home
Roberta Silvestrini, la felicità della struttura
La felicità della struttura
 
 
 
Ho conosciuto Roberta Silvestrini (Milano 1964) quando era allieva di Franco Donatoni e siamo diventati molto amici. Ho scritto di lei fin dalle sue prime prove e ho seguito con interesse il suo percorso artistico, sempre molto ricco di umori e di energie. La graziosità dei tratti non inganni, Roberta è un "duro", lavora come un artigiano batte il ferro e la sua volontà di costruire manufatti di grande qualità è appunto ferrea. Averne di fabbri così!
 
Il Metodo compositivo di Roberta Silvestrini si basa sull'organizzazione: apppunti e schemi preparatori precostituiscono la struttura compositiva, basata su molteplici interconnessioni che funzionano in ogni istante, generando uno stato di coerenza interna molto forte, costruito secondo un processo cooperativo. La struttura è articolata in forma reticolare e consequenziale e si assiste alla convergenza di tutti gli aspetti verso un punto focale, si viene così a creare un universo musicale geometrico, basato sull’astrazione dei parametri spazio-temporali. La tecnica utilizzata è quella della permutatio, permutazione infinita degli elementi di una cellula iniziale e combinazioni di parti fra loro.
 
Il numero quattro, del 1993, dei "Quaderni di Octandre", edizioni Agenda di Bologna, è dedicato a Roberta Silvestrini e contiene, oltre a quattro partiture, un’intervista e note biografiche, un mio saggio, intitolato, Silvestrini esprit de finesse e gesto prevaricante, dove scrivo: “simile all’impulso ludico del fanciullo è il bisogno ludico di creare dell’artista / …/ è la materia che si autorivela, nel suo incessante trasformarsi, e che, nel suo lievitare, esprime un movimento prevaricante, una sorta di hibris dionisiaca che eccede la speculazione razionalistica per esprimere, con pathos, l’esigenza del gioco. La musica della Silvestrini sembra rappresentare bene, con la crescita e l’esplosione della materia sonora, questa eccedenza, questo andare verso un luogo ludico, dove vincolo e libertà sono tutt’uno. L’abile leggerezza delle combinazioni, che partono dalla cellula germinatrice, ben esprime l’esprit de finesse, vivificato da un’energia sotterranea che esplode nel gesto prevaricante, dove razionalità e passionalità si conciliano.
 
Gli elementi usati dalla Silvestrini sono, preventivamente, dotati di un progetto interno, una sorta di meccanismo cibernetico molecolare che si auto-regola e che determina l’accrescimento delle cellule. Si tratta di un meccanismo di perenne rilettura del materiale di partenza, perturbato però, in molti casi, da inserimenti extra, come quelli gestuali, che comunque sono inglobati nel sistema macroscopico. La cellula di partenza svolge una funzione simile a quella del DNA, ha un carattere fenotipico che determina lo sviluppo successivo, in un processo di continua auto-organizzazione, infatti ogni perturbazione è seguita da un’immediata ri-organizzazione. Questo tipo di razionalità procedurale si basa sul concetto di vincolo: ogni gioco ha le sue regole che devono essere rispettate per essere superate.”
 
Come si può giudicare la bellezza di un’opera di questo tipo? Facendo ricorso alla cosiddetta “felicità del Golem” (il Golem è una struttura complessa). Una struttura si dice “felice”, quindi ben fatta, bella, quando realizza lo scopo che si prefigge, quando il suo articolarsi descrive pienamente il concetto a cui è destinata. Possiamo dire, con sicurezza, che le strutture musicali della Silvestrini sono felici!
 
Il percorso compositivo dell’Autrice marchigiana risulta di una coerenza invidiabile, infatti già nelle composizioni giovanili degli inizi degli anni Ottanta si profilano le caratteristiche salienti, che poi verranno coltivate con sempre maggiore abilità. I primi lavori in catalogo risalgono al 1986, si tratta di un quartetto d’archi, dal titolo Preparation, e di un duo per violino e pianoforte, intitolato Pour deux. Al 1987 appartiene Jeux de feu, per quintetto di fiati, primo pezzo felice della giovane Silvestrini: è una composizione tutta giocata sugli incastri di rapide volatine che scivolano continuamente da uno strumento all’altro, con entrate canoniche più o meno strette: una sorta di ammaliante perpetuum mobile. Cinque sono le note generatrici, come cinque sono gli strumenti, usate in tutte le loro possibili permutazioni, creando delle figure che passano da uno strumento all’altro e facendo ricorso a tutta l’estensione consentita (dai suoni bassi del fagotto a quelli acuti del flauto). Alla composizione sottostà una logica evolutiva, infatti da piccoli frammenti la materia si amplifica, esprimendo un senso di crescita ben evidente, anche in senso grafico.
 
