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Dalla morfologia del sistema all'ascolto

Da "Note al testo" in Linguaggi delle arti e della musica. L'e(ste)tica della bellezza, Ed. Il Molo, Viareggio 2007.



Dalla materia all'oggetto

 
  
“Materiale della musica è il suono
 che, in primo luogo, agisce sull'orecchio.
 La percezione sensibile provoca delle associazioni
 e mette in relazione suono, orecchio e mondo delle sensazioni:
 dal concorso di questi tre fattori dipende tutto ciò che si avverte
 nella musica in quanto arte /…/
una sonorità nuova è un simbolo”
(A. Schoenberg, Manuale di Armonia )
 
In musica, la morfologia dominante, almeno fino ai primi anni Ottanta, derivava dal principio seriale e tendeva a ricostruire un linguaggio partendo dalla microstruttura passando, per gradi consequenziali, a livelli strutturali superiori. Questo passaggio non è per niente facile percepirlo, tanto da far affermare a Nicolas Ruwert, nell'importante articolo Contradictions du langage seriel, apparso nel 1959, in epoca cruciale, che v'è un'incongruenza nel rapporto fra la complessità del livello progettuale e le articolazioni indifferenziate che portano a negare l'ascolto, infatti, se il sistema garantisce coerenza nel governo di tutti gli elementi che lo compongono, non dà altrettanto garanzie da un punto di vista percettivo, è per questo che la coesione del sistema è un presupposto necessario a rendere giustizia del progetto di partenza, della logicità del pensiero e della compattezza formale, ma non è sufficiente a completare l'opera, perché è assente la dimensione percettiva (ancor prima di Ruwert, con altri presupporti, una riflessione analoga veniva svolta da Cage).
 
Il compositore legato al Metodo scrive seguendo premesse sistematiche e, seguendo la scrittura, è portato a un atteggiamento speculativo (tipico non solo dello Strutturalismo, ma di molta musica occidentale, soprattutto di stampo mitteleuropeo, dai Canoni fiamminghi a quelli di Bach, dalle ultime Sonate di Beethoven a Schoenberg), così viene meno il suono, almeno in parte, perché i grandi Maestri, seppur legati a un'impostazione strutturalistica non tralasciano mai le ragioni del suono: fra le migliaia di possibilità offerte dalla serie perché Schoenberg o Boulez, come dimostrano le citazioni in epigrafe al paragrafo, ne scelgono una invece dell'altra? Per la risultante sonora. Ai musicisti più piccoli manca però questo rispetto dei suoni, intesi come entità vitali ed energetiche, portatrici di modalità e direzionalità (una situazione analoga, incentrata sulla speculazione analitica, si riscontra, ancora oggi, nella nicchia della musicologia). Per questa ragione, già dalla fine degli anni Cinquanta, i grandi compositori, da Boulez a Stockhausen (per citare quelli che si sono formati nello stretto ambito strutturalistico, oppure Maderna, Nono e Berio fra gli italiani), si posero il problema di come dare un senso sonoro al loro operare, compiendo delle scelte all'interno del sistema in funzione dell'ascolto, inserendo quindi il libero arbitrio che “dava aria al sistema” (sono parole di Boulez), valutazioni che devono rendere udibili i percorsi e le fasi del tempo/spazio musicale (la nozione di formante in Boulez, per esempio, o la contrapposizione fra masse e punti, l'utilizzazione di più serie, di serie difettive, di timbri avviluppanti etc., ossia prendono corpo delle caratteristiche riconoscibili che distinguono i vari aspetti della composizione, creando una segnaletica che caratterizza il percorso della musica). Per le altre arti le problematiche e il percorso è assai analogo, ma per la libertà concessa alla natura astratta, non concettuale e a-semantica, la pittura informale e la musica pan-tonale riescono ad affondare di più e meglio rispetto alla letteratura, al teatro e alla filosofia o all'architettura e alle arti applicate, come il cinema (una radicalità della musica e della pittura già notata da Adorno).
 
 “Più vado avanti, più penso che le considerazioni tecniche
 siano subordinate a intenti espressivi
 e non più semplicemente ricerca di mezzi /…/
 è molto facile accontentarsi semplicemente di strutture
 che danno una certa sicurezza
 e credere che siano perfette perché obbediscono a leggi numeriche”
 (P. Boulez, Per volontà e per caso)
 
In questi ultimi anni si è passato dal concetto di “materia” (magmatica) a quello di “oggetto” (riconoscibile) e da una teoria incentrata su un puro conoscere sperimentale a una poetica della forma e della percezione. Riportando anche l'estetica al suo significato originario di percezione (dal greco aisthetes che percepisce), recuperando il piano del sensibile. Questo percorso è in toto uguale per la letteratura e per la pittura (che spesso anticipa le tematiche).
 
Proprio ripensando il concetto di e(ste)tica si può recuperare quello di Bellezza e, attraverso tale ri-configurazione, giungere a un nuovo pensiero sul rapporto fra le arti, un'unità che mantenga salde le varie e diversificate nature dei materiali e che si ponga in un orizzonte umanistico-sociale, non troppo dolce, anzi, profondamente critico, che, quindi, non escluda il pensiero forte della struttura, della forma e della tecnica, ma che sia in grado di far con-vivere gli aspetti espressivi con quelli stilistici, trovando anche uno spazio comune dove far abitare le varie arti, in una forma di per sé, per come è pensata e costruita, comunicativa.
 
