Mendelssohn, gli Schumann e Wagner
Mendelssohn e gli Schumann, incomprensioni e polemicheMendelssohn non era sempre sincero.
(R. Wagner, Del comporre poesia e musica)
Quando Schumann compose il libretto di Genoveffa
non si lasciò smuovere da nessuna mia rimostranza
e volle conservato il disgraziato e stupido terzo atto.
(R. Wagner, Libretto e composizione della musica d’opera)
Nelle sue direzioni orchestrali, Mendelssohn puntava sulla chiarezza e pulizia sonora, tenendo tempi veloci, per Wagner il suo modo di dirigere risultava freddo e l’eccessiva velocità era intesa come mancanza di sensibilità a sottolineare i momenti di pathos.
Se Wagner non stimava Mendelssohn per il suo modo di dirigere, fu invece apprezzato da Berlioz e Liszt, i quali erano regolarmente ospiti nella casa di Mendelssohn ogni qualvolta passavano da Lipsia, così come lo erano Clara Wieck e Robert Schumann. Clara suonò in ben 21 concerti diretti da Mendelssohn, vi eseguì anche, insieme a Rakemann e allo stesso Mendelssohn, il triplo Concerto in re minore di Bach (era il 9 novembre 1835); Liszt vi tenne 3 concerti speciali nel 1840. Gli influssi extra-musicali delle ouverture e della musica di scena furono aspetti che legarono in maniera similare le poetiche di Liszt e Mendelssohn.
Mendelssohn aveva assunto la direzione del prestigioso Gewandhaus di Lipsia,[1] nel 1835, a soli 26 anni; in quell’anno Wagner era appena tornato in questa città da Praga e vi rimase negli anni successivi, per cui ebbe modo di assistere alle programmazioni di Mendelssohn che criticò per i cartelloni troppo incentrati sugli autori tardo barocchi, come Bach e Händel, che erano il grande amore di Mendelssohn fin da quando aveva studiato contrappunto con Zelter, cartelloni poco propensi a inserire musica nuova. Mendelssohn aveva compiuto, a soli vent’anni, l’esperienza eccezionale della riscoperta e prima esecuzione in tempi moderni della Passione secondo Matteo, esperienza che lo aveva indirizzato verso la riconsiderazione dello stile di Bach e degli autori a lui coevi (trascorso il furor giovanile, anche Wagner amerà Bach, come dimostrano I Maestri cantori).
All’inizio degli anni Trenta, Mendelssohn aveva già rappresentato due opere, composto cinque ouverture, fra cui la stupenda Sogno di una notte di mezza estate; alcune cantate e mottetti, musica importante come l’Ottetto, capolavoro scritto a soli 14 anni! La Prima Sinfonia, il Capriccio brillante con pianoforte, la Sonata per violino e pianoforte, le Variations concertantes per violoncello e pianoforte oltre ad altra musica da camera. La grandezza di Mendelssohn sta nel lavoro di cesello, nelle miniature musicali che troveranno riscontri in Brahms e nel neo-classicismo novecentesco, lavoro di cesello che non mancherà nella musica di Wagner sia sul parametro armonico sia su quello timbrico sia sulle modalità vocali ma che, inevitabilmente, si disperde nella vastità della concezione drammaturgica.
Anche in Mendelssohn, come poi in Brahms, è possibile riscontrare la sofferenza che tanto tormentò gli artisti di quel periodo, un patimento non esplicito ma nascosto da una maschera, che è quella della tradizione, che porta Mendelssohn a rifugiarsi nel passato, per sfuggire a un presente inquieto e inquietante. Il ritorno a Bach deve esser visto anche come un atto d’insofferenza verso la società vigente.
