Biagio Putignano, con suoi scritti
Biagio Putignano o del tempoLa terra di Puglia è terra ospitale, popolata da gente cordiale che ha il calore del sud, modi aperti e tranquilli che fanno dei meridionali uomini squisiti, ma in più i pugliesi hanno un senso del fare e dell'ordine che raramente si riscontra in altre zone. Lecce è una città esemplare in tal senso: bella, bellissima sa fondere la vivacità della gente e della vita moderna con i segni immobili dei tempi passati e delle tradizioni. La brezza che vien dal mare muove i cieli e la luce, creando sfumature di colori e profumi che ben si sposano con i volti degli uomini.
La campagna intorno alla città è avvolgente e ben curata, con alberi grandi come il cuore della gente, che ha cuore ma anche mente. Biagio Putignano (Lecce 1960) ha quei modi aperti e tranquilli che lo rendono persona squisita, con un senso vivace del fare che però ricorda modi antichi e che alle tradizioni si richiama, infatti concepisce il suo lavoro come artigianato, un artigianato alto e prezioso, e lui è proprio un artigiano che elabora i materiali ricevuti dalla tradizione, quella lontana e quella recente, si aggiorna e produce. Il fatto di essere cresciuto e di vivere a Lecce gli va riconosciuto come un merito, altri se ne sono andati, magari durante gli anni Settanta, magari a Milano, dove le sirene delle Case Editrici e dei Festival di musica contemporanea suonavano forte.
Nel laboratorio (elettronico) di Putignano c'è sempre posto per il cuore, le macchine creano sfumature di colori: mente e cuore viaggiano insieme. Fare e riflessione sul fare, fare con la tecnica guidata dalla mente, una mente che appartiene interamente all'uomo, nella sua intensa totalità. Al pari del pharmakon greco, che può essere veleno mortale o medicina, la tecnica può distruggere l'inventiva e mettere in secondo piano l'affettività, oppure può essere potenziamento sia dell'immaginazione che delle pulsioni, tutto sta nel come viene utilizzata, e questo come deve sciogliersi in un uso calibrato che la relaziona alla cultura e all'uomo, con i suoi sogni e bisogni.
Il contrappunto è lo strumento preferito dall'artigiano Putignano. La prassi contrappuntistica non lascia spazio ai compositori che non hanno un bagaglio tecnico evoluto e sicuro, quindi l'abilità di Putignano non è in discussione, ma tale abilità non è mai fine a se stessa, in un'astratta esposizione di elementi autoreferenziali, ma si sostanzia grazie a esigenze interiori che affondano nel vissuto. L'immaginazione e la fantasia nel modo di trattare le linee contrappuntistiche è già un modo per renderle meno ancorate al dato strettamente tecnico e più libere di seguire impulsi e pulsioni. Pulsioni immaginifiche che devono fare i conti con la texture polifonica, questi conti devono poi tornare, sta qui la difficoltà e la sfida di riuscire a equilibrare tecnica e impulso.
"L'ispirazione" - dice Putignano - "non esiste. Esiste invece un rapporto diretto tra la frequentazione del proprio io artistico, le letture, le esperienze artistiche, l'urgenza di poesia (come diceva Pavese), le capacità professionali, e una buona dose di arditezza (chiamala fantasia) che determinano la nascita di un lavoro." L'ispirazione è infatti l'essere affetto dalla cultura viva, con lucidità e fantasia. Il tema del rapporto fra l'arte e la vita va spurgato dagli accenti romantici, patetici e morbosi, ma è tema fondamentale, perché l'arte che non è sostanziata da esperienze che affondano nel vissuto personale e sociale è arte frigida, astratta e generica. D'altra parte l'arte ha una vita propria, autoreferenziale nel suo dis-porsi formale, non è possibile ridurla a sentimentalismi e gongorismi (come hanno fatto i cosiddetti neo-romantici). Nel difficile equilibrio fra l'io dell'artista, la società e le esigenze autonome della scrittura sta il nodo della questione. Putignano è cosciente delle difficoltà che mantenere tale equilibrio pone, tanto più che si tratta di un equilibrio mutevole, che di volta in volta deve adattarsi alle nuove esigenze che vengono fuori. L'arditezza dell'io s'incontra con i referenti sociali (l'impegno verso la collettività è dimostrato anche dall'attenzione che Putignano mette nella sua produzione didattica) e il risultato di questa cultura va a relazionarsi con l'opera d'arte, con rigore, con un atteggiamento scientistico, come direbbe Putignano. Scrupolosità e precisione nel lavoro sono gli atteggiamenti irrinunciabili, pena la sciatteria, ma nessuna apologia del numero o intellettualismo, nessun adeguamento a metodi astratti, piuttosto la scienza di Putignano è scienza dell'uomo e per l'uomo.