Inciampare nelle ragioni del (mio) libro
 
  
"Un pericoloso essere in cammino /.../
ciò ch'è grande nell'uomo è d'essere un ponte
e non uno scopo: ciò che si può
amare nell'uomo è il suo essere un passaggio
 /.../ Amo colui che della
 sua virtù fa la propria inclinazione
 e il proprio destino /.../ amo
 colui la cui anima è profonda anche nella ferita
 /.../ bisogna ancora portare dentro di sé il caos ,
 per poter generare una stella danzante"
 (F. Nietzsche, Zarathustra )
 
 Un libro ha sempre le sue ragioni, a queste sono molto sensibile e mi lascio prendere, cercando di ritrarmi per far parlare il libro . La mia volontà di scrivere, il mio piano di studio e di lavoro ne procedere inciampa nelle ragioni del libro, nella saggezza della scrittura. Questo avviene a ogni artista: il compositore urta in un suono sconosciuto, il pittore s'imbatte in un colore inaspettato, l'architetto incespica in una prospettiva che non aveva pensato e che apre nuove scenari, a sua insaputa. Si scrive, si compone, si dipinge, si costruiscono palazzi e chiese sempre incontrando un quid che non era pre-programmato ed è questo “qualcosa” che sostanzia il quanto dell'opera.
 
Nello svolgersi delle ore e dei giorni, mentre andiamo spesso c'imbattiamo nel viso altrui , in un avvenimento inaspettato, è il destino che ce lo porta, come a me ha donato gli amici compositori, insostituibili compagni di viaggio che a volte stanno annidati nel mio cuore e altre volte esplodono nella mia mente.
 
Nello scrivere ciò che scrivendo si profila a volte si inciampa in qualche residuo della memoria, recuperando una parte di te, dei tuoi studi, è la penna che porta lì. Le possibili citazioni sono profondamente interiorizzate, non sono dunque un modo per svolgere una scrittura al quadrato, come avviene in un furbesco Postmodern, ma sono finestre che collegano il (mio) dentro con il (mio) fuori, la (mia) volontà con quella del libro. In questo caso anche per far parlare i tanti amici compositori intervistati.
 
Cicerone dice che una buona intervista è quella dove le ragioni dell'intervistatore non compaiono, per dar plastico risalto all'intervistato, o al libro. Per questo le domande e il mio interloquire scompaiono e rimane in evidenza il dire argomentato degli amici compositori.
 
Ho voluto coinvolgere amici importanti e giovani compositori, Autori di generazioni diverse e di provenienza geografica-culturale spesso distante, proprio perché le differenze si possano esaltare, per fornire al lettore un campo di idee e di realizzazioni di progetti davvero ampio e diversificato.
 
Si scrive perché si ha bisogno di amore, per comunicare con l'Altro, che così non è più “il diverso” ma diviene il Prossimo; “comunicare” significa entrare in comunità, in questo caso nella comunità dei lettori, che però non sono astratti ma vivi, sono fatti di sguardi e di corpi che si materializzano durante la scrittura e ci si affeziona a ciò che scrivendo si profila.
 
Ho sempre scritto per lettori calmi, per coloro che hanno molto tempo da dedicare alla lettura e alla riflessione, per coloro che sanno posare lo sguardo a ogni mutare della luce, che sanno individuare ogni sfumatura della parola e dell'anima; per coloro che sanno tenere in mano un libro anche per ore e ore, senza che diventi pesante; per coloro che sanno leggere fra le righe e che sanno meditare a lungo su ciò che hanno letto, anche molto tempo dopo aver letto il libro; per coloro che vogliono leggere per il solo gusto di leggere e pensare per il solo gusto del pensiero, così per mantenere in forma la mente e il cuore, per mantenersi in forma come si fa con una bella passeggiata.
  
I (miei) compagni di viaggio
 

 Sono sempre in viaggio, nell'esodo dalle mie incrostate abitudini alla ricerca di un avvento che porti la gioia nel cuore. Nel viaggio mi porto tutto quello che ho, non le cose che sarebbero zavorra, ma gli affetti e i pensieri, che sono lievi. Mi porto dietro anche la febbre. Nell'andare ringrazio la Madre Terra per i frutti, l'Aperto del Mondo per i visi che mi fa incontrare, il Cielo per l'aspirazione all'infinito che mi suscita. Ogni frutto, ogni incontro, ogni aspirazione è un dono che raccolgo con felicità. A volte viaggio rimanendo seduto e affido il mio vagare alla penna. Una scrittura ricca di umori, di volti e di passioni.
 
