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Giorgio Gaslini, musicista totale
Musicista totale
 
 
 
Il sorriso di Giorgio Gaslini (Milano 1929-Borgo val di Taro 2014) è contagiante. La sua musica risveglia la luce che c'è in noi: suoni blues, jazz, africani, fantastici, rigorosi. Ho sempre ammirato la musica di Gaslini, il suo essere in viaggio. L'ho conosciuto nel 1991, all'Università di Camerino, era appena uscito il mio libro su Castiglioni che lui mi disse di aver già letto e apprezzato. Da lì nacque l'idea del libro su di lui. L'ho invitato, nel 1995, nella Stagione concertistica, Anfiteatro Jazz. da me organizzata al Teatro del Giglio di Lucca, poi ci siamo incontrati molte volte: spesso ho presentato suoi concerti e lui, generosamente, ha partecipato alle presentazioni del mio romanzo La terra che canta, suonando blues. Di me, oltre alla stima che mi ha sempre manifestato con magnanimità, apprezza il fatto che suono (ancora dopo 50 anni!) il rock'n'roll. E questo mi fa piacere, come mi inorgoglisce il fatto che mi consideri un uomo e un intellettuale libero. Grazie Giorgio per la tua amicizia.
 
Manca alla musica contemporanea, nella sua globalità, l’Eros inteso quale impulso vitale, vi è anzi, come rivela Gaslini, "un senso diffuso di atrofia e di frustrazione" causato dalla cancellazione del ritmo fisico e dell’eccessiva intellettualizzazione della scrittura. L’artista deve concedersi tutto, non solo con la testa, non deve parlare solo sul come, ma anche sul cosa e del perché. Il sano lavoro artigianale del musicista dev’essere inteso non solo come garanzia del prodotto finito, ma anche come mezzo di comunicazione fra l'opera che nasce da una necessità interiore e il pubblico. Solo un'ottica in diagonale, intersecante le varie metodologie, è in grado di filtrare e decantare quegli elementi che non sono in rapporto propulsivo e vitale con la cultura dell’oggi. Per studiare la produzione di Gaslini occorre assumere un'anti metodologia, perché non è una musica da biblioteca, ma da spazi aperti, senza confini, vola.
 
La riflessione di Gaslini è imperniata su un'e(ste)tica che si contrae in etica. Fin da giovane aveva avvertito impellente l'esigenza di vagliare con nuove modalità i presupposti critici usati dalla cultura novecentesca, il che significa lasciarsi alle spalle il nichilismo e gli alienati rapporti dell'arte con la vita, abbandonare il pensiero negativo, ma anche quello forte dello Strutturalismo, dell'astrazione linguistica, sperando che gli artisti riescano a calarsi, con umiltà, in un costruttivo confronto con la gente. Anche quando scrive musica "dotta" (si ascolti lo splendido disco Gaslini Chamber Music), Gaslini si pone sempre con un gesto di simpatia nei confronti dell'ascoltatore, un contatto naturale. Ogni performance di Gaslini è fatta di senso collettivo.
 
La musica di Gaslini, in un certo senso, realizza la visione di Freud dell'arte come sublimazione dei desideri, come sintesi del principio di piacere e del principio di realtà. Un concerto di Gaslini ha pure lo scopo di rendere accessibili e leggibili fonti psichiche profonde, in questo ordine di percezioni la coppia significante/significato è fusa intimamente. Nella comunanza emotiva, che si realizza durante la performance, i sogni e i bisogni di ogni ascoltatore vengono rivissuti al plurale, da un io collettivo. La performance di Gaslini sta a metà strada fra la stretta oralità della musica popolare, filtrata attraverso il jazz, e la complicata scrittura della musica dotta. La funzione dell'interprete è quella di un improvvisatore/creatore che, come anche nel jazz classico, ha un rapporto fisico con lo strumento e con il pubblico, sorretto da una forte gestualità, da una componente mimica essenziale alla comunicazione. Come per la musica della tradizione orale, Gaslini non si esprime in senso astratto, ma prende di petto argomenti particolari, legati a problematiche specifiche di una determinata collettività o a esigenze generazionali. Il sound della musica di Gaslini non può essere indicato precisamente in partitura, come del resto l'interpretazione popolare o jazzistica, appartiene a una dimensione del tutto legata all'interpretazione. La partitura non è altro che un canovaccio, una trama scritta solo nelle sue linee fondamentali, il cui sviluppo è, in gran parte, affidato all'abilità dell'esecutore che deve realmente interpretare, far prender corpo sonoro a pochi segni musicali.
 
