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Darmstadt e Pierre Boulez
Darmstadt e Pierre Boulez



In Europa, negli anni attorno al 1950, i compositori sono tutti a sbucciar simmetrie di ricalco weberniano. Fino al 1947 l'Istituto Kranischtein di Darmstadt è è diretto da Hindemith, il quale imposta i corsi di perfezionamento su una rivalutazione generale della musica contemporanea, sino a tre anni prima proibita dalla dittatura nazional-socialita. Nel 1948 però, con l'arrivo di Messiaen e di Leibowitz, l'indirizzo dei corsi si rivolge completamente e con modi iniziatici allo studio della tecnica seriale. Messiaen estremizza la serialità estendendola a tutti i parametri, così il feticismo del numero 12 totalizza oltre alle altezze anche le durate, le dinamiche, i modi di attacco. Leibowitz dimostra la sua vocazione trappista in dettagliatissime quanto oziose analisi di tutti i parametri compositivi di ciò che fu chiamato Universalismo, che, per la prima volta, viene attuato nel Mode de valeurs et d'intensités per pianoforte, ma una procedura similare era stata già attuata l'anno precedente da Milton Babbitt in Three Compositions.

Se la serializzazione di Messiaen lasciava ancora un minimo spazio non integrato nella logica stringente della pre-determinazione (nel Mode alcune dinamiche sono omesse e certi modi di attacco non vengono utilizzati), con l'intervento del giovane Boulez l'universalismo si fa assoluto, il culto dell'estrazione numerica domina integralmente ogni parametro, manifestando l'utopia di un linguaggio oggettivo, sterilizzato, costruito in laboratorio dove il super-Ego espelle d'autorità ogni elemento che possa turbare l'asettico e maniacale strutturalismo. Alla base del pensiero (musicale) di Boulez v'è quella necessità di chiarezza propria della cultura francese, estremizzata legandola ai calcoli matematici. Nel libro Pensare musica oggi Boulez sottolinea, fin dal titolo, l'esigenza prioritaria del pensiero inteso come categoria assoluta, come per la matematica il pensiero musicale deve raggiungere le certezze che i numeri garantiscono, la musica diventa sub specie della matematica. Nello stesso libro, Boulez insiste anche sulla necessità di un orientamento estetico (1) di chiara derivazione cartesiana. E' un Boulez ex cathedra da cui giungono giudizi, attestati di nascita e di morte (come il famigerato saggio Schoenberg è morto), regole e divieti. Il tutto molto funzionale al potere costituito, non a caso i compositori dell'ambiente di Darmstadt lavorano e lavoreranno sempre all'interno delle Istituzioni. Lo stesso potremmo dire dello Stockhausen di quegli anni, non a caso Cornelius Cardew scrisse il saggio Stockhausen al servizio dell'imperalismo.

Della successione "naturale" dei numeri, come per il linguaggio (musicale), non si può affermare la verità ma solo l'utilità, la sua funzionalità in base a scopi preposti: più determinate regole forniscono buoni risultati al raggiungimento di un determinato scopo e più risultano "vere", ma questa verità pragmatica, sui generis, si basa unicamente sulla coerenza interna, autoreferenziale. Il principio di non-contraddizione viene investito ad arbiter veritatis e la "verità" si configura come la migliore forma di organizzazione dei materiali. 

La realizzazione del concetto hegeliano di Unità Razionale è attuata nella musica di Boulez, la quale oscilla fra l'utilizzazione di una prassi a espansione (Seconda sonata, Marteau etc.) e l'uso della tecnica panseriale (Poliphonie X, Structures I etc.): il primo modo compositivo permette di analizzare le caratteristiche di una cellula-madre, in modo da sfruttarne fino in fondo le possibilità di variazione, i rapporti fra gli elementi musicali vengono quindi dedotti a posteriori. Viceversa, nella serializzazione integrale è lo schema pre-costituito a dettare la propria legge. I due tipi di approccio al materiale sonoro non appartengono a epoche cronologicamente diverse, ma si alternano nel tempo.

La seconda Sonata rompe gli indugi ancora presenti nella giovanile Sonatina per approdare a una frenetica polimorfia metrica e a un esasperato alternarsi di registri contrastanti, è "una bibbia dell'ermetismo" come ebbe a dichiarare Mario Messinis (2). Il pullulare di minute e calacolate strutture ritmiche e una ferrea polifonia si riscontrano anche nel Marteau, in cui viene assimilata la lezione dei Kontra-Punkte, ma con una propensione formalistica più tradizionale che in Stockhausen (ad esempio viene riutilizzata la ripresa). Fra le opere panseriali basterà citare Poliphonie X, la cui struttura prende corpo, in modo assolutamente meccanico, da schemi aprioristico, e Structures I in cui, nel puntiglioso mutarsi  sovrapposri delle figure, si smaschera la endenza isterica all'asetticità.

