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Camillo Togni, una disciplina senza compromessi
Togni l'aristocratico che amava l'espressionismo



Conservo di lui, che troppo presto ci ha lasciato, immagini di un uomo severo e discreto, che esprime nei gesti un'educazione culturale aristocratica. Circondato da allievi distratti, sembrava appartenere a un alt(r)o modo di intendere le cose, un modo ancora non corrotto dalla massificazione che tutto ha imbarbarito. Forse se n'è andato proprio quando il suo mondo non poteva più reggere a una musica fatta merce, volgare, eppure non ho mai notato in lui atteggiamenti sussiegosi (che si riscontrano invece in tanti piccoli uomini) e mai l'ho sentito pontificare. Davvero un bell'esempio di nobiltà d'animo, che la musica rispecchia pienamente col suo rigore e con la sua eleganza.
 
Consigliai al mio ex allievo Maurizio Arena di diplomarsi con lui al Conservatorio di Parma, e con Arena stendemmo un lungo saggio sulla poetica e sulla musica del Maestro, che, in parte, è riportato qui sotto.
 
Il Maestro (Brescia 1922 - 1993) appartiene alla generazione successiva a quella di Luigi Dallapiccola, ma entrambi, parallelamente, compiono le prime esperienze di adozione delle tecnica dodecafonica in Italia. I Canti di prigionia (1938-41) fanno ricorso a una continua dialettica fra metodo dodecafonico e plasticità della linea melodica e, in tale dialettica, si scorge la storica ambizione umanistica della cultura italiana, per la quale l’universo linguistico è melos espressivo. Serenata per pianoforte del 1942 è dodecafonica.
 
Diversamente da altri compositori che frequentarono i Ferienkurse di Darmstadt, per i quali il metodo dodecafonico è una conquista tormentata, per Togni è un'adesione naturale e non diventa mai un sistema tecnico, ma è un modo di vivere l’opera aderendo alla moralità espressionistica, con spontanea partecipazione. Per Togni comporre è una coercizione interiore orientata a un ideale superiore di disciplina e di ordine, senza compromessi. La musica non appartiene al regno del bello ma a quello del buono, riaprendo così arcaiche dispute teologiche, per Togni, come per Kandinskij, la bellezza o è bellezza interiore o non è. L'antitesi fra bellezza e verità era già stata proclamata da Nietzsche, ma in Togni acquista una carattere morale assente nel filosofo: la verità del fare artistico consiste nell'etica del rigore, e solo in questa austera severità è possibile una libertà responsabile.
 
Si potrebbe suddividere la produzione di Togni in tre fasi: la prima parte dal giovanile Otto pezzi per sette strumenti (1941) e arriva alle Variazioni per orchestra (1946), si tratta dell'esordio ma di assoluta qualità e già indirizzato con convinzione. La seconda fase corrisponde al periodo 1946-1955, fino cioè all'esperienza di Darmstadt; infine al terza fase, che si protrae con sempre maggiore affinamento fino alla morte, ha inizio con il ciclo di liriche op. 39 Hellian (1955), dove Togni si sintonizza in maniera davvero profondissima sul suo poeta preferito Trakl e da' vita a una materia musicale scarna ma intensa, in cui l'essenzialità dei giochi timbrici pianistici e l'articolazione della scrittura vocale colgono la musicalità del testo, sviscerandone la dimensione intellettuale e sentimentale (soprattutto il senso di stupefatto smarrimento).
 
Togni nella creazione della serie fa in modo di ottenere il semitono, in modo da evitare sempre la relazione di ottava o falsa ottava (come nei citati 5 Lieder Hellian da Trakl), la specularità strutturale e intervallare risulta la caratteristica di base del lavoro di Togni, il quale usa elaborati progetti preparativi all’opera, progetti scritti su carta a quadratini che aiuta a inquadrare anche il senso spaziale dell’opera (un metodo appreso da Maderna che insegnò appunto a utilizzare la carta quadrettata). Un’altra caratteristica della scrittura di Togni è quella della trasparenza, infatti, malgrado calcoli permutatori e combinatori, l’intreccio polifonico viene sempre presentato con una timbrica lieve e cristallina, giocato su un reciproco interscambio di colori (d’altra parte anche per gli strutturalisti ci dev’essere un controllo del materiale sonoro e una scelta che sia udibile, altrimenti la musica non esce fuori, rimane al livello meramente progettuale.
 
