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Difficoltà di fare musica oggi, interviste (parte seconda)
Interviste a musicisti, di varia provenienza, che descrivono il loro variegato rapporto con il suono e con la società. Le interviste sono parziali, per vederle nella loro versione integrale leggi Renzo Cresti, Fare musica oggi, Del Bucchia, Viareggio 2011.



Giuseppe Bruno, Gianmarco Caselli, Francesco Cipriano, Giulio D'Agnello, Paolo De Felice




Giuseppe Bruno

Si è diplomato a pieni voti in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra con i maestri Specchi, Zangelmi e Taverna; si è perfezionato con Bordoni per il pianoforte e Hager per la direzione d’orchestra e ha frequentato un seminario di composizione all’IRCAM di Parigi. Ha suonato con importanti orchestre in Italia, USA, Grecia, Ucraina, Romania e Germania. Dal 1987 al 1992  ha preso parte al Festival dei Due Mondi di Spoleto, e nel 1988 al Festival di Charleston (USA). Premiato al Concorso Internazionale di Pianoforte Roma 1991, ed al Concorso  Viotti di Vercelli con il violinista Bologni, suo partner in duo e nel Quintetto Sandro Materassi, oltre che nel Trio Petrarca. Ha registrato per Nuova Fonit Cetra, Ars Publica, Diapason, Tactus, Ars Musici, SAM; ha inoltre effettuato registrazioni radiofoniche e televisive per la RAI, la Radio Suisse Romande, la Radio della Svizzera Italiana e il WDR di Koeln. Ha collaborato con artisti quali i direttori Pinzauti, Baltas, Argiris, Lamprecht, i violinisti Gawriloff e Rossi, il violoncellista Nikolov, i cantanti Gilmore, Benvenuti e von Halem, con l’attrice Vukotic e con l’Ottetto Filarmonico di Berlino. Attivo anche come direttore d’orchestra, ha realizzato numerose produzioni sinfoniche e operistiche. Autore di musiche di scena per numerosi spettacoli teatrali e dell’opera da camera Tu saresti il Dottor Faust?. La prestigiosa Universal Edition di Vienna ha da poco pubblicato la sua trascrizione di Purgatorio dalla X Sinfonia di Mahler. Insegna al conservatorio di La Spezia, di cui è attualmente direttore.
 
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Come vede la situazione della musica (classica, d’arte, jazz, rock e pop, border music e musica per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Qualche anno fa ti avrei risposto in maniera abbastanza sicura definendo che il problema maggiore era quello linguistico, cioè il fatto che risultasse problematico trovare una propria identità linguistica in quello che era una situazione  che aveva dei cardini abbastanza precisi, questo almeno fino agli anni ottanta. Oggi, essendosi rotta quella che era la “dittatura  Darmstadt”  ed il suo seguito, Stockausen è morto Ligeti pure e Boulez è piuttosto anziano, si è creato  un contesto in cui tutto è possibile. Basta comprare qualunque disco per rendersi conto di come va  la composizione. Nella produzione musicale contemporanea c’erano delle creazioni “dure e pure” mentre adesso trovi delle cose che vanno dalla musica “d’arredamento” a musica che ha delle connotazioni assolutamente astratte; ho pertanto l’impressione che il problema rimanga un po’ il fatto di dover trovare un’identità di cui si possa essere abbastanza convinti  o comunque di perseguirla con una certa decisione. Contemporaneamente rimane il problema quello più grande e cioè il fatto che la musica contemporanea, se già era poco eseguita, ora non lo è quasi più per niente. Cioè i gusti del pubblico non sono in evoluzione, ma quasi ripiegano su se stessi. Non so se è tanto il pubblico o le direzioni artistiche che sono sempre più incompetenti, temo la seconda in quanto il pubblico alla fine prende un po’ quello che gli viene dato; io in quello che ho programmato ho sempre cercato di evitare il ghetto della musica contemporanea  in favore di una programmazione più possibile mista. Ma  anche dal punto di vista della committenza questo diventa sempre più difficile ,come posso vedere anche nella mia attività di esecutore: stiamo tornando ad un tipo di programmazione anni ’50, forse è solo una fase, una programmazione di tipo americana per così dire, fatta cioè di cose che si conoscono per farsi amare dal pubblico.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come si situa nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Intanto non voglio dare risposte da compositore, perché non mi considero un  compositore ma un musicista a cui ogni tanto capita di scrivere; il mio rapporto  con la composizione, soprattutto in questa fase della vita, non è dominante. Anche perché non mi considero un compositore come “mestiere principale”, credo che le problematiche dell’espressione  siano problematiche di autenticità: si deve fare quello che si sente e che  si ha voglia di fare, ovviamente con un minimo di lavoro intellettuale dietro. Quali sono le mode di adesso? O una situazione un po’ post-minimalista in cui il pubblico può adagiarsi e farsi “massaggiare” per 10 minuti di garbate onde sonore o degli oggetti sonori in cui c’è un impiego dell’elettronica , apparentemente ardito. A me piacerebbe vedere un po’ più di ricerca musicale che in questo momento, secondo me, si è un po’ fermata; forse (proprio perché prossimo ai 50 anni) adesso sto iniziando a pensare un po’ da conservatore. Stiamo buttando  a le avanguardie  storiche ed il lavoro che, piaccia o meno, è stato fatto, almeno in Italia, pur con  errori, ma con grande impegno  intellettuale, e  lo stiamo perdendo a favore di una di intrattenimento.  Mentre invece fuori d’Italia per fortuna succede qualcosa di più interessante, sia sulla sponda americana che in Europa; un compositore che mi interessa molto da diversi anni, che veniva visto un po’ male dai  “duri e puri”, ma una persona estremamente seria e che scrive musica complessa è Wolfgang Rihm, a mio parere la figura più completa della nuova generazione.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento ha avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio etc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
I grandi maestri muoiono ma la loro musica esiste, c’è sempre la possibilità di leggerla e ascoltarla; mi spiace quando un musicista muore e a volte sparisce, come ad esempio Niccolò Castiglioni, mentre adesso c’è un buon ritorno di interesse su Maderna (alcuni forse sono un po’ spariti perché avevano scocciato troppo in vita). Per fortuna nella composizione rimane la traccia scritta. Adesso c’è un misto di linguaggi, e qui bisognerebbe guardare alle cose serie. Vedo che anche per gli esecutori è più facile fare carriera suonando un po’ di minimalisti che suonare Ligeti, in quanto è anche più difficile, però Ligeti, come Messiaen e Berio rimangono dei riferimenti fondamentali. Io trovo che comunque, in generale al di là della composizione e della comprensione dei linguaggi, il problema è ancora relativo al ‘900 storico, perché non è che Schoenberg in un programma se la cavi meglio di Berio, la percezione del pubblico è uguale, non è il fatto che sono passati 50 anni in più che agevola sotto questo aspetto, allora qui bisogna capire quali sono le responsabilità. C’è un certo tipo di ‘900 che continua a essere problematico.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
Io penso che si  possa insegnare molto sul piano della composizione. La tecnica di scrittura è una cosa complicata, bisognerebbe fare un discorso molto lungo quindi cerco di sintetizzare la risposta. Quello che succedeva fino a oggi e cioè con il vecchio ordinamento,  il  corso di composizione che insegnava dei modi di scrivere forse astratti ma comunque con una forte disciplina, aveva una sua valenza e almeno in Italia preparava bene sotto il profilo di quello che era l’armonia ed il contrappunto, poi un po’ peggio per quello che riguardava l’orchestrazione perché magari lì non c’era il tempo per poter lavorare bene. Sicuramente si può fare tanto specialmente in una fase iniziale cioè di conoscenza tecnica forte dal punto di vista dell’armonia, contrappunto e forme storiche, il resto è molto più personale, riguarda la volontà del singolo di approfondire determinate questioni linguistiche e in qualche modo di emularle e di appropriarsene per poi passare oltre (la composizione funziona così).
