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Intervista a Massimo Viel
1) Hai studiato, oltre a composizione, pianoforte, direzione d'orchestra e musica elettronica, dedicandoti anche alla tastiera elettronica, quanto e quale di queste esperienze sono state le più importanti per gli studi legati alla percezione e alla cognizione?
 
Direi che la composizione, insieme all’apertura all’ascolto implicata dallo studio della musica elettronica, mi ha quasi “naturalmente” portato a chiedermi se fosse possibile orientare la composizione a partire dall’ascolto, tralasciando il più possibile quelle sovrastrutture tecniche derivate dall’aspetto notazionale-grafico della scrittura. Mi ricordo infatti che già nei primi anni ’90 avevo l’abitudine di classificare le tecniche compositive in quelle orientate all’ascolto, quelle orientate alla scrittura e quelle orientate all’esecuzione. Più specificamente potremmo però dire che questa ricerca è partita dal bisogno di recuperare un approccio più originario alla composizione, decostruendone gli elementi concettuali ereditati da secoli di discorsi. Per fare questo, ho dovuto cercare un aspetto della musica che potesse essere messo alla base della sua costituzione come pratica sociale. Ciò mi ha poi portato a mettere in dubbio che la stessa idea di musica fosse originale e necessaria, ma questo è venuto dopo (si veda in proposito il mio articolo “Musica umana, ascolto postumano”). Nella mia ricerca, per come viene esposta nel libro, mi fermo a considerare l’esperienza dell’ascolto, in contrapposizione all’idea di suono, come orizzonte entro il quale inquadrare il ”sistema musica”, come caso particolare di pratiche sonore che comprendono, ad esempio, anche il linguaggio.
 
2) Hai elaborato diversi metodi compositivi, quali quelli più legati alle tue ricerche sulla percezione?
 
Il primi lavori ispirati alla mia ricerca sull’ascolto sono essenzialmente dedicati al rapporto tra continuo e discontinuo, come uno studio elettronico del 1993 che poi ho ritirato, seguito dai due brani per trombone del 1993. Abbiamo poi la trilogia IV, che prende proprio il nome dal fatto di essere il quarto brano in cui sperimento queste idee sulla percezione, Eve e VI, tre brani rispettivamente per trio ed elettronica, per pianoforte ed elettronica e per elettronica sola in cui uno stessa scrittura viene riletta attraverso la progressiva fagocitazione degli strumenti dal vivo da parte dei suoni elettronici. Per la composizione di questi brani ho elaborato per la prima volta i concetti di dimensione percettiva e regioni distintive che saranno poi al centro di produzioni successive, comprese alcune produzioni audiovisive realizzate con Otolab. Va precisato che questi concetti sono stati ripresi ed estesi a partire da un articolo del 1976 della cognitivista Mari Riess Jones Time, our lost dimension: Toward a new theory of perception, attention, and memory, un testo che mi ha enormemente stimolato a sviluppare un’analisi dell’esperienza di ascolto.
 
3) In che rapporto stanno le tue partiture grafiche con l'ascolto?
 
Al di là del fatto che tutti i miei brani, compresi quelli scritti in notazione grafica più libera, partono da suggestioni sonore che vengono sviluppate attraverso la scrittura, non posso però dire che le mie partiture grafiche siano state specificamente sviluppate attraverso tecniche orientate dall’ascolto. Questo perché la scelta di scrivere una partitura grafica è per me sempre un tentativo sperimentale di liberare la notazione dai vincoli posti dalla teoria musicale tradizionale, esplicitando l’arte del comporre in quanto articolazione di grafemi. Brian Ferneyhough, ad esempio, l’ha capito bene ed è riuscito come pochi compositori a unificare l’aspetto notazionale delle sue partiture con quello visivo. Ovviamente, io mi sono comunque sentito in dovere di elaborare un pensiero grafemologico che insegno anche nei miei corsi, specie in quelli dedicati all’improvvisazione. Il brano TAZ, del 1996, è l’espressione quasi didascalica, se non pedagogica, di questo pensiero. 
 
4) E le performance come si rapportano al resto dei brani scritti e alla percezione?
 
