moda e Opere quali Madama Butterfly, La fanciulla del West e La rondine potrebbero appartenere al genere della cosiddetta world music).

L’interesse dei musicologi stranieri, quali Specht, Marek, Carner, Maehder, Ashbroock, Budden e altri, ma pure di studiosi e musicisti legati alla musica d’avanguardia come Stuckenschmidt e Leibowitz, ha ulteriormente contribuito a stabilizzare la figura di Puccini fra i geni della musica. Nel 1968 viene pubblicato il volume di Hopkinson che risulta essere un primo tentativo di catalogare il corpus delle composizioni di Puccini, analizzate poi in maniera più scientifica nel catalogo delle Opere pucciniane curato da Schickling, pubblicato in Germania nel 1989, ben 450 pagine in cui si prendono in considerazione le varie modifiche che Puccini inseriva in partitura in pratica alla vigilia di ogni première (il volume viene tradotto in inglese nel 2003, l’inglese e il tedesco sono le lingue, ovviamente insieme all’italiano, in cui si sono espressi i maggiori studiosi di Puccini). Dopo Hopkinson anche alcuni nostri musicologi, quali D’Amico e Mandelli, iniziano a puntualizzare in maniera più chiara le vicende delle varie versioni delle Opere pucciniane, evidenziandone le differenze, tanto che la Casa Ricordi inizia, negli anni Settanta, un progetto delle Edizioni critiche, anni nei quali la nipote del Maestro, la signora Simonetta Puccini fonda, nel 1979, l’Istituto di Studi Pucciniani che pubblicherà svariati saggi che contribuiranno a far maggior chiarezza sulla figura del Maestro.
Negli anni Settanta vengono editi nuovi libri e saggi, fra cui quelli di Siciliano, Casini, Tedeschi, Santi, Martinotti, Nicastro, Tarozzi; sono inoltre pubblicate, nell’Enciclopedia UTET, le voci che interessano Puccini curate da Cella e da Parmentola; ancora altri studiosi analizzano la produzione artistica di Puccini nel contesto della musica a Lucca e suo famigliare (Bonaccorsi, Handt). Dagli anni Ottanta il “caso Puccini” pare chiuso, anche grazie al formarsi della cultura postmoderna la quale non vede più nell’eclettico e nel composito elementi negativi e che – a differenza del Moderno – trova positivo il fatto che gli stilemi della musica quotidiana entrino a far parte di una forma complessiva, la quale ha una fisionomia più flessibile e leggera, elementi eterogenei molto presenti nella musica di Puccini.

La parola d’ordine non è più inventare ma integrare. La cultura degli ultimi decenni ci ha abituato alla trasformazione incessante di elementi pre-esistenti e al ricorso di elementi “leggeri”, tanto che oggi si parla spesso e in maniera positiva di citazionismo e di contaminazioni fra i cosiddetti “generi” musicali.
Oggi è frequente l’uso degli stilemi storici, che rendono l’opera d’arte meno aulica, meno compatta, meno omogenea dell’opera d’arte auspicata dal Moderno, per il quale il Grande Stile era l’aspirazione somma. Sotto questo punto di vista Verdi e Wagner appartengono integralmente a quel Moderno che dal Rinascimento in avanti impregna di sé la cultura occidentale, mentre Puccini pare strizzar l’occhio ai meccanismi dello spettacolo attuale e, specie in alcune Opere e in certi momenti, sembra davvero un musicista dei nostri giorni.
 
