La musica a Napoli II
La musica a Napoli II, di Girolamo De SimoneCollegati alla prima parte
Opera-Idra
Al di là delle argomentazioni, col senno di poi facilmente attaccabili, non si può che prendere atto della grande mobilitazione di intellettuali di grosso calibro, e del notevole spazio giornalistico conquistato da una 'semplice' rassegna concertistica. Ciò avveniva con uno spostamento d'asse rispetto alle intenzioni dei promotori, perché l'aspetto elettronico non riguardava che una piccola parte dei brani ascoltati, e la ricerca restava prevalentemente ancora di tipo strumentale e vocale.
Ma la elettronica avrebbe meritato una trattazione più lungimirante, visto che oggi l'home computer è nelle case di ogni compositore. La presenza di quell'elettrodomestico, comunque la si consideri, ha già cambiato le abitudini dei musicisti: per un verso diminuisce lo scarto tra immaginazione e realizzazione (sia che si pensi a suoni e assemblaggi tradizionali che a cambiare temperamenti e proporzioni intervallari), per l'altro si propone (ed è il caso della elettronica vera e propria) come sconfinata estensione creativa di suoni, ritmi, sovrapposizioni. In entrambi i casi, l'acquisizione dei fonemi della macchina (e la costituzione di silicei linguaggi autonomi, alla Blade Runner) mi pare il minimo di quel che potrebbe accadere; l'uomo interagisce col computer estendendosi a sua volta, confrontandosi con pensieri sempre meno mediati. E' nello scambio di alterità il massimo interesse del virtuale.
Dal punto di vista estetico, inoltre, la possibilità di veicolare suoni senza barriere attraverso medium diversificati ci pone di fronte ad una acquisizione fondamentale, densa di sviluppi futuri: la scomparsa della figura dell'autore/compositore. I midi-file circoleranno via cavo con la possibilità di essere modificati da ciascuno; a quel punto conterà più chi ha dato il primo input o l'opera tentacolare e multiforme, un'opera-idra, che si potrà ascoltare con un clic?
La musica infiltrata
Sempre per Estate a Napoli, si era tenuta a San Martino, tra il 24 e il 25 luglio, l'azione musicale Suite per un Castello di Pasquale Scialò e Aldo Sisillo, presentata dalla Scuola Popolare di musica di Montesanto, con Giancarlo Cardini, i nastri con le composizioni elettroniche di De Santis, i laboratori di coro, clarinetti e flauti dolci, e la Banda "Città di Bacoli" diretta da Antonio Salemme.
Come mai la presenza della elettronica non aveva scandalizzato più di tanto in quella occasione? Certamente si trattava di una cosa differente, perché in quel caso l'intero luogo aveva cominciato a risuonare, e s'era intuito che ciascuna musica può avere una direzione di senso divaricata dalle abitudini convenzionali d'ascolto. Se c'entra la 'musica d'arredamento', c'entra pure quella infiltrata, capace di scivolare nelle connessioni tra roccia e roccia, di alloggiare anche provvisoriamente negli stucchi appena discostati. Una musica che come un parassita attecchisca sulle mura, per svaporare appena diluita nello spazio, perché fondamentalmente nomade. Il suo valore risiede propriamente nell' uso diversificato, nella sua adattabilità. Se una critica andava posta alla elettronica (che all'epoca era comunque ancora terribilmente sperimentale) avrebbe dovuto esser formulata in termini di inadeguatezza d'esecuzione. Una musica così non può morire in una sala da concerto tradizionale, va arricchita di vettori, deve conservare il suo respiro, la sua vacanza semantica. Può così essere ricollocata in ambiti diversi, sortire i suoi effetti, veramente infiltrarsi.
Suite per il Castello di San Martino
Dal programma, Giuliano Scabia: "Colloquio di musiche. Armonizzazione di sfere sonore diverse. Esplorazione di uno spazio, dei suoi ricettacoli fonici. Una città è una cassa sonora: il corpo di uno strumento un tempo suonato da voci, passi, cavalli, carri, oggi da motori, voci, passi, clacson, rombi". L'evento nasce dall'esperienza mutuata dai laboratori dell'estate precedente. L'azione prende il via fuori dal Museo, con la Banda di Salemme su trascrizioni di Scialò e Sisillo. Poi l'ingresso in un primo spazio, sonorizzato con suoni e silenzi. Ecco, nella chiesa, il Satie di Giancarlo Cardini, con la versione pianistica di Le piége de Méduse, gli Embryons desséches, ed altro. Si va nel chiostro, seguono gli interventi dei laboratori di clarinetto e flauto. Il coro altera la prima Gymnopedie di Satie, scomposta e ricomposta in modi originali. Anche qui si gioca con armonie 'disturbate' da vocalizzi e giaculatorie, e ogni tanto si ripiomba nel silenzio del castello. Infine, la seconda parte del concerto di Cardini, con Cage, Howard Skempton, il Bodypiano (1972), Una sera d'autunno (1979) di Cardini, ed il celebre Solfeggio parlante per Voce sola di Castaldi: un brano che attua il programma della due giorni: "un incontro tra il teatro e la musica, amplificando la teatralità presente nella musica e la musicalità del teatro, attraverso linguaggi e pratiche musicali diverse".[1]
Liebesleid
Torniamo a Luciano, la cui esplorazione riguardava prevalentemente gli strumenti tradizionali. Gà nella tanto discussa "Avanguardia e ricerca" aveva provato in pubblico, senza illustrarli nelle note, i Due studi [2] eseguiti da Donella Del Monaco ed Eugenio Fels. Nella nuova, ed ultima, rassegna, curata insieme a Columbro per Estate a Napoli '82, i Due studi, parzialmente rimaneggiati, diventano Liebesleid, un titolo preso in prestito da Kreisler. Fels, dopo aver confrontato le parti, afferma in un'intervista che quella pianistica resta immutata, ci sono dei segni in più in quella per voce, vengono eliminate delle ripetizioni. Solo chi ha suonato sia Suiff che Liebesleid può vedere, inoltre, che all'elemento della circolarità del primo si va a sostituire una sezione improvvisativa nel secondo. Lo spartito/canovaccio segna soltanto le altezze d'arrivo per la voce, e alcune semibrevi con un simbolo di tremolo, la cui esecuzione, nel ricordo di Fels, corrispondeva a "grappoli di note vicinissime, che creassero un'onda, un rombo, doveva muoversi una massa di suoni dalla parte bassa dello strumento fino a quella alta, e viceversa: un gioco di timbri". In Liebesleid vi è un uso ardito degli intervalli della parte vocale, che mette a dura prova qualsiasi soprano, e l'uso, per la seconda volta nella sua produzione nota, dell'improvvisazione[3].
