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Un capolavoro di Carlo Alessandro Landini, il quartetto "Changes" eseguito dagli Arditti
E' appena uscito il cd  Stradivarius STR 37077, di un brano, Changes, che fino a ora era stato misconosciuto nella produzione artistica di Carlo Alessandro Landini, un lavoro, scritto fra il 1989 e il 1990, di grande valore e suggestione, ora inciso dal celeberrimo Quartetto Arditti il quale, dal 1974, anno della sua fondazione, ha acquisito una fama universale, grazie non solo alle straordinarie capacità tecnico-esecutive ma anche per la sua rara sensibilità interpretativa che permette di entrare dentro ai pezzi presentati, come solo una costante abitazione e attraversamento dei sentieri della musica di oggi può permettere e come dimostra l'incisione di questo bellissimo quartetto di Landini.

La cultura e l’eloquio di Landini (Milano 1954) scorrono fluide e sincere, come le acque impetuose di un fiume in piena, come le confessioni di un’anima romantica, come i segni sinuosi degli arabeschi barocchi, filtrati da una presenza della cultura odierna partecipata con lucidità. L’horror vacui, a cui conduce la vera cultura romantica, non solo assimilata ma naturale in Landini, la sua complessa struttura psichica, la nostalgia esistenziale, la rêverie, questo orrore del vuoto si lega anche alla cultura barocca, che copre il vuoto con una ricchezza di oratoria, a volte sproporzionata, ma che allontana la paura della morte. Un’e(ste)tica dell’eccesso, dove le riflessioni sul pensare e fare musica sono inscindibili dall’etica del comporre. Ma il quartetto in questione è diverso, come vedremo.

Nel gigantismo occorre ricercare una misura che, spesso, è perfino evidente quale forza anti-entropica e anabolica, garante della coerenza della forma, ma la Himmlische Länge non appartiene ai pezzi giovanili ma si va allargando via via e non sempre. Landini è costituzionalmente un musicista maudit, dedito all’elogio dell’avventura, basato su un’utopia di vita del tutto personale, tali avventure si esplicano compositivamente in andamenti ellettici e in un linguaggio che recupera segmenti di lingua, attraverso la memoria involontaria, o inventa idiomi che parrebbero sfilacciati fra loro ma sono invece tenuti insieme da una retorica ben consapevole di sé. Una consapevolezza che in Changes è assoluta, elegante e precisa nei particolari minimi.

La grana minuta, l’abilità nel trattamento delle parti, la tensione melodica, la ridondanza, così importante nel sistema della percezione sono alcune delle costanti della scrittura di Landini, una sorta di sue invarianti della percezione o di individuazione linguistica, mille miglia lontane dall’imperante easy listening. Se un certo modo di procedere vigile e attento ai particolari può avvicinare Landini agli amati Schubert e Brahms, la continua erranza trascina con sé molteplici aspetti, pure schegge e ceneri, portandosi dietro tutto, anche la febbre.

Le sue Sonate pianistiche rappresentano un unicum nell’intero panorama internazionale, dimostrano come si possa scrivere brani lunghi e articolati, tenendoli insieme da collegamenti formali più o meno esoterici e, soprattutto, da elementi retorici profondamente motivati da esigenze culturali, Sonate che irridono i tanti pezzettini brevi di cui la musica contemporanea è infestata.

La monumentale Sonata n. 5, che può durare dalle 3 alle 7 ore, è l’esaltazione di un’eloquenza musicale, la sua ellittica vastità può causare delle incomprensioni, ma non c’è alcuna mentalità del record né si cerca di stupire né di sproloquiare tirando, come si dice, il can per l’aia; proprio il quartetto Changes ne è la controprova. La sua magniloquenza è ridondante e ampollosa ma straordinariamente seducente perché mai fine a se stessa, anzi, con un’efficacia oratoria che rende questo affascinante percorso di suoni come flusso di coscienza; la vastità sconfinata non è assimilabile alla vacua prolissità, ad un parlarsi addosso riscontrabile in tanti altri compositori, è funzionale alla trascendenza, allo sospensione del tempo degli orologi per addentrarsi profondamente in quello psicologico, in quel tempo/spazio misterioso dove soggiornano i nostri più remoti (bi)sogni e paure, desideri e implorazioni, un tempo che è vicino a quello della preghiera, delle suppliche, delle invocazioni, della devozione panica a un tempo universale. È così che l’assoluto entra dentro al cuore della musica di Landini.

Tempo/spazio misterioso che si presenta anche in Changes, una temporalità e spazialità che molto hanno a che vedere col concetto di sacro, un tempo/spazio che muta costantemente, eppure rimane fermo su un reb, un cambiamento che riguarda la vita quotidiana, lo scorrere di Chronos, e una staticità che riguarda il recinto della sacralità, lo stra-ordinario. Uno stato volge al successivo eppure rimane in sé immutato.

Agli anni fra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila, appartengono composizioni di grande valore, fra cui soprattutto questo quartetto d’archi Changes, un piccolo capolavoro, basato sulla riflessione, tipica di Landini, del tempo/spazio (musicale ma anche psicologico e filosofico): è impostato su una serie di presenti che, pur nella loro (e)staticità, si relazionano a continui cambiamenti (da qui il titolo, realizzando una caleidoscopica continuità che si (auto)disgrega, formando schegge sonore dove attimi e transitorietà convivono: «Concepisco il cambiamento come un passaggio da uno stato al successivo e amo credere che ogni stato, considerato per se stesso, rimanga immutato per tutto il tempo durante il quale si produce».[1]

Una grande interpretazione degli Arditti, una grande incisione di un grande pezzo e, diciamolo pure, di uno dei grandi compositori del nostro presente.




[1] CARLO ALESSANDRO LANDINI, Note di copertina al cd Stradivarius 37077, Changes eseguito dal Quartetto Arditti. 

 




Renzo Cresti - sito ufficiale