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Sono due cose che sono sempre andate insieme, l’autodidatta puro corre dei grossi rischi perché può sempre trovarsi dei buchi di cui non è cosciente. Nella musica, come nella maggior parte delle attività umane creative, alla fine conta soprattutto il talento, ma oggi , proprio perché c’è confusione di linguaggi,  un po’ di studio vecchio stile non fa male.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
La zona in cui vivo sul piano culturale è trascurabile, non è che da qui potessero venire grandi suggerimenti per la mia formazione, se non avessi studiato fuori. Io ho avuto la fortuna di poter lavorare fin da piccolo con Piero Zangelmi, il quale era  una persona già proiettata a livello nazionale e con una visione ampia e non provinciale anche se abitava in provincia. Ora è vero che l’Italia è un po’ tutta provinciale però gli studi fatti a Firenze e Milano mi sono serviti molto sotto questo aspetto. Moltissimo mi è servito per altri versi fare un’esperienza internazionale-italiana che è stata quella di essere stato diversi anni al Festival di Spoleto, in un ambiente completamente internazionale, soprattutto a fine anni ’80 ed inizio ’90, anche perché in quell’epoca c’era una forte componente di musica contemporanea e c’erano grandi interpreti. Ho potuto suonare con Siegfried Palm (il più grande violoncellista di musica contemporanea), e con Sashko Gawriloff, il violinista di Ligeti, ho eseguito il trio di quest’ultimo per pianoforte, violino e corno. C’erano  americani, tedeschi ed italiani,  è stata una grande palestra.  La musica ha sempre più una dimensione internazionale anche se si può venire un po’ delusi, perché oggi ho l’impressione che anche a livello internazionale ci sia un po’ tendenza a vedere quello che si deve fare pensando più ai vantaggi immediati che ad una proiezione idealistica. In più, siamo in una situazione di crisi economica, quindi si hanno dappertutto maggiori difficoltà nell’investimento culturale.
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Si possono superare, ci sono state tante forme di sorpasso, le contaminazioni sono in gioco ormai da tanti anni, è almeno dalla Rapsodia in Blue di Gershwin che si contamina. Il problema sta nell’onestà intellettuale con cui vengono portate avanti le operazioni, adesso mi sembra che la contaminazione sia diventata un sistema per vendere, non è un momento particolarmente di ricerca. Sarebbe importante, dal punto di vista culturale, riportare il discorso su oggetti sonori “puri” in modo da dare la possibilità a chi ascolta di rendersi conto di uno stile o di un pensiero autonomo: contamina oggi contamina domani, poi non si capisce che cosa stai contaminando, in realtà continui a girare un minestrone di cui hai smarrito gli ingredienti, facciamo vedere gli ingredienti!
- Faccia un breve sguardo auto-critico sulla sua attività recente, come la giudica? Progetti.
La mia attività recente è anche molto legata al conservatorio, è un lavoro molto grosso, ci sarebbe da cambiare molto… Quello da direttore è un cammino iniziato da poco, per cui non voglio giudicare: giudicheranno i miei colleghi, l’utenza, gli studenti. Per quanto riguarda la mia attività musicale, proprio per il periodo che sto vivendo, adesso sono in una situazione di leggero stand-by, cioè faccio diverse cose ma non posso seguire un percorso con l’energia con cui potevo seguirlo fino a due anni fa. Quest’anno comunque mi sono potuto levare qualche soddisfazione da pianista, nel senso che ho girato un po’ di paesi in cui non ero mai stato e ho avuto delle occasioni che mi sono piaciute. Devo dire che mi è piaciuto molto, al di là dell’America dove sono tornato per la settima volta, la mia prima volta in Bosnia, per la precisione nella Republika Srpska: ho trovato una situazione molto stimolante con gente, che come spesso succede quando ha meno soldi, è più vicina ai suoi ideali; ho trovato molta voglia di fare bene , di migliorare e di  mettersi in una dimensione europea, mentre forse noi in Europa, in quella ricca, ci dimentichiamo di quello che abbiamo avuto,  e conduciamo esistenze molto più frivole e consumistiche.
(Ilaria Biagini)
 
Gianmarco Caselli
Le attività principali di Caselli sono la collaborazione con il Centro studi Giacomo Puccini e la composizione musicale. Le sue musiche sono state premiate in concorsi internazionali ed eseguite in contesti prestigiosi in Italia e all’estero come alla Carnegie Hall di New York, al Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, a Berlino. Le sue composizioni spaziano dall’elettronica alla musica minimalista per pianoforte. Fa parte del Duo Symbiosis per fisarmonica (Massimo Signorini) e live electronics (Caselli), ed è consulente artistico del Centro Musica Contemporanea di Milano. Nel 2009 ha pubblicato il libro Suono, segno, gesto nella musica per pianoforte di Gaetano Giani Luporini (Accademia Lucchese Scienze, Lettere e Arti, ETS). Importanti riconoscimenti sono stati conseguiti anche con racconti e poesie. Fondatore e Presidente dell’Associazione V.A.G.A. (Visioni Atipiche Giovani Artisti), ha lanciato una nuova rassegna, Underground, con lo scopo di promuovere la Nuova Arte. È docente di italiano e storia alle scuole superiori e giornalista.  
