Testimonianze (parte quinta)
Testimonianze di compositori presenti in Renzo Cresti, Linguaggi della musica e delle arti, Il Molo, Viareggio 2008. Alcune interviste sono parziali per leggerle integralmente prendi il libro.Alessandro Solbiati, Stefania Spadini, Giuliana Spalletti, Andrea Talmelli, Sara Torquati, Luigi Verdi, Giuliano Zosi
Alessandro Solbiati
Il mio comporre si è nutrito fin dall'inizio di suggestioni poetiche, letterarie, ma soprattutto pittoriche. Anzi, a dire il vero la mia tensione alla creatività è rimasta a lungo in bilico tra poesia, pittura e musica: e se è non è molto originale il fatto che da bambino e da ragazzo io abbia scritto versi e racconti (sono però arrivato fino a scrivere un lavoro teatrale e un breve romanzo verso i dieci, dodici anni!), meno usuale è che io abbia dipinto una ventina di quadri a olio prima dei quindici anni. Non importa la qualità di quei lavori, importa la determinazione con cui riversavo la mia necessità di esprimermi nel colore e nell'immagine. Sono convinto di essermi orientato verso il comporre musica (malgrado il mio diploma di pianoforte, infatti, non sono mai stato realmente attratto dall'esecuzione musicale) perché inconsciamente ho avvertito che la musica permette di proiettare all'esterno le proprie energie più segrete senza renderle concetti, di dar loro una forma ed uno sviluppo nel tempo, ma non un nome. Naturalmente penso che quasi tutti i compositori siano accaniti lettori e visitatori di mostre e musei, e se un cruccio provo, nel mondo della cultura, è il fatto che, mentre i musicisti sono spesso buoni conoscitori di letteratura e arti visive, i letterati e i pittori, in generale, non sanno nulla, ma proprio nulla di musica. E quando si parla loro di musica d'oggi, purtroppo, essi pensano più a Vasco Rossi che a Berio. Evidentemente quanto incredibilmente, la musica stenta ancora ad essere accolta con pari dignità nel mondo del pensiero e dell'espressione artistica.
Il punto di vista dal quale leggo un racconto o una poesia o osservo un quadro è spaventosamente soggettivo, dovrei dire egocentrico, perché un mio termometro molto sensibile mi avverte subito dello scoccare di una personale sintonia con l'opera che ho di fronte. E allora, anche al di là del suo intrinseco valore (ma non sono un critico), essa diviene immediatamente per me una sorgente di suggestioni e di stimoli. In genere, tornando da una mostra o da un film che mi abbiano conquistato, o al termine di una lettura pregnante, ho più voglia di scrivere musica. Quando succede questo? Naturalmente non lo so, e non voglio nemmeno saperlo. Ho il sospetto che talvolta siano sufficienti, in un quadro, una prospettiva, una forma, uno sguardo, un accostamento di colori, o, nelle lettere, un'espressione verbale, un nesso imprevisto, tutto ciò, quindi, che sia in grado di spalancare un punto di vista sulla realtà interiore (la mia realtà interiore, non quella dell'artista in questione) prima ignoto e nemmeno supposto.
Un particolare affetto, quasi invincibile, va verso quelle opere di fronte alle quali riesco improvvisamente a mettermi “dalla parte dell'artista” nell'attimo del lavoro: come spesso, di fronte ad un Intermezzo di Brahms, sono sicuro di intuire le relazioni che hanno portato l'Autore a scegliere quella via, quello sviluppo o quella trasformazione tematica, allo stesso modo, sono conquistato da un disegno di Rembrandt ancor più che da un suo dipinto, perché vedo il tratto della matita, un suo cambio di direzione, un ripensamento. E di colpo la mia mente va in questo momento alla Pietà Rondinini, e all'attimo in cui l'anziano scultore ci ripensa e trasforma la spalla della Madonna nella testa di Cristo, fondendo i due personaggi e le loro anime fino a rendere intercambiabili (nel marmo!) due parti del loro corpo: come si può non essere stimolati alla creatività da un simile gesto?
