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Matteo Segafreddo, cromatismi contemporanei
Matteo Segafreddo, cromatismi contemporanei
 
La musica quale linguaggio simbolico, prevalentemente basata sulla dimensione ritmica, sentita quale elemento capace di coinvolgere l’ascoltatore, questa l’estetica di Segafreddo (Bassano del Grappa, Vicenza, 1961-2021). In effetti, uno dei problemi per l’incomprensione di molta musica del secondo Novecento è stata la frastagliata linea ritmica che incide sull’ascolto in maniera più problematica dei difficili rapporti intervallari; ritmo che è collegato a filo doppio alla gestualità e agli eventuali testi, che generano una sorta di teatro della mente, un flusso di suoni e gesti che narrano una storia, attraverso successioni dinamiche di pannelli policromo-sonori e momenti di continuità o discontinuità.

Secondo uno schema tracciato dallo stesso Segafreddo, deduciamo il suo modus operandi: «Processi compositivi o dimensioni processuali: 1) strutturazione di blocchi; 2) sovrapposizione di strutture temporanee; 3) articolazione fra suono e rumore. Processo compositivo generale: a) introduzione dell’intero percorso compositivo; b) preparazione e raggiungimento del climax; 3) decostruzione degli elementi; 4) disgregazione strutturale. Flusso estetico-musicale o concezione progettuale: 1) flusso procedurale dell’intera composizione attraverso un’unità stilistica generale; 2) architetture imn movimeto dell’unità stilistica compositiva; Aspetti interdisciplinari: a) scienza, materia moto; b) filosofia, arti, teatro, cinema, danza, cultura generale».[1]

Segafreddo ha avuto tre insegnanti fondamentali, Vidolin, Ferneyhough e Donatoni, dai quali ha appreso molto, come si nota nelle partiture della prima fase compositiva ma dai quali s’è presto reso indipendente, infatti, la sua musica si basa su un fluire continuo ma assai eterogeneo di figure timbrico-intervallari in movimento. L’atto del comporre può anche essere chiuso in sé, ma per non diventare autoreferenziale il proprio farsi deve essere fin da subito pensato in grado di eccedersi e di dare risposte. L’operare di Segafreddo è indicativo, col senso della struttura molto forte ma in grado di piegarlo all’espressività, così le articolazioni figurali vanno a toccare corde introspettive e immaginifiche.

Il primo brano del catalogo è quello scritto per il fratello Antonio, eccellente vibrafonista, Nefertiti (1989), titolo che rimanda all’antica regina egiziana e che pare quasi una dichiarazione di poetica, con l’immagine dell’antichità e della ricercata arte egizia, raffinatezza espressa con un prezioso cromatismo e con una timbrica che sembra rimandare allo Jugendstil: i colori sono vivaci e ricchi e paiono alludere ai suntuosi addobbi della moglie del faraone; la scrittura è particolare, in campo aperto ma con alcuni precisi riferimenti che guidano l’interprete e l’ascoltatore; la scrittura non è tanto a-diastematica quanto a-sistematica e crea un’aleatorietà che, però, raramente verrà sfruttata da Segafreddo, il quale, durante il decennio successivo, mette a punto una linea compositiva sempre più personale.[2]

Originali sono le tematiche che, di volta in volta, il maestro affronta, intime, misteriche, fantasiose oppure estroverse, celebrative, sempre ben chiare in fase di ricezione. Sono Visioni, come s’intitola un suo brano del 1997, che si riscontrano sia in molti brani da camera, a volte a carattere descrittivo, come le due Picture (la pianistica del 1997 e quella per marimba dell’anno successivo) ma soprattutto nei lavori teatrali, dai primi Binomio e Influssi (1993) a Medea (1997) fino allo spettacolo per musica e poesia, per voce recitante e vibrafono (o pianoforte) su testo de Le vie della città invisibile di Alessandro Cabianca, Simmetrie (2007), un bel pezzo che alterna episodi virtuosistici ad altri impostati su una dilazione figurale, alternando la declamazione del testo a segmenti musicali di varia natura; il brano è scritto in una grafia in campo aperto ossia l’interprete oltre a leggere le note presenti orienta la propria gestualità sonora secondo diagrammi fissati in partitura.