Le idee di Ordine, fino alla fantasia templare, indicano, in una cultura che si è troppo spesso vantata unpolitisch, il nesso vitale che collega la musica alla politicità. […] Occorre affrontare Mendelssohn sulla realtà vera delle partiture, segnarne le tracce del moderno (esattamente nel significato datogli dal Wagner estremo): allora le sobrie eleganze, la sensibilità delicata del ‘vero signore’, quali traboccano dai documenti e dallo stesso epistolario, possono divenire non poco svianti. […] Al cuore della Romantik musicale vi è l’idea di uno scavo nel profondo, vorremmo dire una sorta di analisi acustica dell’inconscio. […] Le figure dei solitari si sdoppiano. […] Se ciò che evolve è lo stesso di ciò che si ripiega, nella dolorosa ‘felicità del circolo’, allora i ritorni (al Medioevo, alla Riforma, a Bach, all’esperienza incomparabile della Matthäus-Passion rinata) sono legittimi quanto le prospettive sul futuro.[2]
La popolarità di Mendelssohn, per tutta la sua (corta) vita fu enorme, dagli anni in cui si presentò come enfant prodige alla morte. In quegli anni la produzione di Wagner era poca cosa, legata ancora all’apprendistato e, almeno fino agli anni parigini, rimase inconsistente. Solo quattro anni dividevano Wagner da Mendelssohn, che era nato ad Amburgo nel 1809, ma molto più lunga fu la distanza dai tempi delle composizioni dell’amburghese, già eccellenti negli anni Trenta, quindi almeno dieci anni prima rispetto a quella di Wagner, se prendiamo L’Olandese volante come punto di riferimento. Bisogna però dire che Mendelssohn fu un’eccezione per la rapidità con cui giunse a ottenere risultati pregiatissimi e, in tal senso, il paragone con Wagner pare ingeneroso, fermo restando che non è certo l’età nella quale viene scritto un brano che ne determina il valore.
Wagner apprezzò di Mendelssohn solo Le Ebridi, la cui atmosfera venne ripresa ne L’Olandese volante. Dopo la morte di Mendelssohn, Wagner esprimerà «Accuse velenose, poi ribadite da Cosima, e attaccherà il compositore anche in quel Sogno d’una notte d’estate ch’è uno dei suoi capolavori. Tali critiche furono poi raccolte da G. B. Shaw che vedeva in Mendelssohn un esponente della cultura vittoriana che lui detestava».[3]
Se i rapporti di Mendelssohn con Wagner non furono buoni, anche quelli con Berlioz non furono improntati a stima e affetto. Mendelssohn aveva incontrato Berlioz a Roma, amava la sua compagnia, ma ne disprezzava la musica, trovava l’orchestrazione di Berlioz talmente ‘sporca’ che dopo aver letto una sua partitura bisognava lavarsi le mani! Poco dopo aver conosciuto Berlioz, Mendelssohn scrisse alla madre di non aver mai incontrato un musicista meno dotato, di scarsa cultura e di poca conoscenza della musica di Bach. Il musicista francese ebbe un’ondivaga ammirazione per Mendelssohn, volta però spesso al negativo, «Ama troppo i morti». Mendelssohn era avvinghiato alla concezione del Geist, mentre Berlioz a quella dell’Esprit, severità e rigidità contro tolleranza ed eclettismo.
A Parigi Mendelssohn si era incontrato con Liszt e Chopin, con i quali ebbe rapporti cordiali. Nella capitale francese, la sua ouverture Ein Sommernachtstraum (composta nel 1826) e la Sinfonia detta de “La Riforma” (scritta nel 1830) furono accolte con freddezza. L’ostilità del critico Fétis permase anche negli anni successivi, infatti, nella sua Biographie universelle, stampata nel 1865, riportò giudizi negativi su Mendelssohn.
Fra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta, Mendelssohn fu uno degli autori di musica orchestrale più rinomati in Europa e questo creò un certo disappunto in Wagner che poco stimava Mendelssohn per il suo gusto convenzionale, classicheggiante, elegante, ma troppo salottiero e in questo sembra aver influito la moglie di Mendelssohn, Cäcilie Jeanrenaud, sposata nel 1837, che spinse il marito verso una musica di facile ascolto.[4] Nel 1840 fu nominato direttore della Reale Accademia di musica di Berlino, in quegli anni furono composte le celebri musiche di scena che ebbero un clamoroso successo. Alla fine del 1844 lasciò Berlino e tornò a Lipsia per occuparsi di nuovo del Gewandhaus. Fu allora che incontrò personalmente Wagner, il quale, con molta ipocrisia, cercò di sfruttare la conoscenza e si dichiarò suo ammiratore. Mendelssohn apprezzò sinceramente L’Olandese volante e diresse nelle sue Stagioni musicali l’ouverture di Tannhäuser.[5]
In casa del cognato di Wagner, Fritz Brockhaus, si faceva molta musica, anche di Mendelssohn e, durante un concerto di Lieder schubertiani, al quale partecipava anche il celebre soprano Schröder-Devrient, Wagner ebbe l’impressione che Mendelssohn fosse geloso di lui, che nient’altro era che un musicista alle prime armi, nonostante il successo di Rienzi.
