Il rapporto fra compositori, letterati e pittori
Il rapporto fra compositori, letterati e pittoriPer la musica possiamo indicare, in linea di massima, tre correnti basilari, come fa Bruno Basile per la letteratura, ovvero la linea ermetica (Ungaretti, Quasimodo, Montale) che in musica prenderà il nome di post-webernismo (in quanto porterà alle estreme conseguenze alcuni aspetti della scrittura di Webern) e che si caratterizzerà per l’asciutezza tagliente e l’attenzione al suono; inoltre l’impostazione neoclassica (proveniente dall’estetica della «Voce») e che pure per la musica punterà sugli equilibri formali; infine la linea più tradizionale e legata al realismo (da Vittorini a Pavese), musicalmente ancora legata alla tradizione melodrammatica ottocentesca e pucciniana in particolare o agli stilemi strumentali della cosidetta Generazione dell’Ottanta. Ovviamente queste tendenze sono solo indicative e se ne potrebbero aggiungere delle altre, con infinite sfumature, del resto nel Novecento non si ha più il grande Stile nè tecniche e forme omogenee, ma si assiste a un frazionamento stilistico, tanto da poter affermare che ci sono tanti percorsi compositivi quanti sono i compositori. Questo ha causato un disorientamento nel pubblico, ma anche un'eccezionale quantità di proposte che ha arricchito il vocabolario musicale e le possibilità tecnico-espressive.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale si assiste a un proliferare di tendenze e(ste)tiche e stilistiche differenziate. Anche il metodo dodecafonico, ideato da Schönberg, e il neo-classicismo, che tanti autori aveva attratto (da Richard Strauss a Ravel, da Stravinskij a Casella), non rappresentano più una base comune. In Italia Luigi Dallapiccola è stato il massimo rappresentante della dodecafonia volta però a morbidezze latine che escludono le angosce della cultura espressionistica (alcuni amici e allievi di Dallapiccola che, nel lungo soggiorno fiorentino, lo hanno seguito, si sono in parte avvicinati alla sua impostazione, come Arrigo Benvenuti e Carlo Prosperi). In Dallapiccola il senso espressionistico dell’estraneità dell’uomo alle cose e al mondo si risolve in una sublimazione religiosa.
Un abbinamento possibile: Ungaretti-Schönberg, Palazzeschi-Stravinskij. Palazzeschi è stato un po’ lo Stravinskij della nostra poesia e, facendo uso delle categorie interpretative di Adorno, possiamo proporre la candidatura di Ungaretti per il parallelo con Schönberg. In Italia, fra i due maestri storici, Stravinskij ha influenzato Petrassi e Schönberg Dallapiccola.
Goffredo Petrassi è stato invece colui che ha saputo rinvigorire lo stile neoclassico, con sapienza contrappuntistica e inventiva timbrica, tanto da risultare forse il maggior compositore italianao della sua generazione. Fantasia timbrica all'interno di forme classicheggianti mostra anche Franco Margola, musicista di razza che, come molti altri, ha coniugato la ricerca compositiva con un impegno educativo e didattico (altri grandi didatti sono stati Bruno Bettinelli e successivamente Franco Donatoni). Per Petrassi e per i compositori neoclassici in genere vale quel ‘richiamo all’ordine’ già espresso, qualche anno prima (1919-22) dalla Rivista romana «La Ronda», secondo la quale buona letteratura significa pulizia formale e scrupolo artigianale: solo lo stile riscatta i tumultuosi personalismi autobiografici che gli autori post espressionistici mettono in drammatico risalto.
