Beatrice Campodonico, con intervista
Beatrice Campodonico, raffinatezza e affettivitàConosco Beatrice Campodonico da molti anni, ci siamo conosciuti a qualche corso di Franco Donatoni, ne ho sempre apprezzate le qualità di musicista a tutto tondo, non solo raffinata compositrice ma anche direttrice di coro, docente appassionata del suo lavoro didattico e promotrice e organizzatrice di manifestazioni musicali e rivolte alla contemporanea. Il lavoro con i giovani, come quello organizzativo, consente di rimanere attaccati a una realtà che, a volte, l’artista perde di vista perché segue i suoi percorsi mentali.
È nata a Milano nel 1958, fa dunque parte di quella generazione di donne che – finalmente – si è emancipata in un lavoro che, fino a qualche decennio or sono, era prettamente maschile, ma la composizione oggi, almeno dalle lotte degli anni Settanta in avanti, si declina sempre più spesso al femminile, anche grazie all’impegno di personalità come la Campodonico, la presenza delle donne in musica è fondamentale, occorre anche, come auspicato dalla stessa Campodonico, parlarne a livello storico, ripercorrendo il tragitto novecentesco per giungere all’attuale emancipazione.
Ho voluto realizzare un’intervista, in modo da vedere, dalle stesse parole della compositrice, quali sono stati e quali sono i suoi percorsi, i suoi intrecci culturali e musicali, le sue idee sulla composizione, il suo operare e la sua opera, da parte mia ho riascoltato con molto interesse e piacere (i due aspetti non vanno sempre di pari passo) le composizioni incise che mi hanno sollecitato ad alcune riflessioni.
Inizia a scrivere poco più che ventenne, il suo primo pezzo è del 1979, s’intitola Chiare, freschi, dolci… (acque, ovviamente, in cui i versi petrarcheschi vengono usati in maniera ironica), lo cito perché piuttosto curioso, si tratta di una ricerca sull’inquinamento acustico, realizzata per nastro magnetico, e ancora per nastro magnetico sono i brani seguenti, A.B.C. (sempre del 1979) e Sabbia del tempo, Momenti, Metamorfosi, Si (tutti del 1980) in cui si alternano vari strumenti, clarinetto, flauto e pianoforte che realizzano una trasfigurazione dei suoni sopra il flusso del nastro che rappresenta una sorta di Stream of coscience. In questi brani l’influenza di Vittorio Fellegara, primo maestro della Campodonico, mi pare evidente.
Il catalogo è piuttosto scarno, un brano significativo degli anni Ottanta è Isola di Ulisse (1986) su testo di Salvatore Quasimodo, dove l’espressività si basa su una cantabilità legata che evoca lontananze e un tempo immoto. L’intervallo di quinta vuota si presenta fin dall’inizio e, attraverso varie sovrapposizioni, giunge a un’incorporea fissità. Il testo è trattato con madrigalisti che indicano l’attenzione programmatica, il susseguirsi delle sequenze madrigalistiche, che procedono per germinazioni continue, riconducono, infine, all’eterea immobilità iniziale.
La solida preparazione, la cultura musicale e la mano sapiente – di cui la Campodonico va giustamente fiera – si sentono benissimo in tutti i suoi brani, come nel contrappuntistico Nochmals per pianoforte (1991), in forma di rondò, teso e scattante, di complessa struttura, dove figure di luce e pause d’ombra derivano dal fa quale suono generatore. All’anno seguente appartengono i raffinati Tre pezzi brevi per chitarra, il primo è il più breve, intitolato Around, presenta una scrittura relativamente semplice e affettivamente dolce; il secondo il più lungo, Flounce, è nervoso e mosso, mentre il terzo, Oasi, è il più tecnico e ricorre anche a modalità esecutive particolari, con un bel finale sospeso.
Dalla seconda metà degli anni Novanta l’attività compositiva raggiunge un livello di maturazione davvero importante, con alcuni cambiamenti pur in un’evidente continuità stilistica, di segno e di gesto. Nel 1997, la Campodonico scrive un brano per pianoforte denominato Collage, dedicato ed eseguito da Esther Flückiger, la quale ha collaborato a una seconda versione titolata Mosaico, un canto sotto la terra, in cui al pianoforte si aggiunge il sax baritono: la struttura di questo brano prende forma da una continua e libera trasformazione di 12 frammenti melodici e di 5 cellule accordali che gli esecutori reinventano di volta in volta. Il pianoforte introduce con suoni sospesi l’entrata del sax che alterna le sue linee a zig-zag con brevi interventi pianistici, i due strumenti s’incastrano, appunto a mosaico, cercando d’intonare un canto nascosto.