Notai in quest’occasione la strana inquietudine ed eccitabilità con cui quest’uomo, al sommo della fama e dell’autorità, considerava, o meglio spiava un giovane maestrino qual io ero. Era chiaro che per lui un successo teatrale, e fosse pure anche a Dresda, non contava granché, e che egli mi classificava senza dubbio in una categoria di musicisti dei quali non si curava e con i quali credeva di non aver nulla a che fare. […] Comporre un’opera era da tempo il suo maggior desiderio; poteva essergli motivo di dispetto che inaspettatamente gli attraversasse la strada proprio un simile successo [quello di Rienzi] prima ch’egli fosse riuscito a tanto, e ottenuto in maniera volgare con una musica ch’egli aveva tutte le ragioni di giudicar cattiva. E non meno sgradito doveva riuscirgli il fatto che la Schröder-Devrient, a lui così vivamente affezionata e da lui apprezzata nella sua genialità, prendesse così apertamente le mie parti.[6]
Wagner parla poi di un concerto con musica di Mendelssohn mal riuscita, ma tutto ciò va inteso con cautela, talmente evidente è il partito preso di Wagner che rende false le parole della sua autobiografia, dettata a Cosima e dove la moglie avrà potere di censura e di condizionamento. Fatto sta che i caratteri dei due erano davvero troppo diversi, differente era la loro estrazione sociale e la loro educazione culturale, troppo dissimile la loro visione dell’arte perché tale e dell’arte nella società, oltre che opposte le prospettive.
Nel 1843, in occasione della prima rappresentazione de L’Olandese volante a Berlino, Wagner ebbe la possibilità d’incontrare ancora Mendelssohn che aveva assistito all’esecuzione: «Ne aveva seguito le vicende con una faccia smorta. […] Lo vidi diverse volte durante il mio breve soggiorno a Berlino; circa L’Olandese volante non uscì mai più una parola dalle sue labbra».[7] Nello stesso anno i due grandi compositori si rividero a Dresda, in occasione dell’esecuzione dell’oratorio Paulus diretto dallo stesso Mendelssohn, al quale fu affiancata l’Ottava sinfonia di Beethoven diretta da Reissinger. Wagner racconta in La mia vita di esser stato «stupefatto» dal fatto che Mendelssohn apprezzasse la direzione di Reissinger che prendeva il tempo di minuetto del terzo movimento in un ritmo di valzer: «Fui così stupefatto di questa totale insensibilità da parte del celebre musicista che rimasi senza parola e d’allora in poi mi formai su di lui la mia opinione».[8]
Ai primi di settembre 1850, Wagner pubblicò l’articolo Il giudaismo in musica nel quale gli attacchi agli ebrei avevano come bersaglio Meyerbeer e Mendelssohn. In quegli anni anche l’antica e conveniente amicizia verso Meyerbeer si tramutava in odio per l’uomo fortunato, circondato da troppo e immeritato successo, inoltre ebreo! Eppure Wagner, fin dalla nascita, fu attorniato da ebrei. Il caso di suo padre è noto (e bizzarro perché neanche Wagner fu mai sicuro di chi fosse suo padre), così com’è risaputo dell’indispensabile presenza in casa Wagner dei pianisti Karl Tausing e Joseph Rubinstein, per tacere dell’imbarazzante numerosa presenza di ebrei nella cerchia di Bayreuth, fra cui l’insostituibile Hermann Levi (e, caso ironico, perfino l’amministratore di Bayreuth, Chon, era ebreo). Wagner sapeva opportunisticamente destreggiarsi fra un odio mirato e a lui conveniente, come l’aver discreditato Mendelssohn e Meyerbeer, e un atteggiamento più equilibrato che lo faceva ragionare sull’importanza di molti ebrei a lui vicini. Negli articoli, più astratti e sommari, fu invece sempre molto duro. Per certi versi la parola ‘ebreo’ fu per lui un sinonimo di quello che era il termine ‘filisteo’ per Schumann. Capendo che questa parola era usata secondo i casi, seguendo una trama tattica di convenienze, Liszt disse che gli ebrei erano per Wagner una categoria generica.