Ovviamente non solo le tendenze dodecafoniche o neoclassiche fanno scuola, importante è anche il magistero di Hindemith al quale possiamo far risalire la vigorosa articolazione discorsiva della musica di Bruno Bettinelli, grande conoscitore del contrappunto e delle articolazioni ritmiche, e la produzione strumentale di Luciano Chailly, mentre più composita è la sua scrittura teatrale, vagamente surrealista, sulla falsariga dei testi di Dino Buzzati che Chailly ha musicato per il teatro, con grande impatto e forza interiore, tanto da risultare una delle produzioni teatrali più importanti del panorama italiano del secondo dopoguerra, che ha pure in Giancarlo Menotti, uno degli autori più rappresentati e amati dal pubblico (da molti anni ha vissuto negli U.S.A. e ha fondato l’importante Festival dei due Mondi di Spoleto). A Bettinelli potemmo ravvicinare, almeno per la severità dell’impegno, Ungaretti (del quale Bettinelli ha musicato molte poesie, si veda la Cantata per coro e orchestra del 1971), mentre a Chailly potremmo ravvicinare, per il colore surreale e un certo fervore metafisico, Clemente Rebora, la cui opera è ricca di nuove situazioni. Le atmosfere poetiche di Menotti rimandano al periodo crepuscolare, mischiato a un certo senso cinematografico tipicamente americano.
Importante è anche il magistero dei grandi autori francesi come Fauré, Debussy poi Honneger e Milhaud, con le loro raffinatezze armoniche e melodiche, accolte da noi da Piero Luigi Zangelmi, la sua estetica del ‘suono blu’ risente del Simbolismo, la sua musica è elegante e ricca di sottigliezze, fin geniali sono le sue opere pianistiche. Le attenzioni alla forma e il gusto per l’eleganza, che portano Zangelmi a creare dei cammei sonori, lo ravvicinano alle tinte acquerello di un Corrado Govoni, con effetti nebbia ricorrenti: «Nebbia luminosa del mattino / la casa dolcemente indietreggia e s’appanna; / si piegano sullo stelo, nel giardino, / dolci fiori di spuma e di manna».
Molti altri compositori, soprattutto donne, si rapportano alla cultura mittelueropea del primo Novecento, in modo particolare all’intuizionismo di Bergson e alla sua forma di conoscenza interiore, collegata al recupero memoriale di Proust. Si veda la produzione di Matilde Capuis, col suo mondo sonoro sospeso fra cantabilità e pudore; oppure quella di Biancamaria Furgeri, col suo stile ornato, rigoroso e teneramente elegante; quella di Silvia Bianchera, che sa piegare il puntillismo di derivazione weberniana al senso plastico e coloristico (ricco anche di suggestioni letterarie); o ancora l’ultima produzione di Gabriella Cecchi, del tutto interiorizzata e attenta alla didattica infantile; inoltre le atmosfere e i gesti sonori di Paola Ciarlantini, autrice interdisciplinare che ama molto il teatro e la poesia, lavorando come studiosa su Leopardi. Come per le altre arti, la presenza femminile s’è rafforzata negli ultimi vent’anni. Caratteristiche di quasi tutti queste autrici sono le suggestioni poetiche di provenienza simbolista e la ricerca di una personale dimensione sonora, raffinata, nel senso buono, interiore e non salottiero, dove grazia e accuratezza si sposano spesso a un senso sospeso del tempo, a volte perfino favolistico.
Estro e lucida intelligenza sono le doti evidenti di Maderna, un po’ come Emilio Cecchi. Molti i poeti musicati da Maderna, di tutte le epoche e di tutti i paesi, quelli che hanno dato vita alle opere principali sono Garcìa Lorca, Shakespeare, Petronio e Patroni Griffi.
Usando una terminologia letteraria si direbbe che l’opera di Camillo Togni è ermetica, sia per l’asciutta impostazione sonora sia per l’impegno civico; a lui si deve una delle prime composizioni scritte con metodo dodecafonico, nel 1942 infatti scriveva Serenata per pianoforte, di stretta osservanza seriale. Esemplari le liriche, su testi di Trakl, Helian del 1961, Gesang zur Nacht del 1962, Sei Notturni del 1966 e l’opera teatrale Blaubart (1972-77) su testo da Trakl, come anche l’opera successiva Barrabas (1981). Meditazione e rigore estremo caratterizzano il lavoro sul suono e sulla parola di Togni, avvicinandolo – a livello generale – a poeti che bruciano ogni compiacimento autobiografico, come un Vincenzo Caldarelli. Se c’è un poeta che, con la sua sintassi scarna e bruciante, si può avvicinare a Togni, questi è senz’altro Giuseppe Ungaretti per il quale la vita è “una roccia di gridi”, la sua disperazione esistenziale, riverberata nel verso scheletrico, sa però aprirsi a improvvise effusioni cantabili.