Questo brano è l'ultimo composto ufficialmente da Luciano: porta una bellezza sconvolgente, restando tuttavia agghiacciante nella rarefazione, nelle sottrazioni a cui forse fu sottoposto. Ascoltandolo, noi compositori avremmo dovuto capire che parole ulteriori non sarebbero venute dalla sensibilità di quell'artista. S'era verificata una congestione tra la emergenza vulcanica e sentimentale delle prime sonorità (i Dialoghi ) e le successive soppressioni, irriducibilità, essenzialità. L'afonia di Liebesleid è paradossale; è davvero un canto di morte.
Un gran calderone
A distanza di anni, e benché gli "Incontri nazionali della Nuova Musica", tenuti l'anno dopo (è l' '82)[4], avessero consentito a me di esordire come pianista in una manifestazione napoletana importante, e avuto il merito di ospitare l'Improvvisazione per violoncello e pianoforte di Fels, non posso fare a meno di considerare l'aspetto calante della nuova rassegna rispetto a quella dell'anno precedente, e del resto la cosa non mi pare sorprendente, sapendo quel che stava accadendo.
Innanzitutto, troppe concessioni all'accademia, con nomi di compositori legati ad ambienti e scuole ben precise ed individuabili. Gli incontri volevano tentare di portare Napoli nel logorroico e ristretto circuito della musica contemporanea sperimentale; per chi aveva tanto criticato l'esterofilia della città non era una concessione da poco. Il punto è che Cilio era ormai entrato in contatto con forze istituzionali e accademiche che non si sposavano bene con la sua natura, costipandone la personalità e schiacciandone la creatività. Era davvero impensabile per i discepoli della sperimentazione colta aver a che fare con un "dilettante autodidatta", per quanto geniale fosse. Luciano dovette vivere con difficoltà questa situazione, visto che la sua ambizione restava comunque legata allo storicismo, le sue aspettative soprattutto rivolte alla musica 'colta', i suoi desiderata indirizzati ad una esecuzione al San Carlo. Ma nell'incontrare questi compositori, specie fuori di Napoli, paradossalmente finì col ricevere 'consigli' su quali maestri contattare e prendere come riferimento. Questi suggerimenti 'disinteressati' provenivano da chi era perfettamente allineato proprio con l'avanguardia deteriore tanto aspramente criticata: scuole che ben presto avrebbero esaurito il loro compito, e che a distanza di anni fanno sorridere per l'aspra irriducibilità darmstadtiana. Oggi la vera musica contemporanea (ma preferirei usare più plurali), fatte salve poche roccaforti (gente che abita al di là del tempo ed incapace di sentire l'isolamento), si attesta saldamente in una direzione che Cilio aveva precorso e percorso trent'anni fa. Eppoi, perfino i brani più 'sperimentali' nel senso deteriore del termine, vale a dire il Trio di fiati, che qui diventa 8° quadro, hanno una magia espressiva unica, che si lascia dietro le spalle più di un compositoruncolo accademico.
Gli errori della critica
Di quelle serate mantengo un ricordo già descritto e pubblicato[5], legato soprattutto all'incomprensione del pubblico, che perlopiù disertò i concerti. Anche i critici, forse perché non coinvolti direttamente, si mossero con disattenzione o disinteresse. Ancora mi chiedo, con rabbia profonda, per quali ragioni un certo giornalismo dovesse incorrere in errori molteplici e reiterati, come ad esempio nell'esclusione di certi nomi dal novero dei compositori partecipanti alla rassegna, in sbagli sulle età dei musicisti coinvolti[6], nel pressappochismo giustizialista di alcuni[7], nell'incomprensione (dimostrata fino all'altroieri) di altri[8]. Per fortuna Gino Castaldo e Lucio Seneca furono più oggettivi, maggiormente consapevoli della validità dell'opera compositiva, dell'importanza storica e sociale della vicenda di Cilio. Di Gianni Cesarini, anche amico del compositore, s'è già detto: in qualcosa riuscì, forse avrebbe potuto fare anche di più finché Luciano era in vita. Certo è che non fece nulla per lui (per la sua musica) dopo la sua scomparsa, e dispiace che a tanti anni di distanza qualche critico, il quale evidentemente non ebbe dei fatti una conoscenza diretta, ancora ne sopravvaluti l'azione[9].
Le uniche commemorazioni od esecuzioni di brani sono state tenute e volute quasi esclusivamente da me o da Eugenio Fels[10]; ne chiediamo e pretendiamo il merito, perché il silenzio e l'inerzia di tutti gli altri operatori o musicisti, ancorché sollecitati ed invitati più volte a muoversi, è stato e resta scandaloso e gravissimo.