 
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
Neo romanticismo e nuova semplicità sono certamente indicative di una tendenza della musica oggi: con gli anni ’80 c’è stato un ritorno alla comunicazione con il pubblico che si era allontanato dalle sale da concerto dopo un crescendo, negli anni precedenti, di sperimentazioni troppo spesso fini a se stesse; questo ritorno alla comunicazione si è accompagnato spesso a una nuova semplicità strutturale. Forse le più grandi difficoltà nel comporre oggi sono fare qualcosa che possa diventare importante a livello storico e scrivere qualcosa che venga poi eseguito e richiesto dalle sale da concerto. La richiesta di musica contemporanea infatti attualmente arriva più da contesti non prettamente musicali, come da cinema e pubblicità.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema ecc.)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Esauriti gli anni ’80, all’inizio degli anni ’90 si poteva avvertire un’energia diversa nell’aria, proprio a partire dall’ambito musicale, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie. Un grande contributo veniva proprio dai più giovani impegnati in contesti artisticamente non accademici interagendo anche con le altre discipline artistiche. Poi c’è stato un riflusso. La situazione attuale della musica è buona, secondo me, se estrapolata dalle sale da concerto accademiche. Molte di queste sono troppo ancorate a programmi legati all’800, con un pubblico che spesso non ha mai ascoltato musiche contemporanee o autori come Brian Eno. In ambito accademico, di conseguenza, molte musiche “nuove” risentono ancora della concettualità del ‘900 o del romanticismo. Parallelamente molti giovani snobbano le sale da concerto anche per questo e preferiscono comunicare con un altro tipo di pubblico interagendo con le altre arti, prima fra tutte quella visiva. Proprio negli ultimi anni, però, sembra essere nato un nuovo interesse da parte di musicisti provenienti da ambienti “ufficiali”.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Con le crisi, come quella attuale, il primo settore a essere colpito è quello culturale, quindi le difficoltà organizzative sono attualmente grandissime prima di tutto a livello economico.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Un brano bello, che riesce a esprimere e emozionare, ha dietro una ricerca sapiente. Ogni volta che scrivo qualcosa cerco di non scrivere un brano scontato. A volte utilizzo tecniche ormai storiche cercando però di ricavarne un prodotto nuovo. Per quel che riguarda l’elettronica, ad esempio, in brani come Eroina Fluida Parte Prima e Amnios ho utilizzato appunto una tecnica storica, la Sintesi Fm, ma l’ho fatto cercando di generare sonorità diverse da quelle che solitamente se ne ricavano. Quando scrivo musiche per pianoforte, non mi pongo il problema se scrivo una terza maggiore o se utilizzo la tonalità o meno. Per quel che mi riguarda, ogni brano suggerisce la regola che ne costituirà lo scheletro. L’altro elemento è appunto quello della comunicazione: regole rigide e sterili rischiano di rendere una composizione esclusivamente concettuale, comprensibile solo da una ristretta nicchia di eletti e incomprensibile per molti.  Non sono d’accordo poi con chi considera di scarso valore la musica minimalista, in quanto troppo “semplice”, o quella più comunicativa inserendola nel calderone della musica commerciale. Giacomo Puccini per un certo periodo è stato considerato commerciale perché la sua musica comunicava a tutti. Per me è fondamentale, almeno per ora, scrivere una musica che possa arrivare a tutti, magari pure provocando, anche a coloro che non sono mai stati in una sala da concerto.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Quali punti di riferimento possano avere gli altri, non lo so. Per me è stato importante Geatano Giani Luporini per quanto riguarda la musica per pianoforte: l’interesse è nato quando scrivevo il libro sulle sue musiche per questo strumento. Su altri generi sono certamente stato influenzato dai tantissimi generi diversi di musica che ascolto da una vita: per me sono stati fondamentali i dischi di De André che aveva mia madre, come David Bowie, Tom Waits, i Pink Floyd, e le prime audiocassette di Mozart che compravo in edicola con mio padre. Ma, per quanto mi ritenga appartenente, culturalmente, alla società occidentale, è notevole, nella mia musica, anche l’apporto mistico orientale, dello Zen e del demoniaco in generale. Personalmente quindi non riesco a inquadrarmi in categorie; posso, al limite, affermare che la mia è musica minimalista. Per quanto riguarda la mia musica elettronica sono stato, almeno in un primo momento, influenzato dalla musica psichedelica anni ’70, mentre per la musica per pianoforte e per la fase più recente della mia produzione elettronica sono stato influenzato dagli anni ’80. Alla fine sono nato nel ’75, proprio fra un decennio e l’altro, negli anni cui la società occidentale subiva un profondo cambiamento socio culturale nel quale la musica ha avuto un importantissimo ruolo.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
Le tecniche si possono sempre insegnare.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Attualmente credo sia possibile intraprendere un libero percorso auto-didattico relazionandosi con i vari generi di musica che si sono affermati negli ultimi quaranta anni. /.../
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Credo che la difficoltà emerga quando qualcuno contamina consapevolmente un pezzo con un altro genere, percependo veramente la differenza fra i due. Nel momento, quindi, in cui il compositore pensa: “Ecco, ora contamino questo brano classico, con un ritmo pop.” Qui, secondo me, siamo al livello di citazioni. Forse, proprio il fatto di essere stato costantemente a contatto con generi diversi, non mi fa avvertire una differenza gerarchica fra l’uno e l’altro, a parte ovvie sottolineature. Credo che la storia della musica sia tutta un lungo percorso, un processo i cui frutti si diramano nei vari generi e quando si scrive un brano si deve essere quantomeno consapevoli delle varie realtà esistenti intorno a noi. La contaminazione, quindi, credo debba avvenire in modo spontaneo, naturale, quasi senza neppure rendersene conto.
- Fai uno sguardo auto-critico sulla tua attività recente, come la giudichi?
La giudico positivamente, sono contentissimo. Il mio percorso è relativamente lungo e posso ringraziare l’Associazione Musicale Lucchese che mi ha permesso di eseguire le mie prime composizioni davanti a un pubblico scelto e di qualità misurandomi quindi con varie reazioni da parte di persone musicalmente preparate. Poi tutto è accaduto dopo un incidente e un viaggio a Berlino: in pochissimo tempo, dalla fine del 2008, ho avuto molte soddisfazioni non solo con i concorsi, ma anche con le esecuzioni. Non posso non ricordare, a questo proposito, l’esecuzione da parte del pianista Fabrizio Datteri di due mie composizioni in varie città all’estero, ma soprattutto alla Carnegie Hall di New York, una delle sale da concerto più importanti del mondo. I brani in questione erano Le mani nel lago, un pezzo dedicato a Datteri ispirato al lago “di Puccini” e Tracce distacco, una composizione ispirata a fotografie di Enrico Stefanelli.