L'arte del Postmodern non ha un cammino rivolto all'interno, verso l'incontro col proprio Sé, non percorre alcuna verticale interiore, ma si diffonde in ampiezza, esternamente. Si scrive per se stessi, quando invece occorre, come dice Gaslini "scrivere per altri da sé‚ /.../ un'opera musicale, di qualsiasi genere, che non trasmetta energia è morta". Manca il suono ascoltato, vi è solo il suono confezionato, manca quell'esigenza ardente ed enigmatica che dischiude lo svelamento del proprio Sé aperto al Noi, dello sguardo interno che si volge al di là di se stesso; manca il suono sorgente dalla linfa vitale, quel suono che sorge meraviglioso dal pianoforte di Gaslini, come se la cassa armonica fosse un prato fiorito. E proprio come un prato fiorito, il suono di Gaslini si fa rivelazione esistenziale, è stupore ed è utopia, è l'essere disponibile ai richiami dell'amore, unico motivo per il quale conviene vivere e scrivere arte: incipit vita nova.
 
L'establishment musicale tratta la musica come un prodotto qualsiasi: "si provi a prendere in mano un catalogo di qualche grande industria discografica" - scrive Gaslini - "si vedrà come la musica sia schedata, suddivisa, assegnata secondo i mercati /.../ questa è una "trovata" col quale il sistema industriale uccide la musica /.../ occorre una musica diversa, non più settoriale, ma di pieno coinvolgimento, una musica totale". Giunti a questo punto non c'è più (s)campo, la salvezza è uscire dal Novecento tentando di proporre
un'e(ste)tica del dialogo fra l'arte e il suo pubblico eventuale, cioè‚ fare in modo che i linguaggi tornino ad essere comprensibili, non perché‚ assecondano banalmente i gusti del pubblico, ma per la loro genuinità. E questo Gaslini lo aveva già compreso e detto da tempo. Non una musica elitaria, "gesti individuali, solipsistici, nevrotici", come giustamente scrive Gaslini, ma una musica che sappia aprirsi alle culture, alle culture della gente di tutto il mondo. Le vere opere, come quelle di Gaslini (e il pubblico lo intuisce subito) sono sorrette da un turgido entusiasmo, non solo dal ragionare intorno alla cosa, ma dal parteciparla. Non occorrerebbero tanti discorsi, basterebbe vedere la reazione del pubblico ai concerti di Gaslini, dove un pubblico numeroso ed entusiasta viene preso dall'energia vitale che la musica comunica.
 
Gaslini ha, da sempre, avuto un'ottica diagonale. In tale prospettiva una funzione importante viene esplicata dal ripensare la storia (delle musiche, al plurale), il che non significa un furbesco riappropriarsi degli stilemi del passato, ma acquisire la consapevolezza che il concetto di "contemporaneità" non può essere meramente numerico, ma nel tempo dell'arte si presentano cose che sono sempre accadute e che sono sempre eventuali e accadibili, in una contemporaneità di tutti i tempi che ci narra dell'avventura dell'uomo. La storia dev'essere attualizzata, come accade nelle composizioni di Gaslini, assumendo una specie di funzione spaziale, non un nostalgico sguardo all'indietro o un improbabile revival, ma assolvendo a un fine culturale in quanto, attraverso l'allargamento dello spazio musicale, allarga anche la coscienza di ciò che è, oggi, la musica e la condizione del musicista. Gli stilemi del passato devono essere visti come una sorta di topoi, tutti spazialmente prossimi. Il tempo della topologia è quello del coordinamento, non della successione, e in esso vanno a collocarsi le figure fondamentali del pensiero che costantemente vengono de-costruite o ri-costruite per essere ri-messe in gioco. La storia della musica, nella produzione di Gaslini, si fa geografia sonora (straordinario il pezzo Skies of Europe). E' l'ethos del pellegrinaggio.
 
