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Berlioz, l'emacipazione del parametro timbrico
Berlioz, emancipazione del parametro timbrico
 


Abbiamo cominciato a prendere coscienza
della dimensione del timbro con Berlioz. […]
L’impiego del silenzio è altrettanto straordinario. […]
Prima si era esplorato assai poco questo campo
che ha poi ripreso Debussy
al quale Boulez ha aggiunto il marchio geniale.
(O. Messiaen, Musica e colore)
 
Berlioz amava di più il suo maestro Reicha[1] che non Le Sueur[2] il quale, malgrado la reputazione come contrappuntista, veniva considerato un passatista, ma è certo che da lui apprese tante cose, non solo scolasticamente parlando, l’attenzione al timbro fu una di queste, un’altra fu l’interesse per le masse corali, e ancora il gusto per certi soggetti fantasiosi. Per esempio l’opera Ossian ou Les Bardes, composta da Le Sueur nel 1796 ma andata in scena all’Opéra solo nel 1804, presenta una scrittura a tableaux ricca di fermenti timbrici e un soggetto decisamente romantico, con i suoi fantasiosi richiami alla cosiddetta poesia ossianica e agli antichi bardi inglesi. Una parte dell’opera è significativa, quella del Sogno di Ossian realizzato attraverso il balletto, ne farà tesoro Berlioz per i sogni di Faust e Margherita, ma anche Wagner si porrà indirettamente sulla scia del visionario Ossian quando scriverà L’Olandese volante o quando caratterizzerà Elsa; il sogno in Wagner assumerà un rilievo del tutto particolare, sarà uno dei motivi dominanti della sua drammaturgia; Wagner ben conosceva i sogni di Agate ne Il franco cacciatore e di Oberon nelle opere di Weber, ma anche quelli di Faust e di Margherita[3] ne La damnation de Faust di Berlioz, rappresentata nel 1846 ma che ha le sue basi nelle giovanili Huit scènes.

Le Sueur nel soggetto della sua opera La caverne anticipa molti soggetti dell’opera tedesca da Marschner a Weber a Wagner, con la presenza della natura che avvolge la storia, la quale si dipana fra rapimenti e innamoramenti, fra rapporti di sangue e salvataggi. Un gusto noir abbinato a un’immaginazione onnivora che può essere letto anche come una spia di alienazione che anela all’altrove, il quale non è un’altra parte geografica ma uno sprofondamento nei meandri dell’io.

L’antipatia di Berlioz per gli studi accademici e per il contrappunto in particolare, lo portò ad aderire, in maniera spontanea, al metodo compositivo basato sull’armonia. Secondo Chopin era colpa della nuova didattica del Consevatoire se si erano dimenticate le species del contrappunto, per seguire il susseguirsi degli accordi, secondo le direttive di Rameau. Senza contrappunto, il concatenamento degli accordi rimane statico, Berlioz riesce a vivacizzarlo sia grazie alla ritmica sia grazie alla timbrica. È proprio per il particolare procedere ritmico l’armonia di Berlioz non ha, non può avere una fisionomia, regolare, e questa irregolarità è incrementata dal colore, da luci e ombre che esaltano il sublime. A Parigi, più che altrove, il suono si fa tinta, nuance, gesto.

Weber curò personalmente l’allestimento, nel 1817, dell’opera Uthal di Méhul (composta nel 1806), altro autore protagonista di questo accavallamento di fatti fra Parigi e la Germania, infatti l’opera oltrepassa molte delle convenzioni teatrali dell’epoca e fa grande uso di effetti coloristici, così come un’altra opera di Méhul scritta in precedenza, nel 1797, La jeunesse de Henri IV. L’ouverture di quest’opera si diffuse rapidamente e venne entusiasticamente accolta in Germania da Hoffmann. Berlioz ebbe presente questo fervore musicale sia perché direttamente coinvolto in quanto allievo di Le Sueur sia perché furono avvenimenti che andarono a colpire la sua fervente immaginazione negli anni di studio e di apprendistato, ne sono testimonianze anche i suoi scritti e le sue recensioni.[4]

Il genere dell’ouverture era coltivato in Francia e aveva un carattere prettamente descrittivo, segno distintivo dell’intera tradizione strumentale francese. Soprattutto la forma della battaglia ebbe un successo travolgente, grazie ai suoi effetti timbrici inauditi. Anche fra le sinfonie di Haydn, che si diffusero dall’inizio del secolo, le più apprezzate furono quelle con i titoli descrittivi, sarà così anche per quelle beethoveniane, la Pastorale soprattutto. Non è un caso che la partitura orchestrale più importante scritta da Berlioz prima della Sinfonia fantastica fu proprio l’ouverture all’opera Les Francs-juges (opera poi rinnegata). Anche il giovane Wagner fu attratto dal genere dell’ouverture, ne scrisse diverse, fra cui la Nuova ouverture in sib, quella con l’improvviso colpo di grancassa che fece ridere il pubblico alla prima e unica esecuzione, avvenuta il 24 dicembre del 1830 a Lipsia; altre ouverture autonome furono scritte negli anni successivi, come quelle ‘politiche’ intitolate Polonia e Rule Britannia, oltre all’ouverture per il Cristoforo Colombo, dramma dell’amico Apel (composta nei primi mesi del 1835). A Parigi, nell’inverno del 1839, Wagner scrisse l’Ouverture per il Faust, rivista nel 1855: si tratta di lavori degni di attenzione poiché sono fra i pochi a carattere strumentale e dimostrano che il grande drammaturgo iniziò proprio dalla musica per orchestra, la quale, anche quando in seguito abbandonerà, rimarrà la sua voce all’interno della struttura drammaturgica, infatti nelle sue opere troveremo il punto di vista dell’autore, il suo pensiero e le sue emozioni nei suoni orchestrali. Il trattare il genere dell’ouverture fu per il giovane Wagner anche l’inconsapevole avvicinamento al tema a lui tanto caro del rapporto fra la musica e le sue possibilità semantiche.
 