Se muore un amico
E' difficile evitare la retorica. Quando Luciano scompare ci ritroviamo tutti smarriti, a fare i conti sulle ragioni per le quali un compositore come lui avesse scelto (ma è mai una scelta?) di morire in quel modo. Le risposte sarebbero arrivate dopo molto tempo, anche rivivendo sulla nostra pelle gli stessi scontri e le stesse disillusioni che aveva vissuto lui. Ma subito capiamo che quell'avvenimento non ha soltanto un valore personale. Tutto avrebbe seguito un corso differente, se Luciano fosse sopravvissuto. Stava diventando un punto di riferimento sostanziale per molti giovani, e, soprattutto, si manteneva raggiungibile, disponibile come può soltanto chi ha tanto da dare, e non teme impoverimenti. Ma non basta fermarsi qui. Cilio aveva anticipato anche qualcosa d'altro; era stato il più radicale, il più coerente fra noi. Aveva portato alle estreme conseguenze una afonia creativa. Aveva dimostrato come i decenni della sperimentazione stessero collassando. Altri hanno scelto di non comporre più, o di fare del silenzio un'estetica. O di dedicarsi ad attività paramusicali. Ma nessuno si è reso così simbolicamente definitivo.
Con il mero sperimentalismo un intenso e ricco patrimonio di talenti veniva dissipato. Chi non ebbe la forza di cambiare si piegò in solitudine, e cadde. Una generazione di soccombenti.
La giusta collera
L'impeto da 'giusta collera' che era appartenuto al Cilio degli inizi viene ereditato in parte da Fels[11], il quale, benché docente di conservatorio, mantiene una autonomia creativa che gli impedisce di confluire in scuole già consolidate. L'abitudine di vivere in una full immersion musicale lo preserva da frequentazioni politiche dannose. Il motto romantico "libero ma solitario" viene opportunamente scremato: molti compagni di percorso, tanti allievi, ma capacità di allontanarsi dalle pastoie burocratiche.
Come interprete Eugenio non ha esitato, fin dagli esordi, a mescolare come si faceva prima che la nozione di 'repertorio' si attestasse, brani originali con altri già acquisiti. Se si pone l'accento su questa abitudine, vi si troverà il seme del cross-over, il principio della commistione; e non è un caso che lui mostri grande attitudine alla trascrizione, presto divenuta reinvenzione, e infine composizione su suggestioni.
Si è già detto che all'ultima rassegna voluta da Luciano nell' '82 avevo eseguito in prima assoluta l' Improvvisazione per pianoforte e violoncello, una delle prime composizioni non 'ripudiate'. Ma altri brani notevolissimi la precedono, sia dal punto di vista tecnico-strumentale, sia per il fatto che già mostrano una felicissima vena tematica (parliamo dunque di pezzi tonali, dallo sviluppo formale classico) sono il Preludio-fantasia, per pianoforte, del 1969[12]; l'Adagio e Allegro, per pianoforte, del 1970; il romantico Concerto per pianoforte e orchestra (1971); il Concerto per violoncello e orchestra del 1972; la Toccata per organo del 1974.
Già altrove mi ci sono riferito, rilevandone le costanti: uso della modalità, ripetizione di Leitmotiv, capacità di escogitare melodie che echeggiassero per atmosfera lontananze medievali e barocche (specie per il gusto polifonico, sempre esibito in modo appropriato), ma per conduzione fasti e scoppiettii romantici. Già quei lavori presentano elementi ritmici originali, talvolta vicini al jazz; e da subito, quindi, l'opera di Fels appare contraddistinta da una sorta di sospensione temporale, che mi ha sempre fatto pensare alla "lontananza nel tempo", intesa in senso goethiano.
Le composizioni rigettate
Non mi pare inopportuno soffermarmi ad analizzare anche dettagliatamente quei lavori, perché è il solo modo che conosco per dar loro visibilità: se fossi un produttore non starei qui a cianciare. Ed è forse il caso di precisare subito che quasi tutte le musiche che abitano queste pagine sono inedite, non pubblicate, spesso poco eseguite. Le racconto per evitare che svaporino come quelle di Luciano[13].
Il Concerto in Si minore per violoncello e orchestra (Vacciago,12 settembre 1971, concluso a Napoli il 3 settembre del '73; credo oggi di essere il solo a possedere una copia del manoscritto inedito), essendo scritto ai limiti delle possibilità classiche dello strumento, arriva sì alla tonalità, ma lo fa attraverso un vorticoso susseguirsi di dissonanze. Il primo movimento comincia con un Allegro prevalentemente cadenzato; dopo una breve preparazione dell'orchestra, il violoncello attacca con una serie di arpeggi con trilli, avviandosi ad una lunga cadenza, con l'orchestra che accompagna o s'interpone per progressioni (il movimento dell'oboe è estremamente romantico). Notevolissimo l'inserimento e l'uso del basso elettrico. Cambi di tempo repentini e numerosi: il Presto segue velocissimo con il violoncello che arpeggia, si scatena in scale e figure irregolari. Viene fuori la caratteristica forte, cioè l'incrocio tra ritmi differenti, quasi rock, che spiega l'inclusione del basso elettrico. Anche l'organo fa la sua parte. Il Secondo movimento, Adagio, comincia con l'esposizione del tema da parte del violoncello, subito ripreso dall'orchestra. E' malinconico e tardoromantico, struggente e bellissimo. Durante lo sviluppo non mancano elementi connettivi col primo tempo. Il Terzo movimento, un po' più scolastico, voglio menzionarlo soprattutto per la presenza di una sezione in stile improvvisativo.
