home
Difficoltà di fare musica oggi, interviste (parte quarta)
Interviste a musicisti, di varia provenienza, che descrivono il loro variegato rapporto con il suono e con la società. Le interviste sono parziali, per vederle nella loro versione integrale leggi Renzo Cresti, Fare musica oggi, Del Bucchia, Viareggio 2011.




Massimiliano Giusti, Arduino Gottardo, Cristina Landuzzi, Giorgio Lazzarini, Gianpaolo Lazzeri, Mauro Lupone



Massimiliano Giusti

Si diploma in pianoforte, maturità scientifica, laurea II livello in musica e nuove tecnologie, inoltre frequenta il master in registrazione e missaggio multicanale presso scuola APM di Saluzzo. Ottiene l’abilitazione all’insegnamento per la scuola media e superiore. Docente di tecnologie sonore presso liceo musicale “Passaglia” di Lucca. Come pianista ha effettuato concerti ed alcune registrazioni per la Rai di Roma. Ha collaborato con gli attori Pagni e Albertazzi. Come compositore classico ha realizzato opere per coro e orchestra, orchestra e formazioni da camera, alcune delle quali eseguite da importanti complessi, come il Maggio Musicale Fiorentino, o dai musicisti quali Bologni e Palese. Dal 1991 ha uno studio di registrazione audiovisiva fisso e mobile.
 
L’arte è la via per raccontare il mondo visto con occhi e angolazioni diverse; per questo l’arte deve essere fondata sulla ricerca: ricerca di strade nuove, di percorsi nuovi, di orizzonti nuovi. Non sono molto incline alle definizioni, alle catalogazioni; per me va bene tutto, purché oltre le definizioni, ci sia qualcosa sempre di nuovo. Quando sento, e vedo, il già sentito ed il già visto, comunemente camuffato in salse diverse, allora non sono più d’accordo. Ma neppure condivido la stranezza a tutti i costi pur di produrre qualcosa di diverso, realizzando lavori anche di pessimo gusto. Molto di ciò che oggi viene prodotto, sopratutto nell’ambito che ha un diretto rapporto con il commercio, come musica leggera e film, non ha innovazione. Quindi non è arte. I media manovrati dal potere spingono a considerare questa arte, e le masse, alimentate da una voluta ed imposta ignoranza, seguono tali costruiti idoli. Ma viene confusa in questo modo l’arte vera con l’altra arte, la sgamata capacità, di riprodurre, di copiare l’arte altrui. Purtroppo molti sono i prodotti che seppur tecnicamente bene realizzati, non offrono niente di nuovo al contributo artistico, ma puntano alla gradevolezza ed alla sicurezza del già sentito, in modo che ne scaturisca assenso. Questo avviene soprattutto nella musica leggera, ma anche il cinema, salvo le doverose eccezioni, cerca purtroppo in ogni modo di fare cassa; e per questo la produzione tende ad avere il consenso, non tanto della critica, quanto del pubblico, che deve andare nelle sale e pagare il biglietto. Così molti film sono sviolinate patetiche piene di banalità. Ma anche dove il film in sé sia interessante, profondo, ben fatto, ben interpretato, la parte musicale raramente sconfina dal solito fritto misto: melodie classicheggianti, archi nei momenti della commozione o dell’amore, ottoni nei momenti di tensione, sax e piano per il sexy. Per non parlare dei film per ragazzi, come i cartoni animati, dove ormai il confine tra canzonetta, musical, colonna sonora pare perduto per sempre. Il cinema dovrebbe cercare compositori che lavorassero sul materiale sonoro, sullo spazio creato dal suono, sulla possibilità attraverso il suono di creare ambientazioni virtuali, emotive e spaziali. Come ho già scritto l’artista è colui che indica nuovi orizzonti, che plasma la materia dell’universo in modo nuovo, facendo comparire di volta in volta sconosciuti polimorfismi; nel fare questo si serve di strumenti già esistenti, nella maggior parte dei casi già usati da altri. Poi talvolta li perfeziona, ed in base alle sue esigenze ne inventa di nuovi. Tutto avviene quindi in un costante equilibrio, eternamente pericolante tra la stabilità e l’instabilità; la sperimentazione e la ricerca si pongono sempre un passo avanti rispetto poi alla reale espressione artistica. Io cerco di raccontare qualcosa che non sto esattamente vedendo, ma che ho visto un po’ prima, in modo che il mio sguardo sia orientato più in avanti di ciò che poi propongo. C’è la costante esigenza di spingersi il più oltre possibile, senza altresì perdere il contatto con il presente: quando si resta troppo ancorati al presente si scrivono plagianti banalità, quando si perde il contatto col presente il rischio è di avventurarsi in un percorso che non soltanto non sia capito al momento, ma neppure in futuro, in una sorta di vicolo cieco senza sfogo.
Non vorrei però che questo pensiero fosse interpretato come convinzione che tutto debba essere decorrelato dal passato e dal presente, proprio per non cadere nel vortice del plagio. Non è così. Ognuno di noi è espressione di ciò che vive, e questo meccanismo è inevitabile. Per me, sulla piazza, sono stati molto importanti compositori come Boccherini, o il primo Catalani, ed anche Giani Luporini, più di Puccini, ad esempio. Probabilmente perché in essi ho personalmente scorto quella ricerca, quella direzione che più si confà alla mia natura. Oggi è pur vero che i confini e le distanze sono venuti meno. Per cui è facilissimo confrontarsi con il resto del mondo. Arma assolutamente a doppio taglio, che da una parte offre la possibilità del confronto, dall’altro tende ad uniformare tutto, come si usa dire oggi, a globalizzare. Nel panorama internazionale due compositori per me sono stati di grande esempio nella gestione dell’equilibrio tradizione/novità: Iannis Xenakis e Kurt Weill. Il primo capace, dopo la grande ribellione della musica prima concreta e poi elettronica, di recuperare molti linguaggi della tradizione senza rinunciare alla ricerca del nuovo. Il secondo per le sonorità assolutamente nuove che ha saputo trarre dalla strumentazione tradizionale. Ma il mio fondamentale caposaldo é J. S. Bach, per la sua capacità di coniugare forma e innovazione; il dibattito sull’importanza maggiore o minore dell’una rispetto all’altra non porterà ad un vincitore e ad un perdente; la materia è sostanza che può essere ed esprimersi soltanto attraverso una forma, la quale non può esistere senza una sostanza da formare. Riguardo alla forma però devo aggiungere che non amo le catalogazioni. Un genere è un raccoglitore di opere che abbiano caratteristiche molto marcate e comuni. Ma il rispetto di genere è una gabbia insopportabile. Preferisco più l’idea di una libertà espressiva che spazi e usi molti stilemi diversi, così rielaborati da crearne di nuovi e così nuovi da costituire un nuovo genere. Poi, quando questo accade, è già il momento di guardare altrove.
Credo che ogni compositore, grande o modesto, da sempre abbia avuto presente un grosso limite nell’arte della composizione, limite nei confronti della persona che compone, non per l’arte in sé che trova altresì in questo elemento forza e ricchezza. Il compositore è infatti un artista monco, perché la sua opera non esiste fino a ché qualcuno non la esegua. Non basta porre dell’inchiostro sulla carta, come fa il pittore, per avere l’opera d’arte; qualcuno deve suonarla. E, almeno che il compositore non suoni uno strumento e componga soltanto per quello, per il resto c’è sempre il bisogno di altri musicisti, per non parlare delle opere per coro o orchestra. Tutto ciò si traduce in costi, spesso elevati. Manca una realtà stabile, corale e strumentale, che possa offrire spazi ai compositori, per permettere loro di avere le proprie opere eseguite, senza doversi raccomandare a destra e manca, e magari anche registrate, per poterle proporre ad altre realtà e ad agenzie. Questo ruolo dovrebbe essere svolto a mio parere dalle orchestre e dagli studenti dei conservatori, non limitatamente per loro colleghi di composizione, ma per i compositori locali che a turno possano far conoscere i propri lavori. /.../
Ed a questo punto si pone un dilemma: se sia da preferirsi lo studio strutturato, canonico, o il libero procedere dell’autodidatta. Valgono entrambi se effettuati nella giusta concatenazione. L’arte è la massima espressione della libertà, ma la libertà non deve essere dannosa. Un grande architetto è libero di realizzare qualsiasi edificio e struttura, ma deve rispettare le leggi fisiche della statica e della dinamica se non vuole che tutto crolli giù al primo soffio di vento. Quindi io sono favorevole ad un percorso assolutamente rigoroso all’interno del quale però si respiri la possibilità, con cognizione di causa, di violare le regole, o meglio di plasmarle al proprio volere. L’artista non è responsabile della sopravvivenza fisica degli altri, come l’architetto, ma ha la responsabilità del loro spirito, della loro elevazione spirituale, dove per spirituale non intendo necessariamente Dio, ma comunemente la parte immateriale dell’uomo. Riempire il mondo di banalità, di musichette o filmucci, dei soliti sentiti e risentiti, anche in ambito pop o comunque non “classico” è un delitto contro l’umanità, intesa proprio come caratteristica peculiare del genere umano. Tutti coloro che ambiscano all’espressione artistica, a qualsiasi livello, dovrebbero prima umilmente studiare, ascoltare, sviscerare l’opera altrui. Poi, dopo essersi formati, dare spazio all’autodidattica, allo studio personalizzato ed alla propria personalissima ricerca. Per tornare all’esempio precedente, una relazione sessuale deve essere assolutamente libera e creativa, ma con qualche lezione alle spalle sulla sessualità, sarà molto più semplice evitare danni ed incidenti.
Personalmente vorrei avere più tempo da dedicare alla composizione. Recentemente ho realizzato l’orchestrazione di un intero disco di musica cosiddetta leggera, ma usando esclusivamente strumenti tradizionali, tutti acustici, e sono molto contento del risultato finale. Qualcuno mi ha detto che non si trattava più di musica leggera, e per me questo è stato un gran complimento, non perché disdegni tale genere, ma perché a tale genere viene spesso giustapposta un’accezione negativa. Il tempo però è poco, devo per la maggior parte impiegarlo per sopravvivere, poiché non si vive con la composizione, per lo meno dalle nostre parti. Per questa ragione lavoro all'idea di guardare verso orizzonti diversi, intendo proprio geograficamente, dove ci sia  curiosità per le proposte nuove, per volti nuovi, per idee nuove.
(Renzo Cresti)
 
