Il concetto di materia e il pensiero negativo
Il concetto di materia nella musica contemporaneaIl concetto di materia fu centrale nella musica degli anni Sessanta del secolo scorso che, proprio rifacendosi a questo concetto, utilizzò una terminologia del tipo: coesione o disgregazione della massa sonora, addensamento o rarefazione delle parti musicali, discontinuità, mobilità, estensione, trasformazione dei suoni etc., per indicare elementi e attributi inerenti alla materia e al suo manifestarsi, intendendo quindi la composizione come sostanza fisica, con una propria autonomia rispetto al soggetto. Il porre attenzione sulla cosa evidenzia il procedimento artigianale che esclude ogni aspetto ideologico e ogni aura idealistica, esaltando il modus operandi del musicista, gli ‘arnesi del mestiere’, che lavora concretamente sul materiale musicale. La ‘verità’ sta dunque nella materia e non nel soggetto romanticamente inteso.
L’opera viene a definirsi come un campo di energie emesse dalla forza intrinseca di ogni evento musicale (melodie, agglomerati armonici, talee ritmiche, elementi timbrici e dinamici etc.) e dove l’insieme delle forze crea una quantità indefinibile di relazioni fra un evento e l’altro, in movimento, formando una massa sonora non pre-determinabile dalla volontà dell’autore, a causa dell’impossibilità del soggetto di stabilire sempre e costantemente la direzionalità e la forza di ogni evento. La composizione appare dunque come una molteplicità di forze non del tutto rapportabile alla volontà formatrice dell’autore che risulta più colui che mette in moto un meccanismo di lievitazione della materia musicale che non il suo ‘creatore’. Il compositore perde l’idealistica posizione di padre (come se l’opera fosse la diretta emanazione dell’io) per acquistare una posizione prospettica che gli permette di osservare l’evolversi dell’oggetto sonoro, posizione che intreccia il soggetto e l’oggetto in maniera contraddittoria.
La crisi del concetto classico di forma musicale che si determinò negli anni del secondo dopoguerra del Novecento s’identificò con la crisi dei valori umanistici, ciò determinò una nuova concezione della materia musicale intesa come qualità/quantità organica, in continuo divenire e che, nel suo svolgersi e aggrovigliarsi, ingloba tutte le possibilità dei suoi cambiamenti. Uno dei protagonisti della nuova concezione materica della musica fu Aldo Clementi, la sua polifonia ha delle analogie con le strutture mobili di Calder e con i grovigli di Pollock, procedimenti che producono una perdita gravitazionale, una vertigine della coscienza la quale subisce un continuo senso di spostamento, causato dalle molteplici direzionalità delle linee di forza che si espandono in un campo indefinibile, come lo spazio metropolitano a cui spesso si fa riferimento: la grande città assume l’aspetto di magma (in una falsificazione dello spazio reso aberrante dalla massificazione), essere-nella-città significa saturazione, proprio com’è saturo il linguaggio artistico. L’aggregazione degli elementi che formano lo spazio urbano è fatta propria e denunciata dall’angoscia senza respiro della musica materica, infatti, ascoltando la polifonia del Clementi degli anni Sessanta si percepisce un percorso auditivo che ha solo un debole rapporto con quello che sarebbe stato il pattern del percorso logico, l’orecchio si muove fra i suoni come Stephen Dedalus fra le strade di Dublino ossia ubbidendo a una serie di impulsi motivati da una necessità ascosa.
La cosalità della musica materica non nasconde un senso di nostalgia: ogni oggetto con la sua ‘semplice’ presenza è l’esaltazione dell’attimo, del fuggir del tempo, della precarietà, denunzia di uno stato di fatto per il quale l’operare artistico non può configurarsi che con una soggettività sconvolta. Le problematiche della musica materica sono state influenzate e s’intrecciano con quello ch’è stato chiamato il pensiero negativo che, da Kafka a Beckett, entra nella riflessione musicale grazie ad Adorno, un pensiero che conduce alla scissione fra uomo e linguaggio, all’esperienza de-compositiva, all’adozione della casualità, ma non in senso cageano, positivo e ridente, ma in quello di fatalità drammatica, di accidentalità. In ambito europeo sono soprattutto musicisti come Schnebel e Kagel che aderiscono alle prassi allucinate del Decomponieren e della Scheinsprache.