Gaslini è assai bravo nella dialettica fra innovazione e tradizioni (meglio, nel suo caso, al plurale, perché‚ provenienti da zone geografiche e culturali disparate), si rende conto che per una corretta comunicazione occorre mantenere salde le norme che garantiscono la comprensibilità della Langue, pena la perdita di contatto col pubblico, il vaniloquio, magari interessante, ma che non può rivolgersi alla gente. Contemporaneamente però Gaslini sa che la lingua va continuamente ripensata e rimodellata, vivificata con la tensione che viene dalle necessità interiori, meditata e mediata attraverso un pensiero sulle forme che sia aggiornato, reimpostata per ottenere nuovi percorsi e nuove soluzioni, in una dialettica fra innovazione e tradizione.
 
In fondo Gaslini ha capito un concetto elementare, eppur disatteso dalla maggior parte delle estetiche del nostro secolo, che i termini di tradizione e di innovazione non sono contrapposti, ma complementari, che il presente non si può basare solo sul passato, altrimenti l'arte diventa mera rimembranza (crepuscolare), ma deve avere anche la spinta dello sguardo verso il futuro che, al contrario, non può che concretizzarsi attraverso i fili che lo collegano al passato, altrimenti diviene pura speculazione, astrazione (la musica sperimentale è stata enormemente importante nel momento in cui c'era un'evidente bisogno di rinnovare il linguaggio, ma è poi diventata maniera quando ha continuato a perpetuare il suo tipico modus operandi e, soprattutto, non ha saputo integrare le scoperte in un contesto più ampio che sapesse riproporle al pubblico).
 
 Oggi si fa un gran parlare di comunicazione e i musicisti riscoprono l’espressività, ma sapete chi, in epoche di astratto costruttivismo e di furor sperimentale aveva capito che tecnica ed espressione erano le due facce della stessa medaglia, che per comporre ed eseguire un brano i problemi formali sono una condizione necessaria ma non sufficiente, perché occorre che la forma sia vivificata dalla partecipazione emotiva? Giorgio Gaslini, il quale è sempre stato vicino al pubblico, mai intendendo la musica per un’élite (lui che aveva mille diplomi di Conservatorio, avendo studiato, fra gli altri, insieme a Berio e ad Abbado), a lui si deve la prima composizione jazz dodecafonica della storia, Tempo e relazione del 1957, dove la cultura compositiva fa ricorso a tecniche complesse che mai diventano astruse, anzi, sono sempre al servizio dell’ascolto. In anni in cui si esaltava la purezza dello stile, dove predominava l’algido post-webernismo, sapete chi parlava di apertura dei linguaggi, che sono sempre plurali? Oggi si parla di contaminazioni, di fusion, di world music ma Giorgio Gaslini ne parlava già negli anni Sessanta, quando praticava una musica fatta di stimoli jazzistici, di elementi classici, di riferimenti alla musica colta e a quella popolare, all’Africa.[1] Il superamento dei generi venne poi teorizzato nel libro, dal titolo esplicito di Musica totale (1975), una musica senza confini mentali, formali, multiculturale, plurilinguistica, un’idea e una prassi oggi attualissime. L’abbinamento inscindibile di musica/società lo portò anche a tenere concerti nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche, con una convinta attenzione verso i sofferenti, gli ultimi e i giovani. Questa sua innata passione pedagogica lo rese un maestro straordinario, per tutti, grazie alla sua fervente umanità. Fu ancora una volta il primo a tenere corsi di jazz in un Conservatorio, quello di santa Cecilia a Roma (1972) e a lui hanno guardato intere generazioni di musicisti, soprattutto quelli che volevano realizzare una musica senza confini.

