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Luigi Nono, il suono nascente
Il suono nascente per una nuova lettura
e(ste)tica dell'opera del maestro veneziano
 
 
 
Fu Mario Messinis che mi fece conoscere Luigi Nono, ricordo che era in occasione della Biennale del 1982, lo salutammo in un'osteria veneziana. Proprio a casa di Messinis ho abitato per un mese (prima di assumere l'incarico di docente di Storia della musica all'Istituto "Boccherini" di Lucca, feci una supplenza alla Biblioteca del Conservatorio di Venezia), l'aver vissuto a Venezia è stato decisivo per entrare nella poetica del Nono degli anni Novanta. La sua musica è imprescindibile dall'acqua e dai silenzi veneziani, dal lento incedere dei passi nelle calli e dall'ebbrezza del vento marino.
 
Non ebbi poi modo di frequentarlo, anche perché la sua salute divenne via via sempre più malferma. Ho conosciuto la moglie, Nuria Schoenberg, in occasione di una Mostra su Nono ad Avellino, occasione durante la quale venne presentato pure il libro L'ascolto del pensiero, curato da Gianvincenzo Cresta, nel quale è presente un mio lungo saggio che, in parte, viene qui riportato.
 
Indice dei paragrafi
 
Lo Strutturalismo nascosto - Inattualità e autenticità di Nono - Gli anni d'oro della ricerca e la tradizione intelligente - Inadeguatezza delle metodologie critiche - Attualità di Nono: il Rinascimento strumentale e il suono nascente - Al servizio dell'ascolto… per una nuova e(ste)tica - Incanto ritrovato, la musica è silenzio che sogna di cantare
 
Lo strutturalismo nascosto
 
Uno degli aspetti sostanziali della poetica di Nono (Venezia 1924 - 1990) è quello di nascondere la tecnica di base su cui costruisce il suo linguaggio musicale, una base storicamente definita e strutturalmente caratterizzata, che rimarrà una costante, variamente articolata e, progressivamente, celata prima per accumulo poi per sottrazione, un ispessimento ottenuto con densità sonore o una detrazione di sonorità, comunque, nell'un caso e nell'altro, mai la base strutturale viene negata, ma sottratta all'evidenza per esigenze documentaristiche nella prima fase o a quelle legate alla percezione di un ascolto minimale nella seconda, ed è proprio durante gli anni Ottanta che le tecniche strutturalistiche vengono maggiormente sottintese per dar spazio alle sottili dinamiche del suono nascente. L'arte e la poesia in particolare avranno un ruolo determinante.
 
La storia che sta dietro e dentro al linguaggio di Nono è quella della musica eurocentrica, nelle sue tecniche contrappuntistiche dai Fiamminghi a Schoenberg, sorretta e guidata da un pensiero legato a filo doppio con la teoria dell'art engagé che sarà croce e delizia della musica di Nono, permettendogli di staccarsi dall'astrattismo dalla serialità di Darmstadt, ma imprigionandolo in una ideologia manichea che gli impedisce di accogliere esperienze altre e gli fa ritardare l'approdo a ciò che costituisce la grande eredità che Nono ci lascia, lo svelamento del suono nascente.
 
La concezione della musica come "linguaggio" ha alle spalle troppe pagine ermeneutiche per poterle qui richiamare, certo è che - ammesso che la musica sia linguaggio - lo è molto sui generis, è una sorta di u-topia del linguaggio vero e proprio. Se il "linguaggio" dei suoni è l'utopia del linguaggio, allora è la possibilità autentica che si presenta come vocazione e destino, come sostiene Gianni Vattimo. Se è una vocazione o un destino deve compiersi in un contesto pre-compreso e questo contesto non può che essere il mondo dei suoni, il loro mondo, che sta a monte dell'organizzazione in linguaggio. Il "linguaggio" musicale si presenta allora non solo come introflessione che sonda la profondità del noi, ma anche come estroflessione sonora, come uscita dei suoni dal loro mondo per incontrarsi col pensiero comune e dar vita a ciò che chiamiamo musica.
 
L'opera di Nono degli anni Ottanta, diventa un vaso che raccoglie, è un farsi l'eco di ciò che nel suono stesso parla. Proprio per divenire l'eco del suono poetico, il musicista non può che imporsi il silenzio che crea un mondo senza tempo, dove lo spazio è la vertigine delle lontananze. Come nella purezza del paesaggio invernale, dove neve e ghiaccio creano uno spazio/luce, un tempo sublimato, il diffondersi di un aliquid incorporeum che passa dal paesaggio all'interiorità del suono.
 