La razionalità di Putignano articola i molteplici frammenti del sapere moderno, cercando di equilibrarne le contraddizioni e scegliendo dei percorsi formali che siano in grado di costruire un nuovo orizzonte di senso, il quale permette di leggere tali contraddizioni e conflitti. E' quello di Putignano un costruttivismo ampio che aspira a gettare luce su nuove possibilità e su alternative rimaste finora in ombra, facendo leva sul concetto essenziale di tempo che, progressivamente, diventa il centro e l'unicum della sua produzione. Da un punto di vista compositivo, questa scienza consiste nel ricorso a sezioni o reiterazioni o rifrazioni interne o infrastrutture armoniche che costituiscono delle costanti da cui partono fenomeni differenti, pause comprese, queste caratteristiche rappresentano alcuni degli aspetti che vengono messi in gioco per dosare gli elementi e per approdare a una forma organica.
Importante è l'utilizzazione dei livelli interpretativi, giochi che permettono agli elementi di poter essere letti in modi diversi, di scorrere verso destra o sinistra, di essere in primo piano o sullo sfondo, di essere segni o segnali, novità o memorie. Tutto questo porta a una drammatizzazione sottaciuta. Lo spazio è un parametro importante della musica di Putignano. Spazio fisico del luogo in cui viene rappresentata la composizione, ma soprattutto spazio (illusorio) interno al brano, dove gli elementi vanno da un punto all'altro o dove girano intorno in una sorta di spirale o dove non vanno da nessuna parte ma scavano in profondità, verso se stessi, in una ricerca dell'essenza dell'uomo che loro ha donato vita, in un complesso gioco degli elementi sonori. E' un'ermeneutica sferica, che legge ogni aspetto musicale come fosse un individuo.
Il concetto dello spazio si collega a quello del tempo, una concezione temporale affascinata da quella espressa da Heidegger nel suo saggio su Il concetto di tempo. "La domanda, che cos'è il tempo? È diventata, chi è il tempo" - scrive Heidegger - "più precisamente, siamo noi stessi il tempo? O ancora più precisamente, sono io il tempo? Così mi faccio il più vicino possibile al tempo, e se intendo bene la domanda allora con essa tutto si è fatto serio. Dunque questo domandare è il modo più adeguato di accedere al tempo e di trattarlo in quanto ogni volta mio. Allora l'esserci sarebbe problematicità". Già il titolo del pezzo di Putignano, Il respiro del cielo, rende l'idea di una temporalità spazializzata che dall'infinità del cielo entra in noi e, quindi, ci rende tempo. L'operare e l'opera, nei loro estremi possibili, altro non sono che il tempo stesso, non sono nel tempo, ma esseri temporali. E il fenomeno fondamentale del tempo è il futuro, la musica è un percorso sonoro che tende al futuro, "l'essere futuro come possibilità dell'esserci" (Heidegger).
Dal punto di vista costruttivo, il brano è realizzato da mini arborescenze sonore che sembrano evaporare da alcune stratificazioni, sono arborescenze che vengono calibrate con molta parsimonia per rendere ora dei colori particolari, ora dei sapori tonali, ora fuggevoli sensazioni, il tutto si presenta e subito si risolve in una vorticosa spirale di permutazioni e interpolazioni. Alcune reiterazioni vengono usate per creare delle perturbazioni locali nel continuum del flusso temporale, così da spezzare l'andamento rettilineo e far assumere al tempo un esplicito andamento irreversibile. Molte dicotomie, come periodicità/aperiodicità, simmetria/asimmetria, tonale/atonale, vengono risolte in maniera leggera e positiva, fornendo alla composizione un'invidiabile trasparenza. L'attrattore principale degli elementi, per tutto il brano, è il tempo.
Il controllo fondamentale dell'attenzione compositiva è, dunque, sul tempo: tempo di apparizione e di scomparsa di figure, di elementi aperiodici, di grumi bruitistici; tempo di durata dei fenomeni sonori, delle loro riverberazioni o delle ripetizioni di sezioni; tempo necessario sia a livello acustico che uditivo per ottenere la sintesi in uno spettro unico, complesso, dinamico di multifonici e transitori d'attacco, armonici e rumori, ribattutti e suoni tenuti, tremoli e glissati. Il compositore diviene il "padrone del tempo", come ha scritto Putignano, "governa tutti gli elementi per disporli nella dimensione specifica della musica."