Il Concerto in do minore per pianoforte e orchestra, iniziato nel gennaio del '70 e concluso a Napoli l'undici aprile del 1974 (la Fantasia da concerto eseguita sovente dal vivo e talvolta indicata come Adagio e Allegro è la versione pianistica del secondo e terzo tempo) è inedito e mai eseguito con l'orchestra. L'incipit è misterico, ispirato, capace di catturare immediatamente l'attenzione; la scrittura pianistica è estremamente virtuosistica, e mescola differenti luoghi della tradizione strumentale. Il Lento con molta espressione espone il tema tra flauto e oboe, ma lo affida presto al solista: il movimento è malinconico, la scrittura tradizionale. Il terzo tempo, Vivace (alla russa) non viene separato dal secondo: è un'infuocato sfogo pianistico, e chi ne abbia sentito in concerto la versione solo strumentale ne resta profondamente coinvolto.
Tra i brani solo strumentali di questo periodo merita menzione anche la Toccata per organo, cominciata nel giugno del '73 e conclusa nell'aprile dell'anno dopo. Essenzialmente tripartita, con una ripresa variata, comincia con una suggestiva introduzione in do diesis minore, affidata alla pedaliera. Il tema è subito inseparabile dalla sua distensione accordale, viene sviluppato fino alla sovrapposizione con l'introduzione, capace di creare più di un brivido armonico per la sovrapposizione tra un fa doppio diesis (sol naturale) e l'accordo la-do diesis-mi-sol diesis.
Un "notturno" importante
Il vero spartiacque è nel Notturno, un brano molto particolare del 1975, scritto per la concertista anglo-tedesca Antonietta Webb-James, maestra del nostro. La Webb-James, ormai piuttosto anziana, aveva subito una paralisi alla mano destra, che era riuscita tuttavia a rieducare, rinunciando solo in parte all'estensione. Ecco che Eugenio immagina questo pezzo dolcissimo, che esige dalla sinistra doti particolari di velocità, adattabilità alle posizioni, distribuzione del peso, e chiede invece alla destra 'soltanto' poche note, che possono essere legate, oppure accarezzate (ovvero slegate) ma fuse insieme con l'uso di un particolare tipo di pedale; insomma, è un vero esercizio di tocco. Il Notturno possiede un'atmosfera malinconica che sarebbe errato definire tardoromantica, perché essa resta invece collegata in modo omogeneo, attraverso lo studio e la soluzione di problemi tecnici pianistici, grazie quindi all'estrema congruenza tra l'atto compositivo e quello esecutivo, alla produzione di grandi pianisti/compositori appartenenti al passato di quello strumento; e naturalmente mi riferisco ai più originali.
Improvvisando a cavallo del tempo
L'Improvvisazione è stata scritta per pianoforte e violoncello (ma vi si può sostituire il contrabbasso: in questa versione non è mai stata eseguita, ma la immagino sicuramente molto originale , con il cb che arranca per stare dietro al pianoforte) e non il contrario. A qualsiasi esecutore capiti per le mani lo spartito, apparirà lampante la predilezione per il piano: basta confrontare la lunghezza e l'incidenza delle due cadenze, e l'espansione estrema della scrittura pianistica nel finale, che giunge dopo una serie di protagonistici accordi dissonanti; una battuta di sette/mezzi fa allargare le braccia al pianista, dal centro verso l'esterno, ed il gesto esplode con acciaccature al basso (Fels è generoso nel concedere licenze: spesso eseguo il brano con ottave) e la ripresa finale del tema. Le cose notevoli dell'Improvvisazione mi sembrano, oltre alla richiesta di una interpretazione consapevole e capace di tensioni/distensioni (anche se i pianisti in possesso di tale capacità non mi sembrano poi tanti), il tentativo di codificare l'improvvisazione, un po' come fa Stravinskij, anche se qui il jazz c'entra poco. Il nesso tra le due particolarità risiede nell'uso del tempo rubato, che è il vero ponte tra scrittura, assenza di ritmo ed improvvisazione. Va detto, per completezza, che la versione oggi 'autorizzata' da Eugenio è diversa da quella definita il 16 giugno '79, perché la parte per violoncello è molto più piena. Le linee di sviluppo, tuttavia, restano le stesse.
Antica Monodia, scritta nel 1982, riesce a condensare e riassumere la scrittura in due semplici linee melodiche; è un brano che appartiene a un filone fortunato, alla "musica per cinque dita" con la quale prima o poi i pianisti compositori si cimentano. E' come se fosse una purificazione (mentale e spirituale) dal virtuosismo esecutivo, che consente di calarsi poi in quello compositivo: voglio dire che non è affatto facile scrivere cose interessanti utilizzando pochissime note, in pagine accessibili anche ad un bambino.
Quando nell' '85 ho eseguito in prima assoluta sia il Notturno che Antica Monodia c'è stata una notevole risposta del pubblico. Da allora, abbino spesso il piccolo brano ad altri di maggiore difficoltà, perché situa l'ascoltatore in un non-tempo in grado di propiziare e decollocare qualsiasi ascolto successivo.