Arduino Gottardo
Diplomato in pianoforte ha seguito seminari di composizione con Giani-Luporini, Bartolozzi e Donatoni all’accademia Chigiana di Siena. É stato tra i membri fondatori del F.C.I. (Federazione Italiana dei Compositori di Musica Contemporanea). É stato collaboratore e assistente artistico presso scuole di ballo e sue composizioni sono state utilizzate per balletti e commedie teatrali. É eseguito in Italia e all’estero ed è stato premiato e segnalato in concorsi e festival dedicati alla composizione contemporanea. Edito da BMG Ariola s.p.a. - Roma;  EDIPAN - Roma; Musica Attuale AGENDA - Bologna; RICORDI - Milano,   EURARTE - Lecco; SAM - Pisa; ETS - Pisa.
 
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
La caratterizzazione semantica di alcune correnti compositive di scrittura musicale o pseudotali in quanto ispirate alla letteratura o a movimenti artistici pittorici e/o poetici, già in atto alla fine dell’anno 2000, in realtà non si è poi mai esplicitata in opere che abbiano svolto un ruolo di riferimento o di ispirazione tale da essere ricordate come vere e caratterizzanti per questi pseudo-movimenti. Quindi ritengo sia un parlare nel “vuoto” e del vuoto se dobbiamo riferirci a tali coordinate culturali (sic!). Per il resto, ciascun compositore oggi si trova la strada spianata per quanto riguarda il dato “formale” del lavoro compositivo, in quanto non esistono barriere ideologiche che si sovrappongono/frappongano tra il suo modo di scrittura e la realtà che lo circonda. Va anche detto che quelle barriere, o che potevano sembrare tali in anni precedenti, in realtà avevano una esistenza effimera, in quanto ogni compositore, se realmente onesto e sincero nel proprio proporsi, poteva percorrere qualunque strada liberamente, salvo poi discutere della valenza artistica dell’opera una volta attuata... anche perchè una volta esistevano lo scambio e la discussione... e luoghi dove poterlo fare!
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, border music e musica per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
La difficoltà dell’oggi sta nel non essere riuscita la composizione musicale contemporanea a “forare” la coltre di disinteresse, ignoranza e quanto altro vogliamo aggiungere, dei mezzi di comunicazione di massa e di conseguenza della organizzazione culturale ed artistica delle componenti della società italiana. Le organizzazioni che hanno come riferimento la cultura musicale contemporanea sono sempre più in difficoltà, sia propositiva ma principalmente economica, e se a ciò si aggiunge il totale disinteresse del mondo della scuola in generale, e dell’università in particolare, si può comprendere come in Italia parlare di musica contemporanea sia in realtà parlare di utopia! La stessa cosa credo stia accadendo anche per il jazz, che ha visto una fioritura notevole verso la fine degli anni 2000, ma che comunque continua ad essere un “genere” considerato di intrattenimento (vedasi i cartelloni estivi!) così come le altre situazioni musicali! Se devo esercitare il mio personale diritto di critica della realtà musicale italiana non posso far altro che notare come tutto si sia sempre concentrato “nell’evento”, tralasciando di coltivare giornalmente il fare musica in tutte le sue possibili forme e modelli organizzativi: abbiamo sempre vissuto in un perenne momento dell’unicità del evento che si presentava sempre  come “unico” e non ripetibile ( da qui le famose prime esecuzioni, che non hanno mai avuto una seconda chance!)
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Chi organizza eventi musicali contemporanei oggi si trova a dover affrontare un panorama culturale “povero”; mentalmente deve attrezzarsi come se dovesse affrontare sempre e comunque un incontro tra sordi: da un lato istituzioni culturali asservite alle mode del momento, spesso dettate da esigenze di palinsesto, o pseudotale, che fanno riferimento a “miti televisivi effimeri e al limite dell’imbecillità culturale” e dall’altro alla carenza di risorse economiche che vengono “elargite” tramite lotterie politiche del potentato di turno. Che dire: abbiamo eventi che funzionano solo se è garantita la presenza di “veline in calzamaglia” e “gigionetti in doppiopetto blu”... e mettiamoci pure la brasiliana ventre-danzante del momento!
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Non ho difficoltà a dire che per il mio modo di essere compositore, svolgere un lavoro di ricerca sul dato timbrico e formale della composizione musicale, utilizzando anche strumenti che qualcuno può definire superati, come lo strutturalismo o la dodecafonia o la definizione formale di un opera a priori (aleatoria, alea controllata, ecc.), continua ad essere parte del mio modo di affrontare ogni nuovo lavoro compositivo. Non mi sono mai posto barriere rigide e ciascuna mia composizione è nata con una sua caratteristica generativa che utilizzava un metodo di lavoro precostituito: mi piace essere libero di inserire in un suo contesto specifico di ricerca ciascuna opera e non mi sono mai posto il “finto problema” della comunicazione: se un’opera è sincera ovvero crea interesse, deve essere questa a comunicare e deve essere l’ascoltatore con la sua sensibilità a giudicare la sincerità, l’interesse o meno dell’opera stessa, tutto il resto ho sempre ritenuto fossero chiacchiere da salotto!
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio etc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Chi si avvicina oggi al lavoro di compositore, oltre ad avere un bagaglio tecnico di scrittura notevole ovvero essere in possesso dei necessari strumenti di lavoro ed essere a conoscenza delle principali tecniche compositive storiche, deve anche essere in grado di affrontare il tema della “nuova sensibilità” che i mezzi elettronici mettono a disposizione dell’interprete e del compositore. Sembra un dato scontato ma il problema del timbro, ovvero dei nuovi timbri strumentali, è un campo di lavoro che va affrontato con cognizione di causa. Si vedono e si ascoltano spesso nei saggi scolastici o nei concerti finali dei seminari estivi, nuove opere che hanno in nuce un buon impianto ideologico compositivo, che però naufragano all’atto dell’esecuzione proprio per mancanza di conoscenze tecniche nell’uso dei nuovi mezzi di riproduzione sonora: come dire che “la montagna partorisce il topolino!” Non vi sono punti di riferimento per un giovane che affronta la composizione oggi, ma forse ve ne sono troppi e troppo distanti e disomogenei tra loro! L’unica strada che mi sento di raccomandare è quella della conoscenza: una buona conoscenza di ciò che è stato fatto ed affrontato prima, dagli inizi del ‘900 ad oggi, è un dato oggettivo con cui, sia i compositori che gli allievi di composizione, debbono necessariamente fare i conti.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