La comune aspirazione al teatro, il duplice lavoro di musicisti e di critici musicali e di teorici portarono inevitabilmente il dissidio di idee alla violenza di un urto diretto. […] Berlioz avverte in Wagner il rivoluzionario che lui voleva essere; e Wagner, sempre più sicuro di se stesso, non risparmia il suo acume critico nei riguardi del musicista francese. […] La situazione peggiorò fino alla concorrenza, in Parigi, de I Troiani e del Tannhäuser. Berlioz si era finalmente deciso a una nuova opera teatrale, ma Parigi gli resisteva. Che proprio in quel perido Wagner riuscisse a imporre la sua opera gli sembrò un affronto personale.[5]
 
La personalità di Berlioz veniva bene espressa dal suo aspetto fisico che assomigliava a quello di Paganini (magro e nervoso, dal profilo tagliente, viso scavato e scostante), quest’uomo emanava un’energia dello stesso polo di quella di Wagner, un’elettricità che creava un allontanamento, una repulsione che portò i due ad avere momenti cordiali in funzione della forza emanata e della reciproca stima, ma pure burberi momenti di ostilità. Uno dei primi motivi di rottura fu l’articolo che Wagner pubblicò su Il franco cacciatore di Weber che si doveva rappresentare all’Opéra con i recitativi strumentati da Berlioz; Wagner giustamente mise in guardia dall’eseguire quest’opera sfigurandola dalla sua concezione originaria e pare che Berlioz non la prese bene.

Entrambi erano però uniti dalla ricerca del nuovo. La limpidezza della struttura della musica classica era già stata messa in crisi dalle esperienze beethoveniane, oltre le quali, come disse Berlioz, era impossibile andare, bisognava cambiare direzione. A proposito della Sinfonia fantastica Schumann aveva capito che la semplice lettura delle note non sarebbe stata sufficiente alla comprensione della composizione, perché il senso complessivo del brano non era espresso totalmente nella forma e nella strutturazione, ma richiedeva anche l’ascolto. La musica di Berlioz «Deve essere soprattutto ascoltata» - scrisse Schumann - «I suoi effetti di sonorità non possono essere colti dalla disamina dello spartito»,[6] il colore e la nuance sono infatti difficilmente leggibili vanno sentiti, con l’orecchio e con il cuore.

La concezione del melancholicus spinge a cercare soluzioni musicali idonee a descrivere un dèsir sans objet e ovviamente non è certo la razionalità della forma classica che può fare all’uopo,  ecco allora che l’operatività si apre a elementi disparati, la forma si allarga e il colore sopravanza il disegno, proprio come nei quadri di Delacroix,[7] conosciuto personalmente da Berlioz. L’esposizione tematica e il suo sviluppo consequenziale vengono sostituiti da un’idea tematica circolare alla quale si vanno ad affiancare temi secondari che appaiono all’improvviso, creando un effetto sorpresa di tipo teatrale. Il tema non ha dunque solo una funzione di filo rosso che rende omogenee le varie parti di una composizione ma possiede un’evidente funzione retorica. Gli eventi tematici si accumulano in uno spazio sonoro dilatato per essere infine riuniti, come avviene in Harold en Italie. La tecnica della réunion des thèmes verrà utilizzata anche da Wagner sia nel quarto atto di Rienzi sia nel terzo de L’Olandese volante sia in Tannhäuser, con la sovrapposizione della musica del pastore con quella del coro dei pellegrini, e sia ancora ne I Maestri cantori, nei finali del primo e secondo atto. Anche l’armonia non procede in maniera rettilinea, direzionale, ma procede ad afflussi improvvisi con effusioni e risoluzioni su fasi temporaneamente stabili.

La volontà di descrivere il vague des passions è ciò che muove Berlioz a scrivere il programma della Fantastique, ripreso dal René di Chateaubrind, dove il protagonista allieva il suo tormento per la morte della sorella vivendo in mezzo a una natura selvaggia (la selva quale simbolo dell’inconscio e del rincantucciarsi nella propria interiorità). Dalle Confessions of an English Opium-Eater di de Quincey, che Berlioz conosceva nella traduzione di de Musset, riprese l’idea del ballo, dove, fra la confusione della folla e dei suoni, la donna amata si era dispersa; fra l’altro la libera traduzione di de Musset aveva aggiunto anche il delirio dell’innamorato che subisce l’incubo di una processione funebre, scena ripresa nella Marcia al supplizio, mentre ne La ronde du Sabba convergono elementi da La notte di Valpurga, da Faust di Goethe e dalla quattordicesima Ballata di Hugo. Questi i riferimenti letterari che aiutarono Berlioz a costruirsi lo schema della storia, la quale viene sostanziata dalla temperatura emotiva altissima che deriva dalle stesse esperienze di vita.