Anticipazione del futuro

Non deve stupire la capacità dell’anticipazione del futuro nei grandi artisti come Puccini, perché l’atto creativo avviene in una sorta di zona mentale neutra, nella quale sono presenti i richiami (e i condizionamenti) sia al tempo storico e alla società sia alla tradizione e alla cultura dell’epoca, ma contemporaneamente vi è anche la possibilità di annullare tali richiami per seguire ciò che la fantasia suggerisce, quello che l’ingegno consente di mettere a punto, fra sogno e immaginazione, in una zona franca dominata dalla vocazione del genio che sa conciliare realtà e visione, superando entrambe nel processo inventivo, nel quale storia e futuro, concretezza e aspirazione all’infinito, bizzarria e raziocinio perdono il loro carattere di contrapposizione e, grazie alla chiaroveggenza del sublime tipica della struttura cognitiva del genio, diventano quell’unicum stra-ordinario che chiamiamo Arte (4).

La musica è una riduzione rispetto al linguaggio concreto e concettuale delle parole, ma proprio questa riduzione consente un’apertura ulteriore, un’amplificazione degli aspetti emotivi. La musica è dunque anche un’eccedenza, in quanto riesce a cogliere degli aspetti che il linguaggio comune non può avvicinare, come dice Rilke:
“Volate parole
verso ciò che non potete dire!”
 
Puccini e la cultura postmoderna

Puccini sta fra lo strazio sommesso delle anime crepuscolari e l’espediente di un’affettata ricerca dello spettacolo, malizia assolutamente in linea con la cultura contemporanea, funzionale alla comunicazione verso il grande pubblico. Alcune sue Opere paiono infatti delle fiction.

È quella di Puccini una poetica del quotidiano trasfigurata da un suono struggente, un sound personale che, pur partendo dalle suggestioni della coeva Opera francese, supera gli stilemi del proprio tempo per trasfigurarli in una forma di comunicazione originale e universale. Puccini ha realizzato ciò che la cosiddetta Nuova Semplicità o neo-Romanticismo - tendenze che si formano fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso - hanno tentato di fare, ossia un recupero del pubblico attraverso il re-inserimento nel tessuto compositivo di elementi affatto tradizionali, quali il gesto (5), la melodia, l’armonia tonale, il ritmo piano, il riscatto dell’elemento soggettivo, il raccontare una storia con valenze umorali e con pathos romanticheggiante. Ciò che Puccini faceva in maniera naturale la cultura postmoderna lo realizza con l’artificio.

Il concetto di alienazione (6), così tipico del Moderno, è certamente presente nella drammaturgia del teatro musicale di Puccini, ma anche in questo caso non in maniera tipica della cultura dell’epoca ma trasfigurato attraverso la prospettiva del suo superamento, la catarsi che le eroine pucciniane mettono in opera. Il tema del destino tragico, prettamente Romantik, è alla base di quasi tutte le Opere di Puccini, ma a questo destino non si oppone la lotta dell’uomo disperato, è un fato trionfante, in quanto l’uomo non è più in grado di contrapporre il proprio eroismo vitale e il suo pensiero forte, egli vive nella leggerezza dell’essere e il suo pensiero è debole.

Puccini dunque anticipa molti aspetti del Postmodern, è l’attuale; oggi, molto più di qualche decennio or sono quando dominava la cultura del Moderno, la grandissima diffusione delle sue Opere ne è la contro prova.

 
Dall'ultimo capitolo del libro

Puccini l’attuale

Dicendo che Puccini è un Autore per le masse, non ci si deve scandalizzare, anzi, sta proprio nella sua innata capacità di coinvolgere il grande pubblico la sua attualità. Postmoderno come sinonimo di eterogeneità e come spettacolo, come sinonimo di mercato e di arti di massa, come metafora di una memoria impazzita, dove ogni scheggia della storia (della musica) può essere liberamente ri-utilizzata, di un'impossibilità all'unità e di un conseguente e inevitabile eclettismo. L’anticipazione della nostra contemporaneità viene declinata nella produzione di Puccini proprio nelle Opere più discutibili dal punto di vista formale, stilisticamente  eclettiche e con aspetti volutamente banali o di cattivo gusto. Riunire gli echi del passato, aderendo alla visione di Vico dei corsi e ricorsi storici; a quello che diceva Machiavelli del “riscontro, in ogni tempo, con gli antichi tempi”; all’eterno ritorno di Nietzsche, ossia accettare quella visione curvilinea della storia che sostituisce, oggi più che mai, quella rettilinea e in continuo progredire di hegeliana memoria, una visione pessimistica per la quale tutto è già passato e si può solo ripetere, riprendere, ri-creare e citare, rifacendosi alla storia (della musica) e alla vita quotidiana (la musica leggera), in un mare magnum stilistico dove ciò che conta non è il materiale in sé e per sé, che deve essere autentico e originale secondo i dettami del (post)Romanticismo, ma la funzionalità del prodotto che può anche essere impuro e perfino volgare, ma comunque ben confezionato e mirato al trend del consumatore.