Canzone d’autunno, per flauto e chitarra risale al 2000 ed è un brano suddiviso in tre parti: Aurora, prima sezione del trittico che più che essere meramente descrittivo ha riferimenti psicologici, qui si evoca la nascita di una luminosità interiore, formalmente si tratta di variazioni con andamento lentissimo; il secondo movimento s’intitola Giorno e afferma caratteri positivi, è brillante ed in forma aperta, mentre il terzo pezzo, Al crepuscolo, è nella forma chiusa di una canzone ABA; il calar del sole e delle energie vengono evocate dalla sonorità brunita dei flauti in sol e in do.
Dialogue angélique e For two, entrambi del 2001, sono brani per duo chitarristico, scritti per Maria Vittoria Jedlowski e Claudio Ballabio; la Campodonico aveva già composto per chitarra sola, Tre pezzi brevi e La leggenda di Vassilissa, ora si cimenta nel duo con risultati eccellenti. Dialogo angelico evoca qualcosa di immateriale, attraverso una melodia arpeggiata e con suoni armonci: il suono iniziale di un campanellino ha la stessa funzione del ‘c’era una volta’ delle fiabe, infatti, la composizione si svolge in un’atmosfera da sogno, fantastica, fatata. Se il ritmo del Dialogo angelico è rarefatto quello di For two è in evidenza, con parti percussive e accordi secchi, vi si nota una libera influenza jazzistica.
Particolarissimo è il brano Il profumo dei ricordi, su testo di Ambra Zaghetto, tratto da Il Signore delle sette pipe, in Qualcuno si è dimenticato la luna appesa in cielo (2005), per voce recitante e violoncello; si tratta dell’evocazione di un ricordo, di un sentimento: «La vita deve pur averlo un odore. Per l’uomo dalle sette pipe l’odore della vita era uno. Di quell’odore si sono impregnati tutti i mobili della casa, tutti i muri, tutte le tende. Quell’odore che sa di fuoco e di tranquillità. […] Guardo il suo viso e sento l’odore della sua vita». Il testo è bello, la musica segue in maniera libera, sciolta ma puntuale nei confronti delle emozioni che si snodano durante il racconto; la voce calda del violoncello è quanto di più appropriato.
Il 2010 è anno stranamente denso di brani, vedono, infatti, la luce Oche per due voci e pianoforte (opera didattica) su testo di Potter; Silenzio d'autunno per voce, clarinetto e pianoforte su testo di Sibilla Aleramo; Ostinatamente per sei chitarre (opera didattica); Le parole del vento per flauto in sol Parole Gialle e Parole Blu; Aldeberan 2010 per piccola orchestra di ragazzi; Dejavu per pianoforte.
Evanescente (2012) è una composizione il cui titolo – sempre molto indicativi nella produzione della Campodonico – rimanda alla sonorità liquida del brano, con suoni tenuti che creano riflessi nel silenzio, glissati impressionistici come soffi, respiri soffusi e velature. Questi tratti sono delle costanti, di una poetica raffinata e affettiva.
Intervista a Beatrice Campodonico
Nella tua formazione, quali sono i maestri che più hanno inciso?
Non ho riferimenti di autori o autrici del presente e del passato privilegiati. Certo, le influenze ci sono state e ci saranno perché sono immersa nel mio tempo e perché ho fatto un percorso di studi molto tradizionale e accademico. Di questo sono molto contenta perché sento di avere acquisito una preparazione solida che mi permette di conoscere, apprendere e amare la musica del passato da cui ho tratto grandi insegnamenti soprattutto per quanto riguarda le regole dell’armonia e del contrappunto.
Amo e ascolto tutta la musica ben fatta, indipendentemente dai generi, però prediligo quella colta attuale perché la sento più vicina alla mia sensibilità. Lo studio, l’analisi e l’ascolto delle musiche che via via studiavo e tuttora studio sono fonte di ispirazione; anzi penso che, in particolare, l’analisi per me ha sempre avuto lo scopo di appropriazione dei trucchi del mestiere.
