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L'amore per la scrittura
Da Renzo Cresti, La terra che canta, Jaca Book, Milano 1998



Quando non c'è sport alla TV, niente di buono da mangiare nel frigo mi metto a scrivere. Spesso non sono sereno e per tirarmi su preparo un cocktail di 7 colori, come si usa a Parigi, che mi fa diventare arcobaleno. Continuo a prendere ciò che mi serve fra le fessure delle rocce.
 
Ho scritto pagine tirate e polemiche, ma soprattutto ho scritto per i lettori calmi, parlano solo a coloro che hanno molto tempo, che non vanno di fretta, che sanno posare lo sguardo su ogni mutar della luce. Coloro che sanno ancora dedicarsi alla meditazione, che riescono a tenere, per ore e ore, un libro in mano, senza che diventi pesante. Coloro che possiedono il segreto di leggere fra le righe e che sanno riflettere su ciò che hanno letto, anche molto tempo dopo aver chiuso il libro. Coloro che vogliono pensare per il solo gusto di pensare, così per mantenersi in forma, come si fa con una salubre passeggiata.
 
Ho scritto per me, non credete a chi vi racconta di altre motivazioni, tutti gli scrittori scrivono per soddisfare loro stessi. Non si tratta, almeno nei casi migliori, di vanità, ma di uno sguardo introspettivo, una discesa alle viscere ch’è pure garanzia di sincerità e dalla propria verità interiore non si può prescindere. Io scrivo anche perché ho bisogno d'amore e mentre prendono corpo i volti e le storie mi affeziono a ciò che scrivendo si profila e mi immagino che gli uomini mi siano amici, le donne amanti e le cose mi siano care. M’immagino paesaggi, testi e contesti.
 
Lasciarsi andare.
 
Ovviamente per scrivere bisogna saperlo fare e per farlo bene occorrono doti naturali e tanto, tanto esercizio, come un artigiano è necessario stare chinati a cesellare parole e frasi per giorni e giorni, per mesi, per tutta la vita. Io ci ho provato, cos'altro avrei potuto fare se non lasciarmi andare e con-fondermi col tutto? Non sempre mi riesce di abbandonarmi, quando sono capace di questa accettazione scompare il senso del dramma, mi dono volentieri alla madre Terra e in questo donarmi il mio Ego deve fare un passo indietro, diventare collettivo e naturale. E' per questa ragione che le tonalità tragiche vengono addolcite, nel sentirsi molteplice, nell'amore panico per il Tutto.
 
Per me la scrittura è un atto d'amore, lo dico sul serio, non ho mai tratto, né pensato di trarre, dai miei libri soldi e gloria (!), scrivo unicamente perché amo scrivere. Ho iniziato che non avevo ancora vent’anni, da allora ho sempre cercato - quando le costrizioni del mio lavoro me lo permettevano, ma anche forzando modi e tempi - di collegare le diverse discipline (arte, filosofia, storia...), creando interazioni fra la scrittura e un'e(ste)tica vitalistica. Ma il nocciolo della questione non era tanto quello di approdare a un'apertura interdisciplinare, quanto piuttosto di rifondare la riflessione partendo dall'uomo. Intendere la musica, le arti, il pensiero e la scrittura come un arricchimento, ben sapendo ch'è l'uomo, con il suo infinito interiore, a rimanere - sempre e comunque - il punto di partenza e, contemporaneamente, il punto d'arrivo. In tal modo la scrittura, anche quella musicologica, deve risultare, nella sostanza, una sorta di sismografo dell'interiorità dell'artista.
 
L'estetica deve contrarsi in etica.
 
La musicologia ufficiale chiude, come ogni comunità scientifica, risolvendosi in storiografia (musicologia d'impianto idealistico), in sociologia (musicologia d'impianto marxista), in filologia (musicologia accademica, che imperversa nelle nostre università). Ma anche gli addetti ai lavori hanno un cuore, spesso soffocato dal cervello e dall'egoismo, dal mito della carriera e dal dio denaro, un cuore che dovrebbe venir fuori dai loro lavori per creare un ponte con la gente: è il cuore che pulsa e dona vita. Senza questa pulsione interiore non c'è storia, società o pensiero o teoria che tenga. Senza un'urgenza spirituale si fa solo nozionismo e l'uomo non è un uomo di cultura, ma solo un erudito.
 
Non è soltanto un'esigenza di arricchimento dell'interiorità, è la nostra stessa condizione di uomini moderni che ci richiede di aprirci, di guardarci intorno, di accogliere, di meditare, di far nostro il volto altrui, il nero che vende accendini, il barbone che sta all'angolo di strada, il bambino che chiede un sorriso. Si parla tanto di società multietnica e di globalizzazione, ma si fa poco per gli uomini che vivono in questo mondo complesso e durissimo, telematico e massificato, uomini che subiscono, a volte senza rendersene ben conto, i meccanismi stritolanti della inciviltà post-moderna. E’ così che spesso, per paura o per difesa, i cuori si chiudano e lo spirito si disperde fra la merce dei supermercati.
 