M'immagino che i protagonisti dei miei racconti, Anna e Marco di Nella notte, la fiamma (1), Keith, Lucy e Mary di La terra che canta (2), siano miei amici, me li vedo parlare, meditare, suonare, cantare, amarsi, così come continuo a sentire la voce e a vedere lo sguardo dei compositori che ho avuto la fortuna di frequentare, infatti le tante monografie che ho scritto non sono affatto solo lavori “musicologici” ma fremono di umori e vibrano di vita vissuta, e ancora oggi ho chiarissimamente davanti a me gli occhi e i gesti di Franco Donatoni (3), il volto di Aldo Clementi (4), le dolci parole di Niccolò Castiglioni (5), le funamboliche mani di Giorgio Gaslini, (6), lo sguardo di Luciano Chailly (7) e la parlata fluente di Sylvano Bussotti (8), di loro tengo anche delle foto nel mio studio e ogni volta che entro vi getto uno sguardo affettuoso; e ancora sento vivi in me tanti altri grandi Maestri che la buona sorte mi ha fatto conoscere (Luigi Nono, Luciano Berio, Gaetano Giani Luporini, Carlo Prosperi, Piero Luigi Zangelmi, Arrigo Benvenuti, Armando Gentilucci e altri), e i moltissimi compositori della mia generazione, sui brani dei quali tante ore ho trascorso ascoltando e leggendo con infinito interesse spartiti, partiture, saggi etc. (9). Anche in questo libro raccolgo le voci di tanti amici e nel riprendere le loro testimonianze è ancora più facile sentire la loro voce, immaginarsi di chiacchierare e commentare con loro i fatti della musica e delle arti.
 
“Questo libro si direbbe scritto nel suono del vento australe:
c'è in esso tracotanza, irrequietezza, contraddizione,
tempo d'aprile, sì da farci rammentare
tanto la vicinanza dell'inverno quanto la vittoria
che sta venendo /…/ di uno spirito che ha
resistito a una lunga orribile oppressione
e che ora è invaso dall'ebbrezza della convalescenza”
(F. Nietzsche, La gaia scienza )
 
Le riflessioni qui presenti sono il frutto di un lavoro degli ultimi anni e in parte derivano dal volume L'arte innocente (10), mentre l'approfondimento sul rapporto fra la musica e le arti, nel Novecento e oggi, deriva dall'ultimo capitolo del libro Il cuore del suono, scritti di e(ste)tica musicale, capitolo intitolato L'abbraccio delle muse (11), inoltre per gli Autori si confronti la citata Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei (12) dove quasi tutti i compositori presenti in questo libro sono trattati; infine, alcune tematiche sono trattate anche nel mio ipertesto di Storia della Musica, La Vita della Musica, nei Moduli di Perfezionamento (13) e in svariate altre pubblicazioni, dalla Presentazione del Festival 2006 dell'Associazione “Cromas” di Trieste al compact-disc di Aliamusica sulla Rassegna “Compositori a confronto”, Reggio Emilia 2005 (iniziativa dell'Istituto “Peri”), dalla monografia su Gaetano Giani Luporini (14) al libro su Firenze e la musica italiana del secondo Novecento (15). Ovviamente tutte le riflessioni presenti nei libri citati sono state ulteriormente limate, aggiornate e modificate. Le interviste sono nate invece, una per una, per questo mio sito web.
 
 “Io vedo le mie parole,
 le mie terre brucate dal silenzio mortale, schierarsi
 lungo l'ultima ora del giorno tormentato di vele,
 e rievocarmi”
 (A. Giuliani, I giorni aggrappati alla città)
 
 
 
NOTE
  
 1) R. Cresti, Nella notte, la fiamma, Ibiskos, Empoli 1995.
 2) R. Cresti, La terra che canta, Il Grandevetro-Jaka Book, Milano 1999 (finalista al Premio Pisa 1999).
 3)  R. Cresti, Franco Donatoni, Suvini Zerbini, Milano 1982.
 4)  R. Cresti, Aldo Clementi, Suvini Zerbini, Milano 1990.
 5) R. Cresti, Linguaggio musicale di Niccolò Castiglioni, Miano, Milano 1991.
 6) R. Cresti, Linguaggio musicale di Giorgio Gaslini, Miano, Milano 1996.
 7) R. Cresti, Linguaggio musicale di Luciano Chailly, Miano, Milano 1994.
 8) R. Cresti, Il gesto eccentrico di Sylvano Bussotti, Tempo Reale, Merano 2001.
 °9) Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei, III voll. E 10 compact-disc , a cura di R. Cresti, Pagano, Napoli 1999-2000.
 10) R. Cresti, L'arte innocente , con cdrom , Rugginenti, Milano 2004.
11) R. Cresti, Il cuore del suono, scritti di e(ste)tica musicale, Feeria, Panzano in Chianti 2001.
 12) Cfr. anche R. Cresti, Verso il 2000, Il Grandevetro, Pisa 1990.
 13) R. Cresti, La Vita della Musica, ipertesto di Storia della Musica, Feeria, Panzano in Chianti 2008 .
14)  R. Cresti, Gaetano Giani Luporini, musica fra utopia e tradizione, Lim Antiqua, Lucca 2005.
 15) R. Cresti – E. Negri, Firenze e la musica italiana del secondo Novecento, LoGisma, Firenze 2004 (Premio Firenze 2004).
 
  
  



Renzo Cresti - sito ufficiale