Coesistono perturbazioni di campo e temporali, variazioni cicliche, letture circolari di piccoli gruppi o singoli eventi, sempre proiettati però in una continuità temporale inesorabile. Così come il tempo in natura non torna mai indietro, anche la musica essendo un'immagine del tempo non ha ripetizioni. Nella nostra vita quotidiana, è frequente ritornare negli stessi luoghi: ciò determina una illusione momentanea di fermare il tempo. Ma non è così: pur ritornando - anche dopo pochi attimi - in un luogo dove ci si è già stati, e rifacendo gli stessi gesti, noi non creeremmo mai la ripetizione reale del tempo. Allo stesso modo, delle figure musicali non vengono mai ripetute identiche a se stesse, ma variate continuamente. Il tempo, quando appare sotto forma di musica, diventa gioco del vissuto, come dice Eggebrecht, il gioco della musica è sempre gioco nel e col tempo, pervaso di contenuti percettivi e di esperienza vissuta. Nel gioco il tempo cambia, viene mutato, stirato, allungato, ristretto. In tal modo la musica si affranca dalla sua etichetta di esprimere i sentimenti per assurgere a misura del tempo, una "misura" ch'è forza cognitiva. Nella Recherche, Proust lega il tempo all'attività della memoria che ricostruisce un percorso continuativo, mentre Baudelaire seziona il tempo, isolando ora un aspetto ora un altro, facendolo scorrere veloce o lento, rarefacendo gli elementi o ispessendoli, giocando con la scarsità degli avvenimenti/informazioni o sulla pienezza, da qui parte Putignano.
S'è usato il termine "gioco", non solo per una sorta di usanza che vede nel gioco un sinonimo del con-porre , ma per sottolineare come la prassi dello scrivere sia, nella sostanza, un mettere insieme le cose giocandoci sopra, come appunto in un gioco complesso, un divertimento che risulta essenziale alla buona riuscita del brano stesso, in quanto la dimensione ludica del fare è caratteristica del lavoro di Putigliano, una caratteristica un po' barocca se vogliamo, che ricorda l'arte della sua Lecce. Dietro al gioco la morte /.../ La creazione di un suono complesso si realizza, nella recente produzione di Putignano, utilizzando soprattutto una miscela di transitori d'attacco di strumenti vari, seguiti da decadimenti di suoni artificiali, anch'essi miscelati, che si possono muovere in un ambito frequenziale molto limitato, e questo per permettere la riconoscibilità del nuovo suono.
Non ci sono mai combinazioni uguali, ma vengono variate da permutazioni continue. I ritorni hanno una valenza formale e rispondono a criteri di periodicità armonica e di aperiodicità inarmonica, si tratta comunque di ritorni parziali che assomigliano alla logica dei nastri scorrevoli a differente velocità.
Putignano non articola i suoni in uno spazio acustico, ma organizza masse nel tempo, utilizzando, in modo certosino, diagrammi di flusso che consentono di misurare tutti i parametri, specialmente quelli legati alla percezione. Interessanti sono gli schemi preparatori che Putignano mette a punto per i suoi lavori, si tratta di grafismi che illustrano l'ossatura e gli aspetti essenziali della scrittura (simile in questo al lavoro di Cresta).
Il rapporto spazio/tempo viene a configurarsi come un continuo divenire di fenomeni che percepiamo nella loro varizione di densità, interessante è un possibile rapporto di alcuni procedimenti di Putignano con ciò che venne espresso dal "Gruppo T", a Milano nel 1960: "ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l'aspetto diverso del darsi dello spazio-tempo o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra spazio e tempo."
E' come se Putignano sospendesse il tempo, andando alla ricerca di una musica prima del tempo, una musica che nulla a che fare col tempo normale, quantitativo e rettilineo, ma che crea, ogni volta, un progetto di temporalità qualitativa, vissuta. L'ascolto esce dal presente e va verso la memoria, poi rientra e crea strati sonori che, nel loro disporsi denso o rarefatto, agiscono sul tempo psicologico, facendo sentire lo scorrere del tempo come veloce o lento, a seconda dell'informazione musicale trasmessa e delle modalità con cui tale informazione viene esposta. Un'informazione ch'è in rapporto con la memoria dell'ascolto e che, quindi, si realizza fra storia e novità. Ordinare tutto questo e mettere in relazione i vari elementi crea la forma della composizione.
Quindi la struttura è una "supercategoria che consente una rete logica di relazionabilità tra vari sistemi" - come scrive Moscariello - con tale messa in relazione si apre un "varco, un trait d'union tra il rigore della logica matematica e la variabilità dei processi psicofisici che determinano la percezione musicale".