Il Gruppo Ricerca e Sperimentazione
Risale al 1982, e quindi all'anno che precedette la morte di Cilio, la nascita (o la concretizzazione, se si vuole) del "Gruppo Ricerca e Sperimentazione", che unì le esperienze di diversi esecutori e compositori. Ricordo con precisione il momento in cui decidemmo di fare qualcosa che assomigliasse alle rassegne napoletane, naturalmente differenziandole e personalizzandole. Eravamo ad una stazione della "Vesuviana": c'è un trenino che collega tutti gli aggregati periferici. Quel trenino aveva una sorte simile alla nostra: passeggia su un tratto ferroviario famoso per essere stato il primo realizzato in Italia. E tuttavia sferraglia in zone di confine, o se si preferisce resta al confino. Con Montagano si pensa di coprire quei paesi attraverso una attività-corridoio condensata nel gruppo. Col nostro progetto avremmo scovato forze e talenti di quelle parti, valorizzato le attività nascoste, anche quelle legate al patrimonio di memorie tradizionali. Il tutto senza disdegnare il potenziale sperimentale che avrebbe potuto vivificare anche le afasie della metropoli. Quella consapevolezza non era da sottovalutare: oggi si sa che sono proprio le realtà laterali, le voci delle culture del disagio, i ghetti dentro e fuori dalle metropoli, che rispondono in modo energico e sinergico alla sterilità, soprattutto di talenti, della città. Recentemente, per sintetizzare tutto questo in un titolo, ho scelto un'allusione ad Asimov, e ho scritto della "Provincia dell'Impero"[14]. E non è un mistero che le origini del rap, o l'emergenza straordinaria della musica nera (d'Africa, intendo), stiano portando linfa vitale ad un linguaggio altrimenti incapace di rinnovarsi. Anche la cultura della guerra, purtroppo assieme alle devastazioni, o quella della persecuzione (si pensi al rai algerino), producono canti di rivolta e di dolore che dicono nuovamente qualcosa. L'estetica non può nascondersi una nuova forte evenienza di senso.
Il gruppo esordisce nel Giugno Popolare Vesuviano organizzato dall'Arci-Villaggio Vesuvio nella ricca e provinciale S. Giuseppe Vesuviano, nella apparente tranquillità di Ottaviano, e nella piccola Terzigno. Il 10 Giugno si terrà un concerto che presenta, tra l'altro, musiche mie, di Gabriele Montagano, di Giusto Pappacena.
La seconda rassegna si terrà nel marzo dell' '83 a Sant'Anastasia, paesone alle pendici del Monte Somma; una due giorni dedicata alla musica contemporanea. E' qui che assume maggiore leggibilità la presenza di un manipolo di 'dissidenti' dall'accademia. Assieme alla Suiff di Cilio e all'Improvvisazione di Fels, verranno eseguite una Invenzione di Mario Vitale, un giovane e sensibile compositore che presto abbandonerà il conservatorio, Les sons dans la nuit (per due flauti, con Luciano Carotenuto e Raffaele Di Donna) di Montagano. Io suonerò Agonia, uno dei tempi di Metafore, importante trittico pianistico di Montagano, ed il mio Basso Ostinato. Segnalo che quella di Suiff fu l'ultima esecuzione prima della morte di Luciano; la ricordo con dolcezza, perché fu il periodo in cui lo frequentai con maggiore assiduità, intervistandolo o discutendo con lui delle difficoltà della musica a Napoli.
Il gruppo andrà man mano disgregandosi nell' '84, ma produrrà ancora, rispetto ai contenuti, gli importanti "Incontri di Musica Contemporanea" nel Chiostro di San Francesco per l'Estate Sorrentina, a cura di Gabriele Montagano. Lì ci sarà l'unica esecuzione congiunta dei tre brani, in qualche modo correlati, per violoncello e pianoforte: a Suiff e Improvvisazione si aggiungerà il mio IV Quadro tratto dall'operina in cinque scene Libido. Gli interpreti: il bravissimo Petric Drummond al violoncello e Domenico Schiattarella al pianoforte. Si eseguirà, inoltre, l'intero trittico di Metafore di Gabriele e le sue Itineranze, appena composte (al piano però suona Natale Garufi), Il terribile cappuccetto rosso di Giusto Pappacena. C'è anche la presenza di un accademico napoletano, Bruno Mazzotta, con il Dittico infantile. Tra i non napoletani, nomi di prima grandezza della scuola sperimentale: Manzoni, Gentilucci, Bussotti, Porena, Clementi, Rendine. Due voci originali, quella di Castaldi e quella del trombonista romano Alessandro Vecchiotti. Tra i pianisti c'è anche Rosario Musino, un delicato pianista compositore sul quale tornerò più avanti.
La porta del sole
Quello che in genere indico come l'ultimo atto del "Gruppo Ricerca e Sperimentazione", che non compariva più ufficialmente sui programmi, fu la divertente rassegna "Musica, Performance ed altre storie", voluta dall'Arci per l'undicesimo giugno popolare, e organizzata soprattutto da Giusto Pappacena. Una trasformazione era avvenuta nel marzo dell' '84, con la costituzione di una associazione, "La Porta del Sole", il cui nome fu suggerito da Eugenio Fels. La nuova associazione partiva con bei presupposti, perché riuscivo a pubblicarne il manifesto sul quotidiano (poi diventato settimanale) Napolinotte, del quale ero collaboratore. Ogni sabato facevamo uscire un 'paginone' centrale monografico su temi di rilevante interesse per la città, e quello del tre marzo 1984 lo dedicammo a "La porta del sole: spunti per un'estetica dell'improbabile". L'occhiello recitava, in corpo sedici e senza possibilità di confusione: "La musica contemporanea a Napoli è da sempre considerata un prodotto sottoculturale, se non addirittura antiartistico. L'alternativa a questa idea è offerta da un gruppo di compositori, già riunito nel Gruppo di Ricerca e Sperimentazione, ora presenti sul territorio partenopeo come associazione. Si tratta de 'La Porta del Sole' che raccoglie molti degli artisti napoletani che avevano trovato finora i maggiori spazi all'estero e al Nord Italia". Il paginone assemblava L'alchimia del suono e L'antiestetica, a mia firma, e Il soggetto, la memoria e il disincanto, un lungo e erudito articolo di Montagano. Partendo da un'epigrafe di Rilke ("Canta all'angelo il mondo, non l'indicibile") e di Nietzsche ("Ma l'indicibile afferrò un lembo della sua veste e ricominciò a gorgogliare e a cercar parole"), Montagano compie una ricognizione della possibilità di parole ulteriori, partendo dal Tractatus di Wittgenstein, e passando naturalmente attraverso l'opera di Franco Rella e citazioni da Benjamin. La conclusione ruota attorno alla nozione di disincanto: "La visione messianica è il riscatto di una memoria disincantata - che non ha nostalgia perché non ha nulla da recuperare: vive nelle ali dell'angelo che riprende a volare senza l'inquietudine del corpo. La redenzione ci è donata dal passato che reca con sé il segreto di una debole forza messianica. Sarà questa forza disincantata a portare a compimento il passato e a redimerlo. La redenzione e il disincanto sono i nuovi paradigmi del sapere".