Quando Nono arriva a questa soglia vuol dire che si è liberato dalle incrostazioni ideologiche, grazie a un percorso interno tutto suo e grazie a nuove conoscenze personali e culturali. Nono è stato prigioniero di un'impostazione ideologica che ancora oggi tenta di leggere la sua musica con una vecchia metodologia che rimanda al concetto dell'art engagé. Evidentemente, dopo tanti anni, i vecchi guardiani dell'ideologia rimangono legati al pregiudizio che la musica debba essere un "intervento attivo" nella società, cosa che Nono poteva affermare con demagogia, ma anche con una certa sintonia con la cultura dell'epoca, ma che diventa perfino incomprensibile affermarla oggi.
 
I "vedovi" del primo Nono, come li ha chiamati Massimo Mila, coloro che hanno da sempre "creduto fermamente nel "centralismo democratico" o "nella logica rivoluzionaria", il che vuol dire che sono stati per una vita contro la libertà e l'autonomia del singolo individuo, coloro sono dei credenti, adepti d'una chiesa ideologica, adoratori della potenza delle masse", questi padri fondatori di teorie globalizzanti e autoritarie, dai quali - ed è stata la sua fortuna - Nono s'è poi distaccato, hanno fede nell'utopico concetto che la musica sia imitazione o rispecchiamento della realtà storica, sulla quale la musica può e deve intervenire per favorirne il progresso, continuano a non capire che quando l'arte tenta la strada dell'impegno immediato è destinata a fallire, poiché, venendo meno l'autonomia e l'imparzialità dell'opera, viene a mancare quella distanza della realtà che permette una critica sociale a tutto tondo e non di parte. L'oggetto musicale, una volta entrato in un canale funzionale, perde irrimediabilmente la sua fisionomia originaria per diventare senz'altro diverso, "altro da sé" nella forzatura sociologica, si deteriora diventando ideologico e inautentico.
 
La funzione critica è dunque immanente alla musica stessa, come ha infine compreso Nono, al modo in cui viene costruita, e alla sua capacità di suscitare meraviglia. Il valore estetico, che potremmo chiamare, con buona pace dei fanatici del "realismo socialista", anche la bellezza, non dev'essere considerato come un qualcosa che si sovrappone al valore comunicativo, ma come fatto sociale esso stesso: critica estetica e sociale si implicano quindi in un gioco dialettico fatto di complementarietà, ma anche di esclusioni. La decisione in cui la musica sia o meno ideologia la si prende considerando la sua strutturazione interna capace non di rispecchiamenti, ma di trasfigurazioni, la sua capacità di suscitare emozioni che vanno a pescare nel mondo dei possibili.
 
Parafrasando Beniamino Dal Fabbro, che ironizzava sui "wagneriani perfetti", Lorenzo Ferrero parla dei "bidelli della seconda scuola di Vienna", riferendosi ovviamente ai continuatori indefessi di un modus operandi oramai del tutto sorpassato e non serve ammorbidirlo, far cantare la "materia" (!) o far ballare i "materiali" (già la terminologia la dice lunga su quanto vecchio sia questo modo d'intendere e fare musica), serve ripartire da basi diverse, non più legate alla vetusta concezione della struttura engagé, ma al suono, in sé e per se stesso e per gli altri. Il concetto fondamentale non è più quello di materia, ma quello di oggetto che non rimanda all'informale, ma al principio di individuazione: c'è oggetto quando l'orecchio vuole distinguere gli aspetti che lo contraddistinguono.
 
Occorre rifondare pensiero e prassi, come ha poi compreso Luigi Nono, senza rifiutare (come hanno fatto - ancora una volta ideologicamente - i cosiddetti "neo-romantici") tutto ciò che tecnicamente i percorsi strutturali avevano insegnato, in termini di controllo dei parametri e di analisi formale. Soprattutto senza rifiutare l'esperienza del vissuto, dichiarava Nono: "ho avuto, continuo a vivere, vari momenti umani, diverse possibilità musicali, differenti sperimentazioni, studi tecnologici, acustici. Mi hanno provocato e mi provocano e mi aprono /…/ un impegno civile, memore sia del senso greco della parola, sia dell'allegria chassidica, sia dell'eterno vagabondo /…/ assumo posizioni differenti, in vari tentativi diversi di partecipare alla continua scoperta di vita" (1).
 