Un mio lavoro si intitola Manet solo perché ero rimasto del tutto affascinato, ad una mostra monografica del pittore francese, dal lungo percorso di crescita dell'artista, piuttosto maldestro, da giovane, al contrario di tanti altri, e poi via via più sicuro nel corso degli anni, nel gesto e nella potenza delle idee. Ma un altro pezzo si intitola Pape moe perché un quadro di Gauguin, né il più noto né il più bello, mi prese l'anima per l'immagine di una foresta fitta e quasi nera in cui un braccio gentile si tendeva verso un filo bianco, la “fonte della vita”, pape moe, appunto. Potrei continuare all'infinito: cambiando arte, cito solo il mio Sonetto a Rilke, titolo che allude ai Sonetti a Orfeo di Rilke: l'assoluta potenza poetica racchiusa in quei quattordici versi mi ha suggerito di sperimentare una struttura formale e immaginativa “a sonetto” (il pezzo è diviso in quattro zone, due più lunghe e due più brevi, ciascuna dotata di assonanze, cioè di rime, tra le proprie parti interne) e di nutrirla di immagini sonore che anelavano all'espressività rilkiana.
Un'osservazione sola sul cinema, infine: la sua capacità pressoché magica (ormai superiore anche a quella del teatro, per me) di trasferirmi in un mondo a volte apparentemente più vero della realtà stessa quasi mi spaventa. E sognerei di poter rivestire con la mia musica le immagini di un film, di “dialogare” creativamente con una sceneggiatura, con una ambientazione. Forse è una posizione un po' idealista, dato ciò che viene richiesto alla “musica da film”: ma anche in questo caso sono davvero dispiaciuto della usuale totale ignoranza musicale dei registi, che non hanno ancora compreso la potenza evocativa della musica colta d'oggi e continuano spesso a richiedere musiche trite e banali. Ma questa è un'altra storia. E vedremo dove mi porterà la mia ricerca continua di suggestioni del comporre.
Stefania Spadini
Come sempre la poesia è uno specchio dell'anima, è grido e preghiera, sconforto, speranza e riconquistata certezza; ogni uomo è assorto in suo ascolto interiore che la poesia esterna in sentimenti che si tramutano in messaggi che non temono il tempo. Attraverso la poesia si possono esprimere le insidie e le spietate contraddizioni del nostro vivere quotidiano. Attraverso la musica, con la poesia, tramite un'accurata invenzione spirituale si possono affrontare consapevolmente e apertamente i grandi problemi del nostro tempo: la guerra, lo sfruttamento, il degrado, come pure di farsi occasione di gioia nella fede. L'integrazione tra parola e musica diviene commento ed illustrazione di un dato psicologico suggerito dal testo; la musica acquista il compito di dire ed illustrare ciò che il testo lascia soltanto intuire. Quando musico testi propongo argomenti che fanno emergere tensioni mai sopite cercando di contribuire a meglio collocare valori e metodi di relazione propri di ogni identità culturale, favorendo il concetto del rispetto e della validità dello scambio culturale, inteso come arricchimento reciproco.
Giuliana Spalletti
E' stato detto giustamente che ogni musica è in realtà musica interiore poiché la sua essenza non sta nelle note, così come l'essenza delle parole non è nelle lettere dell'alfabeto. Musica e poesia sono nate insieme, anche se, nelle vicissitudini della storia e della cultura, si sono dovute separare per meglio rendere ragione delle potenzialità dell'una e dell'altra. Tuttavia, nel mio lavoro di compositrice di musica, tento sempre di accostarmi a quegli inizi in cui musica e poesia vivevano in un perfetto accordo e proprio in quell'interiorità che è il luogo misterioso del fare creativo.Se i suoni delle parole e delle note devono sempre dischiudere prospettive inedite, toccare le corde dell'anima, che altrimenti restano mute, allora, la musica e poesia devono risvegliare quella melodia che giace addormentata nelle cose e nelle persone. In questo senso, la poesia è per me l'espressione che mette in moto questa melodia addormentata in ciò che osservo dentro di me e fuori di me. Quando mi accosto ad un poeta, dunque, i suoi versi suscitano in me forti vibrazioni che, dopo la necessaria riflessione, tento di trasferire nella musica e sia pure abbandonandomi solo alla musica. Ogni nota, ogni accordo nasce quasi in sinergia con quella parola di cui tento di ascoltare quelle vibrazioni profonde di cui ho parlato prima, affinché proprio ascoltando il canto, legato ad un sostegno ora accordale, ora contrappuntistico, musica e poesia tornino ad incontrarsi, quasi per una necessità di cogliere il loro elemento sorgivo. In definitiva, anche nel musicare un testo sacro, ricerco sempre quella profonda spiritualità, quell'interiorità che la Sacra Scrittura e il testo liturgico mi comunicano. Musica e parola devono vivere, e per conseguenza cantare, quell'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, tra la nostra ricerca e il Mistero. Infatti, sono intimamente persuasa che la fede sia il luogo privilegiato non solo dell'esistenza, ma anche di una feconda attività creativa. E' una convinzione che non impongo a nessuno, ma che comunque mi è necessaria per vivere e lavorare intorno alla musica.