Un certo tipo di Strutturalismo, elastico e antidogmatico, è stato l'incudine su Putignano si è formato durante il periodo di apprendistato. Certo, questa influenza è rimasta, soprattutto come attitudine al calcolo e al metodo (e, a volte, si desiderebbe maggiore elasticità). Dallo Strutturalismo ha ereditato gli strumenti del fare compositivo, comuni a molti suoi coetanei, ma tale influenza è stat bilanciata dall'innamoramento per Cage che, come ogni cotta, ha qualcosa di irrazionale e di assolutamente liberatorio: l'idea di potersi liberare da formule, griglie, schemi senza subire contraccolpi, ma con velocità, facilità, disinvoltura e, diciamolo pure, una buona dose di goliardia, ha prevalso in una prima fase della sua musica; successivamente c'è stato un ripensamento, una selezione, un esame critico (ma non negativo) di molte posizioni di Cage. Oggi Putignano si sente debitore nei sui confronti per la libertà di certe soluzioni formali aperte, per l'allargamento del suono alla quotidianità.
Il movimento aleatorio, nato in Europa sulla scia dell'entusiasmo innescato da Cage, ha rappresentato per lui un momento di grande arricchimento, tanto da poter affermare che la sua propensione ad immaginare visivamente il materiale sonoro possa aver avuto origine proprio dalla passione per le partiture d'azione.
La lezione del Minimalismo, per quanto suadente, lo ha sempre lasciato molto titubante, a causa di quel confine mai netto e sempre ambiguo tra musica commerciale di (facile) consumo e musica colta. Eppure, alcuni procedimenti legati allo sfasamento dei patterns ritmici - seppur in maniera rudimentale e funzionale alla sua musica - si possono ritrovare in partiture come Passaggi di pietra, o anche in pagine precedenti come Il giardino delle esperidi e ancora prima nel Quartetto n. 2; sono procedimenti però più improntati al "ripetivismo" di matrice caotica, protesi verso forme di entropia, che di vere e proprie pratiche minimaliste.
Il movimento spettrale invece è quello che maggiormente ha informato le sue pagine dal 1995 ad oggi. La sua non è una adesione tardiva al programma dell'Itineraire, ma un approdo critico e indipendente, che ha seguito percorsi molteplici e tortuosi, forse anche imprevedibili.
Soprattutto nell'ultima produzione acquista importanza la numerologia, non astratta ma esperita nella sua estensione e nella sua forza qualitativa. Certi temi, come quelli trattati in Cattedrali di silenzio, esprimono il mysteria numerorum attraverso proporzioni musicali quali il canone, la talea, lo spettro dell'accordo (di Mib), la reitificazione di certi intervalli (specie le quarte), la distribuzione dei suoni etc. Quindi attraverso il numero si attua una mimesis fra corpo sottile universale e suono, da questa ratio scaturisce il brano, seguendo qualitas e quantitas del numero, come l'archietettura di una cattedrale, appunto.
Putignano lega l'idea di armonia a quello di eufonia; in una musica dove tutto è contrappunto, tutto movimento, l'eufonia è un momento statico di un agglomerato frequenziale - che ha rallentato il suo movimento da…a…- in cui si ritrovano assonanze, risonanze, consonanze e dissonanze. La melodia è da intendersi sempre come ricostruzione in fase di ascolto di segmenti sparsi o occultati nell'intreccio contrappuntistico; oppure apparizione che emerge per Stream segregation, e infine, profilo melodico quando è citazione, ed è spesso soggetta a procedimenti di anamorfosi.
Un'attenzione nuova verso la melodia e le sue trasformazioni si manifesta nell'appena concluso ciclo dei Commentari, del quale il primo esempio è il Commentario a variante (2002) per violoncello e pianoforte, una sorta di epifania scritta in memoria di De Lillo. Seguono i Cinque Commentari per pianoforte (2003): il primo s'intitola Commentario a margine e parte dal pezzo n. 6 dell'Op. 19 di Schoenberg, non si tratta di una sorta di variazione su tema, neanche di una metamorfosi che parte da una citazione, né, tantomeno, di un'improvvisazione, semmai si avvicina a un complesso tropo moderno; il secondo è Commentario a forma di glossa su un foglio d'album Frammento d'autunno di Gentilucci; il terzo è Commentario anamorfotico sul terzo Klavierstuck di Stockhausen; il quarto è Commentario interlineare su una breve Invenzione a due voci di Fedele; il quinto è Commentario concentrico su 4'33'' di Cage: già i titoli dicono come si svolgono i commenti ai brani in questione, in pratica si tratta di una riproposizione della prassi della tropatura che permette a Putignano non solo di far sfoggio della sua bravura tecnico e inventiva, ma anche di allargare le ricerche su concetti e prassi che lo interessano. Il tempo scorre silenzioso, dentro e fuori di noi, la sfida di Putignano è di dare un costrutto al temps/espace interiore per pensare ed esperire una nuova forma dei suoni.