- Progetti
Non posso dimenticare che, oltre alla composizione un’altra grande soddisfazione è stata fondare il Duo Symbiosis, per fisarmonica e live electronics, con Massimo Signorini che ritengo, oltre che un amico, un grandissimo fisarmonicista. L’interazione di questi due strumenti evoca sonorità veramente particolari, ed è sorprendente che non sia stata sfruttata così tanto. Sia io che Signorini, oltre a eseguire composizioni di altri autori, scriviamo musiche appositamente per questo duo. Comunque vada, poi, voglio rimanere anche nell’ambito di ricerca musicologica alla quale sono stato introdotto da Biagi Ravenni, ma la composizione attualmente è il mio primo obiettivo. Voglio proseguire nella composizione sia acustica che elettronica sperimentando nuove possibilità tecniche e espressive. Ho moltissimi progetti in mente, ma è difficile dire quali si concretizzeranno prima perché tutto è accaduto, e si sta sviluppando, in un tempo molto breve.
- Come si articola la tua musica elettronica?
Il materiale elettronico delle mie composizioni spesso parte dalla “scrittura” di forme d’onda che generano sonorità fino a quel momento probabilmente inesistenti. Altre volte invece parto da materiale concreto: registro cioè suoni del vivere quotidiano, dalla macchina che passa a un oggetto che cade. Questo materiale poi viene modificato in studio e anche dal vivo cambiandone i parametri in tempo reale. Non escludo poi, per brani più “classici”, il ricorso a sintetizzatori degli anni passati. Con il progetto Benzodiazepine avevo accostato video autoprodotti alle prime composizioni elettroniche. Adesso è nata una collaborazione con l’amico Marcantonio Lunardi che realizza elaborazioni video in tempo reale mentre suono le mie musiche elettroniche.
(Beatrice Venezi)
 
Francesco Cipriano
Contemporaneamente agli studi tecnico-commerciali e universitari si è diplomato con il massimo dei voti e la lode in pianoforte oltre a seguire gli studi di composizione fino al compimento inferiore. Si è poi diplomato con il massimo dei voti in clavicembalo presso il conservatorio di Firenze. Dopo varie affermazioni in concorsi pianistici nazionali ha iniziato la carriera concertistica in Italia e all’estero sia come solista che in formazioni cameristiche e orchestrali. Ha registrato per la Rai-TV ed emittenti televisive private. Tiene regolarmente stage di perfezionamento pianistico. Dal 1968 collabora col giornale «La Nazione» come critico musicale, in qualità di pubblicista. É docente di pianoforte all’istituto “Mascagni” di Livorno. Ha inciso in prima mondiale due cd contenente 29 sonate per pianoforte di Domenico Puccini. Ha fondato e dirige la nuova rivista di informazione mensile «Lucca Musica». É Presidente della nuova associazione CLUSTER Lucca - Compositori Europei.
 
          Quanto più ci convince l’affermazione che la musica contemporanea resiste nell’ascolto estemporaneo, diretto, da parte del pubblico che - seppur “impreparato”, ovvero predisposto al disorientamento piuttosto che alla sorpresa dell’inedito  - può comprendere con più slancio solo se coinvolto in una situazione performativa “vivente”, “rappresentata”, salva dall’asetticità degli studi di registrazione, tanto più le occasioni di esecuzione live languiscono. Sempre più rarefatte nei pelaghi di programmazioni che non riconoscono alle nuove composizioni nessuna priorità di interesse, per nessuno e in nessuna maniera. Il contesto, quindi, di una manifestazione dedicata alla lirica sotto stelle, non avrebbe potuto lasciar presupporre quello che invece abbiamo scoperto: la scelta, da parte degli organizzatori, di far eseguire in apertura di serata, prima di pagine pucciniane, un poema sinfonico scritto nel 2010. La composizione si chiama Il Serchio racconta ed è creazione originale di Francesco Cipriano. L’orchestra del festival esegue, il pubblico ascolta, attento; stupito e partecipe. L’impasto timbrico primo novecentesco di armonie consonanti produce il racconto della nascita e della discesa del fiume Serchio dal Monte Pisanino fino alla diga di Borgo a Mozzano. In questo tragitto, segnato da rapide improvvise e dai pacati appianamenti dei laghi, affiorano nella linea del canto i motivi tradizionali della terra di Garfagnana, dalle ninne nanne alle danze popolari, che si candidano ad essere dei riferimenti musicali efficaci per un ascolto che non perde mai la direzione del dettato sonoro; accuratamente orchestrato e reso nella sua pienezza di colori orchestrali votati all'espressività del movimento. Alla fine dell’esecuzione, soddisfatto, incontriamo Francesco Cipriano.
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo-romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
Bisogna che le sale da concerto siano di nuovo colme di persone alle quali sia data la possibilità di assistere  a spettacoli di musica contemporanea piacevoli e scorrevoli. Credo che l’orecchio umano sia ormai stufo di sperimentalismi armonici e ricerche timbriche collegate con filosofie della vita e della società. C’è sempre di più la voglia di ascoltare musiche con serenità che possano entrare dentro l’anima, creando emozioni genuine, senza sforzo cerebrale. Neo romanticismo? Nuova semplicità? Ai posteri la giusta dizione. A noi il compito di far sgorgare dalla nostra fantasia delle musiche gradevoli e allettanti. Musica istintiva è forse il suo appellativo dato che nasce dal nostro istinto collocato in una dimensione ricca di tutte le esperienze del passato, ma che fa leva sulla nostra sfera emozionale e arriva diretta all’ascoltatore.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Il campo musicale si è arricchito negli ultimi decenni della tecnologia elettronica che non ha solo facilitato il nascere di nuove esperienze compositive, ma ha messo in grado di realizzare nuove composizioni nella propria abitazione, senza bisogno di tipografie, sale di registrazione, ecc. Questo ha dato la possibilità, a decine di migliaia di appassionati di musica, di iniziare un percorso compositivo a 360 gradi. Ciascuno nel campo musicale a lui più congeniale. É ovvio che in questa enorme quantità di musicisti c’è la possibilità che molti riescano ad emergere nella propria disciplina per cui stiamo assistendo ad un potenziamento dei vari generi musicali di cui mi fai cenno. Musicisti che mirano (più o meno tutti) a fare cassetta per entrare con successo nel circo mediatico che per loro significa gloria (spesso effimera) e denaro.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Purtroppo la difficoltà principale è quella di far conoscere la nuova musica attraverso esecuzioni pubbliche il che, a volte, scoraggia anche i più tenaci. La politica ha un suo ruolo fondamentale per cui non è detto che emerga chi più merita, ma spesso, dietro qualche astro nascente, c’è di mezzo un partito. O meglio un politico che forse non ha neanche la facoltà di poter valutare la bontà del nuovo messaggio musicale, ma che “spinge” il nuovo compositore perché rappresenta un familiare, un amico o peggio, rappresenta decine di voti con tutti i suoi parenti e affini. A queste difficoltà si aggiungano poi quelle dei “baroni” della musica. Parlo in termini universitari dato che il concetto è lo stesso: se vuoi emergere nella musica leggera devi passare attraverso Tizio o Tizia; se vuoi inserirti nelle colonne sonore da film comanda Caio, e così via. Ultima difficoltà è quella economica dato che negli ultimi anni i contributi per la musica hanno avuto dei tagli mostruosi. Una cosa inaudita in una nazione che ha fatto della musica il proprio fiore all’occhiello! Come tu sai la musica ed il suo lessico sono nati in Italia e da qui, nel corso dei secoli, sono stati esportati in tutto il mondo. Fino a pochi decenni fa i nostri conservatori erano pieni di stranieri che venivano a perfezionare il loro bagaglio tecnico-espressivo. Ora stiamo assistendo ad una inversione di tendenza dato che i nostri giovani diplomati sono costretti ad andare all’estero sia per migliorarsi sia per avere un minimo di possibilità di affermazione, con grave danno per la nostra cultura. Questa è la triste conseguenza per non aver investito, come hanno fatto  altre nazioni, nella musica, anche se i nostri politici sono sempre pronti a riempirsi la bocca con nomi di artisti italiani che fanno onore alla Nazione. Si sta cercando di correre ai ripari con la riforma dei conservatori che in realtà, nel giro di pochi decenni, abbasserà notevolmente il tasso di qualità dei nostri giovani musicisti: è assurdo progettare una nuova costruzione partendo dal tetto!