Nuove vicende biografiche (aveva finalmente sposato l’attrice Henrietta Smithson e l’amore tormentato che aveva dato vita al programma della Fantastique si era un po’ placato) e nuove riflessioni estetiche (maturate durante i cruciali anni Trenta) spinsero Berlioz a modificare il programma letterario della sua composizione, anche sotto la spinta di critiche che gli provenivano dall’importante recensione di Schumann che trovava il programma «Poco dignitoso» e «Cialtronesco» e dalla critica negativa che François-Joseph Fétis[8] aveva scritto sulla «Revue musicale» del 1° febbraio del 1835, dopo l’esecuzione della Fantastique a Parigi nel dicembre dell’anno precedente (era la nona esecuzione della Sinfonia, diretta da Girard).[9] Fétis aveva criticato soprattutto la pretesa di piegare la musica a un racconto concreto, così Berlioz fu in qualche modo costretto a rimeditare l’impostazione del racconto che soggiace alla musica, la questione del programma diventa un programma messo in questione. Ma solo nel 1855 il maestro chiarì una nuova impostazione estetica, non più legata a una partecipazione diretta della parte drammaturgica e narrativa alla musica, il rapporto fra testo e musica si fece più sfumato in quanto lo svolgersi delle strutture sonore alludevano vagamente al programma; in fondo Berlioz non fece che porre in maniera decisa al centro della sua nuova e(ste)tica il vague des passions da cui era partito, sull’esempio dei poemi sinfonici di Liszt che Berlioz doveva conoscere bene sia musicalmente sia nell’impostazione poetica. Il liquefarsi dell’individuo nel tema trattato si solidificherà negli anni a venire, quando Berlioz scriverà alla sorella, in data 17 aprile 1837, di «Voler lavorare a sangue freddo, come un copista». La presenza dell’io narrante si dissolverà, non parteciperà alla storia ma sarà colui che la innesterà; la vicenda perderà il tratto realistico e autobiografico e diventerà più simbolica: l’influenza di Liszt[10] e l’avvicinamento a Wagner diverrà palese.

Gli anni Trenta trascorsero velocemente e Berlioz si sentiva inadeguato al nuovo clima sociale, si rifugiò in una riconsiderazione del passato e la sua musica perse quell’immaginazione frenetica e quell’ardore che l’avevano caratterizzata qualche anno prima. «Wagner accusava Berlioz di perdersi dietro ai ‘tratti di penna arditi e bizzarri’. […] Si manifesta un contrasto con la crescente dinamicità e mutevolezza del moderno, un sempre più marcato atteggiamento di estraneità».[11] Il caso del fiasco di Benvenuto Cellini, rappresentato all’Opéra comique nel 1838, ne è un esempio: di questa prima opera di Berlioz ebbero un certa risonanza solo l’ouverture e il Carnevale romano, occorrerà aspettare la versione rimaneggiata e diretta da Liszt nel 1844 a Weimar per poter di nuovo considerare l’opera.

La nuova versione del racconto si svolge attraverso le nebbie del sogno e i fremiti dell’incubo, l’idée fixe non è più il richiamo costante alla donna amata, il carattere tematico che aveva si allenta, diventa il viatico verso il mondo del fantastico e il titolo del brano, in questa nuova prospettiva, si fa ancora più appropriato. Le allegorie presenti nella musica di Liszt e le figure traslate del teatro wagneriano sono ora molto vicine.
Nel programma del 5 dicembre in cui Berlioz presentava la prima esecuzione[12] della Symphonie fantastique il maestro aveva aggiunto La Défaite de Sardanapalo la cantata che gli aveva fatto ottenere, qualche mese prima, il Grand Prix de Rome; l’Ouverture des Francs-Juges e le Mélodies irlandaises; tutti i brani furono applauditi.

L’inizio della Symphonie proviene dalla cantata Herminie a dimostrazione della prassi degli innesti molto praticata. Per inciso, nel 1829 Berlioz aveva scritto un’altra cantata, finalizzata al conseguimento del Prix de Rome,[13] intitolata Cléopâtre, nella quale vi si notano passaggi di notevole interesse sia dal punto di vista delle figurazioni ritmiche che armoniche. Appena ascoltata la melodia che apre la Sinfonia fantastica[14] si è subito avvolti da un procedere musicale che si autoalimenta in una sonorità incerta e strana, straniera come l’uomo che vaga sulla terra; il tessuto orchestrale procede per aritmie (di un cuore malato) che danno un senso di «diffidenza», secondo le parole dello stesso Berlioz, in un contrasto continuo di stati d’animo differenti, di evocazioni, ricordi e visioni. Il tema iniziale mantiene l’origine vocale, anche se rispetto alla cantata Herminie il maestro desidera esprimere tremore e insicurezza, comunicate attraverso un ritmo puntato, comunque questa introduzione conserva il caratteristico largo respiro della cantata. Berlioz tiene molto al fatto che i suoi temi abbiano un carattere cantabile, libero e aperto; Schumann percepì tutto questo, infatti scrisse, nella sua lunga recensione alla Sinfonia, conosciuta attraverso la straordinaria trascrizione per pianoforte fattane da Liszt.
 