Se i rapporti con la linea Berlioz-Liszt-Wagner non furono buoni, Mendelssohn strinse una profonda amicizia con Schumann il quale lo identificò con l’agognato equilibrio sia come persona sia come musicista, lo ammirava come uomo colto e raffinato e come compositore dal suono ‘rotondo’ e dal bel fraseggio. Si sa che il giovane Robert studiò pianoforte con Wieck, ma la sua formazione musicale fu sostanzialmente autodidattica, come quelle di Berlioz, Liszt e Wagner (e Verdi) e come loro ebbe una forte attrazione per la letteratura (il padre era un editore) tanto da tentare la scrittura di un romanzo e di una tragedia. Frequentò Heine, come Wagner, e come lui girò per le città di Dresda, Praga, Lipsia, dove conobbe, in casa Wieck, la futura moglie Clara. Curioso è notare che il giovanissimo Wagner frequentò a Lipsia la biblioteca di Wieck, il quale gli consigliò alcuni testi di armonia e contrappunto e lo iniziò allo studio di letterati e filosofi. Come Wagner, Schumann dimenticò l’Università; come Berlioz e Liszt fu ammaliato da Paganini, infatti, dopo l’ascolto di un concerto di Paganini scrisse una lettera alla madre nella quale le comunicava di volersi dedicare interamente alla musica. Studiò composizione prima con Kupsch, poi con Dorn con il quale anche Wagner ebbe rapporti.
Il 3 aprile del 1834 fu pubblicato il primo numero della rivista «Neue Zeitschrift für Musik», da Schumann diretta e redatta, rivista che ebbe un’importanza straordinaria sia per il modello di critica musicale che proponeva sia per l’attacco ai ‘filistei’, alla concezione Biedermeier della musica; il modello era la «Gazette Musicale» di Parigi. Wagner collaborò con qualche articolo. Dopo che Mendelssohn aveva assunto la direzione del Gewandhaus, nacque fra lui e Schumann una sincera fratellanza. Fino al 1840 Schumann si dedicò con fervore al pianoforte, ma non vide, come il primo Liszt, questo strumento come un mezzo per stupire il pubblico; più vicino alla poetica di Chopin lo strumento per lui era un prolungamento dell’interiorità e al pianoforte (e alla voce nei Lieder) affidava sospiri e confessioni. Non amava Kalkbrenner, Herz, Hunten, Döhler; la sua poetica del suono passò a Clara.
Non è solo curioso, ma assai importante notare come Schumann (e Clara) e Liszt (e Chopin) furono quegli eccellenti pianisti che la storia ci ha consegnato, mentre Berlioz e Wagner non seppero suonare il pianoforte o lo seppero suonare molto male (Wagner approfittava delle presenze di Liszt per farsi suonare le partiture oppure ingaggiava dei pianisti che lo aiutassero). Il non rapporto con questo strumento, perlomeno ad alto livello (perché a livello embrionale Wagner usava il pianoforte) spiega molte cose sia per la personale concezione formale di Berlioz sia per l’eccesso di struttura drammaturgica e di pensiero filosofico in Wagner.