Lo Strutturalismo è la concezione più legata alla tradizione eurocentrica, da Magister Leoninus a Boulez, dalla nascita della polifonia al post-webernismo, il tutto si svolge seguendo un'unica strada autoreferenziale di continue messe a punto di tecniche sempre più complesse: è la storia di forme, di una musica formalizzata intesa come linguaggio e, quindi, posseduta da un centro ontologico che le permette di intervenire sul mondo proprio in quanto struttura linguistica fondata su ciò che si da' per vero. Questo Schoenberg sapeva e accettava, di questo Schoenberg era consapevole quando diceva di non sentirsi un rivoluzionario, ma uno che continuava la tradizione, una consapevolezza che ha voluto dimostrare, in maniera tecnica, nei suoi trattati sull'armonia, dove considera la sua musica all'interno dei processi formali della musica mitteleuropea.
 
Lo stesso potremmo dire per Nono che ha i suoi riferimenti tutti all'interno della passione Romantik austro-tedesca, sulla linea stringente Beethoven-Wagner-Wolf-Mahler-Schoenberg, ai quali si vanno ad aggiungere i riferimenti a Musorgskij e alla cultura russa e quelli alla polifonia rinascimentale dei Gabrieli, recuperata, ma solo come tecnica, attraverso la storia veneziana, via Maderna e Malipiero: la tecnica contrappuntistica del Cinquecento, e specificatamente quella dei canoni enigmatici, viene rapportata alla tecnica della variazioni in Webern nel quale Nono vedeva, sulla scia di Maderna, un erede espressivo di Schubert.
 
Ovviamente non manca il riferimento a colui ch'è stato l'alfiere della dodecafonia italiana, Luigi Dallapiccola (al quale Nono dedicherà il brano del 1979 Con Luigi Dallapiccola): "attraverso le sue parole scoprivo una testimonianza vivente di quella civiltà della Mittleuropa per la quale nutrivo una passione inesauribile". A dimostrazione che Nono era consapevole di essere un anello di questa storia musicale del centro Europa sono le parole che Nono pronunciò in una conferenza, a Darmstadt nel 1957, in cui sottolineò "l'assoluta continuità logica e storica" tra la dodecafonia e lo Strutturalismo. In modo particolare, Nono preferisce riallacciarsi alle ultime opere di Schoenberg, tant'è che esordì ai Ferienkurse, nel 1950, con la sua opera n. 1, le Variazioni canoniche sulla serie dell'op. 41 di Arnold Schoenberg.
 
I debiti di Nono nei confronti di Schoenberg sono stati segnalati più volte e, come notò, fin dagli anni Sessanta, Mario Bortolotto, il rapporto con il Maestro di Vienna conduce Nono sui terreni dell'Espressionismo di denunzia: "Nono si è prontamente accostato al musicista traumatico per eccellenza, a Schoenberg /…/ il fuoco della scrittura noniana /…/ l'acre violenza di certe sue esplosioni percussive, il pullulare dei suoni /…/ aspirati a una soluzione aggressiva /…/ erano caratteri alieni dal diamante Webern /…/ ne risulta che il metodo di Nono si basa, secondo l'insegnamento di Schoenberg, su una perpetua modificazione istintiva di strutture predisposte: che appunto in quanto suscettibili di continue variazioni, risultano puramente indicative /…/ la scrittura corale, nel Canto sospeso e nelle due opere successive, ha certo un antecedente notevolissimo nei cori di Schoenberg" (2).
 
Bortolotto nota anche che la dimensione del tempo/spazio, su cui Nono mediterà per tutta la vita, non si giova delle intuizioni né di Debussy né di quelle di Webern per i quali il tempo si sospende nell'istante, rifacendosi invece alla tradizione più squisitamente tonale: "di Webern non viene accolto proprio quell'arresto dello scorrere del temporale nell'istante, che ne è l'invenzione di più tremenda portata. Non si parla neppure della simultaneità di più decorsi temporali, di più misure del tempo, e nessuna aspirazione alla spazialità si può mai verificare: altro che in senso acustico, con la velleitaria stereofonia del Diario polacco /…/ Nono avvilisce la lezione di Webern in un'afasia che non sa né potenziare il suono singolo, né superarlo, salvo quando si lascia andare al fracasso percussivo". L'ambizione di spazializzare, se non sorretta da accorgimenti interni al costrutto, cui Bortolotto fa riferimento, porta Nono a "un vieto gusto per il paesaggio", a "dati illustrartivi" ed "effettistici", un pericolo a cui Nono sa di soggiacere, in quanto, in più occasioni, si preoccupa di dire che la sua musica non ha nulla a che fare con il poema sinfonico.
 