Nel libro L'arte innocente, Pierluigi Basso parla della musica di Putignano "come uno spazio stirato dal tempo musicale"; Luigi Verdi scrive che "le ultime opere si distinguono per una personale ricerca sul suono, che appare sempre più distillato in figurazioni sfuggenti e imponderabili; non a caso è frequente in Putignano il ricorso ai temi dell'aria, dell'etere, del cosmo." Moreno Andreatta fa un collegamento con Iannis Xenakis puntando sull'importanza "assunta dall'organizzazione hor temps degli avvenimenti sonori". Fiorella Sassanelli parla dell'artigianalità del comporre e fa gli esempi del "cesello dei contrappunti con una meticolosità quasi ligetiana, la gestione millimetrica dello spazio, il suo scandire il tempo sempre e comunque in 3/8. /.../ Una scrittura di ritmi per privilegiare una scrittura di durate." Inoltre la Sassanelli pone l'accento su alcune parole presenti nei titoli, quali aria, vento, luna, eclissi, cielo, nubi, stelle, orizzonte, alba a significare non solo l'amore per la natura, anche fonte di ispirazione, ma la mediterraneità di Putignano. Paola Ciarlantini scrive che "Putignano è tra i pochi compositori italiani a potersi permettere di praticare il contrappunto, ripensandolo e forgiandolo secondo le propri istanze estetiche. /.../ Putignano ha concentrato la sua ricerca sul suono. /.../ Il suo metodo compositivo consiste nel dislocare masse sonore nel tempo".
Da Renzo Cresti, L'arte innocente, con cdrom, Rugginenti, Milano 2004
Alla memoria di Armando Gentilucci
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Agenda di una ricerca di Biagio Putignano (riproduzione parziale)
Il punto di partenza di tali riflessioni è legato alla personale convinzione che un qualsiasi sistema che sovrintendi ad un’organizzazione delle altezze nello spazio intervallare intrattenga complesse relazioni con la gestione del Tempo.
Ciò è sempre avvenuto nei secoli; è sufficiente ripercorrerne gli eventi salienti per rendersi conto di come, attraverso una lenta ed inesorabile azione dei compositori “innovatori” occidentali, questo sia ben evidente. Il passaggio dal canto neumatico monodimensionale del gregoriano a quello polidimensionale della mensuralità dei mottetti polivoci, il successivo cambiamento dalla polifonia contrappuntistica alla egemonia del tonalismo, e i recenti smottamenti di quest’ultimo verso l’atonalismo e i sistemi “enne-fonici”, non ultimo l’impatto causato dall’introduzione delle “nuove tecnologie” nel pensiero musicale, hanno amplificato ancor più questo stretto rapporto di causa ed effetto tra le organizzazioni intervallari e la gestione del tempo.
Pubblicato su Festival di musica e filosofia 2, Edizioni dal Sud - Bari
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Costruire il tempo: un'esperienza compositiva di Biagio Putignano (riproduzione parziale)
Non avendo la pretesa di elencare “nuove tecniche compositive”, ma solo descrivere brevemente
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Costruire il tempo: un'esperienza compositiva di Biagio Putignano (riproduzione parziale)
Con quali strumenti costruire nuove forme? Quali sono i “mattoni” più piccoli con cui procedere per mettere a punto nuovi strumenti compositivi al fine di rendere efficaci teorie e procedimenti mutuati da queste discipline? Se ogni forma è il risultato di specifici procedimenti, quali possono essere quelli più idonei al servizio di un pensiero nuovo?
Alcuni procedimenti, come quelli contrappuntistico-imitativi mutuati dalla tradizione classica e opportunamente ripensati e ricalibrati, hanno ben risposto a personali esigenze compositive. Gli esempi di Kammerkonzert (1969-1970) Atmosphères (1961) e Lontano (1967) di Ligeti sono ben eloquenti di come
sia possibile simulare situazioni caotiche per mezzo dell’ipertrofia della micropolifonia, la quale tuttavia
ha uno stretto legame con le intere strutture formali, come osserva Orazio Mula a proposito del Kammerkonzert «…Il patrimonio genetico del nascente organismo è già fissato nelle strutture molecolari…», ovvero forma formante che fa la forma formata nell’atto stesso del fare.
Non avendo la pretesa di elencare “nuove tecniche compositive”, ma solo descrivere brevemente
alcuni dei modus operandi mutuati da talune delle teorie precedentemente esposte (seppur accennate a
grandi linee), in questo articolo ci si limita ad una circoscritta esperienza compositiva personale, che
nell’arco di circa tre lustri ha integrato nei propri lavori musicali, a volte in modo intuitivo e semplice e
altre volte in modo più complesso e completo, alcuni dei procedimenti in questione.