Ecco, così ho utilizzato la serialità libera mentre mi accingevo allo studio della cosiddetta Seconda scuola di Vienna, di cui faceva parte Alban Berg, verso il quale ho sempre avuto una predilezione. Uno dei mie lavori, il trio per violino, violoncello e pianoforte Andante Amoroso si ispira al brano analogo della celebre Lyrische Suite. J. S. Bach è sempre presente nell’uso del contrappunto; Sirens, brano per pianoforte, richiama Debussy e il suo universo onirico. E così via, l’elenco sarebbe veramente molto lungo.
Quando hai iniziato a comporre, negli anni '80, quali erano i tuoi obiettivi? Pensi di averli raggiunti?
Ho avuto sin dall’inizio un atteggiamento molto timido e reverente nei confronti della composizione e non ho mai mirato a progetti particolarmente ambiziosi (lavori per grossi organici, per intenderci), questo risulta evidente consultando il mio catalogo che include prevalentemente musica da camera. Ho lavorato principalmente in funzione dell’oggi e sulla base delle occasioni che si sono presentate lungo il mio cammino, coltivando le relazioni con gli e le interpreti, cui ho dedicato la maggior parte delle mie musiche. Alla luce della consapevolezza odierna e guardandomi indietro, considerando i traguardi raggiunti, ho il rammarico di non aver osato di più! Fondamentalmente non mi sono saputa proporre con decisione e convinzione aspettando di essere notata nella certezza-speranza di ricevere proposte di commissioni allettanti. Forse è questo un atteggiamento molto presuntuoso .
Descrivi il tuo metodo di composizione, con qualche esempio.
La mia musica si potrebbe definire a programma o descrittiva come era un tempo, in quanto spesso faccio riferimenti ad eventi, situazioni, scritti etc., extra musicali. La titolazione dei miei brani ha sempre una grande importanza, perché il più delle volte indica il punto di partenza o quanto voglio “rappresentare” musicalmente.
Il progetto compositivo avviene in più fasi: nella prima, metto a fuoco l’idea generale individuando il carattere, l’andamento, la macroforma. Questo è il momento più elettrizzante e spesso ha una gestazione che può essere anche molto lunga. La seconda fase, dedicata alla stesura e alla preparazione del materiale (orizzontalità e verticalità ), alle possibili manipolazioni e germinazioni, è quella più laboriosa e faticosa .
La terza fase è dedicata alla scrittura del progetto in partitura, dove è già tutto praticamente definito. In genere è un momento abbastanza fluido anche se a volte cambio direzione rispetto al pensiero originario .
La quarta e ultima fase è il confronto con l’interprete che tengo in grande considerazione perché credo che la musica debba “suonare” e il brano debba essere “strumentale” gratificando l’udito di chi ascolta e il piacere del far musica di chi interpreta.
I brani recenti li senti diversi da quelli passati? E se sì perché.
Si e no. Ci sono delle costanti che si possono individuare sin dai miei primi lavori e che tuttora permangono. Riguardano prevalentemente i tratti più generali. Molto è cambiato invece nell’utilizzo del materiale poiché la maturità e l’esperienza comportano ovviamente una maggiore consapevolezza e dimestichezza sia nell’uso degli strumenti sia nella organizzazione delle idee compositive.
Sapresti dirmi in due parole la tua poetica?
Quel che pongo in primo piano è l’attenzione per l’ ascolto e per la comunicazione, di conseguenza, nello scrivere cerco di definire chiaramente i contorni dell’oggetto musicale trattato; lo faccio con reiterazioni che permettano, attraverso la memoria uditiva, di cogliere l’evoluzione e le varie trasformazioni dello stesso oggetto musicale. È quasi come accompagnare per mano chi ascolta nell’“avventura” creativa con l’intenzione di suscitare un maggior coinvolgimento e una maggiore partecipazione nel cammino (compositivo) intrapreso .
Il tuo rapporto con la didattica
La didattica riveste per me un ruolo molto importante, tanto che reputo che sia una missione; la pratico ormai da 35 anni e nel corso di questi ho insegnato in tutte le scuole di ogni ordine e grado, dalla prima infanzia sino agli odierni corsi accademici degli Istituti di Alta Formazione Musicale.
Mi appassiona e mi diverte l’insegnamento. Mi fa sentire viva, perché è fonte di continui stimoli e accrescimenti. Non è una semplice trasmissione di contenuti, ma un continuo scambio reciproco di saperi ed entusiasmi tra docente e discente .