Il nostro tempo non ha prodotto un’altra opera in cui, come in questa, le relazioni simili di battuta e ritmo siano state più liberamente unite e usate colle dissimili. La fine della frase non corrisponde quasi mai al principio, né la risposta alla domanda. […] Con quale mano ardita sia prodotto tutto questo in guisa tale che non si possa aggiungere o toglier via nulla, senza sottrarre al pensiero la sua penetrante efficacia. […] Sembra che la musica voglia di nuovo ritornare alle sue origini, quando ancora non l’opprimeva la legge del rigore della battuta, e sollevarsi fieramente indipendente al discorso libero d’ogni costrizione. […] Tutto mi pare così orchestralmente ben intuito e pensato. […] Le nuove combinazioni e i nuovi effetti orchestrali, in cui Berlioz si dice sia veramente geniale. […] Virtuoso nato dell’orchestra, Berlioz esige senza dubbio l’impossibile tanto dal singolo strumento come dalla massa. […] Sebbene Berlioz trascuri il particolare e lo sacrifichi al tutto, egli attende però con molta cura a renderlo ingegnoso e finemente lavorato. Ma non spreme i suoi temi fino all’ultima goccia e non ci toglie, come spesso fanno gli altri, il piacere d’una bella idea con una noiosa modulazione tematica. […] Le sue melodie si distinguono precisamente per tale intensità di quasi ogni loro suono che, come vecchie canzoni popolari, sovente esse non sopportano alcun accompagnamento armonico e anzi perderebbero sovente di pienezza sonora. Perciò Berlioz le armonizza per lo più con il basso fondamentale naturale, oppure con accordi di quinte aumentate e diminuite, sui gradi vicini.[15]
 
Quest’ultima annotazione è assai importante per capire la differenza più grande fra la concezione e lo stile musicale di Berlioz e quello di Wagner ossia il contrasto nel concepire l’armonia, discordanza che non farà scorrere in modo sempre amichevole il loro rapporto. Wagner è un grande innovatore dell’elemento armonico, mentre Berlioz, come scrive giustamente Schumann, armonizza in modo elementare non tanto o non solo per la mancanza di ricerche specifiche sull’armonia (sul contrappunto forse sì), quanto per una scelta stilistica che reclama un tessuto armonico semplificato, per meglio far risultare le melodie e il loro intreccio, per meglio giocare con ritmi e colori. Anche Berlioz, come del resto tutti i compositori dell’epoca, usa il cromatismo ma non è interessato a spingerlo ai limiti del sistema tonale, anzi il procedere ininterrotto di armonie modulanti è un modus operadi assai lontano da quello a ondate tipico di Berlioz.
Nella precisa recensione di Schumann si sottolineano alcuni aspetti che trapasseranno anche nella musica di Wagner, come la ricerca di una strada innovativa diversa da quella beethoveniana; come il fraseggio libero che si colloca vicino al concetto di ‘prosa musicale’ molto sfruttato da Wagner; come il virtuosismo orchestrale.

La prima parte,[16] Rêveries, passions, in tonalità di do minore, inizia con un Largo e delle terzine in pp ai flauti e clarinetti, a cui subito si aggiungono quelle degli oboi e quindi dei fagotti e corni che vanno a completare la parte armonica. Il sostenuto uso degli strumenti a fiato interesserà assai Wagner e, in particolare, proprio di oboi, fagotti e corni. Sull’ultimo sedicesimo dell’accordo i violini primi, con sordina, iniziano il tema del Largo, tema ripreso dalla Romanza d’Estelle e molto simile alla linea melodica; dopo l’esposizione di questo tema gli archi introducono un intermezzo, al quale segue una serie di accordi che annunciano l’Allegro agitato e appassionato, la tonalità passa dal maggiore al minore e il tempo si fa più veloce. Un pizzicato di tutti gli archi porta all’enunciazione dell’idée fixe; se considerata in termini accademici, il suo trattamento è vicino alla forma del rondò; l’intervallo principale risulta essere il semitono che svolge una funzione di motore dinamico del procedere sonoro, con presenze di scale cromatiche, funzione che diverrà importante in Wagner il quale però, spingendo il procedimento al limite della sua elasticità, ridurrà le aree tonalmente stabili che sono invece ben presenti in Berlioz.

