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Antonello Cresti, Le radici di una intolleranza, cd
Antonello Cresti, Le radici di una intolleranza, cd
 
Giunge inaspettato questo nuovo cd di Antonello Cresti e dobbiamo accoglierlo come un dono che il musicista, critico, scrittore e agitatore culturale, ci regala, in un momento sociale melmoso, dove tutti rischiamo davvero di impantanarci. Gli atti d’accusa presenti nei testi ci mettono in guardia e faremmo bene a non sottovalutarli. Sono testi duri e diretti, tipici di Antonello e ben riconoscibili, nelle tematiche e nei modi espressivi, da chi conosce il percorso artistico di una delle personalità più sorprendenti del panorama della musica e della cultura presente.

Tempo fa avevamo recensito il libro Il bello, la musica e il poterehttp://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=2&quale_dettaglio=422 che costituisce un po' il substrato critico di questo cd.

La cosa incredibile è che i testi di critica sociale del cd risalgono alla fine degli anni Novanta e ai primissimi anni Duemila, eppure sono attualissimi e questo in parte si deve alle intuizioni preveggenti di Antonello che già venti anni fa aveva presagito il drammatico andazzo sociale e in altra parte al fatto che la situazione politico-sociale non è riuscita a sterzare in senso positivo, anzi, ha imboccato una drammatica china angosciante, sottolineando quel tramonto dell’Occidente di cui si parla da tempo.

Si sa che Antonello ed io non siamo parenti, siamo molto di più perché in continua sintonia su molti temi della musica e della cultura. La sua disamina sui musicisti e gruppi musicali del rock evoluto e indipendente è stata ed è talmente importante per me che ho accolto molte sue considerazioni nel mio volume Musica Presente, il più ampio resoconto della musica dei nostri giorni in ambito colto contemporanea, con circa 2000 musicisti analizzati, libro nel quale vi è una parte dedicata al jazz e pure una dedicata al rock che riprende le acutissime considerazioni di Antonello, un punto di riferimento per chiunque voglia avvicinarsi e approfondire problematiche legate alla musica di ogni genere, nella società dei nostri giorni, come avviene pure in questo cd, registrato fra il luglio e l’ottobre dell’anno passato, presso il Frankie Home Studio di Frankie Giordano, con mastering di Marco Lincetto.

Nel brano che apre il cd, La radici di un’intolleranza, Giordano dà sfoggio della sua sapienza polistrumentale; è lui che – per tutto il lavoro – suona chitarre elettriche e acustiche, basso elettrico, tastiere, batteria e samples. Molto bravo e ovviamente molto eclettico. «Mi dan fastidio radio, giornali, televisione / alle vostre chiacchiere oppongo la mia ribellione […] Hypocrites e teatranti, chierichetti senza osservanza / le riuscite a comprendere le ragioni di una intolleranza?» Questi versi, posti nel primo brano, costituiscono l’esposizione della poetica che percorre tutto l’album. Sono intonati in un peronalissimo 'recitar cantando' che scandisce con forza le parole, in un rapporto strettissimo fra testo e suono.

La seconda composizione, Vuoto pneumatico, propone un testo di un pessimismo assoluto: «Ed io voglio annullarmi, di scemenze e sottostare […] Un immenso vuoto, tutto è immenso vuoto, vanità delle vanità». Non sembri esagerato, ovviamente è paradossale ma è anche l’unico modo per sfuggire a una omologazione che ti stritola, se non sei tu a volerti annullare lo farà lei. La voce di Carmen D’Onofrio interviene nei momenti topici e ci sta molto bene. Mentre la voce di Enrica Perucchietti sigilla il pezzo My Generation, in cui la litania delle classificazioni generazionali «MTV Generation / Vodafone Generation / Microsoft Generation / McDonald’s Generation» viene irrisa in «Scendono e risalgono su tastiere digitali […] Viviamo strani giorni in questa società […] This is My Generation / My Degeneration».

Il concetto di degenerazione è quello fondamentale che regge tutto il cd, viene inteso in vari modi, come decadimento generazionale, come anormalità sociale, deformazione culturale, ma è anche un riferimento all’oltrepassamento dei generi musicali, verso quella musica inclusiva che deriva dal vecchio progressive e che nel presente attraversa e sorpassa la chiusa definizione di generi e stili.

