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Donne in musica, con interviste
Donne in musica
 


Sguardo retrospettivo
 
Almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso (si può prendere, come data di comodo, il '68 e la nascita del movimento femminista), la donna ha vissuto al di sotto delle proprie capacità, vivendo in una sorta di limbo del proprio operare, con quel complesso di Cenerentola ch'è un insieme di desideri repressi che instaura un inconscio senso d'inferiorità, il quale crea il senso di dipendenza, il crollo delle ambizioni, una situazione conflittuale di paura e il conseguente desiderio di essere salvate: tutto ciò in arte sta a significare necessità di riferirsi al fare maschile, emulandolo, e prendere i prodotti di questo operare a modello per le proprie attività creative. Fino a pochi decenni fa, alle donne è stata negata perfino l'istruzione in quanto, quando si avvicinavano al lavoro artistico questo doveva rimane sempre a livello di hobby, era costretto a restare confinato nell'incertezza del dilettantismo: fare arte andava e va bene se è segno di buona educazione e di civiltà, non era e non è ammesso che all'arte si dedichi la vita, né che con l'arte si possa vivere, se ne possa fare una professione, perché intraprendere il lavoro artistico professionalmente vorrebbe dire cercare l'indipendenza, quell'emancipazione, autodeterminazione e libertà che il mondo al maschile nega pro domo sua. In musica, il caso più drammatico di esclusione dallo studio e dal mestiere ha riguardato l'ambito della composizione, per tradizione millenaria tesaurizzato dalla mente speculativa dell'uomo. Le compositrici che hanno intrapreso la carriera prima degli anni Settanta hanno incontrato molte difficoltà: "c'era molta diffidenza" - dice Ima Ravinale, che ha studiato con Petrassi e che poi diverrà la prima direttrice di Conservatorio - e le fa eco Teresa Procaccini, che otterrà una Cattedra di composizione: "ci sono stati molti personaggi che mi hanno osteggiata", mentre Teresa Rampazzi, grande esperta di musica elettronica, afferma che "la competitività dei maschi l'ho sentita molto. La musica richiede anche uno studio di tipo scientifico e per loro la donna era inadeguata" (1).
 
L'isolamento domestico e l'angustia dell'esperienza sociale vengono spezzati, storicamente, solo in occasioni rare, risultano una devianza rispetto alla ratio maschile, come dice Bathsheba: "ho le emozioni di una donna, ma solo le parole degli uomini." Le eccezioni sono talmente poche che, almeno fino al Novecento, possiamo citare tutte quelle di rilievo. Nel Medioevo santa Ita Killeed (vissuta fra la fine del V e l'inizio del VI secolo) raccolse Inni, mentre santa Hildegarda von Bingen (1098-1179) scrisse Messe, Inni, Responsori e addirittura una Sacra Rappresentazione, le sue musiche hanno anche punti di contatto con la futura musica dei Minnesanger. Ci furono donne fra i Trovatori, come Beatrix da Dia, ed è noto che alcune sapevano suonare strumenti a plettro o a fiato. Ma l'impossessarsi dello strumento, come delle macchine in genere, era un campo di applicazione in cui la donna molto raramente si poteva cimentare. Nell'ambiente nobiliare il fare musica costituiva un segno di raffinatezza, ricordiamo: Anna Bolena (moglie di Enrico VIII, studiò con maestri francesi), Magdalena Casulana di Mezarii (liutista e autrice di Madrigali, il poeta Molino la ricorda con lusinghiere parole, citate nell'epigrafe di questo articolo), Leonora Orsini (autrice della nota Canzone Pianto per la mia carne) e ancora Maria Stuarda, Margherita d'Austria, Anna Amalia von Sachsen Weimar, Anna Amalie di Prussia, Maria Antonietta Walpurgis von Sachsen, scrissero musiche per una o due voci con accompagnamento strumentale, qualche brano corale e perfino delle Opere, come la von Sachsen che compose Il triofo della Fedeltà e Talestri, regina delle Amazzoni. A proposito di Melodramma, una statura superiore, forse la prima vera musicista della storia, assume Francesca Caccini detta "la Caccina", figlia del grande Giulio Caccini e interprete autorevole dei primi Melodrammi della Camerata fiorentina, ai primi del Seicento. Vanno inoltre almeno menzionate suor Isabella Leonarda di Bologna (autrice di musica sacra, ma anche di Sonate strumentali), e, più tardi, la violinista Maddalina Lombardi e Margarethe Danzi (che compose Sonate per violino e pianoforte). Sarà proprio col pianoforte ottocentesco che entrarono in scena illustri interpreti che composero brani pianistici o da camera. Fra tutte Clara Schumann (moglie di Robert, una delle prime pianiste ad ottenere un successo internazionale), e poi Fanny Mendelsshon (sorella di Felix), Maria Szymanowska (ammirata da Goethe e da Pushkin), Cibbini Kozeluch, Adelina Patti, Teresa Carreno, Cécile Chaminade, Teresa del Riego e altre. Adolpha le Beau ed Ethel Mary Smythe furono compositrici di cicli di Lieder e di Opere teatrali, mentre Maria Teresa Agnesi e Maria Teresa von Paradies composero anche lavori orchestrali. Alma Maria Schindler fu la moglie di Mahler (che non si dimostrò mai benevolo nei suoi confronti), mentre Lucie Vellère fu la caposcuola delle compositrici belghe.
 