Il suo curriculum artistico è poderoso, ha tenuto oltre 3.000 concerti in oltre 60 Paesi! Ha inciso oltre 100 dischi, ricevendo per ben 9 volte il Premio della critica![2] Ha composto oltre 40 colonne sonore, fra cui quella per La notte di Michelangelo Antonioni (premiata col Nastro d’Argento) e per Profondo rosso di Dario Argento. Ha fondato la Grande Orchestra Nazionale di Jazz (1991) e ha scritto la prima opera jazz della storia, Mister O, 1996, in quello stesso anno a donato al Comune di Lecco la sua collezione di migliaia di dischi, partiture, libri etc., creando presso Villa Gomes il “Fondo Giorgio Gaslini”, a disposizione degli studiosi e appassionati.

Ha composto per ogni tipo di organico, sempre musica trasversale, negli ultimi anni dedicandosi particolarmente alla scrittura per grande orchestra e balletti. Per flauto ha scritto soprattutto alcuni brani classicheggianti e uno dedicato a Duke Ellington. Il brano più antico s’intitola Logar e risale al 1955, per flauto e pianoforte, è quello più vicino a una scrittura puntillistica di derivazione colta; a distanza di 10 anni appare Chorus, per flauto solo, dedicato a Severino Gazzelloni; è un pezzo originalissimo, dal carattere lirico-epico, impostato su materiali seriali e non, con l’intervento libero dell’esecutore nel finale, su una sequenza di suoni tratti da Palestrina; al centro della composizione si prevede una gestualità esplicita (per esempio, richiedendo all’interprete di battere sui tasti e di segnare il tempo con i piedi). Al 1995 risale Chants-Songs, per flauto e pianoforte, dedicato a Roberto Fabbriciani, è articolato in 5 sezioni ognuna delle quali si rifà a stilemi particolari: Lyric Song, Rock Song, Epic Song, Blues Song, Musical Song. Sul versante più jazzistico troviamo Ellingtoniana (1999), per flauto e pianoforte, un pezzo scritto per i1 centenario della nascita di Ellington, che reinterpreta 5 capolavori (Ko-Ko, Just Squeeze Me, Heaven, Serenade to Sweden e The Mooch) privandoli della straordinaria orchestra ellingtoniana per riproporli in chiave cameristica, intimistica, con risultati sorprendenti.

A un personaggio così non poteva mancare il Premio alla carriera, conferitogli dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel 2002. In conclusione, non possiamo dimenticare la spontaneità dell’uomo e la, conseguente, naturalezza del musicista, il suo eloquio da affabulatore e la sua umanità, il senso della fratellanza e dell’altruismo, raro nell’egocentrico mondo degli artisti, la straordinaria apertura mentale che lo ha reso non solo uno dei massimi musicisti al mondo ma anche un anticipatore di tendenze culturali che lui coltivava naturalmente e che poi gli hanno dato ragione.


 
[1] L’amore per l’Africa lo coltivò fin da piccolo, suo padre era un africanista e ogni volta che rientrava dal continente nero portava oggetti e strumenti musicali, col quale riempiva la casa. Un disco del 1969 s’intitola proprio Africa, omaggio all’amato continente. Cfr. Renzo Cresti, Linguaggio musicale di Giorgio Gaslini, Miano, Milano 1995.
[2] Ha registrato con Steve Lacy, Don Cherry, Roswell Rudd, Anthony Braxton e molti altri grandissimi del jazz internazionale, impossibile dire con quanti altri musicisti ha collaborato nei concerti, creando piccole formazioni (anche con voce) e grandi organici, ovviamente suonando spesso in piano solo.
 
Dalla Collana Linguaggi della musica contemporanea, Giorgio Gaslini, Collana "Il Cammeo blu" diretta da Renzo Cresti, Miano, Milano 1996. Cfr. anche La musica totale del 2000, in Rivista "Angeli e Poeti" n. 3. Inoltre il Cd Chamber music, Bottega discantica, Milano 1998.



A Daniele Fusi
 
 
 
www.giorgiogaslini.it









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