Lo stare in mezzo alle nuove generazioni implica la necessità di un continuo aggiornamento, un continuo mettersi in discussione per migliorare la propria professionalità, per trovare le soluzioni più efficaci che permettano di raggiungere gli obiettivi che vengono prefissati. La didattica, intesa in senso ampio, è anche educazione, e la funzione del docente riveste un ruolo importante e delicato sulla formazione tantoche, se praticata in modo inadeguato, potrebbe creare danni irreversibili nella crescita delle persone e di conseguenza, allargando la prospettiva, potrebbe arrecare danni nella società. Per questa ragione, non senza una vena polemica per quanto accade nel nostro Paese, ritengo che l’assunzione della classe docente dovrebbe avvenire con criteri molto severi che rispondano a requisiti qualitativamente molto alti, non solo in termini di saperi ma soprattutto in termini etici .
La relazione della tua musica con le altre arti.
La poesia è stata da me frequentata e utilizzata più volte: per esempio, nei brani per voce e strumenti Alla Luna e Quale dolce mela, su testi di Saffo; in Silenzio d’autunno,ispirato alla omonima poesia di Sibilla Aleramo; nel recente brano Edere rigerminanti, su testo di Gabriele D’Annunzio; in vari brani per coro, etc. Consultando il catalogo se ne possono contare un certo numero. Recentemente ho lavorato con la voce recitante nel brano Il profumo dei ricordi, per violoncello e voce recitante, per il cd I Suoni Bianchi della notte, dedicato all’età infantile e a quella adulta, che utilizza un breve racconto di Ambra Zaghetto. Per quanto riguarda la pittura, nel catalogo è presente il brano per vibrafono, Azùl y amarillo, ispirato al quadro Thanks you God n. 11 di Elisabeth Lanza , scritto in occasione del progetto SIMC, Immaginare la Musica del 2010. Altri due brani che si ispirano alla pittura sono Gelbe worte e Blaue worte, per flauto in sol.
Nel prossimo futuro mi piacerebbe dedicarmi alla musica per la danza e al teatro musicale, indipendentemente dalle commissioni (in genere, la maggior parte della mia produzione è stata sollecitata da interpreti che l’hanno inserita nel loro repertorio). Scrivere e produrre musica per i grandi organici e per il teatro credo che abbia scarse possibilità di realizzazione sia perché c’è scarso interesse verso la musica contemporanea, praticamente inesistente nel panorama nazionale, sia perché mancano regole e bandi aperti a tutte e tutti per l’accesso ai circuiti istituzionali di produzione.
Il tuo rapporto con la musicologia, la critica e il pubblico.
Con coloro che praticano la musicologia ho un rapporto, talvolta, conflittuale perché attribuisco a una parte di loro, responsabilità grandissime sullo stato di sofferenza, anzi, direi di agonia della musica d’oggi, scritta sia da uomini che da donne. Le istituzioni e gli organizzatori (direttori artistici) la ostacolano dato che è poco produttiva, rende sicuramente molto meno come affluenza di pubblico e ritorno di immagine, rispetto alla musica del passato, ed è inoltre molto più dispendiosa in termini di tasse e balzelli vari “grazie” alla Siae, società che dovrebbe tutelare i diritti di chi compone e che invece non fa assolutamente nulla di concreto per il loro sostegno. In particolare, per ciò che riguarda la produzione delle compositrici del passato e del presente ritengo che chi si occupa di musicologia, ha grandi responsabilità quando continua a ignorare e a non tramandare la ricca produzione che annovera grandi figure di compositrici nella storia tradizionale mondiale, oppure quando addirittura considera questa produzione di serie B.
Per questa ragione, mi occupo della musica delle compositrici sin dal 1993. Ho fatto parte, dal 2000 al 2011, del gruppo delle referenti di In-audita musica, progetto del Conservatorio “Guido Cantelli” di Novara, dedicato alla valorizzazione della musica delle compositrici di tutti i tempi e nazionalità. Sono Vice Presidente dell’associazione Suonodonne e faccio parte dell’associazione Magistrae Musicae. Dato che credo fermamente nella necessità e nel dovere morale e politico di divulgare quanto dalla storia della musica è stato per anni taciuto, ho dovuto e voluto attivarmi per essere portavoce di queste istanze partecipando in prima persona a seminari, conferenze, convegni, tavole rotonde, e organizzando lezioni concerto, concerti. Insomma ho rivestito, con non poca fatica e riluttanza, un ruolo che non mi compete.
Con la critica,ma esistono i critici? E se si dove sono?
