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Aldo Clementi, con intervista
Canoni rallentati
 
 
 
Aldo Clementi (Catania 1925 - Roma 2011) è stato l'unico, ai Corsi del DAMS dell'Università di Bologna, a segnarmi sul libretto solo 27 (non che fossi un secchione, ma lo studio della musica, allora "più matto che disperatissimo", faceva già parte della mia vita), perché non sapevo l'estensione, precisa da nota a nota, di tutti gli strumenti dell'orchestra. Ricordo che faceva intonare accordi complessi e che molti miei compagni erano sconvolti! Detto così sembra un burbero, in realtà è persona timida e dolcissima. Proprio come la sua musica che pare dura e difficile, invece è delicatissima e poetica. La sua musica ha tutta la poesia della pietra e del legno (come le statue medievali), non quella sdolcinata dei fiorellini e delle farfallette vezzose.
 
Ho avuto modo, per un libro monografico edito dalla Suvini Zerboni (pubblicato nel 1990, primo libro su di lui), di frequentarlo e di studiare a lungo la sua musica, fascinosa come una pieve romanica, fatta di pietre e di proporzioni. Sa tutto su come far ruotare i canoni, una tecnica che oramai fa parte del suo modo di essere. Qui il vocabolo "tecnica" va inteso come originariamente tecne (abilità del fare).
 
Il fare di Clementi si concede totalmente al suo oggetto, facendogli dono del proprio Sé. Credo che non sia lui a mettere in moto le polifonie, ma siano loro ad andare a lui, con una forza ineluttabile com'è solo quella che viene dalla necessità. A pensarci bene mi commuovo a ripensare a quanta fortuna ho avuto nel vivere la musica di così grandi musicisti, come Aldo.
 
Per i suoi ottant'anni ho presentato un concerto monografico al GAMO di Firenze (ottobre 2005) e per l'occasione mi sono andato a risentire molte delle sue musiche, ebbene non riuscivo più ad allontanarmene, mi avevano incantato, i suoi contrappunti circolari mi avevano avvolto mente e cuore.
 
Per Clementi l’arte è ormai un fenomeno del passato e al compositore spetta l’umile compito di descriverne la fine. Il contrappunto resta come un surrogato di tutto ciò ch’è andato perduto. L’artista prende dalla storia ciò che gli serve, le schegge di ciò che fu vanno a costituire i soggetti dai quali parte la polifonia, ritagliate da un infinitum storico. La scheggia è un tema ripreso dalla storia della musica, un tema che si mette in gioco costituendo il gesto di partenza di un meccanismo canonico. L’uso del canone simboleggia bene la circolarità temporale, l’illusorio avanzamento del tempo, una temporalità che si fa spazio, volume, energia. Clementi pone sempre l’accento sulla cosa e sul procedimento artigianale, per questo la sua è musica materica.
 
La visione di Clementi della nostra epoca, come un tempo di saturazione linguistica e di agonia artistica coincide con la tragedia dell’eterno ritorno che liquida ogni illusione di reazione originale. I linguaggi sono dati nella memoria, ma la memoria è tempo perduto, non è riutilizzabile in quanto la sua ricomparsa non è che Utopia, al massimo i ricordi sono una scheggia impazzita che ci arriva da un contesto che non possiamo più padroneggiare; come ne La coscienza di Zeno il passato può esistere solo nei filtri del presente, che lo modifica, lo aggiusta e lo travisa. La ripresa di un soggetto musicale contrappuntistico in Clementi non sta a significare il riportare in vita quel soggetto, non c’è alcuna pretesa filologica, il tema viene da lontano, da un mondo sconosciuto, e rimane altro. Il pensiero negativo, che volge in drammaticità la casualità cageana, viene ripreso da Kagel e Schnebel, in Italia da Donatoni e Clementi.
 
