home
La creazione estemporanea
Intervento di Renzo Cresti al Convegno organizzato a Lucca nella giornata europea del jazz
Auditorium di san Micheletto, 30 maggio
 
 
La creazione estemporanea
 
La parola ‘jazz’ ha assunto, fin dal suo diffondersi in tutto il mondo, dalla seconda parte del Novecento in avanti, vari significati, a volte anche molto differenti fra loro. Molti pensano al jazz delle origini, come lascia presupporre il titolo del convegno Suono e canto dell’istinto dei popoli, ma che il jazz non sia solo e non sia più legato all’istinto e ai popoli intesi in senso antropologico è cosa accertata da decenni, però, nell’immaginario collettivo questa è la musica dei neri che provenivano dall’Africa, che lottavano contro il razzismo e per la libertà (contro la segregazione hanno lottato anche altre musiche non solo il jazz, da quelle popolari al rock alla musica classica, non è possibile caratterizzare il jazz come la musica della libertà perché è una prerogativa anche di altre musiche e legata a un periodo determinato).

Molti appassionati sono fermi all’epoca dello swing, certamente un periodo d’oro che riporta a una musica da ballo e leggera, forse per questo particolarmente fortunata; altri amano il be bop, altri ancora altri stili in una suddivisione sempre più legata al gusto e all’atteggiamento del collezionista; anche negli altri generi vi è questo frazionamento dell’ascolto: nel classico c’è l’ascoltatore che sa tutto su La Traviata e null’altro, nel rock c’è colui che ascolta solo l’Heavy metal e null’altro etc. Sono segmentazioni che negano la storia e la cultura, ovviamente ammissibili sul piano individuale un po’ meno su quello istituzionale.

Da almeno 40 anni ossia dal passaggio epocale dal Moderno a Postmoderno, il jazz si è globalizzato e questo nome è diventato un enorme contenitore nel quale convivono, più o meno pacificamente, contaminazioni, attraversamenti, sovrapposizioni, incroci, strumenti etnici o elettronici, fusion e world music, sound differenti ma anche e soprattutto funzionalità diverse. Lasciando perdere il jazz americano e extra europeo, anche solo concentrandosi su quello dell’Europa occidentale si notano una gran quantità di atteggiamenti, difficilmente riconducibili a un minimo comun denominatore, allora, almeno per capirsi su alcuni aspetti basilari, andrebbe individuato uno o più elementi che vanno a costituire ciò che chiamiamo jazz, altrimenti la parola va a significare le musiche di tutto lo scibile umano.

È difficile parlare di jazz al singolare, come se fosse un genere fisso e una tendenza stabile, sotto la classificazione di musica jazz vivono esperienza anche molto diversificate fra loro, alcune guardano verso la musica classica, altre verso l’elettronica, altre ancora verso musiche etniche, proveniente da zone geografico-culturali anche molto lontane fra loro, in un tentativo di fusione o sintesi di stilemi provenienti da mondi che, purtroppo, raramente vengono vissuti; ma forse l’esperienza che ha preso il sopravvento è quella che si rifà alla canzone. Al di là degli standard utilizzati e al di là della qualità con cui vengono realizzati, vi è un atteggiamento che dovrebbe essere alla base di ciò che chiamiamo musiche jazz ossia la creazione estemporanea con i suoi tratti sostanziali.

Nel jazz la musica sembra prodursi da sé, sotto l’ispirazione dello strumentista/autore, il quale riesce a mettere in secondo piano la sua personale determinazione per lasciarsi guidare dall’affluire incessante dei suoni. Il jazzista non indirizza il fluire sonoro ma si dispone ad assecondare il fluire stesso, pronto semmai ad aggiungere nuova energia; è contemporaneamente l’animatore e il seguace del processo sonoro ed è dall’abilità con cui interpreta questo doppio ruolo che deriva la qualità dell’operare. Nel jazz l’opera s’identifica con il fare, il concetto di forma, così fondamentale nella musica classica, coincide con il processo sonoro.

Il processo si modifica di continuo, a seconda degli input che riceve dai musicisti, dalle loro idee che sono sempre collettive, è per questo che l’ascolto di un brano jazz riserva più sorprese di uno classico, il tragitto sonoro non è del tutto prevedibile, semplicemente perché non è previsto dagli stessi interpreti, da qui un senso di instabilità che spesso la musica jazz produce. Il processo potrebbe durare all’infinito, almeno fino a quando gli esecutori vi immettono forze nuove, per cui lo svolgimento creativo si ferma quando i musicisti sentono che la prestanza sonora si sta esaurendo.

Occorre grande padronanza tecnica e ottima conoscenza dei processi improvvisativi per dar vita alla creazione estemporanea, ma bisogna avere pure molta umiltà per non porsi al centro ma essere consapevoli che il processo ha sempre un centro mobile. Non basta saper ascoltarsi e ascoltare gli altri, questo è necessario in ogni forma collettiva, occorre avere anche una raffinata sensibilità per proporre al momento opportuno e col modo giusto le proprie idee musicali e una prontissima reattività nel rispondere, sempre con i toni appropriati, alle sollecitazioni dei compagni del viaggio sonoro. In un opera che si compie mentre si fa ogni mossa, anche la più minima, deve rispettare l’insieme, altrimenti il sottile equilibrio del tutto si sbilancia.

Il senso deriva dallo svolgersi nel tempo delle continue trasformazioni, delle allusioni, dei richiami, delle citazioni, delle riprese e dei rilanci, in una metamorfosi sonora che avvolge e dona un sentimento di soddisfazione non solo dell’orecchio ma pure del cuore e della mente.

Anche nel caso di un’esecuzione solistica occorre che il musicista ascolti ciò che alla mente sale e che, prima di portare i suoni alle mani, verifichi istantaneamente se idee e sensazioni sonore sono funzionali al percorso musicale che sta intraprendendo. Occorre un auto-controllo assoluto oppure, visto che i jazzisti sono spesso istintivi, un lasciarsi andare confidando che ciò che viene alla mente e passa subito alle mani siano i suoni più idonei a proseguire il viaggio sonoro. In ogni caso, il dialogo fra sé e sé è indispensabile, nessun spartito lo può sostituire e ogni interpretazione sarà differente dall’altra.


Cresti è direttore artistico del festival internazionale di musiche jazz, Anfiteatro jazz, http://www.anfiteatrojazz.it/







Renzo Cresti - sito ufficiale