Un'affinità col pensiero dell’Espressionismo di denunzia (e con quello di Sartre), condividendo il rifiuto della società borghese e approdando alla messa in opera di una sorta di musica didattica rivolta al proletariato, sulla scia di un certo teatro brechettiano è la strada intrapresa dal giovane Luigi Nono. In questi anni la ricerca del contatto poetico con la realtà lo avvicina a Cesare Pavese, tentando varie forme di arte/testimonianza, oltre l’ermetismo della dodecafonia, conciliando solitudine (dell’artista) e collettività. Poi il suo percorso è diventato assolutamente personale; negli ultimi anni ha trovato sintonie col filosofo Massimo Cacciari.
Berio fu colui che più s’interessò alla voce e al teatro e, quindi, al testo. L’esordio teatrale avvenne con Passaggio su testi di Sanguineti; Opera è su testi propri, mentre La vera storia e Un re in ascolto sono su testi di Calvino; Outis si basa su frammenti tratti da Joyce (un autore molto amato), Celan, Auden, Shakespeare, Becht, Melville.
Anche per Sylvano Bussotti il teatro costituì una strada maestra, un work in progress, in cui la memoria e l’auto-biografia si fondano in modo circolare, lavoro in divenire che sfocia nella sigla BUSSOTTIOPERABALLET. De Sade è l’autore più significativo da accostare al teatro bussottiano, ma di molti altri sono stati utilizzati i testi da Braibanti a De Musset, dalla Maraini a Michelangelo.
Mittner diceva, a proposito degli scrittori espressionistici, che, per loro, le cose esistono in sé e non per l’uomo, lo stesso potremmo dire per i meccanismi contrappuntistici di Aldo Clementi: «Il poeta non deve edificare, soltanto allineare» – scrive Leonardo Sinisgalli – affermazione che potrebbe essere condivisa sia da Clementi sia da Donatoni che, col poeta ermetico, possono recitare: «Non mi accosto più / ai vecchi affetti, alle insegne abbattute. / Io allargo intorno il vuoto».
Il vuoto, ovvero il glaciale e metafisico Nulla beckettiano, riduce l’uomo e la sua opera a una larvale presenza, com’è nel caso della produzione, degli anni Sessanta/inizio Settanta, di Franco Donatoni. Brecht, Joyce, Beckett, Kafka, Auden sono scrittori che svolgono una profonda influenza sulle poetiche dei compositori, soprattutto quelli di ambito milanese.
Azio Corghi venne alla ribalta con l’opera teatrale Gargantua, su libretto di Frassini da Rabelais, poi la collaborazione con Saramago divenne fondamentale, senza dimenticare i lavori tratti da Cechov e diversi testi ripresi dalla tradizione popolare.
È l’ambiente milanese quello che conserva i maggiori richiami allo Strutturalismo, spesso volto a contenuti sociali. Molti sarebbero i compositori da ricordare, fra cui Angelo Paccagnini che si rivolge a un serialismo rigoroso, denso di tematiche sociale, accordando un «Canto di dolcezza e furori» (Quasimodo), mostrando una vena civile sempre vigile. Una forte con-partecipazione alle tematiche civili e politiche (soprattutto nella sua prima fase compositiva) viene assunta da Armando Gentilucci che dalla ricerca linguistica approda a raffinati effetti timbrici. È una linea che privilegia la testimonianza, la memoria della resistenza, alla Carlo o alla Primo Levi, ma anche alla Vittorini o alla Pasolini. Il racconto sociale si lega al conte philosophique, come in un certo Calvino. La sua ultima opera è sul testo di Herman Melville Moby Dick. Ancora da menzionare sono le produzioni di Davide Anzaghi, orientato a una sobria rivalutazione del ruolo dell’ascolto, di Dario Maggi, intento a uno scavo introspettivo di ciò che il maestro stesso chiama ‘realtà torbida’, e di Alessandro Gorli, impegnato anche come direttore d’Ensemble.