Anche per le performance, è il progetto che stabilisce quali sono i temi che vengono implicati. Quindi negli ultimi 20 anni ho realizzato sia performance puramente esperienziali, cioè finalizzate a un godimento semplice e irriflessivo, sia performance dedicate allo sviluppo di tecnologie e concetti derivati dalla mia ricerca. Per i primi basti pensare allo Sleep Concert che realizzo solo una o due volte l’anno, perché non è facile organizzarlo. Si tratta di un evento per elettronica e pianoforte di un’intera nottata, cioè della durata di 9 ore, in cui si passa da un’idea di suono come musica da ascoltare in concerto al suono come strumento per modulare la coscienza. Di fatto il pubblico, tipicamente, dopo qualche ora, si addormenta e lascia che i suoni lo riconducano al dormiveglia in modo da stimolare la coscienza dell’attività onirica. Questi eventi sono realizzati unicamente da me, che appunto inizio suonando il pianoforte e passo gradualmente all’elettronica, per poi tornare, all’alba, al pianoforte.
Un esempio del secondo tipo di performance è Recombinant, in cui gestisco strutture di pattern a otto livelli, attraverso l’intervento di campioni che possono arrivare a essere anche 140 per ogni sezione. In questo caso l’idea di struttura di pattern e la forma della performance derivano direttamente dalla mia ricerca sulla distinzione attraverso l’ascolto.
 
5) Quando è nata l'dea di questo nuovo libro? Con la tesi di dottorato o prima?
 
Il libro è di fatto la mia tesi del dottorato che ho svolto presso il Planetary Collegium, un dipartimento dell’Università di Plymouth, Inghilterra, decentrato in “nodi” internazionali (io l’ho svolto presso i cosiddetti M- e T-Node). Questo dipartimento è stato fondato da Roy Ascott, artista inglese pioniere dell’arte cibernetica e telematica, ed è tipicamente dedicato allo studio delle relazioni tra arte e scienza.
Dunque il testo è organizzato proprio come una tesi, con una prima parte dedicata a orientare, anche metodologicamente, il contesto della ricerca, una seconda parte che è il nucleo originale della mia proposta, specie nei capitoli 6 e 7, e una terza parte con esempi di applicazione all’analisi musicale, alla composizione, alla didattica e alla discussione di temi di ambito musicologico.
Alcune delle idee alla base di questo libro però sono state formulate per la prima volta intorno ai primi anni ’90. Quindi possiamo certamente dire che  questo testo  raggruppa un certo numero di idee che mi hanno, per così dire, ossessionato per tutto il mio percorso compositivo.
 
6) Che differenze ci sono fra il testo della tesi e questo definitivo?
 
Prima di tutto ho deciso di tagliare l’ultimo capitolo, dedicato all’analisi del concetto di “paesaggio sonoro”, perché nel frattempo è stato pubblicato negli atti di un convegno organizzato dal FKL (Forum Klanglandschaft - Forum for the soundscape). Poi ho sottoposto l’intero testo a un ulteriore e definitivo processo di editing, in cui ho essenzialmente sistemato alcuni refusi e reso più leggibile il tutto. Ad esempio, ho dovuto riscrivere alcuni brevi passaggi che nell’originale risultavano particolarmente oscuri. Il testo, nei suoi contenuti e nella sua forma, è comunque largamente simile al testo presentato alla discussione della tesi.
Sono però in procinto di finire la sua traduzione in italiano, che ho già parzialmente usato come testo per alcuni miei corsi in Conservatorio. Si tratta comunque più che di una semplice traduzione, di una vera e propria riscrittura, perché pur avendo voluto aggiornare il contenuto il meno possibile, altrimenti sarebbe stato meglio scrivere un altro libro, ho voluto rendere il testo un po’ più divulgativo e semplice.
 
7) Quali i punti di forza, i fili rossi, gli aspetti essenziali della tua riflessione?
 
