A lezione da Aldo Clementi, di Giancarlo Simonacci
A lezione da Aldo Clementi
Nel marzo/aprile del 1979 organizzai a Roma un ciclo di tre concerti dal titolo Esperienze musicali del Novecento. Nel primo concerto vennero proposte composizioni da camera, per varie formazioni, di Schoenberg, Berg, Webern, Hindemith, Bartok. Nel secondo concerto si eseguirono brani di Messiaen, Fukushima, Bussotti, Boulez, Evangelisti, Lutoslawski, Penderecki, Clementi, Bartolozzi, Pousseur.
Il terzo concerto fu interamente dedicato ad autori italiani: Maderna, Evangelisti, Giuliano, Turchi, Clementi. Fu proprio in quella occasione che ebbi modo di conoscere Aldo Clementi, del quale vennero eseguiti Triplum per flauto, oboe e clarinetto del 1960 e Concerto per pianoforte (a quattro mani) e sette strumenti del 1970. Con spirito decisamente collaborativo Clementi si offrì di dirigere il suo Concerto. Al pianoforte sedevamo io e mia moglie Gabriella. Ci colpì molto la sua disponibilità, la sua affabilità e… la sua mal celata timidezza.
Clementi entrò subito in sintonia con tutti i musicisti, chiedeva e otteneva, sempre con sobria eleganza, ciò che riteneva importante per la sua musica. Ricordo che rimase sorpreso quando io, più timido di lui, gli feci osservare, con discrezione, che a mio avviso c’erano degli errori di stampa nella partitura. Lui se ne accertò e ne convenne, ringraziandomi per la mia piccola scoperta. Era da tempo che desideravo riprendere i miei studi di composizione e mi convinsi di aver individuato in Clementi la persona giusta per l’attuazione di questa mia interiore necessità. Non fu così scontato iniziare a studiare con Clementi, perché mi disse che prima voleva vedere qualche mia composizione. Non avevo molto da sottoporre alla sua disamina, tuttavia gli fornii un paio di miei pezzi.
Alcuni giorni dopo venni convocato a casa sua, in viale Carso (zona Mazzini). Aveva fatto la radiografia ai miei pezzi!! Con linee rosse e blu aveva evidenziato pregi e difetti, con sottili osservazioni anche ai minimi particolari. Volle sapere come e perché avevo realizzato questi due brani. Dopo circa un’ora di interrogatorio/indagine disse semplicemente: “Da dove vuole iniziare?" La mia risposta fu Bach. Volevo riappropriarmi di un bagaglio tecnico, evidentemente assopito, e ricominciare da capo proprio da Bach. Ho sempre nutrito, sin da giovanissimo, una vera venerazione per i Corali di Bach, quindi l’immersione benefica nelle analisi di questi “piccoli” capolavori produsse in me la capacità di generare una mia produzione di corali. Clementi era molto esigente, pretendeva la realizzazione di corali “corretti” e
musicali, proponendo varie soluzioni alternative alle mie armonizzazioni e al movimento delle quattro voci, stimolando in me la ricerca di nuovi percorsi. Si passò presto alla costruzione di composizioni brevi.
Era notevole la sua capacità di forgiare estemporaneamente temi, sempre molto romantici, che dovevo a mia volta sviluppare.
Le analisi di brani di vari compositori del passato e le sue puntuali osservazioni furono illuminanti.
La capacità, direi chirurgica, di Clementi di smembrare una qualsiasi composizione al fine di evidenziare capillarmente i meccanismi strutturali, era decisamente straordinaria.
La sua conoscenza degli stili di tanti autori, soprattutto romantici, era unica.
Le analisi di brani di vari compositori del passato e le sue puntuali osservazioni furono illuminanti.
La capacità, direi chirurgica, di Clementi di smembrare una qualsiasi composizione al fine di evidenziare capillarmente i meccanismi strutturali, era decisamente straordinaria.
La sua conoscenza degli stili di tanti autori, soprattutto romantici, era unica.
Ricordo una lezione bellissima sulla Berceuse di Chopin piena di sorprese, come quella di scoprire in Chopin un “polifonista” raffinatissimo. Mi si aprì un mondo nuovo su un brano che avevo ben studiato in passato. I suoi prediletti erano gli autori romantici, in primis Bramhs e Tchaikovsky. Sul versante del Novecento la sua attenzione si focalizzava su Stravinskij, poi anche sui i tre viennesi : Schoenberg, Berg e Webern. La mia unica, ma incancellabile, lezione di pianoforte che feci con Clementi, fu su le Variazioni op. 27 di Webern. Stavo preparando un concerto sulla seconda scuola di Vienna, quindi per l’appunto con musiche di Schoenberg, Berg e Webern, di quest’ultimo avevo varie perplessità interpretative proprio sulle sue Variazioni” op. 27. Clementi mi chiarì ciò, che a suo dire, era la poetica di Webern, suggerendomi anche qualità di suono, fraseggi e articolazioni, che percepivo, ma non completamente.
Questo mi portò ad una vera e grande passione per l’arte di Webern, del quale, successivamente, analizzai tutta la sua produzione, breve certo, ma di forte intensità espressiva.