La simbologia legata all’idée fixe rappresenta non solo l’amata, ma anche la presenza della donna nella mente del giovane musicista e instaura una rete di reminescenze e proiezioni che nell’ultima versione del programma si dissolvono nel costante clima onirico. Su questo aspetto Wagner deve aver riflettuto profondamente. L’equivocità della visione fantastica porta a creare un clima fra sogno e realtà che viene descritto da una costante trasfigurazione in cui gioca un ruolo determinante la timbrica, vero elemento creativo della Sinfonia grazie al quale tout se tien. Il sogno/incubo diverrà centrale nella versione definitiva del programma e sarà protagonista anche della continuazione della Fantastique ossia Lélio, dove Berlioz si ricorda de La tempesta di Shakespeare e cita la frase: «Noi siamo stati fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni».

La visione onirica sta fra l’incubo e l’allucinazione, è la strada per esplorare l’oscurità interiore, come farà Wagner che «Condivideva, fra tutti i musicisti contemporanei proprio con Berlioz, il ‘mostruoso’ o, più esattamente, l’oscuro».[17]  L’emotività domina l’attività, s’insinua il sentimento dell’assurdo, quello stesso che Camus descriverà più tardi. Il senso che deriva dalla mancanza di senso, descritto nel paradossale trattamento orchestrale e nello strano procedere del fraseggio musicale. «Unité poétique saisiè avec quelque chose de sonnant, variété musicale à la guise du souffle poétique sans plus d’égards pour l’architectonique immuable des différentes sections traitées l’une après l’autre par numéro».[18]
La nebbia del vagheggiamento è descritta con un trattamento orchestrale che lascia stupiti in un giovane musicista, sembra di assistere a un’esperienza surrealista: la frantumazione del tessuto orchestrale in temi derivati dall’idea fissa, la ritmica irregolare, le intuizioni proto espressionistiche, come il trattamento della religiosità stravolta del Dies irae; il grottesco stupendamente descritto da uno strumentale che imita gli urli e le risate; molti sarebbero i punti innovativi da sottolineare come nella Scène aux champs, in tonalità di fa, il dialogo stereofonico fra il corno inglese[19] in orchestra e l’oboe in lontananza, posto dietro le quinte, dando così l’illusione di uno spazio vuoto (giochi acustici che Wagner riprenderà); nella stessa scena fecero scalpore gli accordi affidati ai timpani (che saranno più finemente elaborati nel Requiem); il melanconico passaggio del corno inglese farà da esempio alla scena del pastorello in Tannhäuser. L’ultima pagina della Scène aux champs è straordinaria nella minuzia delle indicazioni dinamiche, con note isolate e ognuna con la propria indicazione, come avverrà in certi momenti di Lohengrin (pagine foriere di un’espressività proto-weberniana).

Altri momenti geniali sono la Klangfarbenmelodie espressa dal tema della Marche au supplice (che deriva dalla Marche de Gardes, composta per un’opera mai realizzata, Les francs), gli strilli dei violini e la parafrasi grottesca dell’idée fixe affidata a un timbro acido del clarinetto nel Songe d’une nuit du Sabbat (scena debitrice alla scena della Gola dei lupi ne Il franco cacciatore). Questa scena, insieme a quella dell’orgia dei briganti nell’Harold en Italie sarà ben presente nella mente di Wagner quando si appresterà a scrivere le scene corali di Tannhäuser. All’inizio di questo quinto tempo violini e viole, con note acutissime in sordina, si suddividono in otto parti reali, scontrandosi con i violoncelli e contrabbassi e creando una fascia sonora estremamente differenziata fra acuto e basso, perché nessun altro strumento s’inserisce, lasciando scoperte le sonorità mediane. Nelle ultime battute del Larghetto e all’inizio dell’Allegro si moltiplicano i segni dinamici, tanto che in poche battute si passa da un ppp del corno a un ff dell’intera orchestra, attraverso un fitto alternarsi di diminuendi e crescendi. Nell’Allegro assai la scrittura si fa fittissima, diradandosi nel Lontano dove l’organico è veramente inusitato sia come quantità sia come strumenti usati, quale, per esempio, il clarinetto piccolo, rarissimo, poi ripreso da Wagner ne La Walkyria. Nel Dies irae et ronde du sabbat è noto come le mescolanze timbriche e dinamiche creino un amalgama sonoro davvero sorprendente e Wagner se ne ricorderà nella stesura del primo atto de L’Olandese volante.
Berlioz ha inoltre la tendenza a usare gli strumenti nei loro registri estremi, più acuti o più bassi, il che porterà a un’estensione dell’orchestra fino a sei ottave. Vi si nota anche l’inclinazione a riprendere strumenti caduti in disuso, come l’oficleide, al fine di ricercare nuovi timbri. L’arpa, pur di moda nei salotti borghesi, era strumento raro nella musica orchestrale, così come l’insistito uso del corno inglese, degli ottoni e della gran cassa,[20] (tutti strumenti cari a Wagner), ma non sono tanto le singole invenzioni, seppur importanti, a fare di questo brano un capolavoro e un apripista per esperienze successive, è la concezione generale, il nuovo approccio narrativo che spinge l’elaborazione sonora orchestrale a effetti teatrali, il suo gesto enfatico e gli effetti spaziali, ossia è la diversa prospettiva musicale in cui la Sinfonia si pone che ne fa un pezzo cardine della storia della musica europea degli anni Trenta e alla quale guarderanno non solo Liszt e Wagner.