Credo che la composizione si possa insegnare solo tramite esempi. Non si insegna la musica, si impara! Ed è un “impara” che deve passare dalla e sulla propria pelle! Si può ragionevolmente procedere come si vuole ovvero ciascun allievo deve far valere la sua difficoltà di approccio alla materia e in base al riconoscimento dei propri errori e delle proprie valenze “buone” costruirsi un percorso musicale soggettivamente “giusto”. Come tutte le arti, così la composizione, non si può mai definire compiuta come atto artistico in sé, ma solamente come un divenire,  da ciò la difficoltà, e la enorme inutilità di definire mode e/o correnti di appartenenza!
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
É sempre un percorso individuale. Non si possono stabilire parametri oggettivi. Io sono stato essenzialmente un auto-didatta, ma ad un certo punto ho avuto la necessità di confrontarmi con percorsi didattici specifici o perlomeno di confrontarmi con realtà che potevo pensare a me distanti: leggi accademia Chigiana e seminari con Franco Donatoni. Tutto ciò mi ha portato verso un approccio sulle tecniche di composizione sia libero che costretto a confrontarsi con vincoli precostituiti.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
Sono arrivato alla composizione attraverso un percorso da auto-didatta, pur riconoscendomi in alcuni compositori di riferimento (debbo obbligatoriamente citare Gaetano Giani-Luporini, Bruno Bartolozzi e Franco Donatoni), che, nella loro diversa identità, mi hanno fornito stimoli artistici diversificati per ciascuno e per ognuno interessanti. Non so se sono stato in grado di generare, ricostruire una sintesi di questi stimoli, in maniera personale ed oggettivamente riconducibile a ciascuno. Credo che ogni compositore sia portato in generale a sintetizzare e ad immagazzinare ciò che coglie attraverso le sue esperienze di vita, nel proprio bagaglio compositivo. Le mie esperienze internazionali, poche ma molto interessanti, sono passate tramite l’ISCM (International Society of Contemporary Music) oltre che attraverso scambi personali (cito ad esempio i concerti organizzati da pianisti italiani presso le case di cultura estere) o attraverso la conoscenza diretta di situazioni di sperimentazione musicale. Tra i musicisti che ho conosciuto (quasi tutti i maggiori del ‘900) una particolare attenzione è andata al lavoro di Cage, di cui ho anche un ricordo personale, di Luigi Nono che è stato uno dei maestri che mi hanno scelto per partecipare nel 1982 a Opera Prima, e ovviamente di Franco Donatoni (ma dovrei citare moltissimi nomi, da Clementi a Manzoni, a Sciarrino, ecc. tra i maestri della generazioni anni ’60 – ’70); debbo citare anche alcuni autori della mia generazione come Claudio Ambrosini o Gilberto Bosco, ed altri, che hanno costituito fonte di analisi sulle problematiche del lavoro contemporaneo. Inoltre un nome da citare, che adesso appare un poco dimenticato, è quello di Armando Gentilucci, che ha trovato una sua via mediana tra sperimentalismo e tradizione nella costruzione del processo compositivo. Quest’anno sono stato inserito tra gli autori segnalati ed eseguito nella sezione Momentary Pleasure dell’ ISCM 2010 in Australia. Credo di essere stato uno dei due o tre italiani selezionati per tutto il festival  e questo non può che farmi piacere!
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Rimando alle risposte precedenti, anche perchè la contaminazione è comunque un superamento di “genere” e va saputa affrontare con strumenti tecnici che siano all’altezza. É molto più facile affrontare un lavoro compositivo che “afferisca o sia affine” ad un genere identificabile. La contaminazione richiede uno sguardo che vada “oltre” il genere e quindi un impegno di ricerca maggiore ed un bagaglio tecnico notevole. Credo comunque che siano in pochi coloro che riescono a “contaminarsi” senza perdere la propria identità: qui sta la difficoltà maggiore.
- Fai uno sguardo auto-critico sulla tua attività recente, come la giudichi?
La mia attività recente, a parte un paio di brani di ricerca che hanno comportato un lavoro impegnativo di circa un paio di mesi ciascuno, è attualmente incentrata sull’orchestrazione di favole per bambini ad uso didattico. È un lavoro che sto affrontando con un mio collega, Francesco Cipriano, che mi fornisce i temi pianistici. Lo giudico soddisfacente (serve per mantenere in esercizio la mano sinistra della scrittura!) in quanto ti porta ad essere sempre in contato con le giovani generazioni e induce a scoprire, pur nell’ambito ristretto delle possibilità esecutive degli allievi, nuove combinazioni timbriche e soluzioni distillate di tecniche compositive, altrimenti troppo difficili da affrontare per i giovani interpreti. É un lavoro che ritengo dovrebbero fare le nuove generazioni di compositori, proprio per impadronirsi a fondo dei trucchi del mestiere.
- Progetti.
A parte la partecipazione a qualche concorso internazionale - sempre per mantenere in esercizio la mano sinistra, oltre che la destra - credo che la maggior parte del lavoro futuro si inserirà nel filone delle orchestrazioni. Non mi voglio porre troppe scadenze o troppi progett, ho imparato, con l’esperienza e la disillusione giornaliera di un normale “compositore italiano” che il vivere alla giornata e spesso più soddisfacente del progettare le “illusioni perdute” dei grandi progetti che vengono continuamente posposti per mere quisquilie burocratiche! Ad maiora!
(Renzo Cresti)
 