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Non riesco a sopportare le musiche scritte “a tavolino” e purtroppo in giro ce ne sono moltissime. La composizione deve rappresentare il frutto delle proprie esperienze musicali e mirare costantemente a realizzare messaggi convincenti ed emozionanti. Sia per liberare il proprio interno sia per entrare a contatto con la sensibilità dell’ascoltatore. Rifuggo da concetti eruditi e pedanti della frase musicale dove anche l’espressività è costruita con cavillosa saggezza.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Mi parli dei grandi maestri del passato compositivo italiano! Artisti che hanno avuto costanza e capacità nel portare avanti le loro idee. Le loro musiche vanno ascoltate per essere assimilate e subito filtrate. É in questa maniera, in una preziosa e acuta sintesi, che può nascere un altro grande artista se ha la capacità di far emergere il suo pensiero musicale.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
Un valido docente di composizione deve essere in grado di dare le linee generali dello studio, la maestria compositiva, la capacità di analizzare gli spartiti. In poche parole: il mestiere. Non può, e non deve, mettere bocca sulla fantasia compositiva dell’allievo perché si rischia di tagliargli le ali della spontaneità e del suo genio compositivo. Troppi docenti, al momento in cui l’allievo timidamente e con celato entusiasmo porta agli inizi del percorso didattico una propria composizione, “snobbano” l’evento anziché incoraggiare. Invece di lasciarlo libero di spaziare nella sua dimensione emotiva, per poi fornirgli gradatamente gli strumenti necessari per concretizzare al meglio le sue idee, il docente subdolamente lo avvilisce. Ho usato questo ultimo termine perchè il docente non arriva mai a dire all’allievo che sta scrivendo sciocchezze, ma in realtà lo porta mentalmente a pensarlo e a convincerlo, annientando ogni sua velleità compositiva. Ti dico questo non solo per mia esperienza personale, ma anche per esperienza di altri miei alunni di pianoforte che, una volta compresa la loro genialità compositiva, li ho purtroppo dirottati verso questa disciplina, affidandoli a docenti di composizione e con grave danno per il loro futuro artistico.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
In pratica  ho già risposto alla precedente domanda anche se penso che la famosa via di mezzo sia la cosa migliore: insegnamenti validi e qualificati per imparare a gestire la materia compositiva per poi lasciare libero il giovane artista di amministrarsi al meglio.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
Ho la fortuna di essere nato e di aver respirato la musica nella mia città: Lucca. Sono convinto che Geminiani, Boccherini, Catalani, la famiglia Puccini, ecc. non siano nati per caso in queste terre. Ogni angolo della città e della sua storia parla di musica. Già la stessa conformazione pseudo-circolare delle mura urbane mi ricorda la testa di una nota musicale mentre al suo interno vedo vivere intensamente la vita familiare, sociale, religiosa, commerciale, politica. Tutto sembra rapportato ad un grande accordo di mi bemolle maggiore (tonalità a me cara) che ti penetra dentro. Pertanto la cultura musicale della mia città ha avuto una enorme influenza nella mia formazione a partire da quando avevo tre anni e mezzo e mi esibivo al cinema-teatro Moderno in spettacoli presentati da Nuzio Filogamo, per proseguire al teatro del Giglio, dove ho partecipato a opere liriche cantando nel coro delle voci bianche, fino all’istituto “Boccherini” dove ho iniziato i miei percorsi pianistici e compositivi. Da lì, una volta diplomato, è iniziata la mia carriera artistica che mi ha portato ad avere continui contatti, specie nella mia città, con personaggi del gotha mondiale. Senza dubbio, dovendoli frequentare per ragioni giornalistiche, sono stato influenzato dalla loro maniera di esprimere (sia la musica  che la dialettica) che ho cercato sempre di filtrare al meglio, cercando di potenziare e far emergere la mia personalità. Per quanto riguarda le esperienze internazionali sono sempre più convinto che bisogna aprire le porte della città di Lucca all’esterno. Specialmente con le altre nazioni considerando che facciamo parte della comunità europea. Da lì la mia presidenza della nuova associazione CLUSTER Compositori Europei, nata con il fermo proposito di creare contatti con l’estero attraverso scambi di produzione e master class e alla quale auspico di dare il mio concreto contributo.
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Qualsiasi genere musicale può dare il pretesto e lo stimolo per incanalare la mente del compositore verso nuovi linguaggi e nuove forme di espressione. La musica, quando è di qualità, è tutta valida e va ascoltata con partecipazione. Il  compositore, con la sua intelligenza, saprà discernere con attenzione  e valutare.
- Fai uno sguardo auto-critico sulla tua attività recente, come la giudichi?
Ho iniziato a dedicarmi in età matura alla composizione, dopo anni di attività pianistica sia come docente che come esecutore. É stato un bisogno naturale e spontaneo per cui sono orgoglioso di quello che ho scritto sino ad ora. Spero di avere la possibilità di continuare su questa strada.
- Progetti?
L’ambizione che è in noi compositori porta a fantasticare su progetti che difficilmente si potranno tutti realizzare e che ognuno di noi tiene celato al proprio interno. É una specie di benzina che alimenta il nostro motore quotidiano e che dà un senso alla nostra esistenza musicale. Mi piace fantasticare e fin quando la mia mente me lo permetterà guarderò con fiducia al futuro.