Mentre la musica tedesca era intenta ad ampliare le funzioni armoniche, Berlioz si pose alla ricerca dell’oggetto sonoro, in tal senso anticipando molte conquiste delle avanguardie novecentesche. Anche da un punto di vista formale, il musicista francese non fu interessato alla dialettica e allo sviluppo, piuttosto venne attratto da percorsi visionari, da situazioni intuitive. Del resto le metodologie compositive legate alle forme classiche stavano cambiando e negli anni Trenta, proprio nel periodo in cui i teorici codificavano le forma sonata, anche in Germania i metodi stavano o erano già mutati. Malignamente Vincent d’Indy[21] insinuò che a Berlioz mancasse la capacità di costruire una forma classicamente solida e per questo utilizzava il programma o il testo che gli servivano per collegare le parti formali della sua composizione che non sapeva come tenere insieme. A parte che non viene sempre utilizzato un testo, esplicito o sottaciuto, ma questa accusa, che si potrebbe rivolgere anche ai poemi sinfonici di Liszt e perfino a Wagner per l’importanza che ha il testo nei suoi drammi (rilevanza – dilettantesca? - che potrebbe coprire disfunzioni della forma musicale) dimostra semplicemente qual’era l’angolo di lettura dei musicisti più conservatori che non avevano attraversato le intemperie della cultura romantica, la quale ampliava il concetto di forma e lo rendeva permeabile alle sollecitazioni dell’extra musicale, le quali richiedono che il classico sviluppo debba essere sostituito da procedimenti rotazionali, dove ritorni e nuovi inizi non sono preventivamente codificati ma seguono un’impostazione cangiante che, di volta in volta, il compositore sceglie seguendo l’ispirazione poetica. Questa nuova retorica interessò non solo Berlioz, Liszt e Wagner, ma anche molti compositori della stessa generazione, come Schumann, e di quella successiva, come Franck, che fecero ricorso alla cosiddetta forma circolare che si basa su elementi tematici modulari, i quali vengono spazializzati in un tempo musicale a spirale che non rispetta il susseguirsi di sequenze armoniche rettilinee, ma crea una struttura curvilinea e aperta a inserimenti insoliti (come quelli descrittivi in Sibelius o tratti da materiali di consumo come in Mahler etc.).

Il senso della polifonia, come evidenzia Richard Strauss (nella prefazione alla sua revisione del Traité d’orchestration), fu estraneo a Berlioz, ma bisogna aggiungere il senso ‘classico’ della polifonia perché, al di là dei molti passi strettamente polifonici della sua produzione, Berlioz creava intrecci di suoni, di timbri, di registri, di blocchi, anticipando quella scrittura a masse sonore che verrà in auge nel secondo Novecento. Il suono liberato di Berlioz indica, negli anni Trenta, soluzioni nuove e si proietta verso la musica francese dei decenni fra fine secolo e inizio Novecento.[22] Purtroppo il Berlioz successivo non riuscirà a mantenere vivo il suo impulso Stürmer e rivoluzionario, ma ciò che fece in quel decennio costituì una pietra miliare della storia della musica di quel periodo.

Come scrive Olga Visentini, nella sua ricca monografia su Berlioz,[23] la tendenza conservatrice nei confronti della dissonanza si accentuò col passare degli anni, tanto che non riuscì, per esempio, a capire il preludio di Tristan, ciò però non dovrebbe significare misconoscere la tarda produzione berlioziana, come I Troiani, che spesso sono stati intesi attraverso l’ottica wagneriana o anche, dall’altra parte, quella verdiana. Bisogna riconoscere a Liszt, che pure fu wagneriano convinto, di aver avuto la lungimiranza di riconoscere il valore anche delle opere mature di Berlioz, il Cellini lo fece riemergere lui nel 1852 a Weimer, dopo che era caduto a Parigi; Wagner fu molto scettico e fece notare sia a Liszt sia a Berlioz la lacuna del libretto e propose a Berlioz il suo Wieland il fabbro.

A differenza di Wagner, Berlioz non utilizzò mai il cromatismo in maniera sistematica, ma molte delle sue frasi melodiche sono arricchite da inflessioni cromatiche; tipico è il suo avvicinarsi cromaticamente al V grado, salendo o discendendo.[24] La con-fusione fra il modo maggiore e minore e la particolare rilevanza del terzo grado lo avvicinano a Schubert, che Berlioz probabilmente aveva sentito suonato da Ferdinand Hiller e che conosceva grazie alla partiture che iniziavano ad essere stampate a Parigi alla fine degli anni Venti.[25] Sono da notare anche alcuni atteggiamenti come l’utilizzazione dell’intervallo di sesta diminuita, il fugato, la libera relazione contrappuntistica fra le parti che portava alla riunificazione dei temi (come nel finale della Fantastica con le Ronde du sabbat e il Dies irae sovrapposti); il contrappunto però non è inteso come disciplina severa, ma come possibilità ulteriore per riferirsi a situazioni tumultuose sia dal punto di vista descrittivo che da quello psichico.