Più eversivo, apparentemente antiavanguardistico, ma sostanzialmente agguerrito contro gli esiti castranti del periodo sperimentale, il mio intervento: "è tempo di andar oltre la Nuova Musica, per non argomentare solo l'inseguirsi di fasi, per non dover considerare l'arte 'a perfetta dissimiglianza da Dio'[15], per lavorare sui sacrosanti criteri di tradizione, reinvenzione, ricerca e produzione, tutti possibili". [16]
I nomi e i brani della rassegna "Musica, performances ed altre storie" sono pressappoco quelli già presenti a Sorrento. Ma Rosario Musino eseguirà, assieme alla soprano Margherita Pucillo, una serie di brani vocali: la sua Voce e pianoforte, il mio Lied, il Vocalizzo di Montagano, e il Primo Stasimo di Pappacena, su versi del poeta Lello Giordano. Inoltre, Eugenio Fels terrà una memorabile esecuzione della sua monumentale Vent qui chante, Vent qui danse - Sonata, ancora nella versione comprendente il Take-five Time. La precedono le Itineranze di Montagano ed il mio Basso Ostinato.
Diversioni
I quattro compositori che animano "La Porta del Sole" e che prima avevano formato il "Gruppo Ricerca e Sperimentazione" prendono strade differenti. Fels è sconvolto dalla morte di Luciano, ma lavora attorno alla sua Vent qui chante, Vent qui danse - Sonata, provandone in concerto varie versioni. Io mi dedico al giornalismo, conducendo una serie di interviste sulla musica contemporanea a Napoli, e al concertismo, portando direttamente al pubblico le mie composizioni. Gabriele Montagano si rivolge alla ricerca (prevalentemente sperimentale) delle possibilità vocali, tenendo un laboratorio che lo condurrà, nel 1986, alla registrazione dell'opera Evento, un rondeau in un atto per quattro voci, sax tenore, violoncello e trombone. Giusto Pappacena si dedica soprattutto alla carriera accademica, ma anche alla computer music (non alla musica elettronica: volgerà le sue opere in accurate e fedeli versioni per computer, facendo però uso di stilemi piuttosto accademici e riproducendo le sonorità di strumenti tradizionali).
E' la fine dell'esperienza associativa, anche se si manterranno sporadiche collaborazioni. Soltanto io e Fels continueremo ad operare insieme, fondando nel 1985 l'Associazione Musicale Ferenc Liszt, oggi ancora attiva.
Spinte centrifughe e centripete
Una fondamentale divergenza era intercorsa tra me e Gabriele, forse visibile anche leggendo trasversalmente i programmi delle rassegne rispettivamente curate. Il mio tentativo era sempre stato quello di valorizzare i percorsi dei compositori locali, attraverso formule associative che consentissero esecuzioni pubbliche, ma che presto avrebbero dovuto sfociare in dischi e pubblicazioni. Si trattava di una spinta centrifuga, che sognava di mostrare all'esterno le acquisizioni, le idee precorritrici, tutto quanto di buono avessimo potuto forgiare nei nostri laboratori meridionali. Il mio intervento era anche distruttivo, e polemico, sulla scorta dell'esperienza di Luciano, il cui percorso mi pareva debole soltanto per l' 'apertura' al circolo dei compositori accademici. Viceversa, Montagano viveva in modo pieno la stagione sperimentale, certo con una coerenza ferrea, tale da spingerlo ad abbandonare il corso di composizione di Bruno Mazzotta. La sua intransigenza sperimentale aveva la forza di trasformarlo in un autodidatta antiaccademico, allineato però alle sorti dell'avanguardia storica, quella stessa che Cilio aveva tanto aspramente criticato, pur ospitandone nell'ultima rassegna illustri nomi. Così, Gabriele, anche volendo sostanzialmente dare visibilità al suo percorso, come in fondo ciascuno desidera, intraprese una marcia solitaria, fortemente individualistica, che lo spinse a raggiungere i migliori risultati, rispetto a tutti noi, nel campo della musica sperimentale (non è un caso, infatti, che consideri il Trio di fiati come il miglior pezzo di Luciano Cilio). Di quella musica contattò i principali esponenti nazionali, alcuni ospitandoli nelle rassegne che curò. Conobbe Giacinto Scelsi, il quale gli attribuì il merito di scrivere musica che gli ricordava la sua gioventù, Boris Porena, e molti altri. Dopo aver scritto Evento, che lui chiama "operina", tra l' '86 e l' '87 lavora a Trieb, e a musiche di scena. Il 1987 sarà un anno di grande produttività, con E-Lang-A+ 4'30" per orchestra; Music for Match[17], per voci e strumenti; Rotte di migrazione, musiche per teatro; Arset, per percussioni; Dune, per flauto amplificato; Dissolvenze, per pianoforte o per archi.