Il più eseguito al mondo

Le Opere di Puccini sono le più eseguite, soprattutto in America. Questo semplice dato statistico ci fornisce una prima chiave di lettura del fenomeno Puccini: il suo essere famoso equivale alla sua abilità nell'andare incontro ai gusti del pubblico, abilità musicale ma anche da esperto di comunicazioni di massa. Il pubblico che ama Puccini è quello che Adorno definisce "ascoltatore emotivo" per il quale la musica è promessa di emozioni e mai, come nell’epoca dello spettacolo, le emozioni sono decisive per il successo di un lavoro e Puccini sa dispiegarne a piene mani di commozioni e tenerezze, di struggimenti e turbamenti anche quelli forti.

L’Opera come forma di spettacolo

Il Melodramma da quando è stato concepito a Firenze fino ad oggi, ha sempre avuto una storia parallela e con molte interazioni rispetto a quella di altri generi musicali, vicina a quella della danza e delle forme di musica applicata e lontana da quella della musica da camera e della cosiddetta “musica pura”. Il Melodramma  è una forma di spettacolo e  mette in gioco una serie  di elementi (la storia, le scene, i costumi, ecc.) che lo pongono su un piano differente rispetto a quelle forme che tale apparato non hanno e che di sola musica vivono. L'Opera ha privilegiato, per sua natura, stili fantasmagorici e appariscenti (non è un caso che il Melodramma assuma i suoi tratti stilistico-formali peculiari nell'Età barocca). L'Opera teatrale si rivolge a un vasto pubblico, perché‚ anche chi non riesce a seguire l'articolazione musicale può essere gratificato dallo svolgersi della storia e dalla sua realizzazione costumistica e scenografica. La musica operistica ha quindi sempre assunto toni rappresentativi, particolarmente sostenuti negli Autori italiani che, durante il Romanticismo, si dedicano quasi esclusivamente a scrivere questo genere di musica, disattendendo le soluzioni linguistiche più avanzate, è questa la causa della caduta in disgrazia del Melodramma durante il Novecento, infatti il Melodramma viene considerato troppo retorico, troppo legato alla logica ottocentesca e a quella dello spettacolo borghese, mentre le preoccupazioni della gran parte dei musicisti  sono rivolte alla ricerca di nuove fonti sonore e alla sperimentazione di inaudite strutture tecnico-formali. Ricorrono al teatro solo i compositori dell'art engagé‚ poiché‚ il teatro garantisce loro una comunicazione diretta (attraverso la parola e l'immagine), compensando la carenza semantica della musica.

