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Niccolò Castiglioni, sonorità ruscellanti
Sonorità ruscellanti
 
 
Ho incontrato Niccolò Castiglioni (Milano 1932 - 1996) ad Acqui Terme, era il 1981, dirigevo, insieme ad Aldo Brizzi, il Festival "Proposte musicali" e la prima cosa che mi colpì fu il suo modo di essere genuino, spontaneo, fidente, un essere puro.
 
Nel 1990 la pubblicazione del mio libro Verso il 2000 fu l'occasione per avvicinarsi di più e, in modo naturale, nacque l'idea di scrivere un libro su di lui. Un libro che si rivelerà molto importante per me, non solo perché inaugurò la Collana dedicata ai Linguaggi della Musica Contemporanea (edita da Miano in Milano per una diecina di anni), ma soprattutto perché venni in contatto con la straordinaria musicalità del Maestro (il musicista più dotato che abbia conosciuto) e con una serie di riflessioni che sposteranno un po' il centro dei miei interessi, rispetto a quelli coltivati negli anni Ottanta (accanto a Giganti come Donatoni e Clementi).
 
Con Castiglioni ho veramente respirato musica, come poche altre volte mi era capitato. La sua totale mancanza di capacità organizzativa nelle cose della vita quotidiane lo rendeva simile a un fanciullo e come un bimbo aveva conservato la capacità di stupirsi e, quindi, di poter meravigliarsi e meravigliare con i suoni, comunicando un inesauribile mondo fantastico e una gioia popolana. Più volte ho azzardato un paragone, non coltivato né coltivabile criticamente, quello con Mozart: nell'innocenza purissima dell'uomo/bambino e nella fluidità della musica che sgorga come l'acqua lucente dalla sorgente, Castiglioni si avvicina davvero al genjo segreto dell'arte, quel genjo che gli dona la musica. E' la sua una musica che ascolto più volentieri, perchè mi comunica sentimenti positivi oltre che interessi intellettuali e culturali.
 
Nell'ottobre del 2006, in occasione dei 10 anni dalla scomparsa, ho tenuto una conferenza ad Acqui Terme e ho presentato un concerto monografico a Firenze (per la Rassegna del GAMO), poi ho partecipato anche a un ricordo svoltosi a Milano, sono state occasioni per mettere ancora di più in rilievo l'attualità del pensiero innocente e della prassi natuale di Castiglioni, un'attualità nel senso della necessità a uscir fuori dal mondo dei furbi e della merce. Per i 10 anni dalla sua scomparsa le Edizoni Ricordi hanno pubblicato un libello fatto malissimo, con testimonianze (chiamiamole così) frettolose, di poche righe, e con un elenco delle opere che avrebbe potuto esser fatto meglio. Anche il Cd allegato è un'occasione persa (l'idea era buona visto che la discografia di Castiglioni è scarsa), in quanto ripropone solo musiche già incise.

Nel 2006 viene edito dalla LIM un volume di Alfonso Alberti sugli anni di apprendistato di Castiglioni, dagli studi al Conservatorio di Milano al 1966. Quegli sono gli anni in cui Castiglioni non ha ancora messo a punto la sua poetica che lo porterà a sondare il mondo stupefatto dell'infanzia e della natura, con la sua personalissima scrittura che è un elogio dell'ingenuità. Indubbiamente nel libro ci sono molte notizie interessanti e un'analisi dei pezzi approfondita (che si ferma ad Anthem del 1966 e che comprende, fra l'altro, brani come Tropi e Gymel, tributi alla Neue Musik dalla quale Castiglioni subito dopo si allontanerà). Ma l'analisi risulta anche il limite di questo lavoro, in quanto fornisce un quadro della musica di Castiglioni di tipo costruttivistico che, seppur giustificato dal periodo in cui il Maestro frequentò Darmstadt, non rende piena giustizia alla sua totale libertà del pensare musica, alla stravanganza del suo modo di comporre, al suo essere un musicista enigmatico. Chi legge questo libro si fa un'idea non completa di Castiglioni, non solo perché vengono presi in esame lavori lontani da quelli che lo hanno reso grande, ma anche perché Alberti fa poco per tentare un avvicinamento a quel surplus fantastico che la sua musica comunica, a quei suoni strani e fiabeschi del Catiglioni maturo. Fra Castiglioni e il musicologo avviene ciò che Nietzsche dice avvenire fra Achille e Omero, "uno ha la vita, il sentimento, l'altro lo descrive."
 
