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L'e(ste)tica
L'e(ste)tica
 
 
 
Occorre avere l'elasticità e la vivacità di mente e cuore aperto per intraprendere il viaggio eccentrico, umano, culturale e artistico, al di là di ogni omologazione, pensando il “linguaggio” come procedimento plurale, fluttuante e instabile, e pensando a un'anti-metodologia che intende il lavoro come un polo di connessione fra la chiusura formalistica dell'Opera e l'Aperto variegato del Mondo. L'io plurale approda a un'e(ste)tica del dialogo, a un'estetica che si contrae in un'etica della cooperazione, dove il musicista vive davvero il mondo dei suoni, partecipando alle gioie di un'umanità rappacificata nel segno di una musica ch'è testimonianza dell'abitare i suoni.
 
Il termine “etica” rimanda al concetto di soggiorno, è un concetto di luogo, di radicamento e di valori. Nel nostro luogo bisogna far posto agli altri, la nostra dimora deve essere aperta al viso altrui. Essere dis-posti ad ascoltare gli altrui valori e a dialogare con le altrui provenienze: domandare per imparare. Si tratta di mettere in pratica un'etica del cor-rispondere.
 
L'estetica non può che tramutarsi in etica, non solo per ragioni di partecipazione e di solidarietà, ma perché l'estetica ha perduto ogni sua alta configurazione. L'estetica si riduce a una semplice riflessione sui (f)atti dell'arte, a considerazioni a posteriori, a classificazioni e descrizioni, ha perso del tutto il suo ruolo guida, non può più indirizzare, in quanto ogni direzione può essere valida, ogni impostazione può essere quella giusta, perché ogni operare può riferirsi, con coerenza e precisione, a principi e a finalità estetiche le più svariate, divergenti e perfino opposte;quindi l'estetica assume i connotati del nihilismo. Non è l'epoca della morte dell'arte, come si potrebbe dire riprendendo suggestioni hegeliane, ma sono gli anni del tramonto dell'estetica, la quale si salva solo se si avvicina all'eticità. Il tradizionale studio del bello sembra disperso nell'infinità delle prospettive e delle proposte, prima irriso dagli austeri guardiani delle ideologie degli anni delle Avanguardie eppoi forzato ad essere accoppiato alla fuggevole piacevolezza della moda. La bellezza, che rimane l'essenza dell'estetica, può salvarsi da irrisioni o da supeficialismi, se assume lo spessore della vita, il suo sublime fantastico e drammatico, se quindi diventa un bello che dona senso, profondamente.
 
Odo Marquard sostiene che l'estetica nasce quale compensazione per la perdita del trascendente in età moderna, trasformando il “giorno feriale” (Weber) in un rinnovato incanto, rimettendo in gioco quelle facoltà sensibili che l'età della tecnica e della scienza ha umiliato. Un'estetica funzionale è sempre esistita, dalle antiche Civiltà a oggi (musica funzionale al rito religioso, alla rappresentanza del Palazzo, alle marce militari, alle ideologie politiche o alla didattica pedagogica, alla danza…), è che – oggi come nel passato – i vari poteri e discipline forti hanno spesso sottomesso il (f)atto artistico alle loro convenienze e finalità, giocando su una sorta di connaturata mitezza, delicatezza, affabilità, affettuosità, amorevolezza, disponibilità, generosità e bontà, doti che la vera arte possiede intrinsecamente, qualità che spesso vengono travolte e messe al servizio di un pensiero/fare forte e perfin violento.
 
Inoltre l'arte viene usata anche per il suo status non definito (Petrarca diceva nescio quid) che, di volta in volta, si lascia trascinare in teorie, filosofie, ideologie ecc. che, senza rispetto, si pongono come un militare di fronte a un monaco. Infine la semplicità/complessità dell'arte crea non pochi problemi all'estetica la quale, sbrigativamente, aggira le tematiche a raggiera per ridurle in ambiti culturali normalizzati, in campi sociali dove ogni istituzione agisce pro domo sua. Un'estetica che si avvicina all'etica ci salva da tutto ciò.
 
Dal greco aisthetes, l'esteta è colui che meglio e di più sente e percepisce, ha una sensibilità raffinata, più sviluppata e attenta a riconoscere la bellezza, intuendola e afferrandola nel mare magnum della banalità delle cose. Accorgersi del bello che ci circonda non è atto fine a se stesso, come quello di un estetista che ben ti veste e ti cura la pelle, ma è impresa che ha valenza culturale e sociale, ascoltando il cuore pulsante delle cose, collegandolo al sentimento palpitante di bontà. Da questo punto di vista, la teologia medioevale – che si rifaceva all'etimologia del latino bellum come diminutivo di bonus – tocca il punto essenziale, quello dell'unificazione del bello con il bene (unione da intendersi senza alcuna ideologia, scevra da sentimentalismi e da compiacimenti moralistici, ma in maniera molto rigorosa e fattiva). Allora l'Arte (quella con la maiuscola) sostituisce la Storia come magistra vitae?
 