Anche nel commentare musicalmente l'arte pittorica o fotografica, esprimo sempre una grande attenzione al soggetto che ho davanti, alla sua forma, perfino all'elemento cromatico che è per me decisivo. Le armonie, le cadenze, i colori dei suoni nascono da questa attenzione e da questo bisogno di esprimere l'interiorità che l'immagine mi comunica. In breve, per dirlo con Khalil Gibran, l'arte è sempre una dal momento che essa vuole insegnare ad osservare ed a ascoltare con il cuore.
Andrea Talmelli
Parola e suono: sembra ormai che io non possa più fare a meno della prima per organizzare il secondo. Che ci fosse qualche archetipo nel DNA che mi ha guidato in questa scelta fin dai primi tentativi di scrivere musica lo posso forse spiegare con l'entusiasmo giovanile in libera uscita dopo gli studi classici. Così spiego Lee Master, Primo Levi, Raffael Alberti, Pier Paolo Pasolini, su cui mi misurai in lavori che sanno di didattica applicata ma che nascevano in ogni caso dal desiderio di superarla per sorreggere valori ed emozioni. Ma è negli Anni Ottanta, mentre clonavo uno dopo l'altro gli atomi dei miei klinamen, quasi fossero studi scientifici della teoria antica, che avvenne un fatto nuovo. La collaborazione di Evelina Schatz, poetessa di Odessa emigrata a Milano, apre il mio immaginario già stanco dei pochi anni coltivati a rincorrere le Avanguardie. Che tristezza pensare in termini neutri, all'autonegazione, a strutture autoreferenziali; dover spiegare con l'analisi quel che si compone per motivare l'obbligo di ascolto; dove giustificare il compositore “deresponsabilizzato” e ancor più un pubblico refrattario e adagiato sull'alibi della propria incompetenza. Del resto, si sa, il valore di un'opera prescinde spesso dalla forza delle teorizzazioni. E infatti amiamo Donatoni, ben oltre i valori della testimonianza. Ora, qui si parla di poesie, di Samarkande (impressionante l'Umberto Eco che evoca suggestioni di … un uomo venuto da Bassora!), di colori, di disegni (e infatti impattai Lucio del Pezzo), di piccoli cenacoli pittorico-musicali-letterari secondo classico copione di civiltà. Ecco allora il ciclo sul Nero, sul Blu, sul Rosso; ecco Amleto, Odisseo di Osip, Ofelia (ma anche i quadri di Memlig del londinese Diario). Devo molto a questa collaborazione e al pirotecnico modo di Evelina d'intendere arte e vita. E devo molto ancor più oggi che scrivo quasi esclusivamente prendendo appiglio dai più disparati Altri Autori, ai tanti che stanno prima della musica che scrivo, siano essi Rodari, Calvino, Spaziani, il Quasimodo dei Fratelli Cervi, Piersanti, D'Elia o Le Mille e un notte.
In principio erant … insomma precedono i testi. Connubio tra parola e suono? Forse meglio dire successione, un pre-testo senza negative accezioni. Nulla a che vedere dunque con la secolare obscura quaestio, spesso attorcigliata intorno a bisogni di supremazie territoriali. Ritengo del resto Goethe troppo intelligente per non saper distinguere Beethoven da Zelter. Allora? Allora un testo come pre-testo significa anche accettare la pigrizia di chi non vuol partire da zero; rubare a una poesia, a una narrazione, una parola o a un titolo le magie di uno stimolo, di un'emozione, le suggestioni che sono entrate nell'io profondo. Solo dopo la voglia aiuta il percorso fatto di suoni organizzati, e non importa se quello che interpreta il compositore è ciò che ha detto il poeta (ma cosa ha pur detto il Poeta?) o quello che ricreano gli esecutori o, in un processo infinito, gli stessi ascoltatori. Anche il testo è un pre-testo e guida persino chi può ricreare nella sua mente con il semplice ascolto, come fa il pubblico quando applaude sé stesso che si riconosce nell'opera. Sì. Riconoscersi nell'opera, anche se ormai può apparire un condominio. Questo solo vale. A qualcun altro, se vuole, il difficile compito di spiegare un pretesto.