E' triste constatare come pseudo compositori siano sostenuti da palinsesti politici e aziendali composti da baronetti universitari e da direttori artistici compiacenti: scrivo questo non solo per attaccare un mondo dove l'appartenenza al clan è più importante delle qualità artistiche, ma anche per far capire come capiti di dover sentire alcune musiche davvero inascoltabili, brutte, cattive (etimologicamente = chiuse in sé), nevrotiche, ideologiche, e come capiti molto di raro di compiere delle belle esperienze di ascolto, dove qualità tecnica ed espressiva si coniugano sotto il segno della musicalità originale. E' un dovere morale dire queste cose, non solo per la giusta considerazione della musica di Castiglioni ma per un servizio alla musica tutta.
 
E' vergognosa la poca considerazione della critica ufficiale e la dimenticanza della musicologia accademica di un personaggio che, oltre a essere il più ricco di musicalità dell'intero panorama della musica italiana, è stato anche il primo a volgere la prassi strutturalistica, di provenienza darmstadtiana, verso modalità più libere, emancipate dagli schemi e dalle ideologie culturali, realizzando, fin dal 1968, con la Sinfonia in C, un personalissimo recupero della tonalità (ma ancora prima, nel 1965, con Figure e con l'Ode per 2 pianoforti, Castiglioni cercava di uscire dai dettami dello Strutturalismo attraverso una libera utilizzazione di stilemi diversificati). Un recupero che nulla ha dei meccanismi automatici del minimal di In C (1964) di Terry Riley, anche se Castiglioni nei suoi anni americani (dal 1966 al 1970 ha insegnato in tre università) deve aver ascoltato senz'altro le esperienze musicali di quel Paese, comprese quelle dei post-caegiani.
 
Mai nulla vi è di meccanico nella fluente musica di Castiglioni, tanto meno di minimalista, così come niente vi è di post-moderno essendo a lui del tutto estranee le strategie ludiche del lusingare l'ascoltatore tramite una studiata disposizione sonora-percettiva che gli consente di avere dei punti storici di riferimento. Se riferimenti stilistici e citazioni abbondano nella musica di Castiglioni non è perché c'è dietro un'ideologia (o una contro teoria), ma perché a lui viene così, nella libera disposizione dei suoni c'è posto anche per la memoria e per l'humus espressivo. La storia (della musica) viene attualizzata e rivitalizzata secondo un principium stilisationis del tutto indipendente e autentico.

Il riserbo dell'uomo si riversa in visioni sonore nitide e lucenti, il suo sentimento fanciullesco di affrontare la vita si risolve in una magia sonora fatta di figure musicali lievi e di timbri vitrei, in un'agilità fraseologica davvero fluente e ricchissima.
 
Castiglioni anticipa, come nessun altro, le esigenze della post modernità, senza mai cadere nella retorica della superficie, bellamente confezionata, nella faciloneria en rose del neo-romanticismo e nell'ampollosità della Nuova Semplicità. Il concetto di impurità e ancor più le musiche pop non appartengono a un'anima integra nella sua ricerca religiosa del suono interiore che sia viatico vero l'Unità del creato. Via tutto ciò ch'è mondano e dentro, fin al cuore del suono, ciò che appartiene all'infinito interiore dell'uomo, approdando così a una musica autentica, veritiera della natura dell'uomo stesso, pura nella sua genuinità, credibile nei suoi fondamenti stilistici e tecnico-formali, qualunque essi siano, perché, da opera in opera, Castiglioni intraprende un viaggio nella spiritualità del suono, straordinariamente espressa con il dono sublime di una musicalità senza confini.
 
Cos'è la musicalità, potremmo dire parafrasando Durer sulla bellezza, non so, ma la sento benissimo! E' quell'essere dotati di un di più rispetto all'analisi dei suoni, di un quid particolare che va oltre l'equilibrio della forma e realizza un organismo vivente, una musica ch'è come una fiaba, inconsueta eppur precisa nel suo raccontare, una precisione che mai descrive ma allude, un'allusività che non perde di vista il costrutto linguistico ma sa anche vibrare di umanità.
 