L’atarassia di una musica che rinuncia a ogni figura e allo scorrere del tempo viene attuata fra le maglie di una fitta polifonia. Il singolo intervallo o qualsiasi altro dettaglio sonoro viene annullato nella rete dei suoni in continuo movimento, griglia di suoni che produce l’effetto di una massa sonora, risultando così apparentemente immobile, un materismo statico nel suo effetto d’insieme, realizzato grazie a un fittissimo contrappunto attorno a un cluster che svolge la funzione di continuo totale cromatico. Come espressione fenomenica del farsi in atto, del casuale inserimento degli elementi nel tempo che si fa spazio, la polifonia di Clementi ha forti analogie con le strutture mobili di Calder e con i grovigli di Pollock che producono una perdita gravitazionale, una vertigine della conoscenza.
 
A partire da una forte complessità di linee, occorre pensare in termini di massa e considerare elementi nuovi, come la densità e la velocità di trasformazione del magma sonoro. A differenza di Xenakis, Clementi non organizza statisticamente i suoni, ma recupera le metodologie classiche della storia della musica che dalle imitazioni di Ockeghem portano alla struttura in canone di Ligeti, passando ovviamente per Bach e i grandi romantici. Grazie a queste metodologie Clementi è in grado, con grande sapienza e sensibilità, di costruire lo spazio sonoro come una tessitura, e il tempo come una spirale. L'opera fatta come un multistrato sonoro ha una struttura sublimale, in quanto ogni singola parte è impercettibile in sé, ma vale solo in relazione globale. La cosalità dell'arte materica viene riproposta attraverso una fittissima rete di linee contrappuntistiche che si accavallano, dando luogo a una tessitura compatta, dove ogni dialettica discorsiva viene soffocata e dove tutto il movimento interno delle voci risulta come grana compatta, solo la densità della massa sonora è percepibile. Il contrappunto di Clementi ruota sempre intorno a un cluster, annullando ogni linea. Il soggetto non può che inchinarsi alla necessità di un continuum magmatico, dove la singola linea si getta in un campo senza fondo, in un gioco abissale, in un'avventura che la disintegra nella massa anonima (le parti reali in Variante A arrivano a 72 del coro più 72 dell'orchestra!) All'interno del continuo sonoro ogni linea preserva il suo lavorìo, ma l'accavallarsi di tante linee conduce a un ascolto di volumi, dove la scrittura si quantifica.
 
La trasformazione linguistica più rilevante riguarda il passaggio dal cromatismo al diatonismo, da B.A.C.H. (1971) in avanti Clementi non comporrà più la polifonia con linee cromatiche, ma diatoniche che conferiscono all’insieme una morbidezza prima sconosciuta. Una novità per molti versi inaspettata è il sempre maggior interesse per il teatro musicale.
 
Le principali costanti della metodologia compositiva di Clementi sono: un foglio unico che concentra la polifonia in una sola pagina, spesso molto grande, la pagina dev’essere sempre ripetuta, almeno tre volte. La ripetizione della pagina deve avvenire sempre più lentamente, in modo che il rallentando funga da lente di ingrandimento dei meccanismi contrappuntistici che hanno come base il canone, che spesso prende forma da un modulo classico (come un Corale o una melodia romantica). Altro carattere peculiare e costante è lo studio delle intensità, dei decelerando e dei rallentando.
 
Nella produzione dagli anni Ottanta in avanti, si nota un’attenzione nuova alla melodia e agli agglomerati armonici. La cantabilità scaturisce dalla brevità dei frammenti, che sono sostenuti da volumi armonici che si precisano sempre con più carezza nei rallentando. Il recupero di tronconi armonici viene già realizzato nell'opera teatrale Es, sono parti sempre relazionate al contrappunto generale, per cui il fenomeno armonico, di per sé più legato al ritmo e alla melodia, ne viene come snaturato. Spesso si instaura un gioco filiforme di frasi, ognuna con una sorta di suo "accompagnamento" armonico (che ne costituisce l'alter ego), all'interno di un gioco di linee che si intersecano: Clementi parte da dei brevi frammenti (per esempio di Chopin e di Schubert in Cantabile) che permettono incastri veloci e aumentano l'intensità espressiva.
 