Pure il ritmo e il timbro sottostanno alla logica combinatoria, vero motore della composizione, tant’è che gli elementi non seguono una freccia spazio/temporale, non sono trasportati da un luogo all’altro, non hanno un movimento vettoriale, ma a spirale, che porta gli elementi al loro stesso aver luogo: le cellule musicali individuano, muovendosi, la loro stessa natura, scoprono la loro forma connaturata, il loro essere così, continuamente generate dalla propria natura. I giochi timbrici sono entusiasmanti, creando una suggestione di colori che ricordano i fuochi d’artificio (da qui il titolo, in francese, secondo un vezzo della Silvestrini, che ama battezzare i suoi lavori col raffinato lessico transalpino). Il caleidoscopico mutare dei colori fa cambiare anche l’atmosfera espressiva, mutazioni che derivano pure da elementi intervallari nuovi che si innestano ai vecchi, pratica appresa dall’insegnamento di Aurelio Samorì.
 
La formazione compositiva della Silvestrini è iniziata sotto la guida, al Conservatorio di Pesaro dove s’è diplomata, proprio di Samorì, è poi proseguita all’Accademia Chigiana di Siena con Franco Donatoni, con il quale si diplomerà al corso di Alto perfezionamento presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. Da Donatoni la Silvestrini apprende la scrittura automatica di disinvolta flessuosità che si mantiene su toni di sgargiante agilità e di delicata leggerezza; nonostante una notevole difficoltà di esecuzione non si tratta di una scrittura meramente virtuosistica, ma il virtuosismo è il risultato dell’indagine delle possibilità offerte dalle particolarità degli strumenti, possibilità di indagare modelli esecutivi non ancora pienamente sperimentati, dove stasi e movimento, variante e invariante, contino e discontinuo, vengono colti nel loro manifestarsi, nell’hic et nunc dell’attimo in cui si presentano.
 
E’ interessante notare che il metodo donatoniano la Silvestrini lo applicava già, perlomeno nei suoi aspetti fondamentali, per conto suo, per cui l’incontro con Donatoni non è altro che un approfondimento della sua stessa natura. Si vedano le composizioni degli anni Ottanta, come Music game, pezzo dell’87 che riutilizza ancora il quintetto di fiati, ma con l’aggiunta del pianoforte. Il trattamento delle cellule musicali di partenza costituisce il fondamento della metodologia, il pezzo è infatti basato su una logica consequenziale strettissima: inizia il pianoforte, proponendo una linea acuta microvariata, dalla prima nota si genera l’intera architettura sonora, che si espande per note attigue. Non è più presente il solismo coloristico di Jeux de feu, ma si manifesta la tendenza a suggerire un risultato sonoro d’insieme, sviluppando un dialogo fra fiati e pianoforte: i fiati prima propongono una fascia sonora composta da note lunghe, poi si frastagliano in piccoli gruppi (con preferenza per le figure terzinate) che costituiscono una parte centrale formicolante la quale, in modo simmetrico a quanto avviene all’inizio, si dilata, lasciando il flessuoso fraseggio del pianoforte in evidenza, fino a un crescendo finale, rapido e fortissimo. Questo è un gesto musicale conclusivo che ritroviamo anche il altri pezzi successivi, tipico finale della musica della Silvestrini.
 
A una mia domanda sui suoi studi, nell’intervista intitolata Il luogo ludico dell’invenzione (nel Quaderno di Agenda citato), la Silvestrini risponde: “il Maestro Samorì mi ha sempre attratta per la sua calma, per la sua riflessione, per i suoi esempi extra musicali. Dal Maestro credo di aver tratto l’attitudine al lavoro minuzioso di analisi, la consequenzialità degli eventi, i quali pur distinguendosi in situazioni formali diverse, sono sempre collegati originariamente a un codice rigoroso e razionale / …/ il Maestro Franco Donatoni è stato il polo di riferimento di Samorì, che peraltro lo citava spesso in classe. Frequentando i corsi di Donatoni, ho potuto constatare la similitudine dei suoi metodi compositivi e di insegnamento con quelli che avevo appreso da Samorì: il primo ha però un carattere più estroverso / …/ l’appartenenza dei due Maestri alla stessa corrente di pensiero compositivo è verificabile nel concetto di Donatoni di naturale svolgersi della vita, che si riflette nella consequenzialità degli eventi. Quest’ultimi si susseguono, si evolvono, dando vita a situazioni differenti che devono essere sempre tenute sotto controllo, per utilizzarne al meglio tutte le parti.”
 