La predilezione per la piccola forma preziosa è la stessa eleganza che si riscontra nel fantasmagorico gioco dei colori delle vetrate delle chiese gotiche, così amate da Castiglioni, una luminosità magica, una sensazione incantevole che ci allieta e ci sorprende, come nelle piccole cose di Palomar di Calvino. Si crea una dimensione spzio/temporale estatica che contribuisce a rendere la scrittura musicale senza peso, dissolta in filigrane preziose, trasparenti come veli trapunti.
 
Lo sperimentare soluzioni nuove non intacca la purezza del linguaggio, sempre nitido, lucente, puro, sono quelle sonorità ruscellanti, liquide, brillante, argentine che lo stesso Castiglioni riconosce come sue costanti tecnico-espressive. C’è una composizione di Castiglioni che s’intitola Quodlibet, che significa l’essere tale e quale è: il suono semplicemente si mostra, si espone tale e qual è. L’esser così è assimilabile al dir di sì nicciano, alla metafora del gioco di Eraclito. Castiglioni riesce a cogliere del suono il suo mostrarsi, la sua maniera sorgiva.
 
Castiglioni è un profondo conoscitore della filosofia e della cultura medioevale, per lui la forma è un vestigium della Bellezza superiore, dell’Uno, è signum della Bellezza del Cosmo. Per cogliere questa Bellezza occorre un substrato spiritualistico, occorre l’exultatio. L’estasi stabilisce un accordo fra soggetto e oggetto, tramite questa unione Castiglioni è la sua musica. Nella musica di Castiglioni si avverte un rapimento e i suoi brani manifestano quello che lo stesso Maestro definisce "l’effetto sfolgorante delle vette in alta montagna", un effetto di purificazione spirituale. Il senso della natura è una delle linee maestre per penetrare nella musica di Castiglioni: lo stupore che la musica del Maestro milanese sa regalarci è uno stupore panico, dove l’incanto della natura produce un pathos travolgente, un pathos ch’è però anche ethos, perché la natura ci insegna, non solo ci introduce alla bellezza e alla purezza, ma ci insegna anche la forma naturale, una forma non pre-ordinata razionalmente, ma abbandonata al tempo e allo spazio. Quando Castiglioni inizia a scrivere non prepara schemi formali, non segue piani strutturali, ma si lascia guidare dall’estro, un estro divinamente innocente come nel bambino-creatore di Nietzsche. La sua vena poetica inesauribile foggia, di volta in volta, il materiale musicale in forme sempre diverse che non rimandano ad alcuna estetica o teoria, ma seguono felicemente l’ispirazione, scrivendo con "stupore, scossa dolce, desiderio e amore" (come dice Platone nel Fedro).
 
La scrittura di Castiglioni è senza peso corporeo, dissolta in filigrane preziose, trasparenti come veli trapunti, è una materia sublimata, con un tocco di fantastico e di fiabesco, che produce immagini che evocano l’ingenuità e la bizzarria dell’infanzia. Castiglioni predilige le piccole forme preziose, con un’attitudine alla miniatura che rimanda al fantasmagorico gioco dei colori delle vetrate nelle cattedrali gotiche. L’improvvisa invasione dell’arabesco, la ricchezza dei motivi decorativi non è un preziosismo calligrafico, non è un mero piacere per la superficie bella, ma la decorazione assume su di sé, in toto, un valore assoluto, reclamando il diritto di imporsi e di dominare in modo esclusivo, in maniera totalizzante. Il particolare assume un carattere simbolico e diviene centro, contribuendo all’incanto e allo stupore.
 
Come Camillo Togni, anche Castiglioni è stato allievo di Franco Margola (e ricordo che, appena ricevette il mio libro su Margola, mi scrisse ringraziandomi per aver ricordato un Autore poco considerato ma di grande qualità e simpatia) e come Togni inizia la sua attività all'insegna della tecnica dodecafonica. L'adesione a Webern viene però subito bilanciata da altre esperienze, come nell'Opera teatrale Uomini e no dal romanzo di Vittorini (1955) dove i sedimenti della musica del passato "inquinano" l'astratta purezza dello stile weberniano (quest'opera, come le altre successive, Oberon e The Lord Masque, fu ripudiata dal Maestro). Già nelle opere degli anni Cinquanta, come nelle due Sinfonie (1956-57), si nota una vena elegiaca (fin esplicita in Elegia in memoria di Anna Frank) che può rimandare ora a Mahler ora a Grieg (che sarà sempre più amato da Castiglioni). Il tratto caratteristico è una lievitante delicatezza del suono, una morbidezza fatata dei timbri, un elegante trepidare di figure ritmiche, una liricità avvolta dal silenzio, una circolarità del tempo musicale che avvicina certi aspetti della musica di Castiglioni all'(e)stasi spazio/temporale di Debussy (si veda la serie dei 4 Impromptus).
 