Dal Novecento il numero aumenta considerevolmente e, in molti casi, aumenta anche la qualità delle musiche scritte dalle donne. Nella musica liturgica cattolica la donna non poteva cantare (nella Riforma luterana invece le si concesse d'intonare i Corali), la si sostituiva con i pueri (le voci bianche dei bambini), con i falsettisti (uomini che cantano in falsetto, riuscendo così a intonare note acute) e perfino con i castrati, una pratica che iniziò dalla Spagna cinquecentesca per poi passare a Napoli e da qui a Roma e in tutta Europa, coinvolgendo il Melodramma, dove la voce strana del castrato meravigliava e stupiva, seguendo i criteri dell'estetica barocca. Nell'Opera teatrale però anche la donna aveva un ruolo prioritario (si crea il mito della "primadonna") e, dal Rinascimento in poi (all'inizio in Francia, quindi in Italia e nell'intera Europa) anche le ballerine erano molto ricercate. Il Cristianesimo aveva associato la danza all'erotismo e alla perdizione della carne, ma con il sopraggiungere della cultura laica delle Corti, il balletto divennne uno spettacolo assai apprezzato. Forse è il primo genere in cui la donna riuscì a dar sfoggio del suo narcisismo, il "pezzo di bravura" divenne sempre più richiesto, fino a quello delle "dive" romantiche (Maria Taglioni, Carlotta Grisi, Fanny Elsler, Maria Cerrutti etc.) che inventarono la danza sulle punte, dove la donna deve esaltare le doti di leggerezza e di grazia, sembrare una libellula, lontana dalla realtà, in un mondo di sogni. Più difficile trovare donne nell'ambito della musica strumentale, anche se sappiamo che alcune erano presenti negli organici delle orchestre del Sei-Settecento. Dalla fine dell'Ottocento la situazione migliora e sempre più la presenza femminile si fa notare, anche in campo solistico (come abbiamo accennato per il pianoforte, ma anche per altri strumenti come l'arpa, il violino, il flauto).
 
In ambito popolare le notizie sono scarse, com'è noto, la musica si trasmette per via orale e dunque poco sappiamo delle testimonianze storiche, però è certo che, ieri come oggi, la tradizione popolare si affida alla voce maschile per i canti sociali, politici, per il cantar storie, per i canti d'amore, a ballo e di taverna. Nei canti della tradizione contadina e operaria, quando si parla delle donne, esse vengono riferite ai loro uomini. La donna si aggrega solo nei canti sul lavoro (celebri quelli delle mondine), in chiesa e, comunque, nei canti religiosi non liturgici (come quelli processionali) oppure alla voce femminile spetta il compito dell'educazione dei bimbi con canti e giochi per la gioventù e ninne-nanne (che spesso hanno una funzione di sfogo: la donna alla sera, stanca, si siede un attimo per far addormentare il bambino e apre il suo cuore ai sogni e ai bisogni, per questa ragione le ninne-nanne sono spesso melanconiche). Nel tarantismo la donna esterna i più scottanti conflitti personali. Musicalmente, gli schemi che poi verranno variati infinite volte, da zona a zona, di generazione in genrazione, sono patrimonio maschile.
 