Il frammento iniziale viene, a volte ripreso da musica d'uso dei tempi passati e ciò fornire alla texture delle linee un impercettibile tono "leggero" che rende gli incastri canonici privi della seriosità del pensiero e del tutto naturali, toccando, nelle opere degli ultimi anni, vette altissime di spontaneità del gesto artigianale, come se la mente e la penna intuissero in quale modo i suoni vogliono, loro, dis-porsi.
 
Tipico dell'ultimo Clementi è il procedimento compositivo utilizzato in Berceuse: si tratta di un mosaico di 12 note tratte da Brahms, il pezzo è a 36 parti che poi si ridono a 34 e a 12, in un molteplice gioco di spessori, in modo particolare il Maestro lavora sul rallentando, il sempre più lento fa riconoscere, progressivamente, meglio i contorni delle melodie imbrigliate in un tessuto lineare/polifonico/armonico, dal quale escono con un risultato espressivo morbido e aereo.
 
  
 
Da Renzo Cresti, Aldo Clementi, Suvini Zerboni, Milano 1990.
 


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Intervista ad Aldo Clementi

R. C. Quanta importanza hanno avuto per la tua preparzione Sangiorgi, Scarpini, Lana e Petrassi?
A. C. Sangiorgi era a Catania, nel 1945-46, perché il Conservatorio in cui lui insegnava era stato danneggiato dalle bombe. Diventai suo allievo, ma per poco tempo perché lui rientrò a Bolzano dopo due anni. Andai a Roma ma non mi trovai bene, decisi allora di seguire Sangiorgi a Bolzano, da lui imparai molto sia dal punto di vista del contrappunto e dell'analisi sia da quello dell'informazione (possedeva molte partiture, praticamente tutta la musica contemporanea di allora), avere tutte queste musiche è stata una fortuna. Ma volevo continuare anche a fare il pianista, così scelsi come insegnante Scarpini perché volevo affrontare con lui il pianismo contemporaneo. All'Accademia Chigiana di Siena portai i Sei piccoli pezzi di Schoenberg, la Sonata di Stravinskij e le due Sonatine di Prokof'ev. In composizione mi diplomai a 29 anni perché ero impegnato oltre che dal pianoforte anche dallo stidio delle lettere. /.../ Sempre al Conservatorio di Bolzano feci molta musica da camera nella classe di Lana, da lui imparai le regole del fraseggio e dell'equilibrio sonoro. A Bolzano conobbi Petrassi, gli feci vedere la mia Sonatina per pianoforte che lui apprezzò moltissimo, gli chiesi di entrare nella sua classe a Roma, qui conobbi Porena, Morricone, Guaccero e altri. Sulla mia prima produzione Petrassi ha influito moltissimo, il neo classicismo mi interessava per un bisogno di ordine e pulizia, mentre la Scuola di Vienna era stata assimilata precedentemente.

R. C. In che modo si sono attuate le influenze della atonalità schoenberghiana poi di Stravinskij e quindi di Webern?
A. C. All'inizio il mio interesse fu attratto dalla atonalità, poi da Stravinskij e dal neo classicimo e quindi di nuovo dall'atonalità ma di stampo darmstadtiano. Più che altro fui influenzato da Webern durante lo Strutturalismo (frequentai Darmstadt dal 1955 al '62). In quegli anni composi i Tre studi, Episodi e Ideogrammi I e II, infine Triplum, sono i lavori che risentono nel post-webernismo.