Cristina Landuzzi
La sua formazione si compie attraverso i corsi di studio in pianoforte e in musica corale e direzione di coro nei quali si diploma brillantemente nel 1981 e 1985, presso il conservatorio “Pedrollo” di Vicenza” e “Martini” di Bologna, e lo studio della composizione, conseguendo il diploma nel 1990 con il massimo dei voti e la lode presso il conservatorio di Bologna sotto la guida di Grandi e Donatoni. Dopo il diploma di composizione completa la sua formazione musicale seguendo il corso di direzione d’orchestra con Benini. La carriera compositiva si rivela ben presto ricca di esperienze formative, le più importanti delle quali sono state, nel 1988-89, i corsi di perfezionamento tenuti da Donatoni all’accademia Chigiana di Siena, dove ha vinto, per gli anni di partecipazione, la borsa di studio ed ottenuto il diploma di merito, partecipando con le proprie opere ai concerti registrati dalla Rai. Nel 1990 è ammessa all’accademia nazionale di Santa Cecilia, presso la quale nel 1991 consegue il diploma di perfezionamento in composizione, vincendo, l’anno successivo, il primo premio alla biennale Giovani artisti dell’Europa Mediterranea. A seguito di questo premio, inizia l’attività compositiva che la porterà ad una serie di esperienze nazionali ed internazionali che culmineranno con la frequentazione di uno stage di composizione presso il conservatorio superiore di Parigi. Dal 2003 collabora con l’università di Bologna, tenendo il corso di analisi delle strutture musicali  per l’insegnamento di teoria musicale. Dal 2008 si dedica all’approfondimento del repertorio rinascimentale e barocco come cembalista, lavorando in ensemble e con l’orchestra da camera “Martini”. Dal 1999 insegna fuga e composizione presso il conservatorio di Bologna. Le sue composizioni sono pubblicate dalla casa editrice Suvini Zerboni di Milano.
 
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
Tutto ciò che è espressione di pensiero in “movimento” è utile al rinnovarsi dell’orizzonte artistico. Il neo romanticismo poi ha espresso una sorta di voglia di continuità con il passato che, se correttamente collocata ed interpretata, sicuramente può portare ad utili sintesi del pensiero poetico. Certo il rischio è che si ripropongano tout court delle modalità linguistiche che se prese in sé stesse sicuramente appaiono vuote e decontestualizzate.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Purtroppo la situazione attuale è davvero preoccupante… paradossalmente ad un paese come l’Italia che è culla di una tradizione musicale ricchissima manca una classe dirigente politica che investa su quest’immenso patrimonio, e non solo…lo penalizza con tagli economici sciagurati! Purtroppo con questa premessa qualsiasi altra riflessione è totalmente inutile.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Mi riaggancio alla risposta precedente: non c’è ora in Italia la possibilità da parte degli enti di produzione, di giungere ad una programmazione dei cartelloni in grado di essere espressione di un “pensiero culturale musicale”, e questo perché la politica non investe sulla cultura, non investe “sull’uomo” e la sua creatività.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Anche in questo caso il problema sta in un “sistema” culturale e politico che non funziona. La musica è sempre stata ricerca ed è diventata comunicazione nel momento in cui la società le ha affidato il ruolo di espressione della propria energia intellettuale, ora non credo che si possa dire che la società in cui viviamo abbia tali caratteristiche.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
I grandi maestri del novecento italiano a mio avviso continuano a parlarci, il nostro ascolto è, per forza di cose, più discontinuo di un tempo da un lato ma dall’altro più consapevolmente finalizzato. Penso che nei momenti di nebbia culturale come quello che stiamo vivendo, se c’è qualche cosa di positivo questo sia il sentire di dover tutelare ciò che di prezioso vi è e vi è stato, con tutte le nostre forze, e dunque anche questo nostro passato prossimo, i nostri maestri, li viviamo come tesoro da custodire con gelosa attenzione.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
A mio modo di vedere si può insegnare a riflettere sul linguaggio musicale e si può insegnare a porsi delle domande. Quando si ha la mente in grado di formulare domande e capace di individuare, nel passato storico e non, le risposte, ecco che il lavoro di un insegnante è veramente utile. Poi ogni poetica individuale deve fiorire necessariamente nella propria intoccabile autonomia e libertà.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Il percorso dell’autodidatta rischia a mio parere di chiudersi su se stesso, mentre il confronto con un insegnante è sempre fecondo. Se per scolastico si intende un percorso storico ordinato, ecco che ritengo sia utile, purché non si sclerotizzi in una rigidezza accademica che non tenga conto delle necessità espressive del singolo studente.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
L’Italia è un paese in cui si è sempre respirata l’aria dell’europea e la libertà di guardare oltre qualsiasi confine. Dunque non ritengo che lo studio  fatto in Italia possa essere stato in qualche modo “ chiuso” creativamente; tuttavia ritengo indispensabile uno sguardo culturale ad ampio raggio e dunque ricco di esperienze internazionali.
-Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Personalmente non metterei alcun limite alla riflessione poetica. Quando vi è una ricerca  sana e sincera, quindi non mediata dalla tensione verso il facile successo o gradimento, tutto ciò che viene prodotto è interessante e merita di essere preso in considerazione.
(Renzo Cresti)
 