In Kagel sia l’oggetto sonoro inerme sia la violentissima coagulazione materica sono l’amaro frutto di un gesto apocalittico, per i compositori che si rifanno al pensiero negativo è possibile solo una musica che misuri se stessa sul metro del proprio ammutolire. In Schnebel l’abolizione della partitura non è un approdo all’immediato, ma conclusione negativa di tutto il logoramento della tradizione dialettica.
In Italia, la dissoluzione della coscienza nella materia viene attuata, oltre che da Clementi, da Franco Donatoni, per il quale non ha senso scandagliare all’infinito nuovi sistemi compositivi e lo Strutturalismo pare l’ultima tentazione di una ratio autoritaria, occorre, al contrario, attuare una diversa relazione fra compositore e opera, fra scrittura e gestualità, in modo che il compositore non si auto-celebri quale creatore, sopraffacendo la materia, ma instauri con l’oggetto un rapporto libertario, attuabile con l’abolizione della volontà di potenza a favore dell’abbandono al materiale. L’abolizione del soggetto si attua, tecnicamente, con l’indeterminazione, assunta non come espediente esterno, ma in nuce, inseparabile dal pensiero musicale e dal suo farsi: «Processo di interiorizzazione della casualità, secondo il quale dalla indeterminazione come fine si procede verso una indeterminazione del fine».[1]
Per Donatoni, come per Nietzsche, l’io non è il presupposto certo di ogni volere e pensare, il pensiero viene quando lo vuole lui e l’unitarietà del soggetto si rovescia in un’accozzaglia di confusi frammenti di materia, caos, magma in continuo mutamento, quella stessa sensazione che fornisce la musica, come in Puppenspiel e Per orchestra. Si dà solo processo e l’impiego di un soggetto quale condizione di tale moto è mera supposizione e se soggetto ci fosse sarebbe indeterminato/indeterminabile. Musicalmente l’inarticolazione formale si attua in una serie di pannelli sonori successivi che sostituiscono la nozione di segmento con quella di circonferenza, percepibile come tempo sospeso al quale manca la successione cronologica degli eventi. Il comporre diventa una presa di contatto con gli oggetti sonori. Il suono semplicemente si auto-presenta e tornare a suoni irrelati significa andare al di qua di ogni struttura. La musica (ri)diventa factum brutum.
Dopo il periodo materico-negativo, che comprende soprattutto gli anni Sessanta e i primi anni Settanta del secolo scorso, durante il quale la musica si presentava come cosalità e si registrava l’abbandono all’automatismo (registrazione della propria impotenza), dalla metà degli anni Settanta si torna a recuperare la concezione del soggetto quale autore strutturante; prima si attribuiva alla materia l’immanenza di impersonali leggi di crescita, ora si passa dal concetto di materia a quello di oggetto, che rimanda al principio di individuazione e di recupero dei procedimenti compositivi tradizionali. Ma questa è un’altra storia.[2]
[2] Cfr. Renzo Cresti, Franco Donatoni, Suvini Zerboni, Milano 1982 e Renzo Cresti, Aldo Clementi, Suvini Zerboni, Milano 1990.
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Musica e pensiero negativo
"Io non voglio essere beato, voglio scendere nelle viscere più profonde della terra, in questa esigenza manifestata da Kleist di mostrarsi nudo vi è tutto il rifiuto, da parte del Romanticismo più radicale, dell'autoconsolazione dei valori positivi. La crisi dei valori conseguente al crollo dei valori dell'ottimismo illuministico (il Terrore parigino sparse sangue in nome della Ragione) risolve la ricerca di Armonia in Utopia (sempre maiuscole) e il Weitschmerz chiude il dilemma amletico verso il non-essere.
Con l'emancipazione della dissonanza, così bene studiata ed espressa da Schoenberg, nasce una nuova libertà non solo musicale ma pure etica. Il rifiuto del sistema tonale visto come aspetto anestetico e di ogni subordinazione linguistica a codici convenzionali afferma un linguaggio incoercibile, contraddittorio e disintegrato, come l'uomo sofferente. Il concetto espressionista di grido originario esprime il senso dell'estraneità dell'uomo a un mondo alienante.
