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Giovanni Salviucci, con un suo scritto
Riscopriamolo
 
 
 
E' stato, per primo, Giorgio Gaslini a sollecitarmi a interessarmi al "caso Salviucci" dicendomi che era considerato come e più di Petrassi e Dallapiccola, prima che un destino crudele lo strappasse alla vita e alla musica. Mi sono messo in contatto con la figlia Giovanna Marini, non ho scoperto granché, però quel poco che ho ascoltato è davvero sorprendente: chissà se riuscirò ad approfondire questa figura così poco conosciuta, ma così emblematica di un'epoca storica particolare e drammatica, come il periodo fra le due guerre.
 
Ci sono artisti baciati dalla fortuna che, grazie a una serie di circostanze favorevoli, ricevono più o meno giusti riconoscimenti, in musica è il caso di Petrassi, Dallapiccola, Maderna, Berio, Nono, mentre ad altri il destino non consente di arrivare là dove la loro arte meriterebbe, ai riconoscimenti della critica, del pubblico, della storia.
 
E’ questo il caso dei due fratelli Salviucci, di Paolo che nacque a Roma nel 1902 e ivi morì a soli 55 anni, fu valente compositore, di cui si ricorda il brano per coro e orchestra Il pianto della Madonna, e anche giornalista e sovrintendente dell’Opera di Roma, ed è, soprattutto il caso di Giovanni, sfortunato compositore morto a soli trent’anni (era nato anch’egli a Roma nel 1907 e lì morì nel 1937). Di lui si dice che fosse in possesso di una straordinaria vocazione musicale, Giorgio Gaslini mi disse che poteva essere considerato al pari dei grandi del Novecento e alcuni segnali sembrano confermare questa impegnativa dichiarazione. Natura musicale cara agli dei, che troppo presto a loro lo hanno chiamato.
 
Giovanni Salviucci studiò pianoforte, organo e composizione con Boezi, poi si perfezionò con Respighi e Casella, ovvero con i due più importanti compositori (insieme a Malipiero) del primo Novecento italiano. Boezi gli impartì un’educazione musicale severa, da Respighi apprese la tradizione strumentale e la scrittura del Poema sinfonico (Salviucci ne compose 7, il primo all’età di soli vent’anni), mentre con Casella aggiornò il suo vocabolario, inserendosi nella tendenza neo-classica, ma filtrata con originalità, dimostrando, fin da giovane, notevoli doti musicali che lo portarono a scrivere molto e assai intensamente, tant’è che il suo catalogo delle opere, malgrado si limiti a un solo decennio, è piuttosto ricco, con prove che "per la musica italiana del Novecento sono importanti almeno quanto quelle dei primi lavori di Dallapiccola e Petrassi" – scrive Antonio Trudi nell’Enciclopedia della musica UTET – opere come la Sinfonia da camera, Introduzione, Passacaglia e finale, Alcesti e, soprattutto, come la nuovissima e ardita Serenata, testimoniano il valore di Salviucci". Poco prima di morire, Salviucci aveva iniziato un’opera teatrale, di cui ne rimane l’Introduzione per coro e orchestra.
 
Purtroppo, per colpa dell’omologazione a cui la musica è sottoposta da parte del mercato discografico, di Giovanni Salviucci non ci sono dischi, salvo piccoli esemplari, uno pubblicato, nel 1967, nella collezione dei Fratelli Fabbri su La musica moderna, disco che contiene la Serenata per 9 strumenti, in tre movimenti, scritta nell’anno della morte, e straordinaria nella sua vivacità ritmica, nell’intreccio polifonico, nel caleidoscopio di timbri che la avvicinano a certe opere di Stravinskij o di Bartok. Sempre le edizioni Fabbri, nella Storia della musica, uscita in edicola durante gli anni Ottanta, propongono Introduzione, Passacaglia e Finale del 1934 e Sinfonia per 17 strumenti del 1933 e questo è tutto quello ch’è stato inciso (ed è pressoché introvabile). Eppure la musica di Salviucci era stata diretta da interpreti di primissimo piano, quali Gavazzeni, Previtali, Urbini, Giulini.
 