Il tentativo di allargare la mano sulla tastiera il più possibile era causato dall’evoluzione delle possibilità tecniche dello strumento e i nuovi virtuosi furono ossessionati dall’estensione della mano e cercarono di sviluppare figurazioni manuali ben superiori all’ottava. Dopo i problemi alla mano destra, Schumann iniziò ad avere anche disfunzioni del suo stato di salute che si faceva sempre più precario[9] e che lo costrinse ad abbandonare la sua rivista (che venne rilevata da Bendel); alla fine del 1844 si trasferì da Lipsia a Dresda (nel frattempo anche Mendelssohn aveva abbandonato il Gewandhaus). È da notare che la musica sinfonica dei decenni 1840-50 appare non eccelsa; dopo la Sinfonia in re minore di Schumann (in origine la n. 2 ma pubblicata come la n. 4) poche sono le eccezioni, questa sensazione di second’ordine è data anche dalla crescita inarrestabile della musica wagneriana.
Nei diari di Schumann, in una pagina datata 12 febbraio 1843, è stato annotato il fastidio che Robert e Clara provarono durante l’ascolto di Rienzi e l’imbarazzo nel trovarsi poi di fronte alla «sgradevole» presenza di Wagner.[10] Nel 1845, Schumann assistette alla prima rappresentazione de L’Olandese volante e Wagner ricorda quel momento in La mia vita.
Lo conoscevo già da Lipsia; press’a poco nello stesso tempo avevamo cominciato la nostra carriera musicale; per la «Neue Zeitschrift für Musik», che egli un tempo dirigeva, avevo scritto in diverse epoche alcuni soggetti, tra questi uno alquanto più esteso sullo Stabat Mater di Rossini eseguito a Parigi. […] Facevamo ogni tanto qualche passeggiata insieme e, per quanto era possibile con quell’uomo taciturno, ci scambiavamo le nostre opinioni. […] La sua compagnia non mi fornì alcun vero stimolo intellettuale; e che egli fosse troppo chiuso perché io potessi fornirne a lui, apparve ben presto chiaro, specialmente a proposito della sua concezione poetica per Genoveffa. Mi accorsi che il mio esempio aveva avuto un’influenza puramente esteriore su di lui, e limitata, in sostanza, al fatto ch’egli trovava opportuno scriversi da sé il libretto dell’opera. Certo, egli m’invitò in seguito per leggermi il suo testo. […] Ma quando io, animato da sincera sollecitudine e dal profondo desiderio di giovare alla riuscita del suo lavoro, gli feci notare i grandi difetti e gli proposi le modificazioni opportune, allora compresi che strano uomo egli fosse. […] Così la cosa si fermò lì.[11]
Fra il 1847 e il ’48 Schumann compose Genoveva che Wagner, nel suo furor polemico, giudicherà «grossolana e volgare», senza accorgersi di una certa vicinanza musicale di quest’opera, per l’uso dei rimandi tematici e per l’armonia, con il suo Lohengrin scritto l’anno precedente. Nell’oratorio Das Paradies und die Peri, Schumann pare vicino, specialmente nella parte della Peri, allo stile de L’Olandese volante. Per quegli intrecci che la cultura dell’epoca ama realizzare, è importante ricordare che, nel 1846, Schumann partorì l’idea di comporre un Tristan und Isolde.
Seppur da un punto di vista diverso, Schumann è un compositore vicino a Wagner per aver affrontato gli stati patologici dell’emotività, per aver camminato in quel regno fra sogno e realtà, per aver abitato una logica diversa da quella borghese, fino all’anti-logica della pazzia; gli erano, invece, estranei gli aspetti ideologici e politici, gli atteggiamenti speculativi, anche a livello estetico e poetico di Wagner, oltre – naturalmente – a un differente modo di utilizzare le risorse tecnico-formali.
Non si sa esattamente quali brani di Schumann fossero conosciuti da Wagner, ma si sa dei giudizi negativi sulla tarda produzione, che Wagner pensava influenzata da Mendelssohn; giudizi ai quali non era estraneo il disprezzo di Wagner per gli atteggiamenti codini e legittimisti a livello politico. Nel 1849, allo scoppio dei moti rivoluzionari di Dresda, Schumann si trovava in questa città e fuggì nella vicina cittadina di Maxen. Dopo che anche Wagner fu costretto ad andarsene, perché ricercato dalla polizia prussiana, si liberò il posto di direttore del teatro, al quale per un attimo Schumann aspirò, ma senza risultato.