Puccini e Schoenberg

Il grande Maestro viennese cita Puccini una sola volta nel suo importante manuale d’armonia, Harmonielehre del 1911, e lo fa a proposito dell’uso degli intervalli di quarta che permettono, su una serie di accordi, di contenere tutti i 12 suoni della scala cromatica. Schoenberg ha nei confronti di Puccini un atteggiamento di rispetto, troppa la lontananza culturale e la forma mentis dei due perché vi sia apprezzamento. E’ risaputo che alla prima esecuzione italiana del Pierrot lunaire, a Palazzo Pitti a Firenze, nell’aprile del 1924, è presente Puccini. Oltre a Puccini vi è Casella, nessun altro compositore italiano, ciò dimostra almeno la curiosità e il desiderio di conoscenza di Puccini, il quale, a differenza di Casella, non afferra la complessità della partitura schoenberghiana (ma c’è di mezzo una generazione fra Puccini e Casella), almeno si mostra interessato, così come lo era  alla musica di Strauss, Ravel e Stravinskij. Il fatto che il Pierrot lunaire appaia strano a Puccini è significativo del suo modo di pensare la musica legato al sistema tonale, ma non è un mero pensiero conservatore, deriva dal fatto che il sistema tonale, proprio in quanto consolidato sistema segnico in grado di veicolare una comunicazione diretta, è l’unico che può essere utilizzato nella musica per teatro, senza far perdere di vista il racconto della storia e l’espressività dei personaggi. Un leggero paragone può esser fatto con il teatro di Berg, basato su forme della tradizione e su un incastro fra pan-tonalità ed elementi significanti di origine tonale. Puccini aggiorna il suo linguaggio (tonale) e soprattutto la sua tavolozza orchestrale, ma si ferma su una soglia oltre la quale il rischio di perdere in comunicatività è alto. In tempi  di ricerca linguistica questo arrestarsi su una linea di confine fra tradizione e rinnovamento è parso conservatore, poi si è capito che i due termini non si escludono l’un l’altro ma sono complementari. Puccini lo aveva semplicemente intuito, oggi la cultura postmoderna vi insiste molto sia sul piano estetico sia su quello formale.

Puccini e Stravinskij

Come spesso accade l’opera, il risultato del lavoro dell’artista è superiore alla figura del proprio creatore, il quale mostra debolezze umane, incertezze culturali e ambiguità sociali. Puccini non era un uomo di cultura e questo, in un momento storico dove l’arte diventa sempre più un’arte intellettuale, lo pone al margine di relazioni che avrebbe potuto (e forse dovuto) coltivare. Se Puccini e Schoenberg appartengono a due mondi differenti, Puccini e Stravinskij, pur nella lontananza dei propri tratti poetici ed estetici, decisamente più taglienti e “oggettivi” nel Maestro di origine russa, hanno in comune l’eclettismo stilistico, l’uso della tonalità, la padronanza e l’importanza dell’orchestra. La tradizione a cui la seconda Scuola di Vienna appartiene è più lontana da quella da cui proviene Puccini e più lontana anche dalla tradizione francese nella quale si inserisce Stravinskij, tradizione che Puccini ben conosce – da Adam a Offenbach, da Thomas a Gounod, da Bizet a Massenet e Fauré -  e che gli è servita per mettere a punto alcuni tratti delle sue Opere; riesce a seguirla fino a Debussy e a Ravel, perfino anticipandone aspetti dell’articolazione dei parametri armonici e timbrici.

Puccini e Debussy

Il Maestro francese, a proposito della sua Opera Pelléas et Melisande, scrive: “vi è in quel testo una lingua evocatrice la cui sensibilità poteva trovare il suo prolungamento nella musica e nella dimensione orchestrale /…/ i personaggi cercano di cantare con naturalezza e non in una lingua arbitraria.” Le capacità del testo e della scena di farsi evocazione e ricordo sono ben descritti dal melos e soprattutto dalle sfumature orchestrali, sono capacità che appartengono anche a Puccini, il quale, malgrado considerasse, lui toscanaccio ben saldo nel realismo popolare, la musica di Debussy un po’ vuota e superficiale, musica eolica e velata, ha molti punti di contatto con il grande compositore francese, compresa la poetica del quid esistenziale, del bello come charme, dell’Eros, dell’en plein air naturalistico e vitalistico, e compresi alcuni momenti frivoli e leggeri, che in Debussy si ricollegano al descrittivismo e in Puccini all’Operetta; sono assenti invece nel musicista toscano il senso dell’ineffabile e del silenzio (quello che a Puccini pareva inconsistenza), del mistero e dell’istante (che a Puccini, come a Nietzsche, davano il senso della décadence). Il mistero certo si addice di più alla poesia dannunziana, non a caso il Vate collabora con Debussy alla stesura del Martyre de Saint Sébastien, lavoro dalla raffinata ricerca fonetica delle correspondances. Il realismo abbinato alla nuance (abbinamento realizzato in maniera eccellente in Bohéme) avvicina Puccini a de Falla, mentre l’oggettività della fotografia congiunta a nuove soluzioni armoniche e timbriche (per esempio ne La fanciulla del West) accosta Puccini a Ravel. Anche con l’École d’Arcueil Puccini ha punti di contatto, come l’ironia a livello espressivo (si pensi a Gianni Schicchi) e a livello tecnico la politonalità e il ricorso a forme musicali leggere (ne La rondine in specie).