La drammaturgia ottocentesca, da Buchner a Kleist, da Strindberg a Jarry, vive la dimensione del nulla sulla propria pella, a nervi scoperti, scomunicando la ratio della (falsa) comunicazione verbale e la psicologia lineare (resa falsa dall'Ulisse di Joyce). Pirandello inserisce il tema ossessivo di una realtà/apparenza, precorrendo la drammaturgia dei primi decenni del Novecento, base del pensiero negativo. Soprattutto Beckett e Ionesco, dopo la liberazione dell'Es (nella dissoluzione della coscienza in elementi disparati) attuata dal trittico Kafka, Joice e Proust, costituiscono le punte più avanzate della (non) descrizione della dolorosa solitudine e del destino incomprensibile. In Murphy i protagonisti si muovono come meccanizzati, i loro gesti e parole non hanno più significati e si ripetano senza scopo, in un'immobilità fisica e morale allucinante, senza possibilità di superamento. Sono personaggi curvi, malati e informi, in attesa di un Godot che mai arriverà, né potrebbe venire.
Il solipsismo esasperato, che Adorno ammirava in Schoenberg, la "solitudine come stile", e che fu esemplificato nella metafora del "manoscritto nella bottiglia" si riscontra identico nell'affermazione di Ionesco che "l'uomo, ama, lotta e muore solo". Ne Il re muove vi è un clima di totale disfacimento: il palazzo reale è caduto, le terre sono state abbandonate e la popolazione è emigrata. Il ciclo caduco e angoscioso dell'uomo si svolge in uno scenario di pietre bruciate dal sole, è il paesaggio inquietante de Il deserto dei Tartari: Drago ha davanti lo stesso deserto della Donna di Erwartung. L'angoscia crea angoscia, in una presa mortale. Le quotidiane e assurde occupazioni intorpidiscono ogni forza vitale: in Lulu "umiliata e offesa" i sentimenti si abrutiscono; in Wozzeck la solitudine riduce l'uomo a una larva. Non a caso Berg sceglie la condizione del soldato come esemplificazione di una vita squallida e idiota.
La sconsolata disintregrazione dei valori positivi, resi impercepibili da una coscienza che non è più tale, il rifiuto di ogni convenzione e la negazione perfino dell'utopia portano a una traumatica non-comunicazione che, in verità, comunica tutto il negativo presente nel vissuto. Il triste divorzio fra l'individuo distrutto e la vita si consuma sotto il segno del silenzio: ora che le parole, i gesti, i suoni sono ridotti a niente forse diverranno veri. La pagina rimarrà comunque bianca, di un biancore cadaverico. E' la fine di ogni ottimismo utilitaristico e individualista, l'hortus conclusus dell'eterno Candido è scomparso sotto le macerie della prima guerra mondiale e Auschwitz ha disperso perfino le ceneri, ma forse, proprio perché esistono i campi di concentramento è necessario scrivere ancora poesie dolcissime.
L'indifferenza impenetrabile della musica negativa si rovescai in una precisa e tagliente coscienza di una condizione umana nutrita di orrore. La materia che impassibilmente ci circonda è la nostra stessa vita e il musicista traspone nelle cose sonore il proprio fine. L'ego è una pluralità di forze, l'individuo un frammento di fato: creatura (opera) e creatore (compositore) s'incontrano nella materia, in un'infinità di frammenti. Nella musica aleatoria l'aspetto linguistico viene ignorato e l'attenzione si sposta su risultanze foniche del tutto imprevedibili: l'evento sonoro si plasma nel caos delle possibilità estreme, il suono semplicemente si autopresenta, non instaura rapporti con l'antecedente e/o col conseguente, né rapporti vuole avere con l'ascoltatore in quanto ogni significato risulterà comunque sovrapposto ed estraneo. Ciò che fu chiamata opera d'arte non è altro che una scheggia in un continuum informe.
La Nuova Musica è stata caratterizzata fino a tutti gli anni Sessanta da un'ostinata avversione a tutto ciò che poteva turbare l'asettico e un po' maniacale universalismo darmstardtiano. Il materiale sonoro venne inteso in maniera preconcetta, determinato da parametri pre-ordinati in cui un eventuale elemento contrario (come per esempio l'alea) veniva inserito programmaticamente e quindi nullificato come potenza eversiva, il rumore stesso fu purificato e ridotto a formula chimica. La serie venne ad identificarsi con l'idea unificatrice che sul piano sociale si pose come volontà di dominio, come imperialismo (Cardew).