Accostarsi alla composizione tramite il pianoforte fu una costante degli autori romantici, si pensi a Chopin, Liszt, Schumann, invece Berlioz, come Wagner, non si avvicinò alla scrittura da pianista e questo lo liberò da alcuni schemi formali e strutturali, riuscendo a pensare la musica in maniera del tutto libera e fantastica, fu questo affidarsi alla sua florida immaginazione che gli permise di raggiungere risultati assoluti nello stile monumentale e descrittivo, eclettico e pieno di autoimprestiti, e soprattutto nella concezione del suono orchestrale e spazializzato. Quanto tutto questo sia stato importante per Wagner è oramai riconosciuto a livello universale.
 
 
Da Renzo Cresti, Richard Wagner, la poetica del puro umano, LIM, Lucca 2012.



[1] Cfr. F. LESURE – J. M. FAUQUET, La musique à Paris en 1830-31, Bibliothèque Nationale, Parigi 1983. Reicha si era trasferito a Parigi dal 1808 e nella capitale francese godette di buona fama come compositore e insegnante, autore di diversi trattati didattici; fu forse per questa stima generalizzata che Berlioz vide in Reicha un grande musicista, del resto lo fu davvero soprattutto nel campo armonico e ritmico dove portò diverse innovazioni.
[2] Nei Mémoires, vol. I, pp. 98, 99, Berlioz così si esprime: «Reicha professait le contrepoint avec une clarté remarquable; il m’a beaucoup appris en peu de temps et en peu de mots», mentre su Le Sueur scrive: «Est un chef-d’oevre de dignité de style, de science harmonique, et, bien plus, un chef-d’oevre aussi d’expression que la forme fuguée sert ici elle-même». Cfr. JEAN MONGRÉDIEN, Jean-François Le Sueur, Lang, Bern 1980 e K. HOLOMAN, Berlioz au Conservatoire, in «Revue de musicologie», n. 62, Parigi 1976.
[3] Il sogno di Faust, espresso nella sesta scena, anticipa quello di Walther ne I Maestri cantori: «Sogni d’amore infine ti seduranno. / Di siti incantevoli / la campana si copre / e il nostro occhio vi scopre / fiori, boschi, campi / e spesso fogliame. / Dove teneri amanti / portano a spasso i loro pensieri». Il sogno di Margherita, nella scena decima, ricorda quello di Elsa: «L’ho visto in sogno, lui, il mio futuro amante. / quanto era bello! / Dio! Ero tanto amata! Ero tanto amata! / E quanto lo amavo! / Ci vedremo mai / in questa vita?»
[4] Cfr. HECTOR BERLIOZ, Serate d’orchestra, a cura di Maurizio Biondi, Torino, EDT 2006. La differenza d’età, il rapporto difficile fra colleghi che facevano non solo il lavoro di compositore, ma anche quello di direttore d’orchestra, di saggista e scrittore e una differenza caratteriale marcata, introversa in Berlioz, estroversa in Wagner, non fecero scorrere con serenità la relazione che, malgrado molti reciproci attestati di stima, subì alti e bassi.
 