Puccini sa rendere spettacolo le valenze umorali

Attraverso quella patetica cantilena che esprime il sottile mal d'esistere, eludendo i toni desolati e tragici, per infondere un sollievo riconciliatore, per addolcire la malinconia fino alla purificazione conclusiva, ottenuta attraverso il sacrificio della protagonista femminile. Nessun altro operista sa far meglio di Puccini nel rendere corresponsabile il pubblico agli avvenimenti scenici, implicandoli emotivamente. Questa capacità non è soltanto quella tradizionale dei nostri operisti – si sa che Verdi definiva se stesso “uomo di teatro” - è qualcosa di diverso, è la capacità di comprendere finemente la psicologia del pubblico. Le Opere di Puccini si avvicinano, nei tratti di realizzazione dell'immaginario collettivo, al cinema, arte che nasce quando Puccini muore, arte composita in cui i materiali ibridi acquistano una straordinaria ricchezza di significati.

Uomo d’intuito e musicista di spettacolo

“Spettacolo” è dunque la parola chiave per entrare nella natura della genesi e della messa in scena delle Opere pucciniane. La statura di Puccini va commisurata al suo essere uomo di spettacolo, gli si farebbe un torto assumendo, come metro di giudizio per il suo teatro musicale, quello della lettura formalistica, di una visuale della sua Opera basata solo su concetti tecnico-formali, l'arte di Puccini è tale in quanto instaura reali comunanze con il pubblico, contaminandosi con quella quotidianità (musicale) che costituisce la sua sostanza, con le lingue vive, parlate dalla gente, con la spettacolarità quale simbolo del postmoderno, una spettacolarità che partendo dall'intimismo crepuscolare lo universalizza.
 