Pian piano, però, spinto da scelte personali molto sofferte, e dall'esigenza di essere creativo anche in altri settori, dalla filosofia alla comunicazione, dall'organizzazione di eventi allo studio degli scenari del terzo millennio, produce alcune installazioni sonore, tra cui Camera d'ascolto, ed Ecoulements (1991, Museo Bolzano). Si dedica alla produzione saggistica, lavorando fianco a fianco con Alberto Abruzzese, uno dei maggiori esperti di televisione e comunicazioni. Pubblica come curatore o coautore diversi saggi, di cui menziono solo Estetiche del walkman, la Scena Immateriale, e il Dizionario della pubblicità. Molti suoi lavori sono ospitati un po' ovunque. Ma come musicista, nulla: c'è un volontario ritrarsi, una vera e propria sparizione. Se si esclude un mirabolante e abbastanza recente brano per orchestra, in cui una sequenza gira vorticosamente, ripetuta da ogni strumento in modo da creare un rutilante cluster perpetuo, il resto è silenzio. Un silenzio, però, solo apparente, perché si potrebbe più adeguatamente parlare di una messa in parentesi.
Metafore all'avanguardia
L'abilità principale di Gabriele mi è sempre sembrata quella di assemblare, spostare oggetti sonori, collocare oppure tagliare, adeguare, il materiale a percorsi mentali spesso di forte valenza aporetica, ai limiti dell'utopia musicale. Le opere pensate per strumenti tradizionali sono geniali, al punto da condurre a buon esito, forse con maggiore spregiudicatezza, quella singolare capacità mostrata da Cilio di con/fondere strumenti e voci, in modo tale da simularne la totale contiguità in frasi cominciate dagli uni e terminate dagli altri. Situare e desituare, per questo autore, non ha un significato soltanto spaziale, perché il tempo gioca un ruolo importantissimo. L'abilità cageana di collocare nel tempo di uno spettacolo di Cunningham rumori estratti da microfoni grattati, sfregati, incartati[18], appartiene anche a Montagano. I suoni ci sono, al punto giusto, in un tempo che una volta scandito mostra il segnale della irreparabilità del reale, dell'accaduto imprevedibile e ingestibile. La capacità del porre insieme, propriamente del com/porre, la si trova latente nelle molteplici improvvisazioni pianistiche, esistenti in residue registrazioni in possesso dell'autore. Anche lì, nella capacità improvvisativa, specie in quella esaltata dall'incontro con altri pianisti, c'è un gusto dell'incontro musicale a sorpresa, reattivo, che dimostra curiosità e capacità di gioco. Ma si parla di tempi lontanissimi, in cui le frequentazioni della tastiera erano appena frenate dai problemi a un polso. Le prime opere compiute, Metafore ed Itineranze (e tuttavia Montagano non cita un Preludio, abbastanza romantico, ma con pedali numerosi riconducibile ad una influenza debussiana, da me presentato in prima assoluta) svolgono aspetti legati al virtuosismo esecutivo e strumentale dello sperimentalismo pianistico, con rapide volatine atonali, spesso svolte su aspri accordi dissonanti. Metafore non è il meglio che abbia prodotto, sia per l'indugio in tecniche non riconoscibili, non riportabili cioè ad una specificità linguistica[19], sia per il desiderio, abbastanza evidente, di sentirsiall'avanguardia.. Di Metafore , scritte nel giugno dell'83, ho tenuto a battesimo soltanto il primo tempo, Agonia, nonostante il trittico fosse dedicato a me. Un'epigrafe posta in calce allo spartito dice: "La musica è l'oggetto puro della mente. E' l'idea praticabile della coscienza. E' il luogo della memoria che si diffonde nel tempo riconciliato del vissuto". Agonia è un brano che alterna violente sferzate (sestine di semicrome) a mistici accordi, a irreali, lentissime, crome ripetute, segno di una implacabilità cerebrale notevole, e tuttavia momento di riposo dagli sbotti accordali/improvvisativi e dalle volatine reiterate. Nella mia interpretazione (l'assemblaggio di alcune sezioni era personale, come i coloriti prescelti, ed i segni di legato) enucleavo momenti di lucidità a parossismi agogici, sempre ai limiti delle possibilità esecutive. Un aspetto notevole mi pare ancora oggi la capacità del compositore di gestire il riposo di quelle volatine, trattenute con legature in accordi bitonali capaci di risuonare a lungo, ed infine svanenti nel silenzio di una pausa. La particolarità del secondo tempo mi pare consistere soprattutto nell'ultima sezione, quando suoni appena accarezzati vengono trattenuti a lungo nel tempo, lasciati risuonare, e trovano infine riposo in clusters. Il terzo movimento, una toccata, assegna alla mano sinistra la reiterazione di accordi dissonanti, una sorta di tormentone per crome, e concede al finale l'uso di rapide passeggiate sulla tastiera, con i pugni chiusi che disegnano volute.
Itineranze è del 14 marzo del 1984; si tratta di una pagina costruita sul nome e cognome di Fels (undici suoni più una variabile che segue certe regole), e al pianista dedicata. E' talmente centrata (e preoccupata) di sperimentare le possibilità dello strumento da avere bisogno di un'intera altra pagina per spiegare il simbolismo grafico usato. Tuttavia, Eugenio l'ha suonata interpretandola a modo suo (grazie alla previsione di un'improvvisazione), e devo dire che il fine, soprattutto timbrico, appare raggiunto.
[1]Nella seconda serata, Cardini eseguirà ancora pezzi di Satie, brani di Cage per pianoforte preparato, il Piano Piece (1963) di Morton Feldman, e la Novelletta di Bussotti/Cardini. I laboratori sulla voce furono firmati da Aldo Sisillo e Benito Nisticò, quelli per flauti dolci e clarinetti, da Pasquale Scialò ed Agostino Noviello.
