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Giovanni Allevi e la musica liquida
Giovanni Allevi e la musica liquida

Non possiamo tralasciare un fenomeno (più di costume che musicale) che è una spia dell’attuale situazione d’(in)cultura. Per la musica di Allevi (Ascoli Piceno 1969) potremmo ricorrere alla metafora di musica liquida, rifacendosi a quello che Zygmunt Bauman chiama liquid society ossia una società dove confini e riferimenti si perdono e gli individui diventano consumatori passivi, omologati alle convenzioni (‘omogeneizzarsi’ dice Bauman), gli ascoltatori della musica di Allevi fanno parte integralmente di questa ‘liquidità’, non hanno una vera cultura musicale, si lasciano trasportare dalla superficie delle note, in un ascolto passivo. Solo l’atavica ignoranza atavica per la musica poteva definire Allevi ‘il giovane Mozart’![1] In realtà, Allevi si muove su una tipologia musicale che nulla ha a che vedere non solo con Mozart ma neanche con la musica colta contemporanea definita neo-romantica (malgrado lui ami definirsi compositore di musica classica contemporanea), controprova è la sua assenza da quel mondo, per esempio, la leggerezza (inconsistenza) della musica di Allevi potrebbe avere qualche richiamo alle assonanze, all’eufonia, al ritorno alla tonalità, alle referenze descrittive o psicologiche, all’urgenza di esplicito, alla melodia sentimentale, tutti aspetti presenti nella musica dei neo-romantici nostrani, ma il pianismo di Luca Mosca, seppur tutto giocato in superficie si nutre di un bagaglio strumentale e culturale che non si sente in Allevi; i gongorismi, i tic settecenteschi, come il trillo, gli abbellimenti, le cadenze, la ritmica piana, il ritornello di alcuni brani di Marco Tutino (come in Andrea o dei ricongiunti), che fecero battezzare questa musica come ‘neo-galante’, si tramutano in Allevi in una sorta di San Valentin music; per la retorica del semplice, in letteratura si parlò di parola innamorata, definizione senz’altro idonea pure per la musica di Allevi, piacevole, transitiva e scorrevole, che propone le atmosfere degli amanti di Peynet.

Lo stile di Allevi parte da una base generica del Postmoderno in musica, miscelato con post-minimalismo, atmosfere alla Nyman o alla Keith Jarrett, simili a quelle del ‘re del feeling’ Stephen Schlaks, ma, rispetto ai nomi citati, la sua qualità di orchestrazione è davvero discutibile. Con un piede vuole stare nel mondo (accademico) della musica classica che, come tanti altri, vorrebbe sradicare dal suo status di musica reservata e condurla alle masse, piede che gli dovrebbe garantire di stare in piedi con l’aura di musicista colto, con l’altro piede sta nel mondo pop, quello dei successi, dei soldi, dei mass-media, della liquidità, nel quale la musica è anch’essa reservata, destinata all’omogeneizzazione degli ascolti (e delle coscienze).


[1] Allevi fu così battezzato in un’occasione istituzionale, durante un suo concerto al Parlamento. Nel 2011è stato insignito della nomina di Cavaliere al merito della Repubblica italiana. Anche Ludovico Einaudi è stato insignito del titolo di Cavaliere delle arti, dal ministero della Cultura francese, soprattutto per il successo delle colonne sonore nel cinema francese, ma il paragone fra la sua musica e quella di Einaudi, pur muovendosi entrambe su presupposti lineari, è improponibile, non solo per la diversità dello stile ma per i punti di partenza e le finalità. Certo, anche Einaudi appartiene alla liquid music, come ne fanno parte altri musicisti di successo, ma la qualità del pensiero, oltre che della tecnica è elemento da cui non si può retrocedere.




Renzo Cresti - sito ufficiale