Le compositrici italiane attuali
 
Entrando nel periodo recente, il nome più importante, che ha costituito una sorta di punto di riferimento per le generazioni successive, è quello i Germaine Tailleferre che fece parte del Group de Six, un importante movimento dei primi decenni del Novecento della cultura francese. Ma ancora in tutta la prima metà del secolo scorso, era considerato indecoroso per una donna comporre musica e presentarla in pubblico (per questo, per esempio, la citata Fanny Mendelsshon pubblicò i suoi Lieder col nome del fratello). Qualche donna iniziò anche a insegnare musica, ma sarà soltanto dal secondo dopo-guerra in poi che la donna, fra mille difficoltà, si potrà affermare nel campo musicale.
 
In Italia ci sono quattro donne, tutte nate negli anni Trenta, che costituiscono il primo tentativo di affermazione della composizione al femminile: Barbara Giuranna (Palermo 1933), che ha studiato con Ghedini e ha poi insegnasto composizione al Conservatorio di Roma, autrice di musiche pianistiche e strumentali, ha anche scritto per il teatro e vinto numerosi premi; Biancamaria Furgeri (Rovigo 1935), insegnante al Conservatorio di Bologna e autrice di razza; le già citate Teresa Procaccini (Foggia 1934) e Irma Ravinale (Napoli 1937, da notare che tre su quattro provengono dal Sud). Prima di loro da menzionare Matilde Capuis, napoletana ma diplomata a Firenze, poi insegnante al Conservatorio di Milano, anche pianista concertista. Hanno tutte sofferto di appartenere a generazioni di mezzo, operanti cioè in quei decenni nei quali la figura della musicista doveva ancora sprecare molte energie per la sua sopravvivenza e per la lotta per la pari dignità, piuttosto che per la creazione artistica. "I miei genitori ci tenevano che apprendessi un'educazione musicale" - dice la Ravinale - "ma senza che questa diventasse una professione." Queste compositrici, che provengono da classi borghesi medio-alte, si sono avviate alla musica in famiglia, aiutate spesso da qualche amica, hanno poi adeguato il lavoro musicale a quello casalingo, magari svolgendo anche un altro lavoro part-time, e al ruolo della moglie e madre, solo dagli anni Settanta lo studio delle compositrici è diventato, fin dalle iniziali motivazioni, legato alla professione (diverso è il caso delle cantanti e delle ballerine che, come abbiamo visto, si sono storicamente emancipate assai prima, ma differente è anche quello delle strumentiste legate a un lavoro più pratico e funzionale che non va a toccare i principi della ratio maschile come la composizione). "Mio padre non era d'accordo che lasciassi gli studi magistrali, fu mia madre che s'impuntò per farmi studiare anche la musica", dichiara la Furgeri. La stessa cosa dice la Capuis: "ho studiato privatamente perché i miei genitori non volevano che mi dedicassi agli studi musicali ed ho lavorato per mantenermi le lezioni".
 
Per gli ultimi decenni, Patricia Adkins Chiti, la più accanita ricognitrice delle donne in musica, ha calcolato diverse centinaia di compositrice operanti. Dalla prima Rassegna mondiale di donne compositrici, organizzata a Roma, per l'8 Marzo del 1980, la Chiti ha iniziato un lungo lavoro di ricerca e di riproposizione dei lavori composti dalle donne, in ogni epoca e in ogni nazione. Il 1980 è anno importante perché vede la fondazione in Germania del Centro Internazionale "Frau und Musik" e, ancora, a Colonia, del primo festival tedesco di musiche femminili. Rassegne che si svolsero, l'anno seguente, pure a Vienna e New York. Sempre in questi anni la Casa editrice londinese Greenwood pubblicava tre volumi sulla problematica delle donne compositrici (2), dando vita a un processo di divulgazione e di approfondimento della tematica che, negli anni Ottanta, verrà affrontata in varie manifestazioni, Festival, Riviste generiche e specializzate, arrivando, infine nel decennio successivo, a una reale e attiva presenza delle donne nei vari settori dell'insegnamento, della creazione e della diffusione della composizione (3).
 