In parte sì e in parte no: la Storia è troppo compromessa con gli istinti bassi dell'uomo, il quale, ogni volta, ripete guerre e orrori, provoca fame e dolori, perché non si purifica mai. L'Arte è molto meno legata ai grandi interessi politici-economici e, anzi, per sua natura, vive in un suo specifico spazio/tempo sui generis, ai confini con quello pragmatico delle attività produttive, più impegnato ad andare in profondità e a sondare l'intimità dell'uomo. Tuttavia neanche l'Arte può assumere il compito di essere maestra di vita, in quanto riproduce in piccolo gli stessi meccanismi affaristici del mondo politico. Non possiamo quindi affidarle, in generale, un gesto salvitico, possiamo però individuare al suo interno i movimenti buoni e belli, a questi sì possiamo concedere lo status di alto esempio di corrette impostazioni di vita, in tal senso il recupero, scevro da ogni ideologia e inteso in senso ecologico, del concetto di bellezza è fondamentale (fondamento di nuovi modelli comportamentali, essenziali, sostanziali, primari).
 
L'e(ste)tica è la ricerca del (suono) giusto (come diceva Monteverdi).
 
Da anni si assiste a una generalizzata commercializzazione dell'arte, legata oramai imprescindibilmente all'aspetto economico. I Teatri e le Istituzioni musicali, così come gli Assessorati e le Associazioni private, si affannano a programmare manifestazioni “leggere” nel tentativo di acchiappare un po' di pubblico, banalizzando le programmazioni in nome di un pugno di gente che, in generale, è attratta solo dal momento musicale piacevole, vissuto come passatempo. Pur senza voler tralasciare l'importanza dell'aspetto ludico nell'arte, sorge però spontaneo un interrogativo: è di questo che abbiamo bisogno? E' della piacevolezza e del rassicurante déjà vu che l'uomo ha necessità?
 
Nell'apologia della superficie brillante non si riesce neanche, fra l'altro, a esprimere il piacere – il sostantivo che indica un'essenza – ma solo la piacevolezza – l'avverbio che alleggerisce. E' l'estetica tipica del Postmodern, ricorrente però in ogni periodo di crisi. Goethe, per esempio, parlava dell'impossibilità di comunicare la sostanza (come per lui riuscivano invece a fare gli antichi greci). A proposito di greci, per Platone la bellezza è contemplazione passiva/attiva, difficilmente riconducibile al fare comune, viene all'improvviso, per sua natura, ed è essenziale che l'uomo vi instauri una com-partecipazione. La bellezza è un (ac)cadere stra-ordinario e questo suo essere fuori dal comune lo condivide con l'altra faccia della medaglia, il suo aspetto complementare è infatti il brutto, al quale viene ascritta molta arte contemporanea, la quale ha saputo assumere su di sé il durissimo (bruttissimo) compito di descrivere gli aspetti drammatici e negativi della nostra epoca, riuscendo a compiere quell'affondo nelle viscere dell'uomo e della società che per Adorno era il solo modo per fare arte senza falsa coscienza. Se l'arte del Novecento è stata molte volte dura e “brutta” è perché è stata affetta dal negativo di una vita vissuta fra guerre e miserie.
 
Quale com-partecipazione è possibile intendere oggi se non quella economica? Nella cultura greca anche gli dei erano presi dalla bellezza, come una forza che attraeva con magia. Ma oggi l'unico dio sembra il denaro. Senza la piacevolezza e senza il luogo comune non si ha pubblico e senza pubblico che porta denari non si fanno concerti, questo è il meccanismo. Senza piacevolezze e senza denari siamo destinati a una piccola nicchia culturale? Nell'epoca dell'audience occorre tanta gente per costruire l'evento. La quantità prima di tutto, alla quale però la nicchia può contrapporre la qualità e quindi anche un suo valore di mercato. I prodotti di nicchia hanno infatti una loro commerciabilità, meno ampia di quelli di massa ma più incisiva e di più lunga gittata e durata. Certo il problema dell'arte e del suo inserimento nella società è complesso, lo aveva già rilevato Platone, e Socrate diceva: “difficili sono le cose belle”, difficili perché non risolvevano facilmente nel banale e nella piacevolezza. Il vecchio cane Argos, disteso sul letame, è bello perché riconosce subito il padrone. L'abbinamento del bello col buono non appartiene solo al pensiero greco e a quello del Cristianesimo medioevale, è proprio anche del senso comune che dice infatti “bella azione” o “bel gesto” (Giovanni chiama Gesù “il bel pastore”). Il bello richiama dunque un atto di cor-responsabilità, un co-operare, un agire per l'altro.
 


A Bernardo Artusi e agli amici della Comunità di san Leolino




 



Renzo Cresti - sito ufficiale