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Paul Sexton, "Charlie’s good tonight"
Paul Sexton, Charlie’s good tonight, HarperCollins, Milano 2022.

È doveroso per me, che ho suonato e amato molto tutto il percorso dei Rolling Stones, accennare a un piccolo tributo a Charlie Watts, recentemente scomparso. Lo faccio partendo dal libro di Paul Sexton, che è la biografia autorizzata e ufficiale del batterista degli Stones.

Quello che colpisce di Watts è il suo stile essenziale ed elegante. Nel suo modo di suonare è importante ciò che non sta facendo. Eric Clapton disse che nessun batterista come Charlie lasciava spazio alla musica degli altri.

Suonava un kit di batteria di soli sette elementi e aveva un tocco personalissimo: «il suo tocco era fantastico. Era un batterista jazz, ecco da dove veniva quel tocco», dice l’ingegnere del suono Chris Kimsey e precisa: «la maggior parte dei batteristi suona rullante e hi-hat contemporaneamente. Charlie non l’ha mai fatto quindi ha sempre uno spazio meraviglioso. Quando colpisce il rullante non c’è nessun altro piatto o tamburo che interferisca con il sound, quindi è molto aperto» (pag. 152). Questo modo di suonare consente di ascoltare bene il tocco sia sul rullante sia sui piatti, senza mescolarli. Permette anche di sentire bene l’accordatura e le coloriture. Anche Ringo Star usava una batteria con pochi elementi e aveva uno stile essenziale ma non aveva (e non ha) il tocco di Watts.

Steve Jordan è un ottimo batterista cher ha preso il posto di Charlie grazie all'amicizia con Keith Richards, con il quale ha condiviso l'esperienza dei X-Pensive Vinos. Ha suonato con i grandissimi come B. B. King, Cocker, Clapton, Dylan e altri ed è un punto di riferimento per moltissimi musicisti americani, ma non ha l'eleganza di postura e il tocco raffinato di Charlie. Chinque abbia seguito i concerti degli Stones con Jordan alla batteria si sarà reso conto della bravura ma anche delle grevità, della pesantezza del tocco rispetto a Charlie.

Charlie aveva un orecchio particolarmente sofisticato ed era molto attento alle sfumature. Kimsey racconta che un giorno aveva appena toccato il suo rullante, facendo un mezzo giro sul capocorda e Charlie se ne accorse subito: «non riuscivo a credere che se ne sarebbe accorto. Un mezzo giro non cambia l’accordatura. Bastò un solo colpo – che ovviamente non rimbalzò nel modo in cui si sarebbe aspettato – e se ne accorse immediatamente» (pag. 157).

Charlie doveva suonare sempre forte e chiaro per esaltare il costante controtempo della band, fare troppi scambi avrebbe diminuito l’effetto del backtime. Inoltre, spettava a lui realizzare il senso formale del brano: suonava sempre pulito e ogni scambio annunciava o concludeva qualcosa, ogni colpo di piatto faceva iniziare un riff o un ritornello o lo chiudeva.

Lo stile asciutto di Charlie si sposa bene con quello di Richards, soprattutto quando iniziò a suonare con accordature aperte con chitarre a cinque corde (mancante di quella bassa), ovvero da Honky Tonk Women in avanti, dove suoni bordone si mischiano con suoni in risonanza, creando anche un piccolo vuoto fra un accordo e l’altro. Un effetto di profondità che deriva pure dal ritmo solo accennato, non la pesantezza del rock ma dalla scioltezza del roll.

Non è un caso che Charlie teneva l’amplificatore di Keith vicino al piede sinistro per giocare meglio con anticipi e ritardi e non è un caso che Bobby Keys abbia dichiarato che Keith e Charlie erano il cuore e l’anima della band. Il ruolo di Mick Jagger era tutt’altro, era ed è quello dell’inimitabile frontman, oltre – ovviamente – a quello di scrivere le canzoni assieme a Richards.

Quando io suonavo i brani degli Stones e quando li ascoltavo eseguiti anche da band importanti il suono non era mai soddisfacente perché mancava la magica arte del guitar weaving, le armonie venivano realizzate con accordi in accordature normali di chitarre a sei corde e il ritmo era troppo regolare e pesante.

Nella sua Life, pubblicata nel 2010 in Italia da Feltrinelli, Keith Richards scrive: «La nostra vera fortuna era stata quella di assoldare Charlie Watts. Il suo stile ricordava quello dei batteristi neri ingaggiati da Sam e Dave alla Motown o quello dei batteristi soul. Aveva lo stesso tocco Charlie. […] Charlie ha una grande sensibilità musicale. […] Il suono è nitidissimo. E poi suona con humor. […] L’impronta di ogni batterista è data dallo scarto fra il charleston e rullante. Charlie è molto in ritardo sul primo e in anticipo sul secondo. E il modo in cui allunga ogni misura, combinato con ciò che noi vi costruiamo sopra, è il segreto del sound degli Stones. Charlie è essenzialmente un batterista jazz» (in Life pp. 153, 121).