(Debora Pioli)
 
Giulio D’Agnello
Diplomato con il massimo dei voti all’istituto superiore delle arti ha approfondito nella sua formazione artistica il rapporto teatro canzone, musica e spettacolo, partecipando a seminari e masterclasses tenuti da Diaz, Mussida, de Piscopo, De Simone, Fo. Trova nella musica popolare latino americana il suo principale campo di interesse. Ha inoltre la fortuna di studiare con i maestri Galea e Rodriguez, sviluppando per un decennio la conoscenza e la pratica polistrumentista. Insieme a Macrillò, fonda nel 1986 il gruppo Mediterraneo con il quale si esibisce in molti teatri nazionali e internazionali. In campo cinematografico presta i suoni al compositore De Robertis per il quale interpreta le colonne sonore di S.P.Q.R. e Selvaggi di Vanzina. Nel 1998 ricerca ed interpreta con Giannini le musiche tradizionali inserite in A woman of the north. In campo teatrale, oltre a partecipare ai primi lavori del Teatro del Carretto di Lucca, continua a collaborare agli spettacoli di Albertazzi, Salvianti e molti altri. Fonda, a partire dal 1997, con il cantante De Pietro il progetto Napulè, proponendo in applauditissimi recital la canzone napoletana rivisitata in spirito moderno - e con Del Favero e Marusic il “Trio Italiano”. In campo discografico dopo i primi Mediterraneo e Con Sentimento (1986) e Canto Lunare (live 1990), approda prima alla Ribium con Dune (1994) e poi a Canti Randagi (Bmg 1995), la compilation dedicata a Fabrizio De André ed interpretata dai migliori gruppi etno italiani ed ospiti stranieri. Nel 2000 esce il disco dal quale è stato tratto lo spettacolo teatrale a firma di Battaglia, Ho incontrato la vita in un filo d'erba, tratto dall’omonimo. Dal 2005, con Tributo a Giorgio Gaber, D’Agnello e il suo gruppo, si candidano ad essere i musicisti che meglio possono raccogliere l’eredità del grande interprete milanese e del suo autore, Sandro Luporini. A tal punto che Luporini tornerà a scrivere specificatamente per D’Agnello approdando, nel 2010, nella produzione di Forse un uomo (Sony).
 
Una salita impervia nel borgo in pietra di Pieve di Compito. Come la pietra anche la parola poetica, e il suono, espressione di un esatto stato d’animo, oltre che cifra numerica, si formano alla stessa maniera: tempo e pressione. Una geologia altrettanto esatta. Tempo - la durata, la fisiologia ritmica del suono - e pressione - la morfologia che assume a seconda del 'peso' che l’anima poggia.  Una salita impervia: la stessa che Giulio D’Agnello ha sempre percorso con senso di umiltà e passione, attraverso i grandi maestri della musica popolare e del teatro canzone; una strada che quasi senza accorgersene l’ha condotto ad esserne loro compagno. Al profilo di polistrumentista etnico si è affiancato quello di compositore e infine di interprete. Una completezza che gli permette, oggi, di operare in coerenza con le sue fonti creative, lavorando sulla parola e sui suoni proprio come se fossero pietre con le quali costruire nuovi percorsi da aprire in antichi borghi: quelli della tradizione mediterranea in senso ampio; di impegno e riflessione civile. In cima alla salita di Pieve di Compito entro in casa del compositore, in partenza per una serie di concerti. Gli pongo la prima domanda sulle problematiche dello scrivere, del fare, dell’organizzare. É difficile organizzarsi musicista e compositore oggi?
Molto, perché il compositore, oggi, si trova ad essere stritolato tra i gigantismi delle industrie discografiche e una capacità di ricezione del proprio operato da parte del pubblico davvero minima. Esiste una seria difficoltà di trasmissione dell’immagine compositiva laddove questa non sia conforme ai parametri del commercio musicale e alle aspettative - mal educate e spesso anche mal interpretate - di un pubblico sempre più distante. Vengono a mancare le condizioni per istituire un dialogo costruttivo tra chi ascolta e l’offerta musicale. I pregiudizi nei riguardi della musica contemporanea - che non sia pop di largo consumo - frenano le opportunità di reciproca conoscenza. Ovvero: se si ascoltasse più musica - tutta la musica, diversa e diversamente generata - si apprezzerebbe meglio. Per me, che ho maturato spontaneamente una formazione musicale inclinata verso la musica popolare, a partire dalle tradizioni latino americane, trovarmi a compiere i primi passi negli anni ‘70, quando il consumo della musica di gruppo era l’habitat naturale, ideale, sia per il pubblico, ma soprattutto per l’interprete e l’autore, è stato un onore, una grandissima fortuna, e al contempo una condanna. Perché successivamente, e in maniera molto rapida, le caratteristiche di quell’epoca, che definisco aurea, per portata sperimentale, cura sia verso l’esibizione che il 'prodotto' finale, partecipazione all’ascolto, è andata sgretolandosi. Parallelamente all’estensione del mio campo di interessi e di ricerca (arrivai a praticare circa trenta strumenti a corda) al fine di aumentare il ‘parco suoni’ e riuscire così a mettere in relazione tra loro la cultura popolare locale e internazionale che stavo studiando, assistetti all’impoverimento dei tessuti sonori proposti e lo spegnimento dell’attenzione rivolta alla cultura musicale: un tracollo del costume e dei valori. Gli anni ‘80, nonostante la resistenza attiva di certa musica d’autore, in primis la scuola genovese con De André, e gruppi come i Musica Nova di Eugenio Bennato, sancirono la morte della musica dal vivo: nutrimento essenziale per la musica popolare. La musica non era ‘suonata’, bensì ‘manipolata’, ad opera di figura come il disk jokey. Dico questo perché nella mia concezione di musica-spettacolo la musica non può prescindere da chi la trasmette al pubblico con l’implicazione diretta e immediata della propria fisicità, materiale e immateriale. Ecco che, nella peggiore situazione possibile, ho deciso di realizzare la mia azione personale. Nel 1986 nasce il progetto Mediterraneo, allora quattro ragazzi lucchesi - oggi alcuni diversi e soprattutto con più capelli grigi  (sorride, n.d.a.) - che si prefissero il recupero e la valorizzazione della musica latina. La mia produzione creativa compositiva comincia così a convergere principalmente verso i Mediterraneo e trova riscontri e spazi importanti nei festival italiani e internazionali, gratificando autori e pubblico.
- Musiche oggi - Purezza stilistica o contaminazione?