 
NOTE
 
 1) R. Cresti, L’arte innocente, con Cdrom, Rugginenti, Milano 2004.
Il termine “post-moderno” deriva dall’inglese e viene applicato alla critica letteraria fin dal 1971 e contemporaneamente usato in sociologia e nell’architettura degli anni Settanta che ha, come caratteristica saliente, quella dell’utilizzazione pragmatica degli elementi storici, usati in toto e simultaneamente. Il saggio dell’architetto inglese Charles Jencks, The Language of Post-Modern Architecture, dichiara di affidarsi alla citazione di stilemi, quali la colonna, l’arco, il timpano e altri elementi classici che il modernismo aveva rifiutato. Seguendo un nomadismo sempre più in superficie, si arriva al gusto del patchwork. Il Postmodern s’impone prima negli Stati Uniti poi in Europa, il termine è piuttosto ambiguo e dà adito a varianti terminologiche e concettuali (come “Ipermodernismo”, “Modernismo tardivo”, “Transmodernità”, “Metamodernità” etc.) e ad accezioni differenti che comunque rimandano a un passaggio e a uno stratificato rapporto fra Modernità e post-Modernità. Nel tragitto si perdono l’estetica della novità e lo storicismo legato alla concezione lineare del tempo, a favore di un pragmatismo eterogeneo e di una pluralità linguistica e stilistica che ingloba ogni sorta di citazioni (temporali e spaziali), nulla si butta e tutto viene ri-utilizzato.
Verso la metà degli anni Settanta, la musica sperimentale entra in crisi e, come per contrasto, un gruppo di musicisti vuole contrapporre a un’estetica formalistica una poetica neo-romantica che rimetta in gioco la soggettività e i sentimenti. Musicalmente questo vuol dire riproporre un musica melodica, appoggiata su un’armonia tonale e conchiusa in una forma preordinata, ricca di citazioni. Si attua una retorica del facile, basata sull’emotività e sulla risposta sentimentale che l’ascoltatore deve dare alla musica. Nello stesso periodo avviene qualcosa di simile nella letteratura che, seguendo lo spirito del tempo, progressivamente muta indirizzo, come dimostrano le antologie Il pubblico della poesia, curata nel 1971 da Berardinelli e Cordelli e l’antologia La parola innamorata pubblicata nel 1978 da Pontiggia e Di Mauro.
L’angolatura attraverso la quale viene visto l’operare di Puccini rovescia in gran parte la prospettiva storicistica evoluzionistica che intende il Maestro come ultimo rappresentante della tradizione melodrammatica italiana; la storia non procede per linea retta ma va a salti e a ritorni, potremmo dire che il teatro di Puccini salta dal primo Novecento a oggi, scavalcando il Moderno di pieno secolo e abbracciando il Postmodern.
2) La geniale capacità di anticipazione dell’avvenire, così come la straordinaria capacità che la musica di Puccini ha di suscitare emozioni e turbamenti si è scontrata con l’algido atteggiamento della musicologia che ha visto (e per certi versi ancora vede) l’emotività e le commozioni come apparenze vaporose e incerte da tenere fuori dalla rigorosa analisi tecnico-formale, come se l’opera d’arte fosse un mero prodotto di equilibri formali e di accorgimenti tecnici.
Il sapere erudito non solo ha disconosciuto l’unicità dell’opera, l’ethos insito nel fatto poetico e il suo porsi come unicum espressivo, ma, quando si è posto dalla parte di Puccini, ha sempre giocato in difesa, difendendo Puccini dagli attacchi di chi lo vedeva come musicista delle sartine, esaltando retoricamente la sua figura come sensibile erede della tradizione melodrammatica e facendola risaltare al confronto con altri compositori coevi (con Mascagni e Leoncavallo soprattutto), al contrario Puccini è grande per quegli aspetti u-topici che non abitano nel proprio tempo ma sono un anticipazione del futuro, della nostra epoca postmoderna.
Dobbiamo proteggere Puccini dalla pedanteria accademia che dà sfoggio di un’ostentazione filologica-storicistica. La morfologia accademica è descrittiva, in grado di particolareggiare e di circoscrivere, di cogliere cioè le minuzie, non l’insieme dell’opera che non è affatto la somma dei dettagli, ma si costituisce di un’infinità di aspetti insiti negli stessi dettagli compositivi che per questo non sopportano le analisi formali e reclamano un totalità di discorso, dove il (con)testo viene reso nella globalità del suo essere, umano prima ancora che tecnico. Fra Puccini e il musicologo avviene ciò che Nietzsche dice avvenire fra Achille e Omero, “uno ha la vita, il sentimento, l’altro lo descrive.”