Empi divi è il singolo che Cresti ha lanciato sui social ed è pure il primo brano che ho ascoltato, divertendomi molto. La sintonia culturale che c’è fra Antonello e me è basata sul ricorso costante al pensiero critico che entrambi usiamo, seppur a volte in maniera diversa e in situazioni differenti, per scardinare le trite abitudini d’ascolto, imposte da un’industria culturale che tutto omologa verso il basso, verso i propri interessi. “Musicologia col martello” è il sottotitolo del libro che abbiamo fatto assieme, che porta un titolo provocatorio La scomparsa della musica. http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=9&quale_dettaglio=318

La musica è dappertutto, quindi non può che essere una musica di sottofondo e una volta utilizzata per questo ignobile e fastidioso scopo la musica perde la sua dignità, senza distinzione di generi. Anche la grande musica classica che viene usata nelle pubblicità, nei supermercati, nei bar etc. diventa un generico sostrato di suoni ascoltati passivamente. L’ascolto attivo e consapevole è sempre più raro e a questo ha contribuito in maniera determinante e sciagurata il web. Al clamoroso incremento delle possibilità di ascolto non è corrisposta una crescita di consapevolezza di ciò che viene ascoltato, anzi, sempre più si sono imposte le playlist, realizzate da algoritmi basati sulle informazioni captate a chi si rivolge al web. I giovani sono in totale balia di un mega Sistema che li rende passivi consumatori di musica e di mille altre cose.

I libri scritti da Antonello parlano anche di questo grosso problema dell’omologazione, una preoccupazione che riguarda anche la musica classica. In Solchi sperimentali, http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=2&quale_dettaglio=295 Antonello salva alcuni musicisti, che grazie a idee originali e a prassi anarcoidi, si sono difesi dall’essere risucchiati nella standardizzazione più bassa. Tutto il resto sono arpisti, violinisti, direttori d’orchestra, musicisti in smoking che blaterano sull’erudizione e ai quali Antonello dice «non fatevi più sentire / i vostri sproloqui deliranti son pericolosi per la mia stabilità […] Ho fatto un sogno Mozart suonava il rock’n’roll / mi sono svegliato e ho fatto un rogo dei tuoi dischi Deutsche Grammophon».

Non solo la dormiente e consenziente (in)civiltà borghese è presa di mira da Antonello, ma anche quel finto anticonformismo che vorrebbe combattere i triti valori di una classe sociale decadente e sempre placidamente ben disposta ad acconsentire a tutto ciò che giova ai propri interessi, ma che, in realtà, fa il gioco di chi vorrebbe combattere. Questo il tema di Nuovi borghesi, una canzone ben strumentata, del resto come tutte quelle del cd, quindi, ancora una volta dobbiamo ammirare il lavoro di Giordano e anche il missaggio di Stefano De Luca.

Se Empi divi prende esplicitamente di mira i musicisti del mondo classico, Lettera dal natio borgo selvaggio, si rivolge acidamente a quelli di molti ambienti della musica degenerata dal punk e dal rap, quella «celebrazione del volgare […] funerale del buon gusto / il suicidio culturale è il tuo mestiere oramai più giusto / se vaghi la sera in ceti locali / ti imbatti certamente in quattro cazzoni monumentali / che impalati sopra un palco inscenano la loro vacuità / suonando punk e ululando ‘vaffanculo umanità’». Curiosamente il brano è fatto precedere dalla lettura di un testo di Monaldo Leopardi. La voce di G/AB Volgar legge frasi come questa: «pretendere la riforma del genere umano e dell’ordine sociale è pura follia» e qui ritorna la sostanziale sfiducia di Antonello nei confronti di una società che si regge sul politicamente corretto, sul perbenismo, sulla passiva accettazione delle convenzioni, sull’adattamento dei giovani al lasciarsi condizionare, «attaccati a protesi auricolari / danno sfoggio di nullità interiore», come recita l’inizio del testo di My Generation.

L’ultima composizione è la sola a non portare testo e musica di Antonello, si tratta di Fuoco, brano scritto da Claudio Rocchi: «Fuoco sull’ordine, sugli schemi / fuoco sui libri e la cultura, / fuoco su Dio e le religioni, / fuoco sulla paura». Il lavoro deriva da un album della Cramps Records del 1977 (anno politicamente e socialmente drammatico). Mi sono andato a risentire la versione originale ed è molto vicina all’interpretazione che ne dà Antonello, anche se la voce di Rocchi è più melodica e l’arrangiamento appena appena più ricco. In ogni modo, anche in questa versione c’è una buona strumentazione e un bell’intervento di chitarra elettrica. Come negli altri brani, il testo è talmente forte che tende a predominare, per cui bisogna essere bravi da una parte ad assecondarlo e dall’altra a creare momenti d’interesse squisitamente musicale, un equilibrio ben centrato in tutte le canzoni e in quasi tutti i momenti.

È un cd intelligente, fatto con mente sveglia e acuta, senza alcuna paura dell’acida denuncia e dall’ironica polemica, con sentimenti accesi ed eccitati, ma espressi con chiarezza sia nei testi ben scanditi sia in una musica molto partecipe. Un cd non solo da ascoltare ma anche da meditare e non solo perché è uno dei pochi che si pone davvero sul versante avverso all’omologazione, basato su un pensiero critico che stigmatizza e demolisce, ma anche perché è un lavoro ben fatto che si ascolta con vivacità intellettuale.






Renzo Cresti - sito ufficiale