Sara Torquati
Sono oltre che compositrice anche Direttore artistico dell'Associazione Culturale Ensemble Syaesthesya che si occupa di promuovere l'interazione tra le diverse forme artistiche; la musica sostanzialmente è Energia come quella del colore, la ricerca di bellezza che l'essere umano ha interiormente converge nella ricerca di tale bellezza che è indice del nostro benessere psico-fisico. Per cui l'interazione tra la musica e le altre arti volge fondamentalmente al rafforzamento dell'energia dell'opera d'arte attivando più canali sensoriali.
Personalmente ho fatto delle ricerche sull'energia del colore e su come i rapporti di frequenze cromatiche possano avere affinità con le leggi delle frequenze uditive; il simbolismo dei colori rapportato a particolari "gesti" musicali; per la scena, che già di per sé è una situazione sinestetica, ho scritto un lavoro intitolato Arianna (dell'abbandono) per voce recitante, sopranista, violoncello e percussioni che ovviamente fa uso di un testo poetico, di costumi, di luci, di musica, di scenografia.
Trovo fondamentalmente che tutto il bel movimento di idee iniziato a cavallo tra 1800 e 1900 di cui sono stati esponenti illustri Scrjabin, Kandinsky, la società teosofica ecc abbia ora più che mai bisogno di prosecuzione e compimento il famoso salto vibratorio che possa elevare ancora la nostra frequenza evolutiva. Sappiamo dagli studi sul colore che gli esseri piuttosto semplici e l'uomo antico avevano facoltà di distinguere pochi colori man mano negli esseri umani la sensibilità a percepire numerosi diversi colori è aumentata ciò è segno che le nostre facoltà sensoriali sono un work in progress per cui è compito dell'arte e della musica in particolare, l'essenza più immateriale, promuovere una nuova umanità (è un'Utopia?).
La poesia entra nella mia musica perchè spesso è il supporto a lavori vocali o per voce recitante; un mio lavoro interessante di cui ho curato anche la stesura del testo si chiama Leopardi litterae per voce recitante, flauto, clarinetto e pianoforte ed ho ricavato il testo da una scelta di lettere scritte da Giacomo Leopardi poiché volevo trovare tra i suoi scritti una figura alternativa a quella che ci è tramandata da troppo tempo e cioè quella di un essere debole, schiavo dell'infermità fisica, uomo lontano dalla vita e dall'amore. Ho trovato quello che cercavo cioè una grande anima
Quando uso un testo cerco di coglierne l'essenza nascosta, di percepire le linee di forza e soprattutto se è lungo togliere le parti che non servono. In genere preferisco testi brevi che la musica possa amplificare e contenere, le parole devono nuotare in un'aura di suono. E' affascinante per me il lavoro di raccolta degli spunti preliminare alla stesura di un testo questo già comincia a creare la musica che verrà, fa sì che le sensazioni ed i sentimenti siano messi a fuoco.
Luigi Verdi
E' difficile dire quanto la letteratura sia stata determinante per la mia formazione musicale: la musicalità nella lettura di un testo scritto mi ha sempre affascinato, così come le modifiche che possono essere introdotte nel senso di una frase a seconda di come si legge.
Con la pittura ho avuto un rapporto molto stretto, essendo stato studente all'Accademia di belle arti. Il disegno geometrico mi ha sempre interessato in particolare, per la sua stretta affinità con le geometrie disegnate dalle note sul pentagramma.
Non credo nella musica assoluta, la poesia e le altre arti entrano nella musica come elementi importanti anche se non determinanti. Una frase o uno svolgimento musicale, per quanto assoluto lo si voglia dichiarare, avrà in sé elementi concettuali che lo legano alle altre arti per affinità o analogia. Non credo però nella sintesi delle arti o nell'opera d'arte totale.
L'arte che più entra nella mia musica è l'architettura; una composizione, essendo un edificio musicale, deve avere una componente architettonica.
La parola è già di per se stessa musica, la pronuncia di una frase è già un fraseggio musicale, l'articolazione fonetica è anche articolazione ritmica e melodica. Nell'usare un testo, la musica scritta dal compositore si sovrappone alla musica delle parole. E' una sorta di musica sulla musica, una musica al quadrato, nella quale l'articolazione, il ritmo, la melodia originale che promanano dal testo devono essere assecondati. Quando uso un testo mi comporto quindi come una sorta di traduttore tra due diversi linguaggi musicali.