I compositori di oggi si esprimono con un tratto impeccabile, una scrittura that works, che funziona! Però a questa creative writing, pur professionale (e spesso professorale), manca la necessità interiore, infatti diventa sempre più difficile, soprattutto dagli anni Ottanta in avanti, ascoltare brani che sono stati scritti perché dovevano nascere, perché era un imperativo scriverli, pezzi composti in stato di bisogno spirituale. Dopo tanto parlare di professionalità, sarebbe ora di parlare dell'appiattimento che tale professionalità ha comportato, della normalizzazione verso il déjà vu, del perbenismo linguistico, della banalizzazione del prodotto ben confezionato che tale approccio "politicamente corretto" ha (avuto) per conseguenza. C'è chi è riuscito ad andar oltre i limiti della pagina bella e a trascendere il proprio jackstrap, per approdare a una scrittura idiosincratica, parodica, bizzarra, ludica, onirica, non funzionale alla flaubertiana "parola giusta", anzi stupendamente "ingiusta", eccedente il luogo comune, innovativa, indipendente dalle strade maestre e originale nella tecnica e nell'espressione. In un primo momento, le donne non sono state fra coloro che hanno percorso strade dalla tecnica dolce e dalla comunicazione partecipata e profonda, perché molte di loro hanno avuto bisogno di ancorarsi alla tecnica e al pensiero forte, per parificarsi a quello maschile. Il caso di Marcella Mandanici (1958) è, in tal senso, esemplare. Mentre la prima che ha conquistato uno status mentale e operativo, emancipato da quello imperante (anche se, per ovvie ragioni culturali, pur sempre in relazione ai procedimenti tecnici imparati dalla ratio maschile), è Ada Gentile (1947), nota a livello internazionale, in possesso di una scrittura in filigrana, ricca di giochi timbrici, ben formata e delicatamente comunicativi (vedi intervista più sotto).
 
Le compositrici più interessanti dell'attuale panorama della musica italiana sono molte, ne citeremo alcune, pur sapendo che lo scopo non è quello di dar conto dei tanti nomi, ma di informare su una situazione in movimento, oggi concretamente parificata a quella dei colleghi maschi, sia nel campo dell'insegnamento, sia in quello dell'organizzazione culturale, sia in quello squisitamente compositivo. Nell'anno scolastico 1979-80, nei Conservatori, su un totale di poco più di cento studenti maschi che frequentavano il Corso superiore di composizione, solo 6 erano le femmine! Quindi in quasi tutti i Conservatori non esisteva alcuna allieva che frequentasse la classe di composizione! Ora la situazione è ben diversa. Alcune musiciste hanno anche dei ruoli istituzionali importanti (Ada Gentile), altre dirigono delle Rassegne (Roberta Silvestrini), altre ancora sono attive su più fronti, oltre a quello della composizione, su quello musicologico (Paola Ciarlantini), su quello della musica da film (Stefania Spadini), su quello concertistico (Sara Torquati, Gisella Frontero, Francesca Virgili, Loredana Totò, Roberta Silvestrini e molte altre). E ancora, almeno da citare: Silvia Bianchera, compositrice dalla fine sensibilità che accanto a Bruno Bettinelli (di cui fu moglie) ha acquisito una conoscenza profonda dei segreti dello scrivere relazionati alla cultura umanistica; Sonia Bo, autrice di grande spessore, direttrice del Conservatorio di Milano; Carla Magnan, compositrice dedita anche alla musicaologia con la Rivista "Suono sonda"; e ancora va segnalata la cultura musicale di Simona Simonini, inoltre, l'espressività delle composizioni di Beatrice Campodonico e quella, sapiente e leggera, di Barbara Rettagliati, infine vanno almeno citate Sarcina, Lotti, Benati, Zen, Bellino, Calderoni,Terreni, Spadini, Spalletti, Rocchetti (4) e Cristina Landuzzi, nella cui musica costrutto rigoroso ed espressività si esaltano a vicenda.
 