La musica che disegno nasce di per sé come contaminazione. Attinge dal folklore, dai temi, canti, dalle nuànce popolari, che sono gli archetipi sonori delle diverse etnìe (sud americane, mediterranee, celtiche) con le quali mi sono trovato in contatto. E la contaminazione è la somma, l’insieme armonico dell’espressione di tutte le voci eterogenee catturate dai differenti strumenti originali che garantiscono il colore e il ricordo della terra dalla quale sono stati sprigionati. La contaminazione avviene tra culture musicali diverse, e quindi diverse antropologie, ma anche tra le varie discipline artistiche. Ripeto, io sono cresciuto con la musica che è anche teatro, canzone, e la musica che impiega tra i suoi strumenti ovviamente la voce, ma attraverso la voce la parola poìetica che introduce l'aspetto letterario oltre che teatrale.
- Che rapporto intercorre tra studio e libertà?
Non sono né un musicista né un compositore di accademia. Avendo svolto percorsi di formazione e di esperienza artistico-professionale alternativi, mi sono salvato dall’ingombrante cordone ombelicale dell’accademia;  il quale, se da un lato fornisce le certezze della tecnica e la padronanza preconfezionata del linguaggio, dall’altro ti impone - involontariamente - una sorta di riverenza alle stesse categorie compositive scolastiche dalle quali è auspicabile la personale emancipazione dell’autore per poter partecipare dinamicamente alla creazione della nuova storia musicale; di qualunque genere si tratti.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca - Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Sono come l’artigiano. Ricerco i materiali primi, originari - e questi sono le identità musicali delle culture che esploro - per lavorarli, plasmarli, costruire attraverso la loro sintassi i miei racconti musicali; volti a far parlare quelle stesse origini in letture espressive della nostra quotidianità umana, intellettuale, artistica.
- Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo?
Sicuramente i miei maestri, il grande uruguayano Baladàn e il cileno Rodriguez e come riferimenti espressivi Bennato della Nuova Compagnia; Roberto De Simone  per il teatro; la genialità e l’onestà intellettuale inarrivabili di Faber De André (per il quale la nostra flautista ha avuto il grande privilegio di suonare nel disco e nel tour di Anime Salve; l’ultimo prima della scomparsa) e naturalmente Giorgio Gaber.
- «Quando Giorgio è mancato, per due anni non ho preso in mano la penna. Ero proprio convinto che non avrei scritto più. Poi però ho ricominciato con un lavoro di Teatro Canzone con Patrizia Pasqui e l’attore Mario Spallino, Il dottor Céline, e ho convinto il cantante Giulio D’Agnello a passare dai tributi a Gaber a cose inedite scritte con me»  (Gian Luigi Ago). Cosa significa?
Significa che un giorno l’uomo dei sogni è venuto da me e si è seduto accanto dicendo: scriviamo. A parte l’emozione, e l’onore... grandissimi... accade questo, che Sandro Luporini - anima delle canzoni di Giorgio Gaber - ha deciso di tornare a scrivere per noi. É stato il coronamento di un carriera, oltre, appunto di un sogno. Luporini ha avuto ancora voglia di esplorare le miserie, la quotidianità e tutte le fragilità dell’uomo attraverso la scrittura. Quando nel 2005 è morto Gaber ho sentito di dover rendere omaggio al mio grande maestro e cominciai ad impiegare il canto, io, in prima persona. Il significativo riscontro di Tributo a Gaber mi ha permesso di incontrarmi con Sandro; di vederlo stupirsi del mio timbro di voce, vicino a quello di Gaber. E di scoprirlo, infine, interessato a collaborare.
- Questo ultimo nome ci dà uno slancio particolare nel chiederti la panoramica sui tuoi progetti in corso..
Bè, sicuramente oltre ai recital e ai concerti sia con i Mediterraneo che con il Trio Italiano, il mio pensiero corre verso Forse un uomo, edito da Sony, che il prossimo autunno farà il suo debutto ufficiale. Dopo Gaber, il primo disco di Luporini. E vi lascio intuire la mia gioia. Forse un uomo, D’Agnello-Luporini. Ti saluto facendoti ascoltare l’ultima traccia del disco ancora inedito, La pazzia.
Parole e musica che si posano sulla tela dell’ascolto. Pittura sonora. Larghe campiture di colori espressivi riconducibili al percorso diversificato e parallelo di queste due eccellenze di terra di Toscana; D’Agnello di adozione e Luporini di rientro dopo lunghe migrazioni. Ogni canzone un ritratto, un quadro ben definito, riconoscibile, maturo, dove la tessitura musicale compendia in sé la storia della tradizione del teatro canzone e l’apertura verso gli orizzonti variegati della musica popolare etnica. Ci salutiamo con Giulio D’Agnello. Felici di questo dono inedito e convinti  che le strade costruite nella pietra portano davvero, quando l’impegno e la passione resistono, là dove si vuole.
(Debora Pioli)
 
Paolo De Felice
Pianista, compositore e direttore di ensemble. Dopo numerosi corsi di perfezionamento sulla musica contemporanea, il suo repertorio pianistico si è incentrato prevalentemente sulla letteratura del novecento e odierna, riportando costantemente consensi di pubblico e di critica. Il suo nome appare sull’Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei (Pagano, Napoli), Firenze e la musica italiana del secondo Novecento (LoGisma, Firenze, entrambi i lavori curati da Cresti) e su periodici musicali (Tetraktys, Continuum). Ha registrato oltre che per varie emittenti locali, per Rai Radio3 ed è stato ripreso da Rai 1 in occasione del concerto per 21 pianoforti avvenuto a Siracusa nel 1996 con musiche di Daniele Lombardi. Nel corso degli anni ha fondato ensemble strumentali dediti alla diffusione del repertorio contemporaneo come l’Ensemble Bonamici, con cui ha inciso un cd dedicato al musicista pisano Giuseppe Bonamici e l’EST Ensemble Solisti Toscani, di cui è direttore. Concerti tenuti in Austria, Ungheria e Italia presso importanti istituzioni tra cui: Conservatorio Liszt di Debrecen, sala del conservatorio, Stadtsaal di Innsbruck, G.A.M.O., Lyceum, Lunedì del conservatorio “Cherubini”, Teatro Verdi di Pisa, scuola superiore Sant’Anna e Arsenale musica (Pisa), Carlo Felice di Genova, Associazione nazionale Aldo Capitini (concerti tenuti presso la sala Baldini di Roma).
 
- Lei ha svolto e continua a svolgere numerose attività all’interno dell’ambito musicale: pianista, compositore, direttore di ensemble, ma anche attività di ricerca e divulgazione, di revisione e didattica. Come concilia tutti questi ambiti? Soprattutto, quali sono le difficoltà legate al rapporto tra comunicazione e ricerca?