Giuliano Zosi
Nella maggior parte dei compositori odierni il testo è, notoriamente, un pretesto: cioè “altro” alla musica, capace di influenzare un nuovo pezzo da comporre. Sono dell'avviso invece, che le due arti possano davvero sposarsi felicemente dando un prodotto completo e unico, sulla base dell'insegnamento soprattutto del liederismo tedesco, ma anche dei poemes francesi, e un particolare riguardo alla produzione lirica di Mussorgskij. E' dunque ancora possibile, a mio avviso, oggi realizzare un prodotto di piena coalizione tra le due arti (poesia e musica), perché i valori semantici e strutturali delle due arti hanno la possibilità di compenetrarsi. Il rapporto con le altre arti è stato totale per me, tanto da considerarmi un compositore interdisciplinare. Sono noto infatti oltre che come compositore, anche e forse sopratutto, come poeta sonoro, avendo una considerevole produzione in tale campo, e avendo preso parte a festival in Germania (Monaco, Colonia,) dove quest'arte è molto amata. Ho preso parte a numerosi convegni sul rapporto colore-suono di cui ho due pubblicazioni, sul rapporto immagine-suono: ricordo le video proiezioni di Volterra, un film; e mi sono interessato, nel possibile, di mimica scrivendo alcuni poemi di rapporto suono.mimica. Negli ultimi tempi mi sono legato a filo doppio con l'Associazione Milanocosa, formata innanzitutto da poeti, ma ora anche da una folta schiera di compositori, tra i migliori della nostra città, avendo trovato, negli aderenti la stessa ansia di collaborazione e di ricerca.
La prima operazione da compiere è certamente quella di leggere attentamente il testo e di studiarlo nei minimi particolari; non si scrive la musica per quel testo o un altro, e va bene lo stesso. Quel testo avrà dunque delle proprietà che gli sono proprie e tali proprietà vanno fatte emergere nella musica. Mi fanno sorridere quei compositori che scrivono, per qualsiasi testo, la stessa musica.
Nel caso specifico io, sono attratto specialmente da testi lirici, perché la mia musica tende ad un lirismo vissuto e profondo. Così ho trovato pieno riscontro nei testi di Adam Vaccaro e Claudia Azzola, perché i loro testi, il dipanarsi delle immagini, tende a suggerire una esplorazione delle forme inconsce della personalità che mi trovano completamente a mio agio nel dipanarsi della materia musicale. Nello stesso tempo ho potuto dare sfoggio delle mie doti di poeta sonoro in un testo quasi futurista di Luigi Cannillo. Lì ho tirato fuori invece il mio spirito rivoluzionario, aggressivo, che c'è e sempre rimarrà nella mia musica. L'elemento semantico ha anche la sua importanza, in quanto permette la reinvenzione delle simbologie anche attraverso il suono. In altre parole la musica accoglie dalla poesia i contenuti, li fa propri. Accoglie le forme che costituiscono l'ambiente del testo e le fa proprie (Mallarmè, Debussy, accoglie il metro del testo e lo reinventa con più libertà, in alcuni casi rompendolo, e in altri seguendolo precisamente. La musica, sia chiaro non deve dire le stesse cose della poesia: il che sarebbe comunque impossibile. Deve amare la materia poetica per reinventarla ricreando un terzo prodotto.
Mi avvicino al testo con assoluta immediatezza: non ho neanche finito di leggere il testo che già ho cominciato a comporre. Successivamente alle prime sessanta battute, comincio a rileggere il testo con il massimo di penetrazione, portando tutte quelle modifiche che sono necessarie al lavoro già compiuto. Praticamente ogni nuova lettura del testo porta nuove battute di musica e una nuova interpretazione del testo stesso, come se il testo fosse un enigma da sciogliere. Questo tipo di lavoro e sfinente in quanto le modifiche alla partitura continuano finche non sia riuscito ad avere la perfetta connessione con il testo: è una questione di cristallizzazione di contenuti sonori (emozioni, sensazioni, relazioni). Se non si raggiunge questo risultato, si può certamente avere un ottima composizione, ma non qualcosa di funzionale al testo e quindi testo e musica, come si sente spesso, rimangono fortemente separati: la connessione non viene assunta. A volte viene prestissimo, a volte ci vuole molto tempo: può certamente dipendere anche dalla vicinanza del compositore al testo stesso.
Cfr. in questa sezione il saggio L'e(ste)tica