Nei Tre capricci (1957), Togni utilizza un metodo che pone in relazione proporzionale l'intervallo e il valore delle note: se la semicroma corrisponde a un semitono, la croma equivale a un tono e così via. Altri fattori sono trattati liberamente, come le dinamiche, i registri, gli attacchi. I riferimenti alla tecnica della variante, espressa nelle ultime opere di Schoenberg, sono evidenti. La continua meditazione sul recente passato costituisce un tratto essenziale del pensiero e dell'operare di Togni, la cui musica sembra porsi l'obiettivo di perfezionare, fino a una compiutezza parossistica, la tecnica lasciata in eredità dai viennesi. In questo Togni pare l'Angelus Novus di Paul Klee che, pur sospinto in avanti dal vento della storia, ha lo sguardo rivolto all'indietro.
 
L'espressività essenziale, dal tono di melanconica confessione (come in Rondeaux per 10 del 1964) riecheggia il melos purissimo di Schubert, sintonizzandosi sulla cristallina espressività di Webern; la stessa purezza di scrittura si riscontra anche in altri lavori, come nei Tre pezzi per corno e orchestra (1972) che traggono origine da un unico materiale rotatorio, nel Trio d'archi (1978), in cui il serialismo è volto a una duttilità morfologica e a un'articolazione architettonica complessa, ma asciutta, discreta, perfino circospetta.
 
Anche i pezzi più recenti conservano una sintassi normativa, ma il discorso non è statico, anzi variato e articolatissimo: il segno, decantato, si fa aereo e sottile, in un'espressività limpidissima, dove il nitore e la fluidità della scrittura, spiegano in modo trasparente i nessi morfologici.
 
Togni persegue una sorta di purificazione della dodecafonia, sottraendola alla morsa del sistema e indirizzandola verso un ideale di assoluto sonoro simile al suono bianco: è un infinito di suoni che corrisponde a un infinito interiore.
 
Il rapporto con la letteratura, e in particolare modo con quella tedesca e con la poesia, costituisce il filo rosso dell’espressività tormentata che lega Togni alla grande stagione viennese. Trakl è il poeta a lui più congeniale. La materia sonora di Togni è sempre leggera, nitida e preziosa. La purezza di scrittura si accoppia sempre con un’estrema riservatezza gestuale. Il suo è il rigore di un solitario, di un musicista aristocratico che incarna un'etica senza cedimenti, quasi conventuale.
 
E' quello di Togni un operare colto e civile, fuori dai giochi di potere, fuori da ogni mondanità, nulla concede ai cedimenti verso il mercato, verso le mode, anzi la sua concentrazione sulle purissime esigenze musicali è assoluta e sorretta da una moralità integerrima e, ovviamente, da una capacità speculativa che, per la sua trasparenza, non trova confronti nel panorama italiano. Alla sua morte, sopraggiunta nel 1993, stava attendendo a un trittico comprendente Barabbas, Intermezzo, Maria Magdalena.
  
 
 
Da Maurizio Arena – Renzo Cresti, La ricerca seriale di Camillo Togni, in Rivista "Sonus" n. 1, Potenza Novembre 1989 - anche nella scheda critica relativa a Togni, in Enciclopedia Italiana dei compositori Contemporanei, III vol, 10 Cd, Pagano, Napoli 1999-2000. Il libro di Daniela Cima, Camillo Togni, edito dalla Suvini Zerboni di Milano, è consigliabile per un approfondimento.



A Maurizio Arena



http://www.concorsotogni.org/
http://www.treccani.it/enciclopedia/camillo-togni_(Enciclopedia_Italiana)/
 
 




Renzo Cresti - sito ufficiale