Questo mi portò ad una vera e grande passione per l’arte di Webern, del quale, successivamente, analizzai tutta la sua produzione, breve certo, ma di forte intensità espressiva.
La passione di Clementi per il pianoforte era profonda, aveva fatto studi molto seri, pur non militando realmente nel mondo pianistico possedeva un tocco molto bello e variegato, si era perfezionato a Siena con Pietro Scarpini [eccezionale pianista (1911 – 1997), oggi totalmente dimenticato, che meriterebbe una giusta rivalutazione e conoscenza soprattutto da parte della ultima generazione di pianisti. Fu il primo in Italia, in quel periodo storico, a proporre recital interamente dedicati a Bach, ma la sua maggiore attenzione era rivolta a compositori del Novecento]. Seguì presto una profiqua immersione nel contrappunto, sviscerato in tutte le sue forme, sotto la sapiente regia di Clementi. Dopo circa due anni di lezioni, con scadenze abbastanza regolari, iniziai a portargli qualche mio nuovo brano. Nel frattempo eravamo passati al tu. Era nata una vera amicizia! La sua ultima casa, in un condominio in via Cassia, consisteva in due appartamenti, al piano inferiore c’era l’abitazione vera e propria, al piano superiore il suo studio. Quando andavo a trovarlo lo “prelevavo” dalla abitazione famigliare per salire a studio, dove le stanze erano letteralmente sommerse da libri di vario genere distribuiti sul pavimento in ordine sparso.
Certo erano ancora lezioni, ma spesso vertevano su considerazioni da lui fatte sui miei pezzi. Questa consuetudine di sottoporre alla sua attenzione la mia musica, si è protratta fino all’ultimo periodo della sua vita. Mai giudizi sui miei pezzi, solo consigli tecnici sempre con grande rispetto per le mie scelte musicali, anche se a volte non collimavano con i suoi orientamenti estetici.
Clementi nella sua attività compositiva era molto metodico. Tutte le mattine, quando non aveva altri impegni, saliva al suo studio e si metteva al lavoro, nel pomeriggio generalmente il suo distrarsi era dato dal seguire video cassette, amorevolmente predisposte da sua figlia Anna, con filmati della serie “Il tenente Colombo”. Aldo non ha mai analizzato per me e con me una sua partitura! Può sembrare strano, ma è proprio così. Penso non volesse minimamente influire sul mio mondo compositivo. Aveva anche una sorta di pudicizia nel mostrare il suo lavoro, che considerava molto privato, quasi segreto. Ho però avuto modo, più di una volta, con il suo soffuso consenso, di sbirciare, come amico, nei suoi lavori ancora in costruzione. Quindi, seppur fugacemente, percepivo le strutture, le varie strategie compositive, le sue incantevoli magie contrappuntistiche.
“Sono contento di essere testardo” “Battere sempre lo stesso chiodo”, due delle sue varie frasi, rimaste nitide nella mia mente, che mostrano il volto “artigiano” di Clementi. La determinazione dunque di perseguire, con la continuità e la assiduità nel lavoro, una ideale meta artistica. Una volta mi raccontò che Maderna gli spiegò in pochi minuti il puntillismo, tracciando dei semplici schemi su un piccolo foglio di carta, che ancora conservava gelosamente. Negli anni il legame con Aldo e i suoi familiari si è sempre più rafforzato e si è esteso anche alla mia famiglia. Siamo andati spesso insieme a vari concerti, specie di musica “contemporanea” e mai ho sentito dalla sua bocca giudizi malevoli sui suoi colleghi compositori.
Molti li stimava sinceramente, su altri preferiva tacere. Un aneddoto curioso! Andammo un giorno in casa del comune amico Antonio Latanza, purtroppo recentemente scomparso [direttore del Museo degli strumenti musicali in Roma. Noto collezionista di “oggetti” musicali e in possesso di una sterminata collezione di rulli per pianoforte automatico]. Latanza ci propose l’ascolto (allora inedito) dei Preludi da Chopin suonati da Busoni. Una interpretazione personalissima, fuori da ogni visione chopiniana più o meno tradizionale (per l’epoca), quasi una provocazione. Varie furono le considerazioni mie e di Latanza… Clementi, dopo un sostanzioso silenzio disse solo : “… però sono molto contento di Chopin”.
Nel mio percorso formativo negli studi di composizione ho avuto il piacere di studiare con magnifici Maestri come Barbara Giuranna, Renato Parodi e Armando Renzi, dai quali ho appreso molto. Penso però di poter affermare che devo tantissimo al lavoro svolto, come discente, sotto la guida di Aldo Clementi. La sua straordinaria capacità didattica, la sua incredibile cultura e conoscenza, non solo musicale e il suo esempio, ravvivarono in me il desidero, la gioia di scrivere di nuovo musica. Di tutto questo ti sono molto grato caro Aldo! Frequentandoti sono decisamente molto migliorato come musicista e anche, ne sono convinto, come persona.
[postilla interrogativa]
Perché le istituzioni musicali italiane, salvo rarissime eccezioni, non programmano più composizioni di Clementi, Pennisi, Bussotti, Maderna, Donatoni, Berio, Nono e altri, che comunque appartengono, con pieno diritto, alla cultura del nostro Paese?
Giancarlo Simonacci
Roma dicembre 2022