Certo, il jazz lo aveva educato in un modo che chi proviene solo dal rock non poteva avere. Ebbe il battesimo musicale con i 78 giri di Charlie Parker, Jelly Roll Morton e il suo esordio come batterista lo ebbe all’ascolto di Chico Hamilton, il batterista di Gerry Mulligan, e di Max Roach col suo diafano drumming. E poi amava la batteria di Eddie Taylor e i grandissimi del jazz come Dizzy Gillespie, Art Blakey e molti altri, ma amava anche il disegno, tant’è che nel 1960 «accettò un lavoro per due sterline alla settimana come apprendista presso il Charles Daniels Studios, studio di progettazione grafica di Londra. […] La duplice attrazione di Charlie per il design e il jazz lo avrebbe poi avvicinato a un fotografo in ascesa che avrebbe contribuito a plasmare la dinamica visiva degli Stones: l’unico e inimitabile David Bailey» (pp. 41, 42). La copertina di Between the Buttons riprende disegni fumettistici di Charlie.

Ovviamente non solo jazz ma anche il blues e il r’n’r. Una figura centrale fu Alexis Korner che volle Charlie nei suoi Blues Incorporated e nel marzo del 1962, al Marquee Club, fece il primo concerto con Korner alla chitarra, Dave Stevens al pianoforte, Andy Hoogenboom al contrabbasso e Dick Heckstall-Smith al sax tenore (qualche tempo dopo fu proprio Richards a insegnare a Korner le accordature aperte). Nella band di Korner qualche volta cantava anche Mick Jagger. Charlie aveva pure conosciuto e suonato insieme a Brian Jones all’Ealing Club. Il repertorio era basato soprattutto sulle cover di Jimmy Reed, Robert Johnson, Muddy Waters e Chuck Berry.

I primi Rollin’ Stones erano formati da Brian Jones (che si faceva chiamare Elmo Lewis), Mick Jagger, Keith Richard (senza la ‘s’), Ian Stu Stewart al piano, Dick Taylor al basso e Tony Chapman alla batteria del quale gli altri non erano soddisfatti, per cui erano alla ricerca di un nuovo batterista e Brian si mise sulle tracce di Charlie. Con Chapman suonava Bill Wyman nei Cliftons, a metà dicembre del ’62 Bill lasciò il gruppo e si aggregò agli Stones. Al fratello maggiore di Ronnie Wood, Art, Charlie disse: «mi hanno chiesto di far parte di questa band da intervallo, si chiamano Rolling Stones, che dici, accetto?» (pag. 58).
Keith dichiarò che Charlie era un tipo fantastico e che creava un incredibile groove. Bill disse che Charlie sapeva suonare un ottimo shuffle: «tutte le altre band suonavano in ottavi e sedicesimi, da-da-da-da, bits-and-pieces, She-loves-You, facevano tutte così. Noi invece suonavamo un da-dum-da-dum, Down the Road Apiece e roba del genere» (pag. 64).

Il libro di Sexton segue il percorso cronologico dagli inizi fino alla morte di Charlie, soffermandosi anche sugli aspetti familiari, sulla sua passione per i cavalli, sulle auto d’epoca e soprattutto sui vestiti. L’eleganza di Charlie è proverbiale, eleganza che ha portato anche nel suonare e nello stare in gruppo con gli Stones. Si legga il capitolo Un metro e settantatre di stile. Moltissime le osservazioni legate al mondo familiare e le curiosità.

Tanti i concerti e gli album che Charlie dedicò al jazz, in contrappunto con il suo costante impegno con gli Stones, ma vi furono anche esperienze particolari come quella con Leon Russell o con Howlin’ Wolf o con Nicky Hopkins in Jamming with Eduard! Oppure esperienze più recenti con Bernard Fowler, Darryl Jones, Chuck Leavell e poi anche con Ries etc.

A Charly è sempre piaciuto molto Mick Taylor, era e lo è ancora un musicista molto lirico. Ma anche con Ronnie Wood ebbe un buon rapporto. Gli anni dal 1968, con Beggars Banquet, al 1972, con Exile, furono straordinari e ci lasciano uno dei percorsi più incredibile dell’intera storia del jazz, concerti compresi. Ma anche dopo vi furono album e brani iconici e sarebbe lungo citarli tutti. Ciò che è importante è sottolineare la presenza impeccabile di Charlie nel mondo degli Stones, fino all’ultimo tour quando iniziò a sentirsi stanco. Nell’agosto del 2021 fu annunciato che non avrebbe preso parte a No filter e fu sostituito da Steve Jordan, batterista degli X_Pensive Winos di Richards e amico di tutta la band, Charlie compreso.
Charlie è morto il 24 agosto del ’21, dopo complicanze post operatorie al cuore.


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http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=4&quale_dettaglio=196











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