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Album "Holos" di Brizzi-Manet, intervista ad Aldo Brizzi
Lo straordinario album "Holos" di Brizzi-Manet, appena pubblicato in Musica Presente Records sta avendo ascolti molto alti sulle piattaforme digitali, soprattutto nella fascia di età 28-34, negli Stati Uniti (ascolti record a Buffalo!), in Germania e in Italia, il brano più ascoltato è "Summa Iuri".

Intervista di Renzo Cresti ad Aldo Brizzi su Horus, album realizzato assieme a Raghumath Manet, Musica Presente Records 2021
 
Quando hai conosciuto Manet e come è nato questo progetto?
Ho conosciuto Raghunath Manet a Parigi circa 10 anni fa. All’epoca stavo lavorando a un progetto sul Gita Govinda di Jayadeva. Conoscevo Raghunath come danzatore di danza tradizionale indiana e coreografo e allo stesso tempo come musicista capace di suonare ad altissimo livello lo strumento più antico dell’India, la veena. L’ho contattato e ci siamo incontrati per parlare di questo mio progetto che poi sarebbe diventata l’opera Amor Azul. In seguito è venuto ad Alessandria dove è rimasto per tre giorni. Abbiamo sperimentato la possibilità di combinare le nostre musiche usando dei miei materiali elettronici preesistenti sui quali lui provava ad improvvisare. Ogni sua improvvisazione mi faceva sorgere delle nuove idee su nuovi orizzonti possibili su questo, che da esperimenti da studio stava diventando un album di musica indiana ed elettronica.
 
Come è stato costruito Holus?
Non era la prima volta che mi cimentavo con la musica indiana all’interno del mio universo musicale. Nel 2002 avevo preparato un vasto affresco Endless Trails, due ore di musica con la partecipazione di una grande cantante indiana Nella Baghwat e musicisti di altri continenti ed era un progetto sul senso del sacro nel suono nei quattro angoli della terra. Per questo avevo viaggiato in India e lavorato con i musicisti indiani sul posto. Quindi già conoscevo, o almeno avevo un’idea precisa, del modus operandi.
I primi tentativi con Raghunath sono stati per trovare una ricetta che funzionasse per entrambi. Io mi adeguavo alle sue improvvisazioni a cui cercavo di dare una veste elettronica poi a lui venivano in mente, ascoltando l’elettronica, altri fattori musicali, per esempio sovrapporre la voce tramite citazioni di momenti di testi sacri indiani e l’esecuzione non solo alla veena, ma anche alle campanelle indiane che usano i danzatori legandole al corpo e che al ritmo di danza manifestano dei ritmi assai complessi all’origine ma che in questo caso, con la mia musica, aggiungono una prospettiva poliritmica. 
Ogni idea faceva sorgere un orizzonte nuovo di possibilità. Per esempio ho preso dei passi poliritmici che vengono da un altro brano, Vela per tre ensemble e sassofono, e li ho usati elettronicamente per farli diventare una specie di macchina dalle grandi potenzialità con timbri assolutamente diversi dall’originale. La sorpresa è stata che tutto ciò funzionava molto bene e si adeguava alla perfezione al progetto di ripetere delle cose sempre diverse ma che sembrano uguali quando sono diverse e che sono diverse quando sono uguali, tipica dello spirito della musica indiana e comunque di tutta la musica di meditazione profonda. Quando dico questo non parlo dello stato di meditazione così come lo yoga da esercizio psicofisico da scuola occidentale ma di qualcosa che ti porta l'attenzione verso il particolare attraverso uno stato di altissima concentrazione e consapevolezza. Quindi, per riassumere, questo album contiene brani dove l'elettronica accompagna dei raga indiani, altri dove l’elettronica suggerisce alla grande cultura indiana qualcosa di profondamente spirituale che può esistere in quel momento del manifestarsi dell’elettronica e quindi la sposa con delle evocazioni o invocazioni indiane o frammenti di testi poetici che vengono dalla notte dei tempi e che per l’India sono ancora oggi attuali e importanti. Poi ho scatenato una serie di poliritmie di derivazioni di brani precedentemente composte appositamente oppure di precedenti registrazioni con percussionisti brasiliani di tradizione africana, dove suggerivo io a Raghunath di aggiungerci i campanelli indiani come fosse una danza su quei ritmi preesistenti, e la voce.
 
Qual è il tratto espressivo del disco?
Ma lo dovrebbe dire chi lo ascolta, noi abbiamo cercato appunto di navigare in questo mare infinito indicando qualche isola di un arcipelago come se fossero ologrammi: si possono guardare ma non si toccano. Se si toccano cessano di esistere. Cioè qualcosa che appare per lasciar scorgere nuovi aspetti ma anche se in fondo non esiste in quanto realtà propria, almeno nelle accezioni culturali e logiche che determinano il corso del nostro agire e pensare e sentire nel mondo delle pantomime dialettiche cui apparteniamo. Ma questo è un tratto della modernità e la modernità è qualcosa di specifico sia a chi legge il senso delle cose senza preoccuparsi del tempo lineare e in questo tempo non lineare chiunque può trovare la sua propria modernità e le sue proprie sorprese.


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Renzo Cresti - sito ufficiale