Alla Silvestrini occorrono pochi elementi di partenza per comporre, questi pochi elementi, attraverso processi di trasformazione, amplificano il loro sviluppo generando un sistema di base che si accresce formalmente, pur rimanendo vincolato alla specie di partenza. Il materiale così si amplia fino a sprigionarsi in un intenso crescendo, pieno di grinta e forza, destinato a crescere lentamente, a dissolversi, per disintegrarsi infine.
 
Il pensiero forte della Silvestrini si dispone in percorsi reticolari, com’è espresso, fin dal titolo, nel pezzo La toile d’araignée per quartetto di flauti, del 1989: la ragnatela deriva da una cellula in espansione, infittita nella zona centrale del pezzo. Il materiale musicale ruota intorno a un perno realizzando giochi di densità e di rarefazione, di rallentamenti e di accelerandi (come nei pezzi di Aldo Clementi). La composizione si basa su un’unica figurazione a spirale, insinuante, che dispone, in maniera sempre mutevole, lo stesso materiale. Si tratta di un gioco ermeneutico, ossia di interpretare lo stesso materiale in maniera sempre leggermente differente, cambiando l’angolo di visuale. I suoni tendono a compattarsi e a scomporsi, per poi ri-comporsi nuovamente. Spesso una pausa separa i nuovi pannelli sonori che, altre volte, vengono chiusi da piccole figurazioni guizzanti, contravvenendo alla prassi usuale del dissolvimento. La disposizione fraseologica e strumentale è morbida e insinuante, ammiccante a situazioni sospese, volta a momenti sognanti che sanno equilibrare l’impeto costruttivista e l’energia cerebrale.
 
Nella musica della Silvestrini, il tempo e il ritmo soggiacciono a regole determinate, di solito l’icipit è quieto, per poi passare a momenti più tesi, fino a un acme conclusivo. Gli intervalli che la Silvestrini predilige sono soprattutto quelli che suggeriscono immagini d’urto o equivoche, come il semitono e la settima maggiore o la quinta diminuita. L’atmosfera del brano è, nel suo insieme, unica, come in Quatre petits moments per violino, flauto, chitarra e pianoforte, del 1989, qui ogni momento mantiene una sua fisionomia sonora, che prende forma da un crescendo della materia, una crescita interna che genera un primo momento statico, un secondo mosso da note fitte, un terzo dove predomina il solismo del flauto, un quarto dalla partecipazione collettiva, al gran finale che avviene con un’esplosione improvvisa. L’intreccio delle figurazioni si dispone su tutti gli strumenti, rispettando l’equilibrio del quartetto (fra l’altro non facile, visto le diversità foniche degli strumenti).
 
La simmetria sonora deriva da quella intervallare e sta alla base delle disposizioni sonore di Charmat per contrabbasso, composto nel 1990: il lavoro si presenta come una pluralità di atteggiamenti, tutti derivati dallo stesso materiale generatore che, trasformandosi incessantemente, da’ luogo a variegate situazioni ritmiche e timbriche, realizzate anche sfruttando le possibilità estreme dello strumento. Le situazioni sonore prendono corpo dall’innesto di elementi nuovi, mentre altri perdono progressivamente la loro forza, è un processo di dissolvenza a cui si sovrappone un meccanismo di messa a fuoco. V’è un crescendo interno della struttura, che si realizza partendo da note basse fino a quelle sovracute. Con questo pezzo la Silvestrini inizia a pensare (anche se a volte è un pensiero inconscio) alle caratteristiche tipiche degli strumenti, dando sempre più importanza all’aspetto timbrico-gestuale.
 
Ancora al 1990 appartiene Lungo sogno senza fine per voce, flauto, clarinetto, violino e chitarra: il testo è un rifacimento di frammenti di poesie di Silvia Cecchi, ne viene fuori un collage dai toni nostalgici, descrivendo, con malinconia, la fine di un amore. Molti i madrigalismi che sottolineano, con simbologie musicali elementari, gli stati d’animo espressi dal testo, a cui si da’ molta importanza, tanto che il tenore all’inizio lo recita, per farlo capire meglio. La musica si attiene al significato semantico del testo, ma sa anche aprirsi a spiragli immaginifici di grande fascino. Strutturalmente, anche questo brano si basa su una continua trasformazione della materia, in un processo d’ infinita moltiplicazione dei possibili, in cui si affollano immagini e gesti che attendono di essere elevati al rango di figura. Tale profilatura può assumere anche un carattere esplicitamente gestuale, come in Agité, altro brano per contrabbasso, del 1991. Anche in questo caso il brano prende vita da pochi elementi, suoni gravi che vengono ampliati via via, salendo sempre più di estensione, utilizzando lo strumento non solo in senso intervallare, ma anche fortemente ritmico. Il carattere è esplosivo, agitato (come preannuncia il titolo), esprimendo un’energia gestuale travolgente che vivifica i procedimenti della permutatio.
 