Giorgio Lazzarini
Il mio percorso musicale è stato tanto precoce quanto anomalo. Sono nato a Lucca (non dico l’anno di nascita per civetteria) e fin da piccolo mi sono cimentato con la musica, anche se in ambiti non accademici. Ho studiato quindi privatamente chitarra classica e composizione con Aldo Tarabella che mi ha convinto definitivamente a intraprendere un percorso artistico. A seguito di ciò mi sono iscritto al conservatorio di Firenze non più in giovanissima età (19 anni). Lì ho frequentato per 4 anni la classe di composizione di Giani Luporini e anche la classe di chitarra di Company. Ho quindi abbandonato la chitarra per dedicarmi definitivamente alla composizione. Contemporaneamente mi sono laureato in economia e commercio all’università di Pisa con una tesi sulla razionalità in economia (dove giungevo alla conclusione della irrazionalità dell’economia stessa) e per fortuna o purtroppo ho intrapreso la professione di dottore commercialista che, di certo, non è molto affine a quella di musicista. Ho quindi proseguito da autodidatta alternando momenti di attività compositiva a periodi più o meno lunghi di riflessione. Definirei pertanto il mio percorso musicale, come ho detto, “anomalo”. Chi mi conosce lo sa.
 
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
Le definizioni spesso non rendono giustizia alla musica e all’arte. Credo che il vero problema sia oggi quello di percorrere nuove sintesi personali (ciascuno le sue), sintesi che tuttavia evitino l’autoreferenzialità della composizione musicale. Credo in questo senso che con Luigi Nono la musica contemporanea abbia raggiunto l’apice della propria evoluzione. Non a caso Nono ha affrontato il problema centrale, e cioè quello dell’ascolto. É lì il centro della questione. Troppo spesso i compositori si sono limitati a pensare che la creatività coincidesse con il metodo compositivo, con la regola o con la rottura della regola, con qualche congettura, con qualche “trovata” che di per sé potesse dare coerenza intrinseca alla composizione. Invece, credo che occorra riscoprire l’ascolto, e cioè il momento topico dell’incontro della musica con la percezione, sia per la sua portata estetica che etica e, aggiungerei, esistenziale. E se la musica è per l’ascolto ciò significa che la musica deve giungere alle orecchie di colui che l’ascolta e da lì alla sua mente, al corpo e perché no, alle sue emozioni o ai suoi sentimenti, alla sua percezione esistenziale. E questo non ha niente a che vedere con il romanticismo. In sostanza la frattura tra musica e pubblico deve essere ricomposta. Certo, in maniera non banale (e in questo senso anche il pubblico deve fare la sua parte), ma, a mio modo di vedere, non è più possibile pensare che il concetto, l’idea, possa giustificare la musica in sé e per sé, quasi come un esercizio concettuale che appaghi (indipendentemente dai suoni) semplicemente per la sua mirabile costruzione. In questo senso ben venga la semplicità: ma quanta complessità si può scoprire in un semplice suono! O in una successione di suoni, come pure in una melodia (senza timore di pronunciare questa parola), in un’armonia consonante o dissonante e infine nel silenzio. Sì, io credo che occorra riscoprire l’emozione nel senso più nobile del termine, ripeto, in senso estetico, etico ed esistenziale.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Non la vedo male. C’è molta offerta, molta libertà e molta diffusione; di certo molto consumismo. Non sempre è facile scovare qualcosa di interessante, c’è molta ridondanza in giro, ma ogni tanto si ascolta, magari per caso alla radio, qualcosa che vale la pena, considerando che ciascuno ha il suo interesse e la sua peculiarità d’ascolto. La mera contaminazione oggi non basta, occorre fare un salto di qualità e, paradossalmente, la contaminazione non coincide con un risultato estremamente elaborato pieno di riferimenti, quanto piuttosto con una sintesi personale, sincera e, oserei dire, per questo, umile. Un mio pezzo si chiama Modesto e orgoglioso.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Questo è il vero problema. La vera difficoltà consiste nel trovare occasioni per far ascoltare la propria musica. Soprattutto in Italia le risorse scarseggiano. Ma la ricerca di un nuovo rapporto col pubblico potrebbe aprire anche alla musica di oggi (contemporanea?) spazi che si giustifichino dal punto di vista economico. Non voglio inneggiare alla commercializzazione della musica, ma, certo, fino a tutto l’ottocento e parte del primo novecento, la musica classica, produceva anche valore economico e guadagni e, soprattutto occasioni per eseguire (suonare) e ascoltare. Anche questa è una sfida. Andare oltre i preconcetti verso nuovi orizzonti.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Non ci deve essere differenza. L’indagine compositiva deve essere finalizzata all’espressione.  Magari si può sperimentare con l’intento di acquisire padronanza con le tecniche compositive, ma non avrebbe senso “sperimentare” e basta. Gli sperimenti li fanno gli scienziati e anche lì, nella scienza oggi, non si va avanti senza creatività.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Dico subito che i miei riferimenti, oltre a quello che mi ha insegnato il mio maestro Giani Luporini, sono Nono (l’ho già detto), ma anche e soprattutto Messiaen. Da lì poi Xenakis, Sciarrino e Scelsi. Non seguo più assiduamente la produzione di oggi. Ma recentemente ho apprezzato molto Peter Garland.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
Occorre distinguere il mestiere dall’arte. Il mestiere lo si impara e lo si può insegnare e, in un certo senso, si può insegnare anche una certa disciplina metodologica atta a sviluppare le proprie idee. Ma la creatività, la motivazione interiore, l’arte insomma, devono nascere da un forte impulso interiore, da letture, dal confronto, dalla vita. Lo studio deve quindi essere anche personale, crescita individuale: studiare la propria arte (confrontandola anche con quelle degli altri artisti), non fermarsi mai. In questo, ad un certo punto, gli artisti non possono non essere autodidatti.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