Il saggio di Bortolotto dette luogo a un dibattito molto interessante, Nono - a dimostrazione del carattere ideologico che lo imprigionava all'epoca - intervenne con frasi molto esplicite della sua ideologia: "critici musicali che sono veicolo del potere economico governativo /…/ ah! Il sottile male di poesia! /…/ una psicologia veramente reazionaria ravvicina pericolosamente Bortolotto a reazioni di tipo zdanoviano" (3). A parte il sottile male di poesia, dal quale certo Nono non è esente né lo sarà in seguito, il reazionario pericoloso Borlotto è avvicinato a Zdanov (sic!), un nome che deve aver costituito una vera e propria nevrosi per i militanti comunisti di quegli anni, visto che Nono lo cita spesso e sempre a sproposito, per esempio anche il fenomeno della Nuova semplicità - che a tutto il peggio dell'americanizzazione può far pensare - a Nono fa venire in mente Zdanov: "il concetto di "Nuova semplicità" può ricondurre alle banalità più tragiche formulate da Zdanov" (4).
 
L'idea, nel senso schoenberghiano, deve prevalere sull'artigianato della tecnica e della forma: Nono paga costantemente i suoi debiti con la passione Romantik, come dimostrano anche i riferimenti ai "sentimenti", alla "rapsodia degli innamoramenti" "ai valori spirituali", "all'amore per la verità", a poeti e artisti che stanno al cuore del Romanticismo europeo (da Rilke a Turner etc.). La linea romantica/espressionistica a forti tinte sociali/politiche pone Nono in una posizione particolare che, per esempio lo avvicina a Henze (col quale sarà in stretto contatto e dal quale riceverà più di un consiglio, ma che - comunque - si svolge all'interno delle coordinate dello Strutturalismo. Il metodo della scomposizione e della ri-composizione di segmenti testuali, utilizzando colori diversi, per poi decidere l'assetto del brano è una metodologia tipicamente strutturalistica, tesa "all'ottimizzazione del progetto".
 
A ben poco serve la distinzione se le note utilizzate per la permutatio sono 12 o 4 o altre, è l'approccio mentale e la prassi combinatoria che conta e che rimane imperturbabile sia nello Strutturalismo di Nono sia in quello serializzato a tutti i parametri dei Maestri di Darmstadt, che assurge a un modus operandi di furente idealismo razionalistico a cui Nono partecipa, ma non a pieno titolo come vedremo, credeva all'"anno zero", metteva in questione la storia, quando fu esso stessa una questione storica, vissuta profondamente dalla maggioranza dei musicisti che si posero il problema dello svecchiamento delle tecniche tradizionali, mettendo a disposizione, di tutti, un bagaglio linguistico ricchissimo e aperto agli esiti personali. Tuttavia la struttura logocentrica dello Strutturalismo rende tutti i parametri assai asettici e a ben poco servono i riferimenti semantici, come ha fatto Nono per esempio in Y su sangre ya viene cantando (dove fa ricorso a ritmi andalusi), è un'astrazione che non solo ha allontanato il pubblico, ma anche i critici meno legati al culto dell'Unità fra Segno e Logos (non a caso Adorno parlò di "invecchiamento della Nuova Musica"). Se la musica prende forma da un linguaggio dotto, fatto di tecniche di derivazione eurocentrica, non saranno certo apporti posticci di immagini di guerra o apporti pre-costituiti di parole proletarie a farla diventare popolare e a sganciarla dall'élite (conservativa) degli addetti ai lavori, perché tali apporti sono evidentemente puramente ideologici.
 
Attualità di Nono: il rinascimento strumentale e il suono nascente
 
Il giovane Nono mostrava un'affinità col pensiero dell'Espressionismo di denunzia che lo legava e per certi aspetti lo imbrigliava (anche per ragioni personali) al suo nume tutelare Schoenberg, un attaccamento a certi valori della tradizione formalistico-romantica che, fra l'altro, gli impedivano di comprendere fenomeni altri. In nome di una comunicazione allargata, Nono tende poi ad affiancare il contrappunto puntillista a colate sonore. L'utilizzazione dei suoni extra-temperati contribuisce a negare la ricettività dei suoni isolati fornendo la sensazione di massa, di blocco o fascia sonora.
 