Il gesto inserisce un aspetto vitalistico che corrobora l’asettica ratio, la quale si esprime con maggiore partecipazione che, pur non rinnegando affatto il costrutto combinatorio, dimostra una disponibilità all’extra linguistico, un’apertura metodologica verso quegli elementi che non sono strettamente pre-codificati. Brani come Agité prendono corpo sì dalle trasformazioni della cellula-madre, ma si completano grazie alla gestualità, infatti ogni sono secerne il gesto, il che non significa minor controllo delle situazioni sonore, ma maggiore disponibilità ad accogliere l’esuberanza espressiva (esuberanza rispetto al sistema di controllo, ossia eccedenza del dato strettamente linguistico). Si fa fondamentale il contributo dell’interprete, il quale deve saper entrare dentro ai meccanismi del pezzo e risolverne gestualmente le figurazioni e la ritmica. I titoli di alcuni lavori successivi sono, di per sé esplicativi della forza gestuale, come Energique per pianoforte, o Animé per viola (entrambi del 1993).
 
Lo stesso trattamento della cellula generatrice dimostra l’esigenza di dar spazio all’energia espressiva, si veda il brano per violino, viola, violoncello, vibrafono o marimba, Crescendo intenso, del 1992, dove il tutto ruota intorno a un perno che però, a un certo punto, sovraccarico di energia, esplode, generando altre cellule che, a loro volta, si amplificano, dilatandosi, allungandosi, moltiplicandosi, come se fossero in ebollizione. Vitalismo e gestualità sono sottolineate, da un’irruenza ritmica che trascina tutto il brano, prendendo ancora maggiore evidenza e forza, per contrasto, dalle situazioni di pacato rilassamento. Come già in altri pezzi, la timbrica sfrutta prima le zone gravi degli strumenti, per poi passare a quelle acute, con un cammino graduale, destinato a esplodere, radioso messaggio di ottimismo. Il processo di crescita sonora è sottolineato da un allargamento intervallare, si passa dal semitono alla settima maggiore, privilegiando, nelle permutazioni degli elementi, i numeri dispari.
 
Ciò che sta alla base della poetica della Silvestrini è la metafora del gioco, trionfo dell’edificare, del distruggere e del costruire di nuovo, nel rispetto di regole (linguistiche) date e del loro superamento (gestuale), in una perpetua trasformazione del tutto, traduzione del detto “nulla si crea e nulla si distrugge”: la materia si trasforma creando nuove forme, nuovi colori e nuove sensazioni, riconducibili però sempre a un’idea iniziale preformante, che conferisce unitarietà e coerenza stringente a tutto il pezzo.
 
La Silvestrini ha un rapporto molto stretto con le arti figurative e con la letteratura, avendo una spiccata propensione a trovare un nesso immediato tra quello che vede o legge e la gamma dei suoni. Ogni forma artistica diventa fonte di ispirazione sonora. Non sono quindi un caso la composizione della scena lirica per solisti e coro Antigone, su testo tratto dall’Antigone di Sofocle (canto delle carceri cieche), lavoro dedicato alla Compagnia teatrale "Il Melograno", come anche il successivo lavoro per quintetto d’archi, quintetto di fiati e percussione, intitolato Bref Suspects, colonna sonora delle rappresentazioni del giallo di Agatha Christie, Trappola per topi.
 
Il trasformismo dei suoni è inteso dalla Silvestrini come una vitalistica crescita della materia, un esercizio ludico, rivolto a una scrittura raffinata ed energica a un tempo, soggetta a una notevole flessibilità delle trasformazioni. Il maturarsi della cellula, come un frutto che viene esposto al calore, produce anche una figuratività (soggettività) che si accoppia a una piacevole concezione del dato sonoro risultante.
 
 

http://www.mediateca.marche.it/teche_musicali/musicisti_compositori/33%20-%20Roberta%20Silvestrini.pdf 



Da Renzo Cresti, La felicità della struttura, nella Collana Linguaggi della musica contemporanea III, Miano, Milano 2000.






Renzo Cresti - sito ufficiale