Se i rapporti con Wagner furono tesi quelli con Liszt furono improntati alla reciproca cordialità; Schumann apprezzò molto l’attività di Liszt anche se più quello di pianista o di trascrittore che non quella propriamente compositiva. Dal canto suo Liszt si dimostrò interessato alle composizioni di Schumann, seppur privilegiando quelle più spettacolari, come il Carnaval o Des Abends n. 1 o i Pezzi fantastici op. 12, escludendo altri pezzi, come i Kleisleriana, che mal si adattavano ai gusti del pubblico. D’altra parte la stessa Clara Wieck, in una lettera a Robert del 4 aprile del 1839 scrisse: «Non potresti per una volta comporre qualcosa di brillante, facilmente comprensibile?» Lui era a Lipsia e lei a Parigi, dove sceglieva i modi, i tempi e le sale per i suoi concerti, occupandosi anche delle questioni pratiche. In maniera provocatoria Clara aveva già sollecitato, qualche tempo prima, il futuro marito a scrivere in maniera più diretta e felice: «Ascolti: il signor Wagner l’ha superata con la sua Sinfonia che fu eseguita qui».[12]
Clara era più mondana di Robert, aveva fatto e stava facendo diverse tournée, compresa quella importante che toccò, nel 1837, le città di Berlino, Lipsia, Vienna; aveva visto bene com’era il mondo musicale, e a Parigi, nel 1840 (anno della pubblicazione delle sue Tre romanze op. 11), ebbe modo di rendersi conto che la musica di Robert difficilmente poteva entrare nel circuito delle sale parigine. Da qui anche una certa invidia per Liszt, tratteggiato ora come un caro amico ora come un mendace musicista. Proprio nello stesso 1840 furono pubblicati gli Studi di bravura dai Capricci di Paganini di Liszt, dedicati a Clara; Schumann li recensì due anni più tardi e pur apprezzandoli nel complesso scrisse una frase assai rivelatrice della differenza dei due modi d’intendere la musica: «Il contenuto musicale di fondo spesso non sta in nessun rapporto con le difficoltà tecniche», che è un modo per riaffermare la sua idiosincrasia per ciò che Clara aveva definito «brillante».
Subito dopo la morte di Liszt, Clara scrisse: "Ieri, il 31, Liszt è morto a Bayreuth – ancora una volta un uomo eccezionale è sceso nella tomba. Quanto mi rattrista il non poterne piangere la scomparsa con sentimenti non contraddittori. Tutto l’orpello intorno a lui oscura l’immagine dell’artista e dell’uomo. Era un grande virtuoso del pianoforte, ma un modello pericoloso da imitare per i giovani. Quasi tutti i pianisti della nuova generazione lo imitarono, ma mancavano della sua mente, del suo genio, della sua delicatezza di tocco, cosicché oggi non abbiamo niente più che grandi maestri di tecnica e un bel numero di caricature. Tuttavia Liszt era un cattivo compositore – anche per questo aspetto egli fece del danno a molta gente, ma questo non è così importante perché le sue composizioni mancano di tutte le qualità che ho menzionate in quanto appartenenti a lui come virtuoso; sono triviali, pesanti, e spariranno presto ora che lui se n’è andato. Il suo fascino personale e la sua brillante esecuzione hanno sempre fatto girare la testa alla gente, e così le sue opere sono state accettate. Da giovane era la persona più affascinante ma più tardi mischiò così tanta civetteria alla sua vera disposizione intellettuale e accattivante che spesso lo trovai sgradevole."[13]
Il commento di Clara, fra l’altro scritto in un momento emotivo in cui, di solito, si è commossi dalla morte di chicchessia, dimostra quanto la presenza di Liszt sia stata ingombrante nella sua vita e in quella del marito; manifesta inoltre l’incapacità di sintonizzarsi su uno stile, come quello di Liszt, diverso da quello di Robert, definendolo addirittura un «cattivo compositore»; palesa altresì il solipsismo che attanagliò lei e suo marito, facendo rifiutare soprattutto a Robert tutto ciò che andava oltre alla sua interiorità; infine manifesta, di là da ogni possibile incrocio e assimilazione reciproca, le fondamentali diversità fra due linee poetiche, estetiche, musicali che sono state parallele e raramente convergenti.