Le prime composizioni già concludono l'applicazione canonica dell'astratto divisionismo, abbandonato per intraprendere la strada della denunzia sociale ed è proprio a fini comunicativi che viene recuperata la voce umana che permette un'estensione semantica della musica attraverso il testo, il quale venne usato da Nono con valore di documento (com'è risaputo è in Canto sospeso del '56 che Nono propone per la prima volta la sua specifica scrittura corale). Solo con l'azione scenica in due tempi Al gran sole carico d'amore (1974) il lavoro di Nono si volge a ricerche più interiorizzate, e dopo quest'opera il numero degli strumenti e le quantità dei materiali vengono assai ridotte, come nel brano per pianoforte e nastro magnetico Sofferte onde serene del 1977 e come nel quartetto Fragmente-Stille (1980) dove le modalità esecutive degli strumenti sono indagate sottilmente.
 
L'approccio alla musica elettronica è lento, iniziato negli anni Cinquanta, con le visite agli Studi del Groupe de Recherche Musicale di Pierre Schaeffer presso la RTF di Parigi e con quelle allo Studio di Fonologia della RAI di Milano; solo nel 1960 compone Omaggio a Emilio Vedova, uno dei rari lavori per solo nastro di quel periodo, mentre le successive opere prodotte allo Studio fondato da Maderna e da Berio si incentrano sulla sovrapposizioni di nastri formati da suoni concreti con strumenti e voci tradizionali. Il suono concreto fornisce un inevitabile riferimento naturalistico\referenziale (come in La fabbrica illuminata) funzionale alla poetica engagée.
 
Un cambiamento, pur in una continuità di fondo, avviene sulla metà degli anni Settanta, quando da …sofferte onde serene in avanti "il mezzo elettronico riveste la doppia funzione di microscopio all'interno del suono strumentale (non vengono e non verranno più usati materiali concreti realistici) e di moltiplicatore delle densità polifoniche delle parti strumentali. Con possibilità di realizzare volute trasformazioni dal vivo, in funzione del gesto interpretativo, dell'ambiente, delle condizioni generali di esecuzione, Nono conquista alla sua musica la gestione dei suoni nello spazio" (5).
 
Già agli inizi del decennio 1970 si erano verificate importanti mutazioni sia all'interno delle produzioni musicali dei singoli Maestri (per esempio Clementi era passato per i suoi canoni da basi cromatiche a diatoniche, Donatoni aveva abbandonato il periodo negativo), sia con l'apparizione di nuove tendenze (per esempio le prime composizioni di Sciarrino), sia con importanti capolavori (come Inverno in-ver di Castiglioni), sia col profilrsi di quello che sarà chiamato Post-modern. Sono tutte esperienze fondamentali per il cambio epocale che si verifica sulla metà del decennio, esperienze difersificate che devono essere state meditate, ma non mediate, da Nono, il quale s'è indubbiamete giovato di queste nuove proposte, tutte precedenti, durante la sua stesura di Al gran sole carico d'amore (1975), anche se nessun elemento viene assorbito.
 
Il leggero ritardo con cui Nono giungerà alla messa a punto di quello ch'è, sotto tutti i punti di vista, il lavoro più interessnte e attuale, dipende non tanto dal persistere di aspetti legati allo Strutturalismo, quanto dalla fatica di sganciarsi dall'ideologia engagée, come dimostra il saggio stampato in questo volume, una libertà di pensiero - prima ancora che di prassi - raggiunta pienamente solo con Fragmente-Stille, an Diotima (1980).
 
Il lavoro più recente di Nono, com'è noto, si è svolto allo Studio di musica sperimentale elettronica di Friburgo: l'attenzione dell'ultima produzione si concentra sull'impercettibile alternanza fra suono e soffio, sul suono nascente, afferrato appena esce dal silenzio, uno studio sulle sonorità minimali evidenziato da tecniche di rallentamento su nastro, musica che però non viene registrata definitivamente, ma sottoposta a nuove verifiche strumentali dal vivo (come in Prometeo dell'84). Dichiara Nono: "a volte il momento puramente politico risultava in primo piano (vedi la Victoire de Guernica col testo di Eluard e il tema della guerra civile), altre volte sono invece la tecnologia, la sperimentazione, il rischio che mi incuriosiscono di più /.../ lo Studio di Friburgo, le nuove tecnologie del live electronic, la programmazione dei vari computers, la continua scoperta-studio dello spazio, le analisi col sonoscop, mi assorbivano completamente /.../ assistito dalla grande sapienza del professor Haller, di Rudi Strauss e di Bernd Noll ho iniziato nello Studio di Friburgo un'esperienza sconvolgente che mi ha portato anche ad un ampliamento delle capacità della percezione" (6).
 