Elisabetta Brusa ha studiato, come la Bianchera, con Bettinelli ed è attratta da uno stile neo-tonale con inflessioni minimaliste (come nella Sinfonia Nittemero del 1988) che si amalgamano a tecniche contrappuntistiche (come in Adagio del 1996). Il terreno privilegiato della Brusa è l'orchestra, spesso piegata a un delizioso descrittivismo (come in Favole del 1983) e comunque ispirata a eventi (Firelights del 1993), personaggi (Florestan da Schumann del 1997), capolavori letterari (Messidor del 1998) e a tipici stilemi musicali (Requiescat del 1994 e altro), il tutto espresso con felicità inventiva, giochi timbrici e una spiccata predisposizione alla trasfigurazione fantasmagorica.
 
Il segnale che l'emancipazione è stata compiuta, nei suoi tratti generali, è quello che, molto spesso, le musiciste rifiutano di farsi incasellare nella tematica delle "donne", volendo porre l'accento esclusivamente sul loro lavoro, ciò non toglie che questo (parziale) raggiungimento della parificazione è sentito dalle nostre musiciste, in un ambiente colto e specializzato, ma in altre situazioni i problemi relativi al riconoscimento pubblico del lavoro delle donne è assai più problematico e relativo. Nell'ambiente della musica leggera, per esempio, la donna cantante (più raramente strumentista) continua a fare da comparsa e le canzoni proseguono imperterrite a presentare la donna come oggetto, come bambolina, o comunque con nomi e aggettivi cari all'immaginario virile e anche quando è la donna che canta l'uomo sembra farlo adeguandosi all'andazzo maschile, assumendone troppo spesso gesti e modi. Infine, nei canti dei movimenti di liberazione della donna (nati dal Femminismo in poi), emerge sì una maniera autonoma, ma solo nei testi, in quanto la musica ripresenta schemi usurati: "riproporre con una stressa musica altri messaggi è un'operazione che tecnicamente prede il nome di travestimento, il che è alquanto significativo" (5) di una fatica riuscita a metà. Potremmo concludere, in sintesi, che c'è ancora molto da fare perché, se è vero che nell'ambiente della musica d'arte, la donna non incontra certo più le difficoltà di una volta, è altrettanto vero che, in ambienti meno evoluti, da quello popolare a quello dei mass media, da quello politico a quello mercificato, la donna svolge ancora (più o meno inconsciamente) un ruolo subalterno o, comunque, non pienamente consapevole di tutti i meccanismi sociali e culturali che possono tenerla a latere di quella che continua a essere, per molti aspetti, la cultura dominante di una musica tutta al maschile.

 

NOTE

1) L. Galanti, L'altra metà del rigo, Grafiche Galeati, Imola 1983.
2) A. Bliock e C. Bates, Women in American Music, Greenwood Press, Londra 1979.
C. Ammer, Unsung. A History of Woman in American Music, 1980.
J. Lang Zaimont e K. Femera, Contemporary Concert by Woman, 1981.
3) Per chiunque fosse interessato a visionare il sito della Fondazione Chiti ed eventualmente prendere contatti riportiamo l'indirizzo internet: www.donneinmusica.org
4) Cfr., Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei, 3 vol., 10 CD, a cura di R. Cresti, Pagano, Napoli 2000.
5) M. Franco-Lao, Musica strega, Edizioni delle donne, Roma 1976.
 


Intervista a Elisabetta Capurso
di Fiorenza Miracola  


“Ho avuto sempre una spiccata vocazione per la musica. Da piccola andavo alla messa del fanciullo e mi collocavo estasiata sotto l'organo e dimenticavo di tornare dalla mia famiglia, dove tutti praticavano uno strumento musicale, dal nonno in avanti. I miei mi hanno iscritta al Conservatorio di Padova, dove allora la mia famiglia aveva residenza. Sono stata allieva di Carlo Vidusso per il pianoforte e di Domenico Guaccero per la composizione, a Roma, dove intanto mi ero trasferita per seguire studi di perfezionamento.”