Medea (1998) è la perfezione dell’ombra, sottotitolata ‘tragedia multimediale’ è una musica di scena per pianoforte, percussioni e suoni di sintesi che evidenziano l’articolazione del dramma, suggerendo un’amplificazione del discorso del tempo antico al tempo moderno e sottolineando le stratificazioni del sentire emotivo; la musica non è presente in modo costante, ma si alterna con l’azione scenica e con gli interventi dei singoli personaggi; la grafia è scritta in forma metrica e in campo aperto; estremamente importante è il ruolo della timbrica, quasi evento scenografico, e quello dell’elettronica che hanno la funzione di sintonizzare la memoria ricettiva sull’ambito storico e di proiettarlo nel mondo attuale.
I musiciati di Brema (2001) è opera in musica in tre atti e sei scene, per soli vocali e strumentali, coro di voci bianche, ensemble bandistico e orchestra, rivolto prevalentemente ai bambini e ai ragazzi ma con un livello di lettura adatto anche agli adulti: il coro delle voci bianche è l’elemento narratore, sottolinea e commenta le diverse scene; il linguaggio musicale riprende stilemi che siano riconoscibili, in modo da creare dei fili rossi narrativi; dice il maestro: «Leggendo la partitura si notano degli stilemi grafico-musicali che disegnano una consequenzialità di eventi, a volte regolari, a volte irregolari e aleatori, nella giustapposizione di aree timbrico-sonore diversificate».[3] Un lavoro quanto mai interessante è Viaggio di Babar (2008), racconto musicale in sette episodi per gruppo di narratori-cantanti e orchestra, seguito, l’anno successivo da Electronic dream, per orchestra e rumoristica elettronica.

One (2015) per tastiere a quattro mani (per qualsiasi strumento a tastiera), evidenzia sette dimensioni poetico-sonore, espresse attraverso una grafica musicale specifica; queste sette dimensioni «Sono contestualmente sintetizzate da una figurazione musicale circoscritta ed itinerante, indicata dal titolo one, la quale è da scoprire durante l’analisi o l’ascolto. Esse corrispondono esteticamente alla spazializzazione e all’astrattismo sonoro-gestuale delle fluttuazioni timbrico-figurali, realtive a ogni singolo evento poetico-musicale».[4] La composizione, com’è nello stile di Segafreddo, è scritta in campo aperto, quindi con alcuni elementi aleatori ma inseriti sostanzialmente in un’unità stilistica molto chiara e coerente. La cifra compositiva di Segafreddo consiste proprio nel riuscire a creare una sottile dialettica fra elementi processuali, di una narrazione para-teatrale, impostata su continuità o discontinuità degli elementi musicali, in rapporto con altri (gesto, scena, narrazione etc.) dove tempo e spazio vengono piegati, anche attraverso macchinari elettronici, alle esigenze di un tempo ritrovato e di uno spazio interiorizzato.
Nella musica di Segafreddo, la struttura compositiva segue una successione dinamico-espressiva, legata a pannelli policromo-sonori e spesso la sua musica viene messa in scena, evidenziandone la gestualità e la narratività, le quali non sono aggiunte per esigenze di rappresentazione ma sono insite alla progettazione, fanno parte fin da subito del carattere dell’opera. La grafia, l’intervallistica, la figuratività, l’elemento aleatorio controllato hanno un valore simbolico che li rimanda a concetti o a storie, si veda l’interessante brano, su testo di Cabianca, 1915-1918 (2017), per voce recitante e due tastiere (o due pianoforti) o riduzione per tastiera (o pianoforte) a quattro mani, partitura presente, come altre rilevanti considerazioni estetiche, linguistiche e analitiche nel citato libro, scritto assieme ad Alessandro Cabianca Cromatismi contemporanei, da cui è tratta anche la citazione seguente (pag. 47).
 
Il materiale di partenza utilizzato nell’arte compositiva di Segafreddo presenta una compagine espressiva in cui gli elementi materici sono composti da variegate e infinite sostanze tratte dalla dimensione sonora, da quella gestuale, da quella policroma, da quella splendente, da quella relativa all’immaginifico e da quella tematico poetica. Le ultime composizioni sono strutturate anche in forma di alea-controllata che si articola pianificando il percorso in modo latente e/o alternato e viene realizzata attraverso diversificate competenze tecnico-compositive.
 