R. C. Vuoi parlarci dell'influenza che ha avuto Maderna e della scoperta derllo Studio di Fonologia della RAI di Milano?
A. C. Andai a Darmstadt consigliato da Maderna che avevo conosciuto nel 1955. /.../ Dopo Darmstadt ebbi la chiarificazione della tecnica che cercavo, una tecnica che mi permettesse uno stile influenzato solo dalla pittura, ero e sono convinto tuttora che la pittura di quegli anni era più avanti della musica. Nel 1956 decisi di trasferirmi a Milano per studiare con Maderna. /.../ Molto importante fu un pomeriggio trascorso a casa di Maderna: su un foglio di carta a quadretti ci spiegò il significato di struttura e strutturalismo, si trattava di una serialità frammentata, strutture di 3-4-5 suoni alla volta che si intercalavano tra loro. Avevo capito come lo strutturalismo smarrisse il senso originario della serie che si perdeva in una girandola di suoni. /.../

R. C. Qual'era il tuo metodo di lavoro?
A. C. Mi ero costruito un metodo personale, in pratica traducevo in notazione musicale dei progetti grafici. Comincia con i Tre studi per orchestra da camera, dopo la spiegazione di Maderna in carta quadrettata.

R. C. Come sono nati gli Informels? 
A. C. La mia ricerca veramente personale inizia con gli Informels. /.../ Conoscevo i quadri di Fautrier, Tàpies, Pollock e le texture di Dorazio, Tobey, l'idea di un continuum informale mi affascinava. I contrappunti che facevo nascere sulla carta a quadretti erano figure, immagini, configurazioni sonore. /.../ Il continuum non doveva essere solo una girandola, ma doveva avere anche un carattere di permanenza, come se i suoni ristagnassero. In Informel 1 considerai i punti su carta bianca come una vera costellazione senza suoni definiti. In Informel 2 adoperai un contrappunto attorno a un cluster. In Informel 3 il cluster diventò fitto. /.../ Le costellazioni sottoposte a rotazione cambiavano continuamente fisionomia, questa era l'idea di Calder per i suoi mobiles, un oggetto sempre uguale ma che cambia muovendosi.

R. C.Quali sono i motivi che ti hanno fatto approdare a quello che chiami a-formale ottico?
A. C.Con l'informale si tendeva ancora a un certro orgasmo, a una descrizione di una curva ascensoriale e discensoriale. /.../ La forma doveva essere appiattita e i suoni dovevano vivere del loro contrappunto. Ciò doveva valere anche per l'intensità. L'idea del titolo Reticolo la devo a Dorazio più che a Pollock. /.../ Perseguendo la negazione di ogni residuo dialettico  nacquero anche il Concerto per orchestra di fiati e due pianoforti (1967), il Concerto per pianoforte e sette strumenti (1970) e il Concerto per violino, 40 strumenti e carillons (1977).

R. C. Dal brano B.A.C.H.in avanti inizi a lavorare su moduli diatonici e su procedimenti canonici presi dal passato, come mai questo cambiamento?
A. C. Le stesse problematiche dell'appiattimento dialettico le ho continuate passando dal materiale cromatico e quello diatonico, l'idea nacque da uno stato di saturazione nei confronti delle serie cromatiche. In B.A.C.H. adoperai come materiale di partenza quattro frammenti della Fantasia in do minore di Bach, questi frammenti ruotano a ritmo vertiginoso.

R. C. Come sei arrivato al teatro, vuoi parlarci di Es?
A. C.E' una parafrasi del Don Giovanni, mi divertii a scrivere io stesso il libretto (da una pièce di Nello Staino) e a canalizzare i problemi tecnici all'interno del mondo dell'opera.

R. C. Fai un'autoriflessione sui pezzi più recenti.
A. C.Cantabile recupera dei tronconi armonici, come avevo già fatto nelle danze in Es; questi tronconi armonici sono sempre relazionati al contrappunto, per cui il fenomeno armonico che, di per sè, è più legato alla melodia e al ritmo, ne viene come snaturato. /.../ Un gioco filiforme di frasi e il risultato è aereo, anche perché mi sono servito di piccoli frammenti (tratti da Chopin e Schumann). La brevità del frammento ne esalta l'intensità espressiva, più breve è l'incastro di queste melodie, alimentate dai volumi armonici, più dà come risultato un sound morbido. Tale problematica si riscontra anche in Berceuse. /.../ Ho lavorato sul rallentando: il sempre più lento fa riconoscere meglio e più caramente i contorni originari della melodia.