Che tipo di valutazione da oggi alla formazione ricevuta?
Positiva, estremamente, per la carriera professionale e per una forma mentis generale che applico alla vita e a tutte le sue manifestazioni. Un modo di vivere…”

Può parlare del suo essere donna all'interno del Conservatorio?
“La difficoltà non è l'essere donna, ma è nella propria posizione politica /sindacale. Ad ogni modo l'invidia c'è, purtroppo. In un paese come l'Italia le difficoltà sono relative alla pochezza dei mezzi economici, all'esistenza di lobby di potere, al censo. Ma anche al non essere noi donne al potere all'interno delle Istituzioni, quando impareremo a lottare per questo e a usare del potere nel senso giusto, naturalmente, a cambiare il corso delle cose allora penso che sarà tutto più facile. La competitività con i maschi c'è, a mio avviso, specialmente in quegli aspetti della vita musicale che ti pongono molto in primo piano.. la direzione d'orchestra, per esempio: ancora oggi io vengo ricordata come ‘quella che dirigeva l'orchestra', ( da studente).”

Quando compone musica ha in mente un pubblico particolare a cui rivolgersi?
“No, scrivo per l'esigenza di scrivere e l'urgenza di definire un' ‘idea' in suono.”

In quanto donna si pone il problema di comunicare con le altre donne?
“Mi piace parlare con loro di problematiche comuni: la libertà, di pensiero di idee, di comportamento nella società.”

Esiste un modo femminile di fare musica?
“Assolutamente no, e non dobbiamo cadere nella rete..."
 
 
 
Intervista a Nelly Li Puma
di Fiorenza Miracola
 

Com'è avvenuto il primo approccio con la musica ?
“Non so cosa si possa esattamente definire "primo approccio", essendo l'udito il primo (o uno dei primi) organi che si sviluppano nell'embrione umano! Ho naturalmente dei ricordi vaghi e belli come l'ascoltare tanta musica popolare seduta in braccio al nonno paterno o ascoltare la Suora che suonava il pianoforte all'asilo. Fino al momento decisivo che fu lo strimpellare ad orecchio su un pianoforte, nella scuola media che mia sorella frequentava, le canzoni che lei imparava durante l'ora di educazione musicale e che si divertiva a canticchiare ovunque. La sua insegnante di musica (mia futura insegnante di pianoforte) mi sentì e disse ai miei genitori che avrei dovuto studiare pianoforte. Mio padre amava il Jazz. La sua preziosissima collezione di LP, comprati in America, sono stati il mio primo ricchissimo e vario nutrimento musicale. Una cosa interessante che mi piacerebbe raccontare é che allora, ai tempi di mio padre, i generi musicali non erano così severamente divisi come adesso. Così su uno stesso LP si poteva ascoltare una canzone di Din Martin e dopo il Preludio in Do# min. di Rachmaninoff suonato da Rachmaninoff stesso, seguito da un Benny Goodman e poi ancora un movimento della “Renana” di Schumann. Adesso, quando si va ad acquistare un CD, si va per reparti, e questo crea ancora più ignoranza e scetticismo nei confronti soprattutto della musica cosiddetta "classica". L'approccio alla musica é sempre più specifico e selettivo. Spesso, soprattutto in Italia, mi capita di sentir dire "non mi piace la musica classica" a persone che non hanno mai in vita loro ascoltato un solo pezzo in questo genere musicale! Buffo ma vero!”

Come hai deciso di continuare gli studi musicali?
“Ho spesso cercato di smettere, ma la musica per noi musicisti e' come una droga! Non riusciamo a vivere senza! Una vita senza musica sarebbe così povera e noiosa! La musica mi dà energia.”