Dall’architettura è possibile mutuare procedimenti di sottrazione come quello dell’erosione, ovvero
una progressiva alterazione della superficie sonora; al contrario, processi di addizione fanno ricorso
all’idea di inglobamento, che permette di incorporare parte di uno o più sistemi (ritmico, frequenziale,
tessiturale, timbrico, del profilo melodico, ecc.) ad altri, in un susseguirsi di processi intermedi che
prevedono fasi di contrapposizione, rotazione e traslazione, ispessimento o riduzione ecc. L’incastro
invece obbliga a una relazione di sovrapposizione (parziale o totale) e compenetrazione.
Tra le tecniche di divisione, spesso si incontrano il taglio, che tronca di netto e arbitrariamente in
più parti e la scomposizione, che ha un fare più ordinato e metodico, e porta verso il dissolvimento
dell’unità.
Tecniche di giustapposizione, interpolazione, permutazione, morphing e reiterazione sono comuni
a più discipline. Per esempio, dall’ambito informatico, risulta molto utile la tecnica del campionamento
(sampling) e del ri-campionamento (resampling), ovvero la selezione e l’asportazione di una porzione di
spazio/tempo della partitura e il riutilizzo (parziale o totale) dello stesso frammento. Il campionamento
può avvenire in modo randomico, statistico, probabilistico ecc. questo procedimento, nell’ambito della
geometria frattale è definito trema, neologismo creato da Benoît B. Mandelbrot: «I trema rappresentano
(ad esempio nella costruzione della polvere di Cantor […] o nel modello del rilievo lunare […]) delle
porzioni di spazio modellate, a seconda dei casi, su diverse forme geometriche (intervalli, dischi, cubi, ma
anche figure più irregolari) e che vengono ritagliate ed asportate da un oggetto in base a una procedura
che può essere tanto di carattere deterministico quanto di tipo aleatorio. Il neologismo ‘trema’ riprende
letteralmente il vocabolo greco tr?ma ‘buco’, in cui ravvisa una lontana parentela con il latino termes
‘termite’…».
I trema, possono essere proiettati in reiterazioni più o meno ravvicinate o sovrapposte, tendenti a
creare dei vortici temporali in cui le ripetizioni possono avvenire a livelli differenti, mentre altri elementi
contemporaneamente vengono permutati, variati, retrogradati o semplicemente ‘reversati’.
Le soluzioni formali che derivano da queste operazioni confluiscono in un sistema molto prossimo
alla teoria dell’organizzazione di Edgar Morin; in questo sistema ogni ‘azione è conoscenza e ogni
conoscenza è azione’. Nell’organizzare, gli elementi si connettono « […] fra di essi, gli elementi in una
totalità, gli elementi alla totalità, la totalità agli elementi, in altri termini [essi si connettono] fra di essi
[con] tutte le connessioni costituendo la “connessione delle connessioni”. L’organizzazione è dunque il
principio d’ordine che dà forma al sistema […] è al tempo stesso trasformazione e formazione…».
In relazione al tempo, ogni soluzione formale può esperire due modalità: la forma “a frammento”, e
la forma “ad aggetto”. La prima, rispecchia la visione proustiana dell’attimo divisibile ed isolabile del
fluire del tempo: soluzione che può prevedere pezzi chiusi che si accostano insieme come tessere di un
mosaico. La molteplicità dei singoli brani dà ‘unità’ alla composizione. In questa ottica, è possibile
ascrivere la posizione filosofica di Gilles Deleuze e Félix Gattari, e la loro poetica del “molteplice”,
ovvero delle realtà plurime rilette attraverso il “frammento”, assimilabile al rizoma. A questo proposito,
Franco Donatoni ha scritto: «…L’opera, in questo senso, non è niente altro che una addizione di
frammenti che si trasformano, che crescono, che si affinano, che diminuiscono, che scompaiono, che
risuscitano. Si tratta di un processo organico che non ha una forma precostituita secondo una nozione di
forma già data…»
La seconda opzione, quella della forma “ad aggetto”, è caratterizzata dalla monoliticità del brano
musicale, che al suo interno può prevedere sì parti differenti, ma che sono il frutto di uno o compositi
processi simultanei che si svolgono nel tempo senza cesure; una visione del tempo che Angelo Genovesi
nel suo volume Bergson e Einstein chiarisce con la seguente citazione: «…il Tempo impersonale e
universale, se esiste, ha un bel prolungarsi senza fine dal passato all’avvenire: esso è tutto d’un pezzo; le
parti che vi distinguiamo sono semplicemente quelle di uno spazio che ne disegna la traccia e che, ai
nostri occhi, ne diviene l’equivalente; noi dividiamo lo svolto ma non lo svolgimento…».