Con il pubblico è diverso, credo che se lo si coinvolge e lo si fa partecipe introducendo brevemente i concerti, dando poche indicazioni prima dell’esecuzione che servano come guida all’ascolto, esso dimostra interesse, curiosità e gradimento. Forse è necessario ripensare più in generale alla fruizione della musica che non può essere più esclusivamente passiva e autoreferenziale. Ad un mio caro amico che dimostrava una dichiarata avversità alla musica contemporanea ho chiesto: se tu andassi a vedere un film, capolavoro in giapponese (lingua che non conosce), riusciresti ad apprezzarne la grandezza? E così è per la musica contemporanea: non conoscendo e praticando il linguaggio che c’è alla base, è difficile coglierne il significato e apprezzarla.
Come vedi e come ti trovi nella situazione attuale della musica italiana?
Credo che un periodo così buio, come il presente, si sia verificato poche volte nella storia della musica. Per il nostro paese il discorso è ancora più critico. L’inaridimento culturale e l’ignoranza della classe dirigente e politica, l’indifferenza delle istituzioni regnano sovrani; inoltre la grave crisi economica che ha prodotto drastici tagli alla cultura, colpendo soprattutto le realtà più piccole, sta riducendo noi tutti ad un inquietante silenzio ed è difficilissimo attuare progetti e proposte.
Per incentivare le produzioni basterebbero alcuni piccoli/grandi cambiamenti, ad esempio: per quanto riguarda i costi organizzativi, la Siae dovrebbe sostenere e non penalizzare chi scrive (come di fatto accade), facendo pagare di più per i programmi che includono la musica del presente; così come le sovvenzioni e le sponsorizzazioni dovrebbero essere maggiormente accessibili, senza troppe complicazioni burocratiche che, alla fine, disincentivano qualsiasi elargizione.
L’unica via per riuscire, nonostante tutto, ad operare e sentirsi ancora vivi è l’associazionismo, che realizza il noto detto popolare “l’unione fa la forza”. Attraverso le diverse associazioni che operano nel settore e grazie alla buona volontà e la “fede”politica (intendendo l’impegno sociale e non lo schieramento di parte) ed etica di chi le coordina, unendo le forze e lavorando secondo il principio della solidarietà e del sostegno reciproco, si possono ancora mettere in atto progetti, concerti e proposte culturali in generale. In questo modo, personalmente, sto operando e così gran parte delle mie produzioni hanno occasione di essere divulgate.
Speranze e progetti per il futuro.
Assolutamente avversa al nichilismo e irrimediabilmente ottimista per natura, sono sempre alla ricerca di soluzioni possibili per migliorare o comunque per continuare il cammino di conoscenza e crescita intrapreso. Il momento che sto vivendo potrebbe corrispondere a quello citato dal sommo Poeta “…..nel mezzo del cammin di nostra vita….”
Ho raggiunto una discreta consapevolezza dei miei limiti e delle mie aspirazioni oltre ad aver “riconquistato” il tempo per me. Questo mi consente di non sottostare ma di scegliere e decidere la rotta da seguire. Sento che questo è il momento per i grandi progetti.
La didattica è un punto fermo e una grande passione. All’insegnamento dedico tanto tempo sia perché sono cambiati i programmi di studio negli Istituti di Alta Formazione Musicale, dove lavoro, sia perché è cambiato anche il profilo professionale di mia appartenenza. Necessariamente e per convinzione mi dedico dunque anche alla produzione di materiale didattico; in questo senso vorrei fare qualche cosa di utile, utilizzabile e che rimanga intendo dire pubblicazioni quali metodi, dispense etc.
L’altro argomento, che ritengo importante e necessario, nonostante le difficoltà oggettive di cui ho detto prima, e a cui intendo dedicare il mio l’impegno, riguarda la diffusione della musica delle donne, affinché vengano introdotti nella grande Storia della musica quei nomi femminili che hanno dato il loro contributo all’evoluzione del linguaggio musicale e hanno regalato al mondo opere che meritano di essere ricordate. Non sono pochi. Ricerche accreditate ne contano diverse migliaia. Nel contempo auspico che la musica (scritta da uomini e da donne) venga inclusa seriamente nelle scuole italiane di ogni ordine e grado e che la storia della musica venga introdotta nelle scuole superiori al pari delle altre materie. La carne al fuoco, come sempre, è tanta e come sempre mi sarà difficile contenere idee ed entusiasmi .
http://www.beatricecampodonico.com/