Nel live electronic - attraverso le tecniche principali dell'amplificazione attiva, del delay, del phasing, del filtraggio, del trattamento incrociato e del suono mobile nello spazio - nell'attimo stesso in cui i suono si presenta viene modificato e diffuso nello spazio, con articolazioni dinamiche e timbriche precedentemente studiate, ma modificate al momento, secondo l'estro, al tavolo di mixaggio. E' nel periodo che parte dal 1980 che Nono collega la sua ricerca alla collaborazione di un gruppo di interpreti, componendo con e sull'esecutore. Con Roberto Fabbriciani, in particolare (e con Ciro Scarponi), studia la possibilità di azzerare il suono ai limiti del silenzio, arrivando a calcolare, con l'analizzatore computerizzato sonoscop, ben 10 livelli di pianissimo.
 
Il silenzio che avvolge il suono nascente assomiglia a un'esperienza del limite, è come se il linguaggio apparisse nel momento stesso in cui scompare: nel silenzio il linguaggio si perde e si ritrova, ma si ritrova diverso, perché ha in sé l'esperienza del perdersi.

Mentre Nono pratica la musica agisce in lui qualcosa di sconosciuto, qualcosa che rende l'attività anche passività, e più il musicista si concentra sull'oggetto e più questo diventa vasto e misterioso. In fondo l'artista compie un viaggio in terre sconosciute, un'avventura. Fra il fare e l'opera si crea una sorta di vertigine, l'agire si compone di rivelazioni fulminee, di cadute, diseguaglianze, differenze, di amore e morte, è un errare alla scoperta di tutto ciò ch'è stato rimosso, scartato nel dopo infanzia.
 
L'errare del suono viene ottenuto non solo spazializzandolo, ma anche muovendolo internamente, per esempio in Das atmende Klarsein muovendo l'imboccatura del flauto, oppure ruotando l'arco, passando dal poco crine al tutto crine in maniera aperiodica, esaltando così armonici differenti e ottenendo un timbro etereo e mutevolissimo, come riesce a fare stupendamente il contrabbasso di Stefano Scodanibbio in Guai ai gelidi mostri e in Prometeo. Ci invande una luminosità magica, una sensazione incantevole che ci allieta e ci sorprende, come nelle piccole cose di Palomar di Calvino. Una dimensione spazio/temporale estatica che contribuisce a rendere la scrittura musicale senza peso, dissolta in filigrane preziose, trasparenti come veli trapunti.
 
In tale contesto lo sperimentare soluzioni nuove non intacca la purezza del linguaggio perché l'essere sonoro è tale e quale è: il suono semplicemente si mostra, si espone com'è. L'esser così è assimilabile al dir di sì nicciano, alla metafora del gioco di Eraclito. Nono riesce a cogliere del suono il suo mostrarsi, la sua maniera sorgiva: esser matita è segreta ambizione.
 
Il "parlare" di Nono è un parlare del silenzio o del limite, non un dire dell'interiorità, ma un lasciar essere il discorso ch'è - da sempre - già iniziato, un discorso che attrae il soggetto nel versante invisibile del linguaggio. La pausa accoglie ciò che sta per essere detto, ma non dal soggetto, ma dal mondo dei suoni che stanno su una soglia al limite del dicibile, è il linguaggio che nessuno parla perché sta fuori da ogni convenzione: è suono dell'intimo e del già detto, dell'io e dell'altro, del sempre differente e dell'uguale, della libertà e della costrizione, del vuoto e del troppo, dell'attesa e dell'oblio.
 
Nel suo essere capace di attesa e di oblio, il silenzio è l'origine e la fine, s'apparenta con la morte, come sembra aver compreso Nono nelle parti drammatiche delle sue ultime opere. Essere attratto dal silenzio significa sperimentare, nel vuoto e nella messa a nudo, la presenza del lutto. Nel silenzio il linguaggio si scioglie in un congedo dato alle cose e si concede al brivido di uno stupore senza significato. Il silenzio trasgredisce le norme e sacralizza la sua stessa trasgressione.

Il silenzio è la voce degli angeli decaduti che conservano l'originaria grandezza e non rimandano a paradisi perduti (perché mai esistiti). Dopo un secolo come è stato il Novecento, nel quale scritture di ogni tipo si sono incontrate e scontrate, aggomitolate e macerate, scrivere non può che essere un atto d'amore, verso il suono e verso l'uomo.
 