Una tale concezione del tempo non suddivide la forma musicale in più “movimenti”, ma traccia in
un unico arco temporale il relativo svolgimento; in tal caso è l’unità dell’opera che ammette la
molteplicità al suo interno di un numero più o meno elevato di elementi, garantendone l’omogeneità. La
composizione tende a prendere corpo dal silenzio e ivi ritornarvi: la forma allora assume una sorta di
“materializzazione” (momentanea e in divenire) delle energie sonore che ne compongono l’ologramma, in
cui la spazializzazione del suono (nell’architettura così come sulla pagina) gioca un ruolo
importantissimo.
L’alternanza di momenti in cui il tempo si dilata o si contrae conferisce un alto tasso di dinamismo
all’intera composizione. Attraverso la giusta costruzione formale del pezzo musicale, il compositore
riesce a controllare la percezione del tempo dell’ascoltatore, a condurlo in un viaggio virtuale in cui si
possono sovvertire le dimensioni della percezione, e quindi rinvigorire ad ogni ascolto differenti livelli di
lettura della superficie sonora.
Ancora una volta è possibile innovare questo aspetto misterioso e inspiegabile del fare musica,
rendendo quest’arte piena di magia; in fin dei conti, essa “…rappresenta il punto che congiunge cielo e
terra, che stabilisce un vincolo, nell’eterno ciclo della vita e della morte, tra umani e divini.[…]. In questo
modo la musica giunge al centro stesso dell’esistenza: certo, purché si sia disposti ad ammettere che
questo centro non sia dentro il mondo, ma altrove, ‘fuori di noi’, ‘fuori del tempo’”.
Pubblicato sulla rivista "Musica/Realtà", Libreria Musicale Italiana, Lucca 2010.
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Progettare la musica - Note a margine dei Commentari di Biagio Putignano (riproduzione parziale)
Progettare è prevedere una serie di azioni future, volte alla produzione di un evento, partendo da previsioni coerenti tra loro e trasmissibili; tutti gli aspetti del progetto devono essere oggettivamente razionalizzabili,
scomponibili in sezioni autonome e ricomponibili senza lasciar traccia dello smembramento precedente.
Il progetto permette di andare avanti e indietro nel tempo e nello spazio virtuali restando assolutamente immobili, consente di invertire il sopra con il sotto, alternare il vuoto col pieno, muovere nelle diverse
direzioni ciò che è immobile. Ma il progetto consente anche di intervenire
in fasi successive alla sua realizzazione definitiva.
La scelta del nuovo progetto parte da queste basi: impiegando frammenti di lavori altrui, non si procede a tecniche tradizionali di variazione, ma si prosegue la strada intrapresa con i Commentari, che
ha permesso di sviluppare e approfondire una notevole mole di procedimenti compositivi mutuati da differenti ambiti disciplinari. Si passa fattivamente alla scelta del materiale musicale nel modo seguente: vengono isolati cinque frammenti musicali di opere di autori particolarmente significativi per la propria formazione culturale e musicale, ai quali si abbinano altrettanti versi poetici estrapolati dalle traduzioni di Sanguineti, che fungeranno da sottotitolo.
Al primo frammento tratto da Octandre di Edgar Varèse (particolare estratto dal 3° mov., n. 3) si associa il frammento poetico di Wolfgang Goethe, da Epigrammi veneziani, n. 42, che recita: “…Volentieri
io oltrepasso il confine, tracciato largo / con un grosso gesso…”; a margine del frammento musicale, le mie considerazioni, che hanno valore diappunto, di promemoria, di osservazione: “OLTREPASSARE IL CONFINE DEL SUONO, ARRIVARE PROSSIMI AL RUMORE: SOLO UNA CONVENZIONE HA STABILITO
COSA È SUONO E COSA RUMORE. I CONFINI DI QUESTA CONVENZIONE SI SONO SPOSTATI
NEI SECOLI, AMPLIATI SEMPRE PIÙ, FINO A COMPRENDERE ASPETTI DEL SUONO
CHE SONO CARATTERIZZATI DA ASPREZZE, DUREZZE, IRREGOLARITÀ”. La durata prevista è di due minuti in fase di progettazione.
Il secondo frammento è tratto dall’opera Polifonica, Monodia – Ritmica di Luigi Nono, in particolare un estratto dell’inizio del 3° mov. Ritmica, batt. 1-6. Il testo è di Lucrezio, tratto dal De rerum natura: “Nessuno lo sente, il tempo, / indipendentemente dal movimento delle cose e dalla loro / placida quiete…”. La durata progettata non supera i tre minuti, ed è commentata dalla seguente annotazione personale: “IL TEMPO
FISSO SULLO SFONDO CHE GUARDA IL PASSARE DELLE COSE IN SUPERFICIE”.
Il successivo frammento è selezionato dall’opera Concertino di Luciano Berio, in particolare un estratto corrispondente alle battute 25-30, cui fa pendant un verso tratto dal Sonetto n. 23 di Shakespeare: “…Conviene, al sottile spirito dell’amore, ascoltare con / gli occhi…”.