Per rispondere a questa domanda è forse meglio prendere spunto da come è organizzato il libro. Il primo punto è che quello dell’ascolto e più specificamente dell’esperienza di ascolto è un tema eminentemente epistemologico, perché implica una fondamentale discussione sul grado di certezza che possiamo raggiungere quando partiamo dalle esperienze soggettive per formulare una teoria che vuole essere di tutti. Una volta appurato che ogni discorso sull’ascolto è portatore di un punto di vista che viene dato spesso per scontato, il testo  si sofferma a lungo su quali sono quegli elementi linguistici che sono portatori di indebite assunzioni quando teorizziamo sull’ascolto.
In conclusione della prima parte, giungo a presentare quella che io chiamo l’epistemologia della narrazione, che ha uno statuto debole, ma che trae forza dalla sua viabilità, cioè dalla capacità di generare nuove realtà. Questa epistemologia sarà alla base della pars costruens che seguirà nella seconda sezione del libro. 
Qui presento una “narrazione dell’ascolto” nella forma di una teoria costruttiva, una teoria cioè in cui parto da un elemento considerato semplice per giungere attraverso successive sue complicazioni alla quella complessità del fenomeno dell’ascolto che pone le basi stesse della sua analisi.
Si tratta chiaramente di un impegno enorme e probabilmente presuntuoso, ma lo scopo di questo libro non è tanto quello di dire l’ultima parola su questo argomento, possibilità negata dal suo stesso profilo epistemologico, quanto quello di fornire spunti di riflessione che possono portare a indefiniti e infiniti sviluppi.
Ad ogni modo, al centro di questa narrazione vi sono due concetti che si sostengono a vicenda: quello di distinzione, intesa come capacità cognitiva di accorgersi che qualcosa è cambiato, e quello di pattern, come capacità cognitiva di riconoscere qualcosa che si è già vissuto. In sostanza, l’idea alla base di questa ricerca è quella secondo cui la dialettica di distinzione-riconoscimento, coordinata da attenzione e memoria, è sufficiente per spiegare molti fenomeni della percezione e specificamente dell’ascolto, dando allo stesso tempo conto della sua complessità e della sua diversità. Il processo cognitivo è quindi inteso come una trasformazione quasi metabolica di ciò che riconosciamo nel mondo intorno a noi,  nello sfondo dei nostri riconoscimenti, incessantemente tesi a ricondurre l’imprevedibile, verso il prevedibile, se non verso una sua reificazione.
Anche se tutto ciò può sembrare lontano dalla musica, ma Leonard Meyer non la penserebbe certo così, questa idea di ascolto ci permette di affrontare tanti temi dell’analisi, della concettualizzazione musicologica, della didattica musicale e anche della composizione.
 
8) E quanto le tue future composizioni riprenderanno dalla considerazioni espresse nel libro?
 
Questa ricerca si occupa dell’ascolto da un punto di vista così generale, che non si limita all’ascolto musicale, ma riguarda anche, ad esempio, l’ascolto linguistico. Ciononostante, tutte le mie composizioni, almeno a partire dagli anni ’90, fanno riferimento ai temi affrontati nel libro, ma spesso come sfondo di tecniche più specifiche. Vale a dire che si tratta di principi così generali nella loro applicazione, che non solo possono adattarsi a un vasto numero di tecniche di scrittura, ma finiscono con spingersi fino all’estetica e al senso stesso della pratica musicale. 
Questa è una cosa per me positiva, perché non mi interessa sviluppare una ricerca che alla fine risulti solo una razionalizzazione del pensiero tecnico compositivo, ma vorrei invece rivolgermi ad aspetti più profondi del fare musica, anzi, del fare suono, che comprendano ciò che io scrivo solo come uno dei suoi tanti possibili aspetti.
Anche il mio lavoro come professore è comunque enormemente avvantaggiato da questa ricerca, tanto che si può trovare persino nella mia didattica dell’Armonia. Infine, come detto più sopra, ho realizzato software che seguono alcuni principi derivati dalla ricerca e spero un domani di avere il tempo (!) di realizzare una implementazione artificiale, cioè di implementare un ascoltatore digitale o anche elettronico in grado, magari di insegnarci nuove vie creative all’ascolto, invece che spiarci per conto delle multinazionali.

 

9) Il volume è scritto in inglese e che distribuzione ha? Dove il lettore interessato lo può trovare?
 
Il libro è stato pubblicato da un editore specializzato in letteratura accademica (la Lambert Academic Publishing) che distribuisce “on demand”. Per questo motivo, in questa forma, non sarà mai possibile trovarlo nelle librerie. Al momento è dunque possibile trovarlo essenzialmente nei negozi online, come Amazon e Morebooks, ma anche su Soundohm. Spero comunque di finire il lavoro di trascrizione e riscrittura quanto prima in modo da poterlo presentare al lettore italiano.
 
http://www.massimilianoviel.net



Renzo Cresti - sito ufficiale