Nel 1952 veniva dato alle stampe l'articolo di Boulez Schoenberg è morto, a cui seguì, quattro anni dopo, il saggio di Pousser Da Schoenberg a Webern: questi due scritti, insieme alle oziose prove di Leibowitz, divennero i testi paradigmatici che codificarono la preminenza del pensiero e della prassi di Webern rispetto a quella del (primo) Schoenberg. Gli anni Cinquanta, in nome di una concezione evoluzionistica del linguaggio (tutta tedesca) e con l'attrazione (tutta francese) verso la purezza dello stile svelavano l'aspetto più aridamente dottrinario dell'asse Darmstadt-Parigi, con la clarté riaffermante, in chiave formalistica, il concetto sferico di opera. Nel 1958 giunse in Europa Cage e fu davvero una liberazione.
Schnebel e Kagel procedono oltre la critica di Cage a Stockhausen assumendo fino alla provocazione la prassi allucinata del decomponieren. Alla domanda cageana "Why do I write music?" non si offrono risposte quietisticamente orientaleggianti, ma Abfalla, come Visible music, in cui il vuoto, nel quale è lascito 'morire' l'interprete, palesa l'atroce rivelazione dell'assurdo. Sonant, congelamento dell'utopia, esemplifica l'atmosfera soffocante dei mollicci personaggi di Beckett. Rinuncia al ricordo e all'immagine, rinuncia anche a ogni Ur: l'uomo mortalmente ferito non urla più né ricerca possibili quanto illusori fondamenti.
Il pallore e l'apatia dell'uomo in dolorosa solitudine si manifesta nell'opprimente intervallistica neutra di Feldman, nella quale l'indifferenza uccide ogni resideuo storico, così come la libertà a-storica di un Wolf o di un Brown. In Italia l'esperienza decompositiva, l'impossibilità di far coincidere l'uomo con un linguaggio qualsiasi, trova nelle pazze ricerche materiche di Donatoni il vertice massimo di schizzofrenia. Da Per orchestra a To Earle two la non concordanza fra segno ed esecusione, la ritmica casuale, le possibilità di bluff, la manualità enigmatica etc., fino al nihilismo stilistico di Etwas ruhinger im ausdruck, esplodono in lame incandescenti ovvero in un gelo cadaverico.
L'individuo cachetico, senza qualità, traspone il suo dolore in un'arte agonizzante, dal carattere di totale informità (infermità). La rivolta anarchica conduce alla decanonizzazione dei modi di ascolto, ai processi di escamotage, al montaggio asemantico e centrifugo dei segni, ad una progressiva atrofia di ogni articolazione, all'assunzione dell'extra musicale, in una rinnovata (dopo quella espressionistica) denuncia della soggettività/collettività sconvolta.
Da Renzo Cresti, Musica e pensiero negativo, in Proposte musicali, Acqui Terme 1980.
Come nel saggio Linguaggio ed etica, nel Catalogo della Mostra di manoscritti e partiture La musica, le idee, le cose, il testo musicologico viene preceduto e seguito da pagine che lo aprono alla vita vissuta, con citazioni da letture che, all'epoca erano fortemente impresse nella memoria, e da lettere scritte a ragazze del mio vissuto o da loro ricevute. Se ne riporta uno stralcio.
L'albero della vita non fu mai l'albero della scienza
Cara Marcella,
mi rimane sempre più difficile scrivere di musica, lo sento come un lusso, uno spreco che non posso permettermi. Pensieri altri bucano, squarciano ogni eventuale contenuto teoretico, richiami verso una dimensione intima e criptica, come un'ultima utopia di un'impossibile riconciliazione con se stessi, come un illusorio appella all'amore
Nessuna trama, se non nell'nnocenza dell'assoluta sconfitta
Ricordo tenero e struggente di Nicoletta lontana
Le mie idee sulla vita sono totalmete prive di senso
Intimità tenere in sguardi che esigono il silenzio, Emanuela