Il penultimo frammento poetico è ancora di Goethe, tratto dalle Elegie Romane n. 1: “…Dite, a me, pietre! oh parlate, voi, alti palazzi! / strade, pronunciate una parola!…”. Questa volta il commento “IL SUONO DEI LUOGHI, L’UTOPIA DI GIORDANO BRUNO, GLI ASCOLTI INTERIORI DI LUIGI NONO: LE PIETRE
CHE CANTANO” precede la scelta del frammento musicale, che è tratto dall’opera Mémoriale (…Explosante-fixe…Originel) di Pierre Boulez, particolare dalla lettera 14 della partitura, edita da Universal Edition Wien, per una durata prevista di tre minuti.
Il frammento finale del progetto è tratto ancora una volta dal De rerum natura di Lucrezio: “…Non c’è cosa, dunque, che ritorna al nulla, ma tutte, / per disgregazione, ritornano agli elementi corporei della / materia…”.
Il frammento scelto è tratto simbolicamente dall’opera Etwas ruhiger im Ausdruck di Franco Donatoni (battute 84 e 85), poiché questo quintetto a sua volta utilizza del materiale sonoro estrapolato da un
accordo contenuto nei primi tre tempi dell’ottava battuta del secondo movimento dei Fünf Klavierstücke op. 23 di Schönberg. Il commento a margine riporta: “DI QUANTI STRATI È FATTO UN SUONO? DI QUANTI LIVELLI, DI QUANTE MOLECOLE? DISGREGARE UNO ‘SPETTRO SONORO’ NEI SUONI ELEMENTI PIÙ
PICCOLI”.
Tutto il progetto converge nella realizzazione di una forma complessa che è il risultato della sommatoria di questi procedimenti, raffigurabili solo attraverso una proiezione diagrammatica della composizione
Per arricchire il set degli strumenti a percussioni, si fa ricorso ad uno strumento inventato per l’occasione: si tratta delle small stones, sacchetto di pietre levigate che producono un apprezzabile brusìo, da impiegare
Commentari: in particolare, tecniche di elaborazione, trasformazione, anamorfosi dei materiali di partenza, tecniche di sampling e re-sampling. Nello stesso tempo la complessità della progettazione richiede di intervenire anche ad un livello più profondo tale da dover mettere a punto alcune specifiche tecniche compositive per poter meglio esaltare le proprietà del materiale sonoro di partenza: vengono esperite tecniche “sperimentali” partendo da procedimenti di grafica computerizzata, come ad esempio il ‘dragaggio’ di un’immagine, il relativo ‘sfocamento’ e la sua ‘inversione in negativo’ insieme a procedimenti di sostituzione e deformazione di campi armonici preesistenti, di contaminazione con altri difettivi o eccedenti, e si fa ricorso a reiterazioni, ampliamenti, accelerazioni e dispersioni o accumuli, che interferiscono tra di loro, in un “network” di espedienti.
Tutto il progetto converge nella realizzazione di una forma complessa che è il risultato della sommatoria di questi procedimenti, raffigurabili solo attraverso una proiezione diagrammatica della composizione
che precede quella diastematica della partitura definitiva. Le operazioni di timbricizzazione del materiale vengono progettate partendo dalla scelta e dalla distribuzione della compagine orchestrale sin dalla sua
rappresentazione in partitura. Dividere gli archi, per esempio, secondo un congruo frazionamento
è un procedimento che presuppone tecniche mutuate dalla prossemica che permette di simulare giochi spaziali sul foglio pentagrammato che diviene a sua volta parte integrante dell’invenzione musicale. Tutti i risultati grafici ottenuti dal dragaggio su diagramma vengono ridistribuiti secondo le “affinità timbriche” modellate anche nello spazio virtuale rappresentato da John M. Grey nella sua griglia.
Per arricchire il set degli strumenti a percussioni, si fa ricorso ad uno strumento inventato per l’occasione: si tratta delle small stones, sacchetto di pietre levigate che producono un apprezzabile brusìo, da impiegare
insieme al bastone della pioggia nei punti topici della composizione. Ecco arrivare infine, il momento della realizzazione del lavoro, che è quello della sintesi tra teoria e pratica: la possibilità di alterare le durate
progettate (mantenendo più o meno costanti le proporzioni tra i singoli frammenti) è già stata prevista in fase progettuale, soprattutto nel caso in cui i procedimenti compositivi richiedano maggiore ampiezza
per meglio adeguarsi agli sviluppi potenziali dei materiali musicali di partenza e quindi esporre in maniera adeguata le ulteriori idee e soluzioni compositive che potrebbero maturare in fase di composizione.
Pubblicato nel volume Fughe, Architettura e musica, Edizioni Grifo, Lecce
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