Lo studium è ovviamente importante ma, come dice Barthes, se non è sostenuto da uno sguardo lungo, aperto e aggiornato, diventa un fatto scolastico. La difficoltà dell’analisi consiste nel fatto che tanto più si seziona un testo (drammaturgico e musicale) e tanto più si produce un risultato astratto, perdendo nel particolare l’unità del tutto. L’analisi immanente al testo produce un circolo negativo che rimanda solo a se stesso, perché più si scompone e “più l’aspetto specifico diventa il più generale e semplicemente il più astratto” come scrive acutamente Adorno a proposito di Beethoven.
Il caso Puccini ha inoltre sofferto di una critica ignorante dei fatti contemporanei, assolutamente non in grado di rapportare la drammaturgia e la musica del Maestro all’odierna cultura musicale. Potremmo affermare con Beckett “dire cela, sans savoir quoi!”. La filosofia della musica, da Nietzsche in poi, l’evoluzione del teatro durante il Novecento, per non dire della Neue Musik e di ciò ch’è avvenuto in sua reazione, paiono avvenimenti del tutto sconosciuti alla stragrande parte dei critici pucciniani che si beano di descrivere il Puccini verista e crepuscolare, confinando la produzione del Maestro in una sorta di limbo conservatore, quando – al contrario – Puccini è grande proprio per essere uscito dal limbo piccolo borghese in cui i fatti autobiografici lo hanno relegato.
3) Bisogna guardarsi bene dalla critica letteraria, perché tende a portare nel proprio ambito linguistico e narrativo lo specifico musicale, traducendolo in termini non propri; inoltre essa è legata, almeno in Italia, all’impostazione umanistica, giustamente definita da Heidegger “troppo dolce”, ossia mancante degli strumenti critici derivanti dalle filosofie novecentesche e dalle moderne scienze umane, quali la sociologia, la psicologia, la pedagogia e altro. Infine la critica letteraria che si è interessata a Puccini – e più in generale al Melodramma – è connessa all’idealismo e allo storicismo, due movimenti che hanno legittimamente subito molti e decisivi attacchi durante il Novecento.
La debolezza e spesso l’incongruità della critica letteraria applicata alla musica fa da pendant ai tanti, davvero troppi scritti a carattere biografico e pateticamente inutili, alcuni con pretese vagamente letterarie e altri buoni al più per una conoscenza superficiale dei fatti della vita di Puccini, al quale fanno un pessimo servigio, in quanto lo relegano in un ambito famigliare e locale senza aperture culturali e musicali, le quali, a dire il vero, sono molte volte assenti anche nella saggistica, che analizza Puccini nel suo ambito storico e pare ignorare ogni riferimento a letture più aggiornate. La visione sincronica della musica teatrale di Puccini non pone alcun interrogativo, lascia ai soli storici la “questione Puccini”, la quale mostra ben altre prospettive se scomposta e ricomposta attraverso il pensiero contemporaneo e la cultura dell’oggi.
4) Cfr. R. Cresti, I linguaggi della musica e delle arti, Il Molo, Viareggio 2007.
L’arte è un alibi, è cioè priva di un luogo comune, lo spazio dell’invenzione artistica è quello dell’ex-stasi, dov’è possibile superare il principium individuationis per abbracciare l’universale. Anche il tempo della creazione è sospeso, è il tempo della mezzanotte dove la successione dei minuti s’arresta in una spirale che rimuove i condizionamenti e apre al mondo dei possibili (è da ricordare che Puccini amava comporre di notte, nel silenzio e nella lontananza).