Con Wagner fu ancora più acida, nel diario di Clara si legge: «Un telegramma annuncia la morte di Wagner – è un avvenimento». Più tardi, scrivendo a Hermann Levi, scrisse: «Sebbene noi avessimo la sfortuna di non andare d’accordo su Wagner, io so tuttavia cosa fosse per Lei e partecipo calorosamente al dolore che Le è piombato addosso».[14]
Lo schema narrativo del racconto alla Berlioz o alla Liszt o dell’epica alla Wagner è opposto al frammento narrativo alla Schumann. Però le linee di comportamento formale, intuitive e associative, hanno un qualcosa di comune in tutti i compositori, che raramente procedono per deduzione logico-formale. Se per Schumann (e poi per Brahms) il grande racconto sembra finito con la fine degli anni Venti (con la morte di Goethe, Hegel e Beethoven), per Liszt, Berlioz, Wagner, ciò è ancora possibile, seppur con mezzi e finalità diverse da quelle beethoveniane, e queste modalità differenti si possano sintetizzare nell’eclettismo stilistico, come d’altra parte afferma anche Schumann: «Il sapere mettere insieme (comporre) cose diverse ha molta importanza nell’arte musicale».
La ricerca armonica basata su un’accentuata tensione cromatica è estranea a Schumann, il quale, specie nelle composizioni per pianoforte ricorre invece a uno sfasamento dei processi armonici ovvero la linea del basso non è posta in coincidenza con quelle sovrastanti, si realizza ciò che viene detto displacement. Con questo procedimento della differenza di posizione fra le parti che non sono più in sincrono Schumann crea situazioni tonali particolari e ai limiti delle leggi del sistema che si allarga non per l’inserimento del cromatismo o di note estranee come avviene nella musica di Wagner ma per scomposizione dei campi armonici nel loro disporsi temporale.
Come per la prima e seconda versione della Symphonie fantastique, anche per la produzione schumaniana successiva al decennio pianistico avvenne il passaggio da un atteggiamento introverso e riversato, dove la soggettività si aggroviglia con i suoni, a una maniera più distaccata, nella quale la materia musicale è osservata un po’ più da lontano, passando da un pianoforte inteso in modo assolutamente soggettivo a una musica più ‘oggettiva’ ossia la prontezza dell’intuizione e l’esigenza alla confessione cedono il posto a un più razionale modo d’intendere la materia sonora, dove il Witz, l’ingenium, la fantasia e l’emotività, non spariscono ma lasciano il posto principale all’ironia. Il termine tedesco Fantasieren significa sia improvvisazione manuale sia immaginazione mentale. È un modo di concepire e operare estraneo a Wagner, il quale non aveva la virtù dell’ispirazione immediata e doveva passare dai filtri del pensiero e dalla costruzione strutturale.
L’intreccio delle vite e delle opere di Wagner, Mendelssohn e degli Schumann si costruisce nei loro anni giovanili, quelli di un’ebollizione culturale Sturm und Drang, si chiarisce per contrasto, ma a volte proprio il confronto fra diversità mette meglio in luce i rispettivi caratteri e ci aiuta a posizionare meglio i percorsi artistici, fermo restando che ogni relazione, sia in positivo che in negativo, lascia delle tracce su tutti coloro che si sono incontrati e lascia sempre un quid d’indefinito e di contraddittorio (che fa la felicità degli ermeneuti), incoerenze e ambiguità che si riscontrano fra i nostri musicisti e che furono – proprio in quanto tali - foriere di una trama passionale straordinaria e piena di contraddizioni irrisolte.
Da Renzo Cresti, Richard Wagner, la poetica del puro umano, LIM, Lucca 2012.
[1] Un altro fatto importante che vide protagonista Mendelssohn a Lipsia fu l’inaugurazione, il 2 aprile del 1843, del nuovo Conservatorio a cui Mendelssohn si dedicò attivamente, sia come organizzatore sia come insegnante.
[2] MARIO BORTOLOTTO, Corrispondenze, Adelphi, Milano 2010, p. 86.