Al servizio dell'ascolto, per una nuova e(ste)tica
 
Occorre un atto di osmosi con quello che circonda Nono che deve diventare una cosa sola con i suoni, i colori, le nuvole e le montagne. Questo è il suo dir di sì alla vita. La nudità dell'inconscio e la spontaneità dell'essere infante, la vitalità del primordiale, dell'archetipo, del sogno, della fantasia, dello stupore, mantengono intatta la carica di umanità e la pienezza di vita. Freud soleva dire che gli artisti sanno una quantità di cose tra cielo e terra che il sapere comune nemmeno sospetta. "Devo compiere un atto di osmosi con la natura" - diceva Caspar David Friedrich - "divenire una cosa sola con le mie nuvole e le mie montagne, per poter essere quello che sono."
 
Attenzione: non si tratta di un vago vagabondare della fantasia fra monti e valli, il richiamo alla natura riguarda proprio i parametri tecnici, ovvero la concezione del tempo (circolare), dello spazio (infinito), dello sviluppo (cellulare), del ritmo (del cuore), del colore e del canto, oltre al senso di semplicità nella complessità e di fresco vitalismo nell'affrontare tematiche linguistiche e culturali. "Prima ancora dei significati esistono assi e orientamenti" - scrive Fernando Mencherini nelle Autoanalisi dei compositori italiani contemporanei edite da Pagano - "ogni brano ha la sua geografia, la sua storia è la sua geografia, esso traccia dimensioni".
 
L'opera è-nel-mondo, geograficamente, è situata, ha carattere intramondano. Il sostituire la storia con la geografia significa privilegiare l' esserci, quale presenza concretamente vitale, rispetto all'ontologia e alla prospettiva oltre-mondana. E' così che anche la storia si fa topologia e la topologia è un fatto, è forma naturale (come i suoni dell'acqua a Venezia, tanto cari a Nono).P

Per esperienza, Nono sa che la musica è una riduzione rispetto alla lingua delle parole, ma che proprio questa riduzione consente un'apertura ulteriore, un'amplificazione degli aspetti emotivi. La musica è così anche un'eccedenza, in quanto riesce a cogliere cose che col linguaggio comune non si possono nemmeno avvicinare.
 
I suoni sporgono dal loro spazio, realizzando un'estroflessione, un'uscita, un pellegrinaggio dal loro sito per incontrarsi con il Musicista e con la sua vita, in fremente attesa. Il Musicista è affascinato dall'attesa e l'essere in attesa è la sua condizione di grazia. Il suono viene a Nono come foglie al vento, spontaneo, sorgivo, configurandosi come un atto di fraternità con la natura, e lui l'accoglie con stupore, con scossa dolce e amore.
 
Non è colpa di Nono se la musica contemporanea va sostanziata da un robusto pensiero (è colpa della Storia). Nono riscopre il nomos dell'ascolto, va verso il suono, contro la musica delle convenzioni.
 
Incanto ritrovato: la musica che sogna di cantare
 
Scrivere a partire dal silenzio, vuol dire includere l'opera nelle metamorfosi dell'eterno. Nono ha imparato a diffidare di ciò ch'è scritto con chiarezza razionale, in bella calligrafia mentale, altro non è che il versante apparente dell'ombra.

Opere vere sono quelle che non si considerano tali, sono quelle che esprimono parola di sacrificio, suono del silenzio, gesto dell'anima.

Nono sacralizza il silenzio: non è un silenzio negativo, nero e cupo, è un silenzio ricco e carico di tutti i silenzi che lancia bagliori, sono le fiamme purificatrici del silenzio.
 
Se il suono poetico è la dimora del dire originario, Nono lo può portare a sé non col pensiero, ma col gesto. Qualsiasi metodologia concettuale risulta rovinosa per la vitalità del processo meditativo e per la partecipazione. Il gesto tocca l'essenza senza violarla. L'arte di Nono è un gestus, un fare segreto di cui la bellezza ne è la traccia. Dal gesto precipita la musica. Il gesto è rituale. E' l'evocazione di un nome. Il nominare avvicina ciò che chiama. Chiamare è avvicinarsi. E' un soffio che muove il suono dalla quiete originaria. E' l'evento rischiarante della grazia. Nel gesto regna il mistero, il mistero della sua forza, di quel suo quid che sostiene e mantiene il suono nel suo essere. Nono fa esperienza di una forza che non è possibile pensare. Il suono possibile ritorna subito nel silenzio: è dove viene meno. Questo venir meno del suono, nel momento stesso in cui si concede, è l'autentico dire di Nono.
 
