Musica e cinema
Come e quanto la musica può intervenire sull'immagine cinematografica?E' una domanda che mi sono sentito rivolgere spesso dagli amici appassionati di cinema, scrissi su questo tema un articolo sulla Rivista "Il grandevetro" n. 174, Santa Croce sull'Arno febbario 2005.
Il come riguarda gli aspetti stilistici, mentre il quanto è una questione di proporzioni. Spesso i musicisti sovrappongono i suoni alle immagini in modo da creare una ridondanza retorica che, se caldamente avvolge lo spettatore/ascoltatore risulta però eccessiva dal punto di vista formale (molti gli esempi, fra cui le musiche di Rustichelli per Germi o quello di Lavagnino), in questi casi il linguaggio rimane legato agli stilemi tardo romantici, crepuscolari, volti spesso verso andamenti melodici (come in Cicognini), altre volte verso il realismo delle immagini (come in Renzo Rossellini).
Lo stile romaticheggiante impera, ha in sè la propensione al racconto, sulle tracce del poema sinfonico, tende a riempire lo schermo con dolce esuberanza, all'opposto la musica di avanguardia (per esempio quella di Philip Glass) s'impone di per sè, ha una ridondanza controllata e, a volte, crea una non stretta corrispondenza fra suoni e immagini.
"Fra le capacità del buon compositore di musiche per film" - mi dice Giorgio Gaslini - "metterei quella di orchestratore, la capacità di ben bilanciare i timbri, i colori dei suoni che si devono abbinare a quelli delle immagini. E' altrettanto importante possedere una buona vena melodica, inventare temi che colpiscono subito l'immaginario dell'ascoltatore". Questa dichiarazione di Gaslini, che ha scritto 43 colonne sonore (fra cui quella de La notte di Antonioni, con la quale vinse il Premio Nastro d'argento), mette a fuoco come il compositore che si accinge a scrivere una colonna sonora debba possedere alcune specifiche qualità che non sempre sono scontate, soprattutto nell'ambito della musica colta che tende a sopravvalutare l'aspetto formale su quello espressivo (non è un caso che siano pochi i musicisti della musica classica contempornea che si dedicano al cinema, anche se, negli ultimi anni, il panorama sta un po' cambiando). La musica per film deve essere funzionale e non autoreferenziale.
Fellini ebbe a dichiarare, nel 1958, sulla Rivista "Bianco e nero": "siccome ho idee abbastanza chiare del film che faccio, in ogni dettaglio, il lavoro con Rota si svolge proprio come collaborazione alla sceneggiatura. Io sto vicino al pianoforte e Nino sta al pianoforte e io gli dico esattamente quello che voglio. Posso dire ch'è fra i musicisti ciematografici il più umile di tutti, perché fa una musica veramente funzionale." In una dichiarazione successiva, Fellini dice addirittura che la sintonia con Rota è talmente forte da avere la sensazione di essere lui a scrivere la colonna sonora. Rota ha, come sottolinea Fellini, quella umiltà indispensabile a mettersi al servizio delle esigenze cinematografiche, il che significa, tecnicamente, essere disponibile a mutare linguaggi e stili seguendo il copione, essere aperto a filtrare immagini e racconti e farli diventare suono. Da questa comprensione e sensibilità verso l'unione del suono con i tempi e le modalità delle immagini, prende corpo l'aderenza dei ritmi, del fraseggio e delle melodie alla storia raccontata dal film, creando un unicum.
Va notata l'attenzione con cui Fellini segue la musica: non dà generiche indicazioni oppure lascia campo libero al musicista, come purtroppo accade per tanti registi, i quali lasciano che sia il compositore a lavorare sul copione perché non saprebbero cosa dirgli essendo non solo ignoranti del fatto musicale ma spesso anche sordi, ahimè. Fellini non si accontenta di una musica qualsiasi, preconfezionata, che non affonda nell'espressività del film, si siede accanto al suo musicista e, insieme a lui, cerca idee sonore, a volte è lo stesso regista a fornire degli spunti al compositore, come nel caso della Marcia dei gladiatori del musicista cèco Juliu Fucik, un pezzo circense che Fellini si porta in testa e che Rota trasfigura ne Lo scicco bianco (lo stesso tema viene ripreso pure nel valzer che si ascolta nel locale Cha-cha-cha in una scena della Dolce vita).
E' interessante volgere l'orecchio a una proposta che proviene dal pianista jazz Enrico Pieranunzi che ha realizzato il progetto Fellini Jazz, in cui si presenta la musica di Rota, che non ha elementi espliciti di tipo jazzistico, ma che nelle mani di Pieranunzi dà stimoli alla creazioni di atmosfere fra il reale e l'immaginario bene riuscite per i film di Fellini.
La musica da film sposa in pieno uno dei presupposti del Postmoderno ossia che non vi è un linguaggio, una forma o uno stile predominante ma che ogni linguaggio è border line, tutto viene attraversato e tutto può servire al caso di rendere funzionale la musica, sta poi all'intesa fra compositore e regista il sistemare al meglio questa funzionalità.