A turbare le illusione classicistiche della struttura quale pace eterna ci pensa John Cage, anche le composizioni bouleziane successive all'incontro traumatico con l'americano risentano del suo andar oltre, verso la vita: sia in Improvisation sur Mallarmé sia in Pli selon pli si allenta la morsa del fanatico strutturalsmo a favore di una raffinata ricerca timbrica, di un'atmosfera fatta di laisser vibrer di debussiana memoria, in cui attimi irrelati offrono golosità squisite, anche se - specie in Pli selon pli, le regolarità delle durate, certe parvenze tonali e la sfacciata preminenza del soprano addolciscono troppo, per essere in questo contesto, ed essendo sempre analiticamente controllate fanno l'effetto di un abbellimento esotico. Ma è particolarmente in opere come Eclat o Sonata III che l'influenza di Cage si manifesta nell'accoglimento moderatissimo dell'alea. Nel primo brano è il direttore che di volta in volta comunica istantaneamente ai 15 strumentisti l'ordine delle figure, degli attacchi e così via. Nel seconco pezzo le sezioni (quattro formanti) sono interscambiabili in soluzioni di spazio circolare.

L'autocompiacimento nel costruire strutture sempre più complesse rimane comunque l'atteggiamento professorale di Boulez. Il minimo allontanamento dallo strutturalismo, inteso quale formula chimica, è sempre attuato in un rigido controllo dell'elemento estraneo, che risulta così non più tale per essere programmaticamente inserito in uno schema pronto a nullificarlo (se questo a un riferimento anche sociale è chiaro che si tratta di imperialismo, per dirla con Cardew). Anche l'alea viene usata, si direbbe con buon senso (il mito borghese della via di mezzo), resa neutra, togliendole ogni potenza eversiva. Affermazioni socialmente pericolose, quali "una sola serie  deve essere responsabile di un'unica opera. /.../ Principio dell'obbedienza delle strutture a un potere centrale", da qualcuno potrebbero essere assimilate al fascismo mentale.

Il culto di Webern e la conseguente serializzazione allargata a tutti i parametri costituisce il punto di partenza anche di Stoclhausen, il quale si dimostrà però ben presto insofferente all'ostentazione asettica della presunta oggettività seriale e già nel 1952, in Kontra-Punkte, si afferma una tecnica, la Gruppen-Technik, che pur accettando l'Universalismo fa uscire, dal rarefatto tessuto puntillistico, delle fasce sonore compatte, raffiche di note suonate velocissimamente, grappoli sonori densi la cui condotta a sbalzi e la velocità estrema distruggono ogni possibilità di captare gli intervalli e ogni relazione rimane segreta, i suoni si addensano inestricabilmente e risultano percepibili come effetto globale materico, una percezione inconsapevole della costruzione razionale che va a solecitare l'inconscio.

Dal 1955 non c'è più bisogno del pellegrinaggio a Damstadt per essere informati degli ultimi sviluppi e procedimenti tecnice di serializzazione totale, esce la rivista Die Reihe (dal nome quanto mai esplicito) diretta da Eimert e da Stockhausen, seguita a ruota dalla pubblicazione dei Darmstadter Beitrage. Le due riviste segnano l'inizio di una fase centrifuga, della divulgazione a livello europeo dei principi ossequiati nel ristretto cenacolo dei Ferienkurse. Divulgazione che suggella la critallizzazione del manierismo seriale e, a un tempo, ne annunzia la fine, che sarà lenta in quanto molti epigoni li troveremo fino all'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. Già nel 1953 si era eseguito a Damstadt un concerto che prevedeva nel programma Kreuzspiel di Stockhausen, Structures di Boulez ed Espana en le corazen di Nono, concerto che metteva in luce come la cosiddetta avanguardia strutturalista non avesse più poetiche e tecniche omogenee.

I musicisti italiani più impegnati a Darmstadt furono Bruno Maderna e Luigi Nono. In Italia la prima partitura composta con la tecnica dei 12 suoni si deve a Camillo Togni che, nel 1942, scrive Serenata per pianoforte, di stretta osservanza dodecafonica.



NOTE
1) Pierre Boulez, Pensare musica oggi, Einaudi, Torino 1979, pag. 148.
2) Mario Messinis, Una mutazione, Centro Musicale Fiorentino, Firenze 1979.



Da Renzo Cresti, Per una storia filosofica del segno musicale, nel Catalogo della Mostra di manoscritti e partiture contemporanee "La musica, le idde, le cose", Arti Grafiche C. Fermo, Milano 1981.
La Mostra, curata da Renzo Cresti e Aldo Brizzi, ebbe la sua inaugurazione al Palazzo del Broletto di Novara, per poi essere esposta nell'Istituto del DAMS di Bologna, nell'Aula Magna dell'Università di Roma, All'Istituto "Viotti" di Vercelli, a Sargiano nell'ambito del IV Festival CIPAM, a Villa Bernocchi di Premeno nell'ambito dei corsi estivi della Civica Scuola di Musica di Milano, al Palazzo Vicarile di Certaldo durante il Festival "Luglio musica", all'Accademia Chigiana di Siena, a Palazzo Robellini di Acqui Terme nell'ambito del Festival "Proposte musicali", fu poi esportata a Lisbona.







Renzo Cresti - sito ufficiale