Un titolo che è quasi una dichiarazione di poetica è Immagini di parola (2018),[5] per tastiere acustiche, elettroniche e informatiche, dove immagini, suoni, simbologie, riflessioni si sposano in un’estetica che unisce le varie esperienze artistiche. Dobbiamo a Segafreddo una riflessione continua sulla musica, non solo sulla sua ma su ciò che è la musica al presente. Raginonamenti e analisi che si riscontrano nel suo modo di comporre, dove si cerva sempre di piegare gli aspetti tecnici a fini comunicativi.


[1] ALESSANDRO CABIANCA – MATTEO SEGAFREDDO, Armonie contemporanee, CLEUP, Padova 2012, pp. 33, 34. In un’auto-intervista all’interno del libro, Segafreddo, alla domanda di come organizza il lavoro, risponde: «Produco generalmente schemi policromo-diagrammatici relativi all’indirizzo articolatorio, orizzontale e verticale del materiale scelto, secondo queste fasi: Progettazione – articolazione diagrammatica – assegnazione su impianto d’armatura partiturale – composizione notazionale grafico-dinamica – segmentazione strutturale – unità stilistica globale, in successione progressiva. […] Lo sviluppo del brano si ottiene evolvendo le frammentazioni emblematico-cellulari in un ambito contestuale unitario. […] La progettazione grafica e la stesura con il computer hanno un’importanza strategica, soprattutto nella fase progettuale e compositiva», pp. 92, 93, 94.
[2] Cfr. RENZO CRESTI, Delle metamorfosi, fra impulso e meditazione, in Linguaggi della musica contemporanea 2, Miano, Milano 1995. Fra i primi brani di un certo interesse vanno citati Ianus (1990), il primo pezzo con suoni di sintesi; Mobiles che realizza un tessuto sonoro formicolante con un finale teso e gestuale; Human con momenti di coesione e di dilatazione (entrambi i pezzi sono del 1991); Out of nothing e Momenti (entrambi del 1992); New Dimension e Dimension two (1993, i titoli rimandano alle diverse modalità con cui vengono trattati i suoni). Nel 1993, l’autore approda al teatro con uno spettacolo intitolato Influssi che porta il sottotitolo, esplicito per la drammaturgia e per la prassi compositiva, “delle metamorfosi e dei mutamenti” (al teatro musicale Segafreddo era giunto anche con Binomio, miscellanea di musiche scritte da autori vari, sempre nel 1993). Inoltre, Canzone e Canzone II (1995) e Variationen, su un tema di Schumann, per pianoforte o per quintetto di fiati (1996). Si ascolti il cd Contemporanea&Elettronica (distribuito prevalentemente in formato digitale http://www.blackrecords.it) che comprende i brani: Quintetto FM, A simmetrie, Ianus, The real face of the moon e A journey to Pluto (due pezzi realizzati assieme a Giorgio Binda).
[3] ALESSANDRO CABIANCA – MATTEO SEGAFREDDO, Armonie contemporanee, cit., pag. 84. I musicanti di Brema, hanno visto una seconda versione alla fine del 2018. Sostanziosa, sia nel senso numerico che qualitativo la produzione saggistica di tipo scientifico, didattico, musicale.
[4] SEVERINO BACCHIN, Uno di me, Rediviva Edizioni, Milano 2015, pag. 84, il libro contiene la partitura di One.
[5] «Le differenti dimensioni policrome presenti in questo brano, sono contestualizzate da un’articolazione relativa ad una segmentazione musicale di tipo ‘declamatorio-figurativo’, esplicitato dal titolo: Immagini di parola. Tale articolazione riproduce una modalità figurata di una parola poetico-grafica espressa attraverso un Glissando declamato che rimarca la spazializzazione e l’astrattismo sonoro-gestuali delle fluttuazioni timbriche rappresentate con uno stile ‘aleatorio-strutturato’ per l’intero percorso compositivo» (testimonianza).


 




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