[5] BENIAMINO DAL FABBRO, I bidelli del Walhalla, Parenti, Firenze 1954, pp. 84, 85.
[6] Cit. in Melanconia dell’essere, a cura di Vittorio Volterra, Il Cardo, Venezia 1994, p. 28.
[7] Eugène Delacroix fu anche l’autore del celebre e bellissimo ritratto di Chopin, realizzato a Parigi nel 1838. Altrettanto belli sono i ritratti del giovane Berlioz, l’uno fatto da Emile Signol nel 1830 e l’altro da Dominique Ingres nel 1832 (più cupo e scuro quello di Courbet).
[8] Fétis era il critico della «Revue musicale», rivale della «Gazette musicale» di Schlesinger, le due riviste vennero poi fuse nel 1835 in «Revue et Gazette musicale».
[9] Cfr. EMMANUEL REIBEL, L’écriture de la critique musicale au temps de Berlioz, Champion, Parigi 2005.
[10] Cfr. MICHEL CHION, Le poème symphonique et la musique à programme, Fayard, Parigi 1993.
[11] MAURIZIO BIONDI, Berlioz e la musica parlante, in HECTOR BERLIOZ, Serate d’orchestra, pp. 416, 423.
[12] Dopo la prima parigina diretta da Habeneck, la Fantastique ebbe molte altre esecuzioni ancora a Parigi poi in Europa, val la pena di sottolineare quelle a Bruxelles nel 1842, a Weimar, Lipsia e Dresda nel 1843, dove la presenza di Liszt fu fondamentale. Molte volte fu lo stesso Berlioz a dirigere, dimostrandosi un interprete assai scrupoloso.
[13] Premio conseguito poi con la scialba cantata Sardanapale.
[14] Da ricordare che Berlioz sottopose la sua Sinfonia a diverse revisioni la più significativa delle quali è quella realizzata durante la permanenza in Italia fra la fine del 1831 e l’anno seguente.
[15] ROBERT SCHUMANN, La musica romantica, Einaudi, Torino 1950, pp. 38, 50. Nello stesso articolo Schumann sente il bisogno di parlare anche della trascrizione di Liszt: «La riduzione per pianoforte Liszt l’ha condotta con sì grande diligenza ed entusiasmo, ch’essa dev’esssere considerata come un’opera originale, come un résumé dei suoi studi profondi, come una scuola pratica di pianoforte per la lettura di partiture».
[16] Il secondo movimento è Un ballo, trascinante valzer in la, con il tema affidato a due clarinetti. La terza parte, Scena campestre, è un lirico Adagio in fa. Il quarto tempo, Marcia al supplizio, è un Allegretto in sol minore; infine l’ultimo movimento è Il sabba, con andamenti diversi di 6/8, con la trasfigurazione della sequenza gregoriana del Dies irae e il vorticoso fugato del Rondò di sabba. L’organico è composto da: 2 flauti (il secondo con l’obbligo dell’ottavino), 2 oboi (con corno inglese), 2 clarinetti (anche in mib), 4 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, 2 cornetti, 1 ophicleide e 1 serpentone (oggi rimpiazzati da una tuba tenore e da una tuba bassa), 2 set di timpani, percussioni, arpa e archi.
[17] MARIO BORTOLOTTO, Wagner l’oscuro, Adelphi, Milano 2003, p. 38.
[18] CLAUDE BALLIF, Berlioz, Editions du Seuil, Parigi 1968, p. 71: «Il n’y a pas de développement dans la forme, mais enveloppement par périodes successives qui peuvent l’étendre jusqu’aux limites plus vaste de tout un grandiose épisode. Relier ces épisodes ? La question ne se pose pas puisqu’ils révèlent déjà un univers indépendant. Si, d’aventure, la question se posait, un symbol musical, sorte de maître-son ou idée fixe, va conjuguer l’ensemble sans cependant l’astreindre à jouer constamment le rôle de chien de berger come, plus tard, son couin vigilant, le leitmotiv. Ce deux procédés, aussi vénérable que l’écriture musicale, mis en fonction par Berlioz et Wagner de façon très consciente dans le jeu des associations et des correspondances, apportent l’un et l’autre un splendide moyen d’expression musicale qui permettra, au-delà même de l’énoncé thématique classique, de concilier l’unité poétique et la variété musicale».
[19] Il corno inglese sarà strumento impiegato in maniera eccezionale da Wagner; Berlioz utilizò in maniera nuova anche i tromboni, i due musicisti furono tra i primi a utilizzarli per creare atmosfere nuove, solenni o tenebrose.
[20] Cfr. PAOLO RUSSO, Berlioz: Sinfonia Fantastica, una guida, Carocci, Roma 2008.
[21] Cfr. VINCENT d’INDY, Cours de composition musicale, II, Durand & fils, Parigi 1903.
[22] MARIO BORTOLOTTO, Tunisine française, in Consacrazione della casa, Adelphi, Milano 1982, a p. 324, Bortolotto elenca alcuni aspetti importanti dello stile di Berlioz: «La razionalità in organici quasi cameristici, o in supremazie momentanee, che non scendono mai al vero solismo (con le sue implicazioni formali), ma si avvalgono di tutte le indicazioni che il virtuosismo del solista comporta; la costanza dei pedali, con particolare acuzie nel registro alto, intravedenti le possibilità del suono isolato e il suo “proprio valore pressoché puntiforme” (Confalonieri); lo sfruttamento massivo degli strumenti di banda, alle soglie di Mahler, come nella Symphonie funèbre et triomphale; le stereofonie del Tuba mirum (anche se forse troppo preoccupato di riuscire agghiacciante); l’addensamento di figure ritmiche diverse, si da determinare imprevedibili poliritmie e, infittendosi, da scatenare indistinti barbagli; le sovrapposizioni tematiche, ciascuna conservante la propria individualità, e registranti per la prima volta in maniera da conservarne l’autonomia, le sincronie sonore della realtà, quasi anticipi di Ives».
[23] Cfr. OLGA VISENTINI, Berlioz e il suo tempo, II voll., LIM, Lucca 2010.
[24] Berlioz amava riunire le parti superiori creando così una distanza con la linea del basso (che in questi casi diventa un basso cantante, in libero contrappunto con la voce superiore, da qui il fraintendimento di chi accusa Berlioz di non riuscire a scrivere bassi funzionali). A volte il basso armonico non costituisce la nota cardine dell’accordo, ma viene sostituito da altre note perno collocate nel registro acuto.
[25] Negli anni Trenta la musica di Schubert iniziò a diffondersi a Parigi, per esempio Nourrit eseguiva diversi brani su proprie traduzioni e nel salotto di Marie d’Agoult si cantavano i Lieder. Probabilmente la portata della musica schubertiana non venne colta profondamente, per esempio, il clima espressivo degli Inni alla notte di Novalis viene reso (in molti Lieder e nei capolavori della musica da camera) con uno struggimento e con una pena che nulla ha da invidiare a Tristan, come anche la musica che, almeno nelle opere maggiori, fluisce incontenibile, in una incessante metamorfosi, su un’armonia, costruita in maniera assai diversa da quella wagneriana, ma che ugualmente produce instabilità, modulando a gradi vicini, come do e do#, che portano a tonalità lontane. Occorrerà attendere Brahms per veder come lo stile schubertiano sia ricco di prospettive.



A Roberto Rusconi






 




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