In parte ho già risposto. Ma voglio aggiungere che i programmi dei conservatori devono specializzarsi. Non è possibile avere un solo corso di composizione valido per tutti. La scuola deve insegnare le diverse “musiche” a seconda del tipo di mestiere che ciascuno vuole intraprendere (musica da film, musica leggera, musica per il teatro, composizione pura, ecc). I conservatori devono ideare corsi di studio appositi per coloro che intendono imparare a comporre la “propria musica”. Probabilmente occorre unire la tecnica o le tecniche alle metodologie compositive, il tutto per fornire strumenti utili. Alle volte però il vero artista inventa la propria tecnica da solo (si pensi a Wagner). Oggi la tecnologia aiuta molto in tal senso. Io ad esempio ho frequentato solo alcuni anni del corso di composizione. Il resto, nel bene o nel male, l’ho fatto da me.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
Anche se la stragrande quantità della musica che viene trasmessa alla radio o in TV è musica leggera, è possibile informarsi, ascoltare musica anche di altro tipo restando fermi nella propria città. Certo la frequentazione diretta dei concerti, la conoscenza personale degli autori, sarebbe auspicabile, ma non è per niente facile. Occorrerebbe maggiore mobilità. Una volta partivo apposta per andare a vedere un evento in una qualche città italiana e addirittura nel ’97 organizzai al Teatro del Giglio di Lucca (allora sotto la consulenza musicale di Renzo Cresti) lo spettacolo Aiku, insieme a Roberto Castello e Marco Sodini. Fu una performance continuata per tutto un giorno a cui parteciparono numerosissimi musicisti provenienti da tutta Italia tra cui Giorgio Gaslini, Roberto Fabbriciani, Maurizio Ben Omar, Steve Piccolo e tanti altri (oltre a me stesso ovviamente con un pezzo per il basso tuba di Marco Fagioli e live electronics). Oggi mi muovo molto meno e non è certo un bene. Tuttavia sento di dovermi concentrare su di me per affinare il mio percorso e offrirlo possibilmente al mondo (si fa per dire). Credo tanto nell’interscambio che ho fondato insieme a Renzo Cresti e a Francesco Cipriano l’associazione CLUSTER Lucca – compositori Europei. Il nome è di per sé un programma e vorrebbe coniugare l’altissima tradizione della composizione musicale lucchese si pensi ai Guami, a Gemignani, Boccherini, Catalani, ai Puccini, con l’altra tradizione lucchese, quella del collegamento internazionale di questi stessi musicisti. Quindi massima apertura della mia città alla musica europea e internazionale in genere.
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Certo le contaminazioni oggi sono inevitabili, tra i generi, ma anche in senso temporale, attingendo ai diversi passati. Ma, lo ripeto, il percorso deve tendere ad un lavoro di sintesi: la propria sintesi. In questo senso non solo i generi musicali vanno superati, ma in teoria anche lo stesso concetto di genere musicale. Io faccio musica e in più faccio musiche. Forse pecco di eclettismo, ma gli stimoli sono tanti e in tante direzioni. Mi muovo.
- Fai uno sguardo auto-critico sulla tua attività recente, come la giudichi?
Non lo giudico male (sono abbastanza critico, ma ultimamente anche indulgente). Chi conosce la mia storia sa che purtroppo devo dividermi tra un’attività professionale che non ha niente a che vedere con la musica e la musica stessa. Non è facilissimo contemperare le due cose. Ho alternato periodi di intensa attività con lunghe pause, alle volte durate anche anni. Da un po’ di tempo (direi dal 2007-2008) ho ripreso con buona lena e mi sono concesso il lusso di alcune sperimentazioni, ricerche personali: mi sono voluto mettere alla prova diciamo. Ho saggiato diversi materiali: dall’elettronica-concreta nel mio lavoro Miniera prodotto dal Parco Archeominerario della Val di Cornia, al teatro-musica con La Strega, prodotto dall’Associazione Musicale Lucchese per voce recitante, live electronics e strumenti, all’opera con lo sketch operistico Argo, al concerto per pianoforte e orchestra Serchio. Oggi sento di poter percorre nuove sintesi in piena libertà avendo maturato quasi da autodidatta, credo, quella tecnica personale di cui parlavo poco fa e che mi dà una certa sicurezza di potermi muovere in qualunque ambito.
- Progetti.
Adesso mi sono cimentato in una serie di composizioni per pianoforte di abbastanza facile fruibilità (anche se compositivamente elaborate, tanto che hanno bisogno di un ottimo pianista, nel mio caso Giovanni Passalia). Vorrei far girare queste musiche quasi per accalappiare il pubblico, questa volta proponendogli uno “zuccherino”. Ho in cantiere altri progetti di cui non parlo quasi per scaramanzia, data la difficoltà di realizzazione di cui si parlava. Mi interessano sonorizzazioni d’ambiente, forse il commento sonoro a un corto, e chissà che altro.
(Renzo Cresti)
 
Giampaolo Lazzeri
Nato a Pontedera, ha effettuato gli studi musicali presso l’istituto “Boccherini” di Lucca diplomandosi in corno sotto la guida di Crott. Successivamente si è dedicato allo studio della direzione d’orchestra con vari maestri, partecipando per tre anni ai corsi estivi dell’Accademia Musicale Chigiana con Ferrara. Ha frequentato masterclass di direzione d’orchestra con Briccetti e di direzione d’opera lirica con De Sessa; nel 2003 ha conseguito il diploma di direzione d’opera lirica presso la Regia Accademia Filarmonica di Bologna con Giovanni e Pietro Veneri. Come cornista ha fatto parte di vari complessi cameristici e nel 1978 ha partecipato alla 10° rassegna nazionale dei conservatori e degli istituti musicali. È stato membro dell’Orchestra Giovanile Toscana, della Lirico Sinfonica del Teatro Comunale di Bologna ed ha collaborato con l’Accademia Musicale di Siena eseguendo come solista il Concerto n. 3 di Mozart. Nel 1999 ha diretto in prima esecuzione mondiale l’oratorio Il Martirio di S. Valentino di Giacomo Puccini per soli coro e orchestra. Ha partecipato a vari festival bandistici nazionali e internazionali; ha inciso vari cd e ha vinto inoltre due concorsi bandistici nazionali. Sue composizioni sono edite dalla case editrici Durarte e Allemanda. È frequentemente invitato a far parte delle commissioni di concorsi di composizione, esecuzione e direzione, spesso con funzione di presidente; tiene corsi di direzione presso l’orchestra di Villa de Muxtamel (Spagna). Come risulta da questa intervista è direttore di varie formazioni bandistiche.
   