La musica, più ancora delle altre arti, possiede la capacità di comunicare l’Unbedingte (il senso dell’illimitato e dell’indeterminato) e il musicista, più ancora degli altri artisti, deve fare i conti con la passione che quest’arte misteriosa produce, deve concedersi alla sua natura religiosa (da relegare, mettere in contatto), la musica è l’arte privilegiata per la preghiera (laica), per mettersi in contatto con tutto ciò che oltrepassa l’uomo (Dio, la natura, l’umanità). L’atto della creazione è dunque misterioso (mistero e mistico hanno la stessa radice etimologica) e Puccini sembra intuirlo, la sua inquietudine e il suo continuo arrovellarsi sui particolari della storia teatrale, sulle sfumature caratteriali dei suoi personaggi, su un singolo accordo dell’armonia, dimostrano come il Maestro, così concreto nella vita quotidiana, quando si mette a comporre cambi dimensione mentale, una mutazione automatica ma della quale Puccini sembra spesso esserne consapevole, se non a livello filosofico almeno sul piano psicologico. E’ in questa particolare condizione stra-ordinaria che avviene il miracolo della grande Arte, quella che, pur rimanendo inevitabilmente collegata al proprio tempo storico, lo supera per abbracciare l’universale.
Le diversità fra l’astrazione della musica e la concretezza del reale vengono mediate in Puccini dalla scena teatrale, dalla storia e dalla parola, ma anche dal ricorso a ritmi e melodie della musica di consumo, in un eclettismo drammaturgico e musicale del tutto postmoderno, nel quale con-vivono le forme vive. E’ vero che la soglia dell’invenzione, sulla quale il musicista soggiorna, è un confine u-topico, un non-luogo che non appartiene alla quotidianità, ma è altrettanto vero che la creazione artistica ha molto a che vedere col senso comune. Le Opere di Puccini mostrano la scena sulla quale il quotidiano e l’universale vanno a braccetto verso il senso dell’avvenire.
5) Musicisti dall’intelligenza lucidissima, come Boulez, e musicologici dalla cultura tagliente, come Bortolotto, hanno ben compreso che la scrittura che deriva dal gesto (teatrale) ha caratteristiche sue proprie e diverse da quelle della musica strumentale. Puccini è un drammaturgo nato, fa procedere la sua musica dall’intrigo e dai caratteri delle dramatis personae, per questo le scene d’ambiente gli vengono particolarmente bene, così come la sottolineatura del carattere dei personaggi (ed è per questo che tante volte interviene nel lavoro dei librettisti per aver notato la mancanza di verità nei tratti di una scena o di un personaggio). La scrittura pucciniana s’incarna nel gesto teatrale, si fa vicenda essa stessa e aderisce perfettamente alle soluzioni drammaturgiche e visive: cosa c’è di più postmoderno di questo modo d’operare?
Anche da un’angolatura squisitamente tecnica, Puccini si pone fra il rassicurante alveo della tonalità e la moderata ricerca della novità, attuata soprattutto dal punto di vista timbrico, con un’orchestra che si dimostra affatto à la page; da quello fraseologico, con uno stile di conversazione che si allarga in una tipica cantilena che supera gli schemi dei pezzi chiusi; e dal punto di vista armonico, aspetto per il quale sembrano valere le parole che Thomas Mann mette in bocca ad Adrian Leverkühn a proposito di Richard Strauss, a cui Mann (in realtà il suo consulente musicale Adorno) fa notare che le dissonanze ci sono ma che poi vanno a finire nella bonaria accondiscendenza: “il rivoluzionario, audace e conciliante. Mai avanguardismo e sicurezza di successo si sono uniti in maggiore confidenza”, in altri termini modernità e tradizione vanno a braccetto, ancora una volta come nel postmoderno.
6) La musica di Puccini rende percettibile e udibile il peso del mondo e lo esorcizza, trascendendolo e trasportandolo su un piano estetico. La trasfigurazione del mondo nello spettacolo è proprio ciò che fa il Postmodern, il quale insegna anche la rinuncia al giudizio di valore: il rapporto che si instaura fra l’artista, la sua opera, il pubblico e il contesto sociale, prescinde dal valore intrinseco dell’oggetto creato dall’artista, il quale deve render conto principalmente della sua funzionalità, ossia di essere pratico ed efficiente. La musica operistica è, per sua natura, musica funzionale al teatro, ma ciò che oggi s’intende per efficacia è ben altro, è la capacità della musica ad essere immediatamente afferrata dal pubblico, la sua attitudine al coinvolgimento, la rimessa in gioco dell’aspetto ludico e il farsi spettacolo. E’ indubbio che Puccini abbia messo in pratica tutto questo.

 

A Maria Bruno






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