Si è parlato di neo-Impressionismo per certe opere, come Cangianti, a proposito delle iridescenze sonore e delle volatine coloristiche, elementi che si riscontrano anche in Tropi (1959) straordinario pezzo dalla sgargiante poliritmia, dalla grande varietà morfologica delle idee musicali - come ha notato Roberto Zanetti - dalla perfetta calibratura del materiale fonico e del silenzio. Altri aspetti possono rimandare al miglior Ravel, come in Eine kleine Weihnachtmusick (1959-60) brano prezioso di oreficeria sonora, dove sonorità minute e disegni impalpabili costituiscono una filigrana sonora preziosa.
 
Demoniaco è il pianismo di Inizio di movimento (1958), pezzo folgorante nella cascata di invenzioni: puntillismo cristallino, figurazioni stravaganti, accordi e cluster di grande impatto, abbellimenti bizzarri, ritmica e tempo in movimento cangiante, dinamica presente in funzione timbrica ecc. Nel 1959, a Darmstadt, Castiglioni si presenta ancora come pianista, eseguendo Cangianti, brano dalle sonorità ruscellanti, dove struttura e stupore vanno a braccetto, alla ricerca del "bel suono" come in Tropi. Figure decorative ed effetti preziosi che suscitano brillii formano il prezioso tessuto musicale di Gymel (1961). Una spiritualità e giocosità popolana è la caratteristica espressiva di Caractères (1964) , lavoro ricco di golosità sonore e di arabescature dorate.
 
In Figure (1965), Castiglioni passa a un deciso figurativo musicale che ricorre anche alla tecnica delle citazioni, che lo sganciano dalle pastoie della Neue Musik per recuperare quegli stili del passato vietatissimi dall'ideologia dell'Avanguardia; bene scrisse Vlad dicendo che "in questa opera sembra che Castiglioni abbia felicemente superato certe inibizioni che insidiano ancora la creatività di non pochi giovani di talento i quali pensano di non poter stare nell'avanguardia odierna se non fingendo a ogni costo una nevrastenica alienazione." In Ode (1966), approdando a un personale e geniale recupero della tonalità, come in Sinfonia in C del 1969, dove si manifesta la tendenza a un descrittivismo naturalistico alla Grieg, impreziosito da orpelli fantastici.
 
Contemporanea al celebre pezzo di Riley In C, la rivalutazione del Do di Castiglioni - come detto - non ha nulla di minimalista, ma s'inquadra, con straordinario anticipo, all'interno della crisi post-seriale e del nascente dibattito sul recupero di alcuni aspetti tonali, un recupero assai differente di quello che opereranno, di lì a poco, i musicisti della Nuova semplicità (che giungono in ritardo di una decina di anni rispetto all'architettura e a certa letteratura). In Castiglioni non c'è né polemica né furbizia né revival né ricalco, ma vita nuova, capacità personale di filtrare gli elementi tonali infondendoli energie e prospettive nuove, capacità di far sua la citazione inglobandola, in maniera del tutto naturale, all'interno dell'articolazione linguistica, attualizzandola con una fantasia timbrica e figurale assolutamente strepitosa.
 
Inverno in-ver, brano lungo e bellissimo che segna (1972) definitivamente il nuovo stile di Castiglioni, oramai lontano dagli esordi strutturalistici e del tutto libero nel personale recupero della tonalità, mantenendo la sintassi levigata e adamantina, ma volgendola a incanti immaginifici: le note isolate, i gruppetti ornamentali, gli arabeschi, i frammenti cromatici, i vari tipi di scale, la dinamica, ovvero le sue costanti sono ora volte verso una spiritualità gioiosa e popolana. La pausa continua a essere importante, per far respirare il brano e per affidarlo fra le braccia del silenzio, un silenzio inteso come presenza, come assaporamento, come matrice di ogni potenziale creazione. L'atteggiamento attonito, insieme a un certo humor finissimo, è un tratto espressivo connaturato in Castiglioni.