Da Renzo Cresti, Intervista ad Aldo Clementi, in "Piano time" n. 89-89, Roma luglio-agosto 1990.



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La fine di un’epoca 
 
La scomparsa di Aldo Clementi, avvenuta a Roma il 3 marzo 2011, segna la fine di una gloriosa epoca musicale, contrassegnata da eccellenti compositori che hanno posto l’Italia ai primi posti nell’evoluzione delle forme e tecniche di scrittura: Nono, Castiglioni, Togni, Donatoni, Berio, Clementi sono stati tutti musicisti di primissimo piano e che ora ci hanno lasciato.

Ho frequentato assiduamente Clementi dalla fine degli anni Settanta, quando studiavo con lui, agli anni novanta, quando scrissi la prima monografia assoluta su questa grande maestro. Ne ho apprezzato il carattere dolce, l’intelligenza profondissima, la straordinaria capacità di concentrarsi sugli aspetti compositivi che lo interessavano, scrivendo brani che continuamente riprendevano e approfondivano gli elementi del contrappunto canonico, fino agli anni sessanta basato su matrici cromatiche poi diatoniche.

Si possono individuare delle costanti nella prassi compositiva di Clementi e che contribuiscono a creare l’inconfondibile stile del compositore. La polifonia si concentra spesso in poche pagine e a volte in una sola, che devono essere ripetute almeno 3 volte progressivamente rallentando, in modo che, con tempi più lenti, si riesca a percepire gli intrecci dei suoni che nel tempo veloce appaiono come un blocco compatto. Dice Clementi: “In particolare ho lavorato sul procedimento del rallentando: il sempre più lento fa riconoscere meglio e più chiaramente i contorni originali della polifonia”.[1]

Lo studio dei decelerando e degli accelerando, quello sulle densità foniche e sui diradamenti, sono molto accurati e sottili e determinano il carattere del pezzo. Frequente è anche l’uso di procedimenti grafici (come nella serie degli Informel e delle Varianti degli anni sessanta), di strumenti in eco (presenti nella sua unica opera teatrale Es del 1881) e di carillon (Concerto per pianoforte, 24 strumenti e carillon). Clementi è riuscito a crearsi un ambito poetico assai particolare, basato sulla variabilità della distribuzione delle varie linee contrappuntistiche le quali, attraverso la circolarità di un canone infinito, porta a una concentrazione o a una rarefazione della massa sonora, che si dispone in senso sferico, mobilissima al suo interno ma pressoché statica nel risultato che esclude ogni traccia discorsiva. Diversi anche i brani dedicati al flauto, fra i quali Fantasia su Roberto Fabbriciani per flauto e nastro magnetico e Ouverture per 4 ottavini, 4 flauti in sol e 4 contralti.

Ricordo che una volta, alla Chigiana di Siena, Donatoni disse a Clementi che sapeva tutti i segreti della scrittura contrappuntistica, era vero, ma Clementi non era solo un fine esegeta delle tecniche contrappuntistiche, era anche un musicista sensibilissimo; la sua produzione rimarrà come esempio fulgido di sposalizio riuscito fra tecnica e umanità.



NOTE
[1] Renzo Cresti, Aldo Clementi, Suvini Zerboni, Milano 1990, p. 140.



Da Renzo Cresti, Ricordo di Aldo Clementi, in rivista "FaLaUt", Napoli giugno 2011.



http://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Clementi

http://www.musica.san.beniculturali.it/web/musica/protagonisti/scheda-protagonista?p_p_id=56_INSTANCE_5yY0&articleId=14885&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&groupId=10206&viewMode=normal&tag=tag_personaggio



A Emanuela Sarni
mia dolce compagna negli anni universitari bolognesi



 



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