In RAI ci sono alcune registrazioni che sono lasciate ad ammuffire, così come le partiture edite dalla Ricordi, la quale si guarda bene dal far qualcosa per diffondere una musica che, nell’immediato, non porta soldi. Gli inediti sono in possesso della figlia Giovanna Salviucci Marini, anch’essa compositrice e nota studiosa del canto popolare, l’abbiamo interpellata e ci ha detto: "sono nata quando lui era malato e pochi mesi dopo moriva, quindi non ho ricordi. La cosa migliore è ascoltare la sua musica, perché della terna Petrassi, Dallapiccola, Salviucci si riconosce subito per la sua musicalità. Al di fuori da tecniche (era un grosso contrappuntista e un magnifico orchestratore) quello che impressiona di più è la grande quantità di musica che è nella sua musica, il respiro lungo e inarrestabile dei suoi temi, e una geniale mancanza di artificiosità." E, per quello che sappiamo e abbiamo ascoltato, è vero.
 
 
 
Da Rivista "Il Grandevetro" n. 150, Santa Croce sull'Arno, Pisa, Dicembre 1999.
Dal 1988 la Rubrica "I fatti della musica" sulla Rivista "Il Grandevetro" è curata da Renzo Cresti che ha scritto anche numerosi altri articoli sulla Rivista ed ha organizzato iniziative culturali e concerti.



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Classicismo e romanticismo, saggio di Giovanni Salviucci (riproduzione parziale)

Spesso si sente parlare in arte di via, come del percorso che il singolo artista persegue e spesso si dice: il tale musicista segue una opposta via di quest'altro. Piano, con queste vie e più ancora con queste opposizioni di vie. A me sembra che in arte le vie possono essere molte, moltissime, pur rimanendo una sola la mèta e quindi la direzione.

E quale sarà questo fine cui tendono le forze di ogni vero artista? Non può che essere che uno: raggiungere nell'opera d'arte un massimo d'espressione in una forma perfetta. La forma è il senso dell'unità costruttiva. E' una forma-sostanziale che, per intendersi, non è il risultato della disposizione del materiale tematico della composizione ma è nella natura stessa di questo materiale e perciò di tutta la composizione. Arte o forma hanno ragione di esistere solo per una cosa: esprimere.

Non sono stati pochi gli artisti che sono stati spinti a reagire alle ultime conseguenze del romanticismo, fecero opera del tutto opposta e si dettero alle forme più originali di cerebralismo. Questa reazione, volere o no, ha avuto i suoi benefici effetti sugli spiriti più equilibrati e specialmente sui giovani. Gli uni e gli altri, al contrario di quegli artisti reazionari che stabilitisi in quel dominio crerebrale difficilmente hanno saputo venirne via, anche se consci di questa necessità, hanno avuto una doppia eredità: dal romanticismo il desiderio di una nobile espressione, dal cerebralismo un bisogno di esprimersi in una forma veramente degna.

Mai come oggi si sia intesa maggiormente una necessità di equilibrio tra forma e contenuto, il fine dell'arte non è dunque tradito; non preoccupiamoci perciò di analizzare oltre i nostri moti interni, ma marciamo sicuri per quella conquista di mezzi e profondità di sentire, che darà alla nuova èra i suoi capolavori.



Giovanni Salviucci, Classicismo e romanticismo, in "Rassegna Nazionale", gennaio 1933.
 
 

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Nel 2011 è uscito il cd Giovanni Salviucci
Block nota cd bn 570 www.nota.it
Contiene una testimonianza della figlia, Giovanna Salviucci Marini, nota cantante e chitarrista di musica popolare, un'analisi delle composizioni di Pier Paolo De Martino, il catalogo delle opere a cura di Paola Sincovich, una Nota di Giovanni Adler e alcune citazioni di personalità che hanno scritto su Salviucci: Dino Villatico, Fedele D'Amico e Renzo Cresti.

I brani contenuti nel cd:
Serenata per nove strumenti
Alcesti, episodio per Coro e Orchestra
Introduzione, Passacaglia e Finale
Sinfonia da camera per 17 strumenti




http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-salviucci/







Renzo Cresti - sito ufficiale