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
La ricerca di un proprio ruolo e di una propria fisionomia nel mondo musicale della nostra epoca ha fatto sì che il problema del repertorio e conseguentemente della composizione, divenisse uno tra i fondamentali nell’ambiente bandistico. La mancanza di letteratura è il logico risultato della grave assenza di bande giovanili, che solo negli ultimi anni, hanno iniziato a formarsi all’interno di alcune scuole dell’obbligo, dove si sono avviati percorsi di educazione musicale rivolti espressamente alla formazione bandistica. La presenza di queste realtà sta creando interesse sempre maggiore da parte di editori e autori, sulla scia di esperienze già attive da sempre in altri paesi, dove sono stati fatti notevoli investimenti su metodologie specifiche che hanno permesso un notevole progresso. Le composizioni originali, si basano soprattutto sulle emozioni e sulle combinazioni timbriche dell’Orchestra di fiati, oltre, ovviamente, ad una ampia sezione ritmica. Ogni compositore cerca di raggiungere questo obiettivo utilizzando melodie liriche e interessanti combinazioni di accordi. Parlando con alcuni compositori mi sono sentito dire che spesso l’ispirazione viene dai grandi compositori come Puccini, Verdi, Wagner, Mozart, Bach. Ci sono poi gli arrangiamenti delle colonne sonore dei grandi compositori come Rota, Morricone, Williams o di musical come West Side Story o Jesus Christ Superstar (tanto per citare i più conosciuti). Per concludere posso dire che il lavoro principale dell'Orchestra di fiati è quello di eseguire il repertorio scritto esclusivamente per queste formazioni. Certamente, c’è spazio anche per qualche trascrizione per quelle bande che apprezzano la sfida, ma non di certo per accontentare un pubblico a cui piace ascoltare la sua musica sinfonica preferita suonata dalla loro banda. Ancora una volta, è una questione di equilibrio nella scelta del repertorio. Se la trascrizione che si vuole eseguire è adatta alla banda, all’occasione e al pubblico, allora c’è una giustificazione per eseguirla, se non ci sono queste condizioni e se serve semplicemente a soddisfare le velleità del direttore, è meglio fare altre scelte. E notevolmente oculata deve essere la scelta della trascrizione in base alla qualità della stessa – che varia enormemente da una all'altra.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Riguardo alla musica d’arte, mi pare che negli ultimi anni ci sia stata poca produzione; la musica jazz viene continuamente alimentata grazie anche agli importanti festival e rassegne che vengono organizzate sul nostro territorio. La musica rock e pop trova molto interesse nella fascia dei più giovani, la dimostrazione è il continuo rinnovamento di band che oltre eseguire repertori attuali si ripropongono con cover di artisti del passato.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
La difficoltà di organizzare sta in un solo problema: contributi che consentano la realizzazione di eventi. Se hai la fortuna di trovare i giusti interlocutori tutto è realizzabile, altrimenti è inutile avviare un percorso.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e pubblico, quanta importanza dare ai gusti del pubblico?
Questo è un punto molto interessante. Il pubblico deve essere educato, per qualsiasi genere di musica e purtroppo per una forma di non cultura, si preferisce sempre proporre ciò che fa cassetta perché dobbiamo riempire le piazze, ma, secondo un mio modesto parere, non è il modo di fare cultura. Questo è un impoverimento culturale di cui ne stiamo già pagando le conseguenze ma sono convinto che, se non si verificherà un radicale cambiamento, le conseguenze saranno ancora più gravi.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo/interpretativo? Quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi sulla musica?
É sempre molto difficile operare queste scelte; i miei punti di riferimento sono stati gli insegnamenti e le esperienze maturate durante il percorso di studi e successivamente le esperienze fatte sul campo. La mia formazione di direttore ha avuto, come importanti riferimenti, l’accademia Chigiana (che ho frequentato per un triennio) e la Regia accademia filarmonica di Bologna (che ho frequentato per due anni) al termine dei quali ho conseguito il diploma di direzione d’opera lirica.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Ritengo che un percorso estremamente rigoroso non sia efficace, come un percorso auto didattico risulti approssimativo; secondo me ci deve essere il giusto equilibrio tra studio e libertà di espressione per garantire una formazione completa e al tempo stesso si dia spazio alla creatività dell’individuo.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
Riflettendo sul mio vissuto professionale mi pare di non aver risentito di particolari influenze zonali, questo mi ha permesso di vivere le esperienze, sia nazionali che internazionali (soprattutto come docente di corsi per direzione) serenamente, impostate sul confronto culturale, facendo sempre emergere il nostro patrimonio artistico – musicale che è molto apprezzato in tutto il mondo; sta a noi saperlo divulgare e valorizzare.
- Le bande non sono più quelle di decenni or sono, sono diventate degli organismi professionali, pur continuando a svolgere le classiche funzioni sociali, quali prospettive si aprono secondo te?
Anche questo è un argomento estremamente vasto; oggi le bande hanno subito notevoli trasformazioni, sia nell’organico, sia nel repertorio. A fianco di una azione sociale, legata al territorio, la banda deve acquisire un suo ruolo e deve crearsi il proprio pubblico. Coloro che operano in questo settore, a tutti i livelli, devono capire che la banda è una realtà attuale con potenzialità illimitate.
- Vuoi raccontare l’esperienza con la “Rossini” di Firenze e con la “Luporini” di San Gennaro?
La mia attività di direttore di banda, oltre che di orchestra, risale al 1980; in questi anni ho avuto l’onore di dirigere la Filarmonica “Mugnone” di Navacchio (5 anni), la Filarmonica “Puccini” di Segromigno in Monte (15 anni) e la “Filarmonica Bientinese” (23 anni) con le quali ho riscosso sempre positivi consensi sia nel mantenere viva la tradizione ma soprattutto per le innovazioni che continuamente apportavo nel repertorio e nella struttura dell’organico. Dal 2006 dirigo l’Orchestra di fiati dell’istituto “Mascagni” di Livorno; sono direttore ospite dell’Orchestra “Musica Omnia” di Fiesole e direttore ospite dell’Orchestra Sinfonica Giovanile del conservatorio “Piccinni” di Bari. Dall’anno 2000 sono stato nominato direttore della Filarmonica “Luporini” di San Gennaro e della Filarmonica “Rossini” di Firenze, due entità musicali ricche di tradizione ma che hanno subito percepito la necessità e la voglia di fare un salto di qualità e, con grande modestia, mi pare che ci siamo riusciti. Basti pensare alle esperienze musicali più disparte che abbiamo affrontato in questi anni, con concerti in luoghi non sempre comunemente accessibili: dalla Basilica Superiore di Assisi, al Teatro della Pergola di Firenze, dal Teatro Greco di Tindari, al Teatro del Giglio di Lucca; da concerti prettamente strumentali a concerti vocali e strumentali con la partecipazione di artisti di fama nazionale ed internazionale. Posso confermare che operare in queste realtà mi appaga totalmente e mi rende felice.
- L’Orchestra di fiati della Provincia di Lucca è una splendida realtà, come migliorarla?
Creare qualcosa di nuovo in ambito culturale è sempre un fatto positivo. La nascita dell’Orchestra di fiati ha assunto un valore ancor più rilevante in quanto, da una parte, rappresenta un progetto pilota che ha pochi simili in Italia mentre in molte altre città d’Europa esistono esperienze analoghe, e, dall’altra, viene offerta l’opportunità ad nutrito gruppo di giovani promettenti di misurarsi professionalmente sul campo. Questa realtà  non sostituisce le realtà bandistiche già esistenti sul territorio ma rappresenta un’esperienza in più. Il gruppo di musicisti, con le sue regole, i suoi obiettivi, le prospettive, il sentirsi parte di una progettualità ‘positiva’, si prefigge di essere una valida risposta a tutti quei giovani i quali, terminati gli studi musicali, trovano difficoltà, a causa di mancanza di simili strutture (orchestre giovanili, orchestre di fiati etc.), ad inserirsi nel mondo del lavoro. L’Orchestra ha acquisito una identità musicale ben precisa spaziando dai repertori prettamente europei ai brani e alle opere tipici originali per orchestra di fiati, per poter stringere gemellaggi con altre formazioni del Mediterraneo, con la speranza che possano nascere ulteriori opportunità di lavoro per i giovani musicisti. Per migliorare questa splendida realtà chiediamo di fare più concerti e magari partecipare a qualche concorso importante per misurarsi con altre realtà di questo tipo, soprattutto a livello internazionale.
- Fai uno sguardo auto-critico sulla tua attività recente, come la giudichi?
Sinceramente sono piuttosto soddisfatto della mia attività; l’unica critica che mi faccio è che in certe situazioni dovremmo far valere, in maniera più marcata, la nostra professionalità per valorizzare sempre di più il nostro lavoro e far capire che la banda musicale riveste un ruolo di primaria importanza nel mondo della cultura.
- Progetti.
Ho molti progetti: come direttore continuerò a dirigere le mie bande e l’Orchestra di Fiati della Provincia di Lucca. Il 12 dicembre dirigerò un importante concerto al Teatro del Giglio con la Filarmonica “Luporini”. Sempre in dicembre dirigerò il concerto di Natale al Teatro della Pergola con la Filarmonica “Rossini”, oltre ai concerti con l’Orchestra di Fiati. Altri concerti, seminari e master di direzione sono già in agenda per i prossimi 2-3 anni oltre al corso di direzione in Spagna.  Insomma, vivo una vita ricca di soddisfazioni e di emozioni che la musica, ogni giorno, mi offre.
(Renzo Cresti)
  