Molti giovani sono stati attratti dalle modalità di costruzione razionale del pezzo, ma i migliori sono coloro che hanno saputo mediare la scientificità con esigenze espressive, personalizzando in maniera "umana" il metodo, fra questi Giampaolo Coral, triestino come Svevo, la cui struttura musicale è pregna di riferimenti alla psicanalisi e di grande spessore culturale, Coral è uno dei più profondi autori della sua generazione a livello internazionale; Pieralberto Cattaneo che presenta una produzione dalla profonda pregnanza culturale, con una forte tensione civile alla Giorgio Bassani; Corrado Pasquotti nella musica del quale un corposo strutturalismo, dionisiaco, viene fatto ribollire da umori tanto sonnacchiosi quanto vitalistici (ha collaborato con Brandolino Brandolini D’Adda). Inoltre sono di grande interesse la disciplina delle emozioni di Carlo Alessandro Landini, che si muove in un dongiovannismo intellettuale alla Papini, musicista di grande cultura, come pure Fulvio Delli Pizzi che concilia i paradigmi post-weberniani con l'attenzione alla comunicazione di stati psicologici inconsci, rapportando ‘critica e lirica’ in un modo che ricorda Renato Serra. Dello Strutturalismo speculativo del dopoguerra, in tutti questi autori rimane il senso del rigore e della forma, ma si perdono i furori intellettualistici e gli aspetti ideologici, per approdare a un’articolazione più morbida e più sentita, meno studiata alla lavagna (come direbbe Cocteau) che sa gettare dei ponti verso il pubblico. Vengono fuori umori e sensazioni che coinvolgono le tecnica, rendendola meno astratta e più partecipata.
Si può parlare di un’alleanza fra le arti proprio nel senso che questo termine ha nella Bibbia, quale patto fra l’uomo e ciò che lo oltrepassa, ciò che lo guida, ciò che rappresenta la sua ragion d’essere, ciò che dà senso alla sua vita, ciò che è il suo principio e la sua fine. Tutto questo vale anche per le arti, ovviamente il riferimento non va fatto a Dio, ma al concetto di religione, nel suo significato etimologico, da religare = legare insieme strettamente. Ecco, l’essenza dell’arte, di ogni arte, è una religiosità laica che lega insieme l’uomo alla Terra e al Mondo e al Cielo. L’uomo vive fra questi universi, è un essere in cammino e nel sua andare, nell’esodo, compie un viaggio esperiente che lo porta all’avvento, alla scoperta del suo infinito interiore e del suo esserci.
L’arte è quel fare stra-ordinario che, meglio di qualsiasi esperienza comune, ci parla dell’avventura dell’umanità e questa vicissitudine non ha diversificazioni, ma si dà come vocazione, come chiamata alla realizzazione di un'opera che nasce da un'urgenza interiore e, per l’impegno della risposta, è anche un segno di responsabilità sociale. «Le forme artistiche sono manifestazioni di vita e la differenza fra queste manifestazioni sta nel materiale: parola, colore, suono. Dietro le iscrizioni, dietro i quadri, dietro le opere musicali, stanno le gioie e i dolori dei popoli», questa affermazione di August Macke, nel suo scritto Le maschere, viene rafforzata da Theodor von Hartmann, il quale pone l’accento sul fatto che la bellezza di unopera d’arte consiste “nella corrispondenza tra il mezzo espressivo e la necessità interiore”. V'è dunque un suono interiore, come lo chiama Kandinskij, che esprime “lo spirituale nell'arte”, un suono arcaico e primigenio, dal quale, come professano gli antichi, prende vita il Tutto, uno spirituale che rappresenta il substrato delle arti, le quali differiscono fra loro nei materiali, ma non nell’essenza. Gentile diceva che le funzioni dello spirito si realizzano insieme nell’unità dell’atto, per cui è possibile rintracciare i legami sostanziali che, come un unicum , stanno alla base delle singole manifestazioni artistiche. L’arte è dunque un insieme di manifestazioni particolari che rimandano tutte alla necessità interiore dell’uomo.