Nel suono poetico regna un enigma: un tale suono giace, quietamente, nel silenzio. E' un suono che rinuncia a farsi musica, una rinuncia che non ha connotati negativi, anzi, il suono, proprio grazie a questa rinuncia, instaura con Nono che l'accoglie un'intimità profonda. Il suono dice il non detto, ciò che la musica costruita non può dire, perché troppo spostato è il suo piano di azione, su terreni plastificati, dove regna la tecnica. Su questi terreni il suono non giunge a manifestarsi. E' anche una questione di pudore. La via che conduce alla comunicazione è dentro al suono. Il silenzio cor-risponde al suono, è una sorta di suono senza suono.
 
Quale sguardo ha Nono? Quello della sua opera. Quale morte l'attende? Quella che lo spia dall'ultima pagina di un suo spartito, quella che si nasconde nell'ultimo grappolo di note scritte /.../ "Morire" per raggiungere il mondo dei suoni.
 
Nono non sa se riuscirà a cogliere veramente l'essenza dell'arte, anzi, non sa neppure cos'è l'essenza dell'arte. In questo non sapere si pone il passaggio fra l'indeterminato e il determinato. La scrittura è un enigma. Non si può scrivere se non avendo rapporti con la morte, in quanto estrema possibilità, orizzonte ultimo, tempo indefinibile. Ogni uomo è a partire dalla sua morte, ma questo aspetto diventa fondamentale per l'artista, in quanto "cosa" che non può afferrare, ma che è legata alla sua opera come limite. Chi vive alle dipendenze dell'opera, appartiene alla solitudine. L'essere è solitario. L'opera è solitaria. Questo non significa incomunicabilità, ma il suo contrario, farsi l'eco di ciò che nel suono stesso parla. Proprio per divenire l'eco del suono poetico, Nono non può che imporsi il silenzio.
 
Il silenzio crea un mondo senza tempo. Dove lo spazio è la vertigine delle lontananze. E' l'ambiente indeterminato della fascinazione. Un ambiente attraente e assoluto. Chi è affascinato, non vede propriamente ciò che vede, ma ne è toccato in una vicinanza immediata, afferrato e conquistato.
 
"Scrivere è entrare nell'affermazione della solitudine" - come dice Maurice Blanchot - "dove incombe la fascinazione. E' consegnarsi al rischio dell'assenza di tempo, dove regna l'eterno ricominciamento". Nella fascinazione del poter creare, Nono si lascia andare, si perde. Fascinazione è protrarre l'attimo dell'attesa del gesto creativo, è trattenere l'arrivo del piacere, dell'atto conclusivo. E' piacere dell'attesa. E' un sorvegliare se stessi, essere sentinella del fare e anche del non fare. Fascinazione è sorseggiare, piano piano. L'attesa è purificazione e letizia. Quando Francesco d'Assisi bussò al suo convento, in una notte di pioggia e freddo, il frate guardiano gli rispose di aspettare fuori. Solo trascorrendo la notte al gelo, Francesco avrebbe conosciuto il silenzio terribile dell'attesa, ch'è disciplina della sorveglianza. Ch'è fascinazione terribile.
 
Il suono di Nono s'incammina, cieco, com'era cieco l'antico poeta e l'oracolo, oltre le proprie radici, alla ricerca della potente origine dove la sua piccola nascita era già prevista, affondando nel sangue del tempo, ogni orrore conoscendo.



NOTE
1) AA.VV., Luigi Nono, Un'autobiografia dell'autore raccontata da Enzo Restagno, EDT, Torino 1987, pp. 40-41. 
2) Mario Bortolotto, Fase seconda, Einaudi, Torino 1969, pp. 104 e seg.
3) AA. VV., Su "Fase seconda", in NRMI n. 5, Roma 1969, pp. 104 e seg.
4) AA. VV., Luigi Nono, op. cit. pag. 64.
5) A. Di Scipio, Dopo Nono, in "Suono Sud", Ismez, Roma settembre 1990.
6) AA. VV., Luigi Nono, op. cit. pag. 63.



Da Renzo Cresti, Il suono nascente, in AA. VV., L'ascolto del pensiero, Rugginenti, Milano 2001.


 
http://www.luiginono.it/it/

http://www.orfeonellarete.it/archivio/ricerca.php

http://www.musica.san.beniculturali.it/web/musica/protagonisti/scheda-protagonista?p_p_id=56_INSTANCE_5yY0&articleId=14444&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&groupId=10206&viewMode=normal&tag=N

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