Mauro Lupone
Compositore e sound designer, diplomato in pianoforte e musica elettronica, è autore di composizioni che esplorano le possibilità di interazione tra tecniche strumentali acustiche, suoni naturali e manipolazioni elettroniche, in contesti che spaziano dalla danza al teatro, alle installazioni multimediali, alla videoarte e alla musica sperimentale (Cantiere Internazionale d’Arte Montepulciano, Festival Internazionale Mediartech, Teatro Regio di Torino, Teche Milano, Città del Teatro Cascina, Lowe Theatre New York, Espacio Cultural Borges Buenos Aires). Si occupa da anni della diffusione della cultura musicale tecnologica contemporanea, collaborando con artisti e istituzioni internazionali (New York University, Computer Art Lab CNUCE/CNR, Xear/ZoneGemma, Pentalogos, Ecole Supérieure d’Art de Toulon, XLab Digital Factory) e realizzando progetti didattici innovativi (Liceo Musicale Multimediale, Lucca; Laboratorio Tecnologie Sonore, Lucca). Docente di Sound Design all’Accademia di Belle Arti di Carrara (indirizzo Nuove Tecnologie dell’Arte).
 
- Il settore in cui lavori è molto ampio poiché contempla anche il coinvolgimento di altre arti (cinema, teatro, danza, arti interattive, ecc.), ma anche poco conosciuto in Italia e credo che proprio questo sia uno dei fattori alla base delle difficoltà nell’organizzare manifestazioni artistiche come il tecnoteatro, la danza interattiva, le installazioni di vario genere, il soundscaping, ecc. A tale fattore si uniscono problematiche di tipo economico, politico, di mancanza di mezzi e strutture idonee e altro. Cosa ne pensi? Quali sono le difficoltà nell'organizzare?
La prima difficoltà è senza dubbio individuare e delimitare il contesto all’interno del quale collocare la propria progettualità. In effetti, in Italia non è ancora comune l’idea di poter produrre creatività all’interno di contesti multidimensionali che incontrano dialogicamente il segno visivo, il suono e lo spazio-forma. I confini e i territori sono ancora fortemente difesi e autoreferenziali. Trovo, ad esempio un forte limite la difficoltà di poter ipotizzare un percorso di crescita e di acquisizione completa di professionalità all’interno delle strutture e delle istituzioni didattiche accademiche, assicurandosi una formazione concreta e spendibile non solo rispetto all’acquisizione di una tecnica ma anche allo sviluppo di una “competenza sensibile”. E la questione non riguarda solo l’aspetto musicale/sonoro. Posso assicurarti, ad esempio, che non è facile dialogare con registi teatrali che magari dimostrano forte sensibilità e familiarità con il segno visivo e corporeo ma che sono veramente “primordiali” nell’approccio alle infinite sfumature possibili dell’elemento sonoro e della sua messa in essere. /.../ 
(Beatrice Venezi



Renzo Cresti - sito ufficiale