Che tipo di valutazione dai oggi alla formazione ricevuta?
“Molto limitata, in Sicilia. Mi mancava il confronto e l'antitesi. Mi sono rifatta andando via!” Puoi parlare del tuo essere donna all'interno del Conservatorio? “Avevo un'insegnante donna misogina! Trovo molto strana e stupida la misognia delle donne! Lei era una grande artista, ma spesso mi diceva: "perche' non sei maschio?" "Perché mammata mi volli accussiì", le rispondevo indispettita e con orgoglio femminista!” Difficoltà? Una miriade! Per noi pianiste poi é particolarmente frustrante, almeno che non si abbia la vocazione dell'insegnamento! Per me insegnare in una scuola normale e' una vera tortura. Ci si trova classi di ragazze/i che, non per colpa loro, ma vivono immersi nel rumore e di letteratura musicale proprio non vogliono saperne, spesso per partito preso! Tutto ciò che studiamo al Conservatorio é, nella vita reale, quella del lavoro, del guadagnarsi il pane, quasi inutile, pragmaticamente parlando! Al Conservatorio non studiamo Jazz, non studiamo Rock, non studiamo Pop, non studiamo improvvisazione, non studiamo musica di diverse culture mondiali. Tutto ciò viene richiesto, almeno dove ho insegnato io, e fortunatamente, in quanto compositrice, ho mille interessi! Me la son sempre cavata bene. Ritengo i programmi dei Conservatori totalmente inadeguati! Anche per una concertista: molte non sanno neanche scriversi un curriculum decente e ignorano i mille fattori importanti, di carattere puramente manageriale, che determinano il successo di una carriera! E' difficilissimo per una compositrice riuscire a vedere i propri lavori come "prodotti da vendere", da inserire nel mercato. Competitività con i maschi nessuna. In Italia ho notato che la mentalità, in questo campo, e' ancora molto arretrata, ma, io vivo all'estero ed ho intenzione di rimanerci! Un signore (insegnante di lettere), mesi fa,in Italia, mi disse: " in Musica non bisogna essere donna"! Mi sembrò di sentir parlare il papa e tutta la sua coorte di arroganti sputa-sentenze. Ma come si permette uno uomo, chiunque egli sia, di dire ciò che una donna deve o non deve essere?”

Quando componi musica hai in mente un pubblico particolare a cui rivolgersi?
“Alle volte si, se si tratta di lavori composti su richiesta, per determinate occasioni. E' il caso del mio Trio alla maniera classica , scritto appunto alla maniera "classica" per non "urtare" l'orecchio di un pubblico molto scettico e restio ad accettare, nel programma della stagione, musica di compositrici contemporanee.”

In quanto donna ti poni il problema di comunicare con le altre donne?
“Alle volte si e mi accorgo di quanto le donne sconoscano la propria storia scritta in musica, parole e/o colori! Non esiste un modo femminile di fare musica. Trovo ridicola anche l'idea visto che il nostro mezzo, il suono, ha l'immaterialità e la forza evocatrice del profumo e la potenza penetrante dell'acqua. Il suono,così come il profumo,e' astratto, ma c'e', si sente, pervade l'aere tutt'intorno. Lo respiriamo, alle volte consce, alle volte no, della sua forza e della sua influenza sul nostro stato emotivo, mentale e fisico! Le mie colleghe coreane dicono che un pianista coreano maschio suona diversamente da una pianista femmina! Chi vuole scorgere le differenze lo faccia pure! La natura della Musica é così astratta che a me pare sciocco starne a discutere! E' comunque tema per sociologhe/ci e non per me che son musicista!”



A Beatrice Campodonico
 
  
 
Da Renzo Cresti, nella Rivista "Parole di donna", Avellino luglio 2002 e febbraio 2003



www.cidim.it
it.wikipedia.org/wiki/Elena_Barbara_Giuranna
www.teresaprocaccini.it
biancamariafurgeri.net
 www.adagentile.it
http://www.beatricecampodonico.com/
 www.donneinmusica.org/wimust/.../s/308-roberta-silvestrini.html
www.mediateca.marche.it/.../18%20-%20Paola%20Ciarlantini.pdf







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