È passato più di un quarto di secolo dal mio primo concerto, allora ero ancora adolescente. Ricordo ancora l’emozione del debutto, anche se avevo già suonato davanti a un pubblico in saggi di conservatorio o in concorsi pianistici. A distanza di tutti questi anni è cambiato sicuramente il mio modo di suonare, è cambiato anche il mio modo di studiare, ma quello che è rimasto intatto e che mi permette di svolgere ogni attività con entusiasmo rinnovato, è proprio lo stato emotivo adolescenziale della prima volta. A quindici anni non si ha ancora la maturità per rendersi conto di quello che stiamo affrontando, ma l'istinto e la natura ci forniscono una sorta di scudo protettivo che, con il passare del tempo, stranamente, si assottiglia a scapito della razionalità. Suonare diventa un bisogno: il bisogno di confrontarsi con il pubblico, con se stessi, con la musica che si suona. Ma questo aspetto non riguarda soltanto l'esecuzione, che è una parte - come specificherò più avanti - del fare musica. Alcuni anni fa, tra il ‘97 e il ‘98, per la prima volta nella mia vita di musicista, effettuai una ricerca sulle musiche di Giuseppe Bonamici, compositore pisano allora poco noto, anche se aveva avuto esecuzioni in Europa già a partire dagli ultimi anni della sua vita. Il lavoro di ricerca, condotto insieme a Carlo Deri, si protrasse per diverso tempo e fruttò la scoperta di composizioni inedite del Bonamici che furono rese alla luce. Sulle ali dell'entusiasmo fondai allora un ensemble strumentale che portava il nome del musicista, l’Ensemble Bonamici, con cui eseguii brani non conosciuti dell’autore, alcuni dei quali ancora allo stato di bozza (ma non incompleti). In quel frangente, nacque anche l’idea di dedicargli un cd dal titolo Giuseppe Bonamici, musicista pisano che vide la luce nel ventesimo anniversario dalla scomparsa. Fu Renzo Cresti a presentare questa pubblicazione. Qualche tempo dopo uscì anche un’antologia pianistica da me curata (credo che alcune copie siano ancora in circolazione, ma necessiterebbero di una seconda revisione). Inutile dire che l’emozione che provai al mio primo concerto fu la stessa che, anni dopo, mi accompagnò durante tutto il tempo di quella ricerca e le prime esecuzioni che ne seguirono. Da allora, ogni volta che programmo un nuovo concerto, cerco di pensare anche al minimo dettaglio (storico, stilistico, interpretativo...). È così ad esempio che è nato, nell’anno di Chopin, quello che amo definire un concerto narrativo sulla vita del compositore polacco: Chopin, frammenti di vita. Leggendo l’epistolario del musicista, ho potuto rendermi conto che la figura stereotipata e romanzata dalla letteratura, non coincideva pienamente con il carattere delle sue lettere. Di conseguenza ho pensato che per far conoscere aspetti del tutto “inediti” del musicista, era necessario far sentire anche le sue parole, unite a immagini appartenenti a frammenti della sua vita. Dopo un rodaggio alla scuola Bonamici, utile a perfezionare tempi e incastri tra lettura, video-proiezione e musica suonata, insieme al soprano Mirella Di Vita e all'attore Paolo Giommarelli abbiamo eseguito il concerto narrativo a Prato: è stato un vero successo. Il pubblico ha compreso, evidentemente, l’intento narrativo che accompagnava ogni brano eseguito, apprezzando il contesto storico e sociale in cui quei brani furono concepiti meglio che con il più dettagliato dei programmi di sala, spesso solo parzialmente letti e con scarsa attenzione.
- Mi parli della sua attività di compositore. Quali sono stati i suoi modelli di riferimento ed ispirazione? Pensa di aver risentito delle influenze della zona geografica in cui vive o di altre zone geografico-culturali nazionali o internazionali?
Penso che, come tutti i musicisti del passato o viventi, un compositore abbia, all’inizio della sua attività, dei riferimenti, dei modelli a cui ispirarsi. La storia della musica ci insegna che, tendenzialmente, un compositore attinge, nella fase iniziale del suo percorso artistico, a modelli a lui vicini nel tempo, per sviluppare successivamente una propria personalità musicale. Tuttavia, più ci avviciniamo ai nostri giorni, più questi riferimenti si allontanano nel tempo. Prendiamo il caso di Schönberg. Si tratta di un compositore che ha avuto due fasi ben distinte: una prima fase, denominata periodo della atonalità, termine orribile che voler privare la tonalità delle sue caratteristiche gerarchiche; una seconda fase detta dodecafonica. Alla prima appartengono lavori come Verlächte Nacht, brano di indubbia influenza tardo romantica. La seconda, invece, si apre con un brano in cui per la prima volta il compositore sperimenta la dodecafonia applicata ad una forma estesa: la Suite op. 25 per pianoforte. Già il titolo tradisce riferimenti alla musica antica, a Bach in particolare. Tutto il brano è una rivisitazione di un’antica forma, modernizzata nel linguaggio contrappuntistico. Non mancano esempi più recenti: Berio spesso ha attinto alla tradizione popolare, cimentandosi anche in lavori in stile. Personalmente, posso dire di non avere un riferimento preciso, ma questo non significa che non ne abbia. Direi piuttosto che i riferimenti possono cambiare di volta in volta, ora avvicendandosi, ora condensandosi. In un’epoca in cui predomina la globalizzazione, termine anche questo orribile, è difficile trovare nella musica classica contemporanea una geografia di appartenenza. È questo un aspetto che riguarda forse più da vicino la musica folk, di tradizione popolare, che ha radici più profonde, legate al territorio. Se può esserci un’influenza geografica nella mia musica, è probabile che questa sia più facilmente individuata da chi studia la musica sotto il profilo socio-culturale.
- Come vede la situazione della musica oggi? Quali sono le coordinate culturali predominanti? Vi si riconosce?
Parlare della situazione musicale attuale è un argomento che richiederebbe molto tempo, e poi, di quale musica dovremmo parlare? Se è vero che la musica è un'espressione trasmessa dai suoni, perché allora esistono tanti generi musicali? E perché ci sforziamo di fare mille distinzioni, cogliendo le sfumature più infinitesimali per discernere il post-webernismo dalla serialità integrale, lo spettralismo dal puntillismo, l'”allevismo” dall’”einaudismo” e via dicendo. Forse perché la musica è, prima di tutto, una forma di pensiero e, come tale, ha innumerevoli sfaccettature che la rendono unica in ogni suo genere, come un’impronta digitale. Forse, proprio per questo motivo, non mi riconosco in nessuna corrente musicale, sforzandomi anzi di essere originale (ovvero autentico e non stravagante). Credo che proprio la ricerca di un’identità personale sia importante per riempire la musica di significato, altrimenti si rischierebbe il puro accademismo. /.../
(Beatrice Venezi)



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