[3] RAOUL MELONCELLI, Attualità di Mendelssohn, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», n. 2, Roma 2010, p. 155; questo numero della rivista è interamente dedicato a Mendelssohn e ai suoi rapporti con l’ambiente culturale italiano, riportando anche molte lettere, curate da Claudio Bolzan.
[4] Il ruolo della moglie di Mendelssohn fu simile a quella della principessa Sayn-Wittgenstein che spinse Liszt a scrivere in modo da star dietro ai gusti del pubblico.
[5] GUIDO PANNAIN, Richard Wagner, Curci, Milano 1964, pp. 53-54. «Il primo incontro di Richard Wagner e di Felix Mendelssohn, quali persone fisiche, fu un’insignificante apparenza. Si videro dal di fuori e parve che ognuno dei due tenesse a nascondere all’altro qualcosa di sé. Le loro vite furono differentemente ordinate; quella di Mendelssohn tutta anticipata nella giovinezza e destinata a rapido consumo. La precocità di Mendelssohn ricorda, in qualche modo, quella del Leopardi. La vita giovanile ha già in sé un che di maturo e compiuto e pare che non s’abbia più nulla da attendere da essa. Si è precoci anche nella morte. Wagner seguì invece un cammino naturale e lento. Il genio artistico era estraneo al travaglio sregolato della sua prima giovinezza. S’incontrò col Mendelssohn in una differente posizione di orizzonti. Questi era tutto lui e aveva già dato il meglio di sé. Wagner aveva dato il Rienzi, L’Olandese volante, preparava Tannhäuser. Passarono l’uno accanto all’altro; si videro senza guardarsi. Noi, che abbiamo guardato l’uno e l’altro attentamente, sappiamo meglio, di loro. Wagner agiva sul medesimo terreno di Mendelssohn che era giovane ma tuttavia alla fine; non come forma, apparenze, genere e atteggiamento ma per spirito di musica. Avevano un modo di porgere, l’uno e l’altro, che si svolgeva per articolazioni somiglianti; acque limpide che specchiavano lo stesso colore di cielo con un panorama di Lied. La bella Mulesina è sorella maggiore delle Ondine. Wagner appartiene all’avvenire di Mendelssohn, ma questi non ne sa niente e dinanzi al Tannhäuser scrolla le spalle. Aveva compiuto il proprio cammino terreno mentre l’altro ora cominciava il suo».
[6] RICHARD WAGNER, La mia vita, vol. I, p. 309.
[7] RICHARD WAGNER, La mia vita, vol. I, p. 336.
[8] RICHARD WAGNER, La mia vita, p. 344. TEODORO CELLI, nel suo libro Il Dio Wagner, Rusconi, Milano 1980, a p. 76 trova dei prestiti di Wagner tratti dalla musica di Mendelssohn: «Basta ascoltare La bella Mulusina per trovarvi il ‘tema del vagheggiamento’ del Ring; e la Sinfonia scozzese per riconoscervi il ‘tema del presagio di morte’ sempre nel Ring; e la Sinfonia della Riforma per sentirvi l’amen di Dresda che dominerà il Parsifal».
[9] Sulle tenebre che caddero nella mente di Schumann, sui suoi spasimi e la malattia cfr. ALESSANDRO ZIGNANI, Il richiamo dell’Angelo, Florestano edizioni, Bari 2009.
[10] ROBERT SCHUMANN, Tagebücher, vol. II, VEB Deutscher Verlag für Musik, Leipzing 1987, p. 257: agli Schumann creò disagio l’atteggiamento logorroico e arrogante di Wagner che venne definito sgradevole.
[11] RICHARD WAGNER, La mia vita, vol. I, pp. 397-398.
[12] Si tratta della Sinfonia in do, presentata al Gewandhaus, dopo la prima esecuzione a Praga. Cfr. PIERO RATTALINO, Schumann, Robert e Clara, Zecchini, Varese 2002, p. 58.
[13] PIERO RATTALINO, Schumann, Robert e Clara, pp. 212, 213.
[14] PIERO RATTALINO, Schumann, Robert e Clara, pp. 213, 214.
Ad Alberto Cristani