Inverno in ver è un capolavoro non solo all'interno del percorso artistico di Castiglioni ma dell'intero periodo storico, in quanto conserva la sapienza strutturale dei pezzi precedenti, l'attenzione analitica agli intervalli e ai loro rapporti con gli altri parametri, soprattutto con quello timbrico (assolutamente straordinario) ma, contemporaneamente, si lascia alle spalle il rigore post weberniano per ritrarsi in un riserbo intimistico dove la lucentezza dei colori e l'agilità del fraseggio appartengono a visoni sonore del tutto interiorizzate, si tratta di figure musicali lievissime, arabescate, vitree che descrivono i Fiori di ghiaccio, Il ruscello, la Danza invernale, la Brina, il tutto avvolto in un silenzio magico (Silenzio è il titolo della nona sezione), per concludere con l'ultima delle 11 parti in cui si articola il brano, che esprime la poetica su cui si basa questo lavoro e tutte le composizioni successive: Il rumore non fa bene, il bene non fa rumore.
 
Sinfonie guerriere e amorose (1983) per organo, che per il loro uso eterogeneo di materiali possono far pensare all'eclettismo del Post-Modern, l'opera certo non è più qualcosa di primigenio, essa è sempre ri-fatta da parti già date, ma i linguaggi precedenti possono essere trattati in vario modo, affastellati, sovrapposti, accozzati in maniera aleatoria o messi insieme dalla bella calligrafia che confeziona il prodotto godibile, oppure possono venir metabolizzati e assimilati a un organismo linguistico vivo proprio come fa Castiglioni il quale, oltretutto, riesce perfettamente nell'operazione per doti natuali. Small is beatiful (1984) prende forma da una lauda filippina, ma il risultato finale non appare una fredda rivisitazione archeologica, tutt'altro, la polifonia orchestrale è dinamicamente brulicante e la timbrica mostra una vetrina di colori variegati.
 
Osterliedleinper soprano e strumenti a Cantus plaunus per due soprani e 7 strumenti, da Mottetto per soprano e orchestra a Hymne per coro a 12 voci, fino allo splendido Veni Sancte Spiritus (1990) per soli, coro e orchestra: sono brani che ci donano musica, realizzando un'allusività sonora capace di trasportarci in un baleno dalla memoria all'innocenza. Altri lavori orchestrali, stupefacenti, andrebbero citati, ci limitiamo al velato Marchen, Traum und Legende (1988) dal titolo esplicito di una poetica (Fiaba, sogno e leggenda), al fluido Conductus, al limpido Risognanze, all'effervescente Gorgheggio, al cantabile Romanze, al mirabolante He fur klavier (1990), lo stupore sonoro assume in limine il linguaggio e il trepidante messaggio di Castiglioni viene comunicato per simpatia, arrivando con commozione all'ascoltatore e realizzando un'esemplare modo per coniugare rigore morfologico, pensiero immaginifico, forma libera ed emotività, uscendo dalla secche di tanta musica contemporanea, sotto il segno dell'incanto ritrovato.
 
Sulla sua composizione Perigordino (1990) Castiglioni scrive che "nasce dall'esigenza di raggiungere i suoni nella loro trasparenza primordiale, come se il mondo della musica, l'universo dei suoni, fosse stato creato là per là e contasse per adesso non più di dieci minuti di vita." E per la sua Sinfonia con rosignolo il Maestro scrive che "il timbro fondamentale del pezzo è cristallino, cioé libere cascatelle d'acqua o stalattiti di ghiaccio che descrivono la purezza della natura nel paesaggio alpino." Dichiarazioni che confermano quanto detto sulla poetica di Castiglioni, sulla sua e(ste)tica di una vita vissuta nell'in-genuinità (nell'essere genuino e nella fantasia) e nella purezza (ricercata nei silenzi della natura).
 
 
 
Dalla Collana "Linguaggi della musica contemporanea", Niccolò Castiglioni, Miano, Milano 1991. Cfr. Intervista di Renzo Cresti a Niccolò Castiglioni, Respirare la musica, Rivista "Piano time" n. 94, Roma Gennaio 1991.
 
 
 
http://www.milanomusica.org/archivio/autori_niccolocastiglioni.html



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A Pippo Molino










Renzo Cresti - sito ufficiale