[2]Che non sia azzardato ritenere la data di composizione molto più recente del '78 sembrerebbe provato dal fatto che i Due studi dagli Inni alla notte di Novalis vengono presentati nel comunicato stampa come "Due liriche": Cilio cambiò il nome nel giro di pochi giorni, e questo mi fa pensare che il brano non fosse poi così lontano nel tempo.
[3]Una 'prima volta' c'era stata nella Sonata, lasciata all'immaginazione del pianista; ma Cilio, tra le altre 'epurazioni', tagliò via la sezione a causa di una sinistra arpeggiata eccessivamente tonale.
[4] Questi i compositori eseguiti la sera del 28 luglio, nell'ordine: N. Castiglioni, L. Berio, P. Renosto, F. Carluccio, S. Sciarrino, E. Renna, E. Fels, A. De Santis, L. Cilio. Questi i compositori eseguiti la sera del 29 luglio: C. Columbro, G. Testoni, A. De Santis, F. Carluccio, M. Tutino, L. Cilio, C. Galante. Tra gli interpreti: M. Damerini, C. Scarponi, G. De Simone, E. Galante, M. Pedron, C. Chailly, Donella Del Monaco, E. Fels, P. Cardas, C. Liccardi, E. Cardas, A. Colonna ed altri.
[5]In Manuale del mancato virtuoso, ESI, 1993.
[6] Ad esempio nella prima rassegna di Donnaregina, in un articolo a firma Giovanna Ferrara.
[7] Ad esempio Aurelio Musi solo dopo anni ha corretto il tiro.
[8]Mi riferisco ad un giornalista, tale Paolo Animato, che in un dibattito pubblico a dieci anni della morte di Cilio ancora mi chiedeva ironicamente quale fosse l'importanza della sua opera.
[9]Alludo a un articolo, a firma Pietro Mazzone, comparso nel primo numero della nuova rivista "Dove sta Zazà", diretta da Goffredo Fofi.
[10] Ho notizia anche di un pezzo di De Santis dedicato a Luciano, e di un'esecuzione di Suiff voluta da Montagano, il quale gli ha anche dedicato l'opera Evento.
[11]Riferisco questa 'eredità' a Fels specie per riguarda l'aspetto pratico ed esecutivo. Le invettive teoriche, e giornalistiche, invece, sento di condividerle con lui non senza angoscia.
[12]Tutte le date relative alla produzione di Fels fanno riferimento alla stesura definitiva del manoscritto. In alcuni casi, il compositore ha eseguito in concerto le sue musiche con manoscritti provvisori, canovacci, etc.
[13]Desidero anche ripetere che spazi e attenzione differenti per i vari compositori sono dovuti alle mie scelte, parzialissime, di musicista.
[14]Si tratta dell'editoriale del n. 2/94 di KOnSEQUENZ.
[15]La mia polemica è già rivolta all'autore di Fase Seconda (Mario Bortolotto), che riporta, tra le altre, quella epigrafe.
[16]Molte di quelle tematiche sarebbero state oggetto del volume Le parole sospese , ESI 1988.
[17]"Match" era la rivista/oggetto d'arte 'fabbricata' da Montagano e da Camillo Capolongo nell' '87. Compare, tra le altre immagini, qualche annotazione ("La gnosi come tiro a zero. come un tiro a zero") e qualche simbolo musicale. Nel numero otto è riprodotta una pagina della partitura visiva, piena di grafismi, con la data del 25 ottobre 1987. C'è un intervento di Albert Mayr: "Il mio lavoro parte dall'indagine sulle possibilità di isolare i parametri temporali, sensorialmente non definiti a priori, e di porli alla centralità di operazioni estetiche. Questo presuppone che si cominci con l'esaminare l'esperibilità del tempo e le possibili relazioni tra qualità temporali misurate, esperite e comunicate. Ciò oggi avviene sullo sfondo della sempre più ineluttabile eteronomia dei nostri ritmi giornalieri, settimanali, annuali; della deformazione -raramente avvertita come tale- delle caratteristiche temporali di accadimenti nei mezzi di comunicazione; della scomparsa di antiche unità di misura definite in termini temporali in favore di altre definite in termini spaziali". Nel numero successivo (il nono), ad un certo punto compare a margine del foglio un triplice rigo per sax, trombone e violoncello, la stessa strumentazione utilizzata da Montagano per l'operina. Gabriele mi ha poi fatto notare che "dissemina i materiali creativi in luoghi impropri". Ma è un peccatto che questa dispersione sia diventata prima evanescente e rarefatta, e poi precipitata in silenzi, implosioni, progetti così ariosi da diventare impalpabili.
[18]Conobbi Cage dopo uno spettacolo partenopeo. Aveva fatto largo uso di suoni prodotti all'impronta con microfoni ed oggetti vari. La sua espressione era quella di un santone, davvero in possesso di qualche misteriosa verità. Era quasi inevitabile che si scatenasse una certa empatia tra lui ed il suo pubblico.
[19]Non che la riconoscibilità del linguaggio sia un carattere che attribuisco all'estetica attuale: qui ci si limita alla descrizione del brano, alla lettura storica e sociologica.
Girolamo De simone, L'altra avanguardia, in "Konsequenz", anno III, giugno 1996.
Continua in Napoli III
Napoli IV
Napoli V
http://it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_De_Simone
Girolamo De simone, L'altra avanguardia, in "Konsequenz", anno III, giugno 1996.
Continua in Napoli III
Napoli IV
Napoli V
http://it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_De_Simone