Ovviamente per scrivere il cuore e lo spirito non bastano, bisogna studiare con attenzione, con intelligenza e aggiornamento, gli aspetti del proprio settore di lavoro, con la consapevolezza che i risultati si esprimono poi attraverso la scrittura, che ha le proprie ragioni, una forza tutta sua. In generale questa consapevolezza non c'è, perfino negli studiosi di letteratura. Non si avverte sensibilità nei confronti della scrittura, la quale viene intesa solo con un mezzo per esprimere i propri pensieri, con il risultato di avere una qualità molto bassa che assomiglia a un linguaggio giornalistico, massificato e senza energie propulsive. La scrittura dev'essere invece creativa.
 
Abitare la scrittura.
 
E' solo grazie a un affinamento della scrittura che si può sondare le profondità del pensiero e dello spirito, rimanendo al di qua delle codificazioni: non si tratta però di fare la pagina bella, anzi il calligrafismo viaggia sempre in superficie, si tratta di abitare nella scrittura, perché questa sia una forma veritiera di comunicazione, che collega l'ambito di lavoro specialistico al sano senso comune, testimoniando anche l'essere uomo.
 
Il mio avvicinarmi alla scrittura ha un percorso ventennale, che ha visto varie esperienze, soprattutto i libri su Richard Wagner, Franco Donatoni e su Aldo Clementi, Maestri formidabili e amici carissimi (anche Wagner) che mi hanno introdotto ai segreti del comporre musica. In anni recenti le tappe più significative riguardano i libri su Niccolò Castiglioni, su Giorgio Gaslini e su Gianfranco Pernaiachi, nei quali credo di aver compiuto un passo ulteriore verso la (mia) ricerca di sostanziare sia la riflessione sulla musica e sull'arte, sia di vivificare la scrittura, inserendo il tutto nel vissuto. Sono approdato infine a una scrittura diversa da quella musicologica, affrontando scritti più liberi sull'arte e su alcuni pittori, scrivendo inoltre tre libretti d'opera (uno per Gabriella Cecchi, l’altro per Arduino Gottardo e il più recente per Girolamo Deraco) e un testo per voce recitante (per Rocco Abate), infine sono arrivato alla stesura di racconti brevi e resoconti di viaggi. Si tratta di scritti in forma libera, in prosa ma con respiro poetico, dove arte e riflessione si con-fondono, dov'è comunque la vita a scorrere e dov'è l'uomo a inglobare e a far esplodere tutto.
 
Fra Terra e Aperto del Mondo.
 
Mi sono lasciato prendere dalla terra, quella vera che coltivo, che mi fa sudare d'estate e mi gela le mani d'inverno. Dalla Terra quale madre di tutte le cose, che mi ha insegnato il ciclo dell'eterno ritorno e il senso delle radici. Mi sono affidato alla mia voglia di andare, ai viaggi fatti col corpo o con la mente. L'Aperto del Mondo m'ha attirato come il cielo attrae l'uccello, senza scelta, senza volontà, è un richiamo al quale non si può sfuggire: devo andare, sempre.
 
Il tema della relazione fra la Terra (Hestia nella mitologia) e l'Aperto del Mondo (Hermes) si con-fonde con quelli della comprensione e dell'accoglienza, tipiche qualità dell'Amore. Queste tematiche erano già presenti nel mio primo romanzo, Nella notte, la fiamma, poi approfondite nel racconto lungo Un mondo a parte, e nel secondo romanzo Nella terra che canta.
 
La natura mi ha insegnato l'eterno ritorno dell'uguale. L'eterno ritorno è la forza che porta l'uomo a divenire parte del tutto, in cui vita e morte appartengono alla stessa dimensione, dove bene e male sono inseriti nella ciclicità del mondo e ci consegnano al destino. In ogni destino c'è una metamorfosi attesa.
 
Chi ha letto i miei scritti si sarà accorto di come molte frasi, a volte intere situazioni, passano da uno a all'altro, in una circolarità che fa tornare espressioni e gesti, volti e oggetti, si tratta di costanti che collegano un lavoro all'altro. Non le scelgo a tavolino, sono loro stesse che s'impongono, subdolamente e con forza.
 
M'interessa anche vedere come alcuni aspetti linguistici cambino al mutare delle situazioni generali, come acquistino o perdano energia al mutare del contesto; di contro come il senso generale e i paesaggi e il clima espressivo della scena, la "tinta" direbbe Verdi, si colori e si ravvivi o s'ingrigisca con elementi ripresi e ripetuti da altri contesti. Ciò mi consente di mettere in opera una sorta di eterno ritorno della scrittura, ma, soprattutto, di giocare con le prospettive uguali e variate a un tempo.
 
A livello comunicativo, è alla malinconia, più di ogni altra spiegazione, ch’è concessa la possibilità di esprimere il senso della vita, evocando il bisogno di bellezza. Bellezza ed Eros vanno sempre insieme.
 
La visione panica del mondo è la possibilità di andare, è utopia del viaggio: andare là dove altro ci può essere. Andare con la speranza nel cuore. Ma "dove stiamo, dunque, andando?" - si chiede Novalis - "sempre verso casa".
 
Non sentite anche voi la morte scalpitare in lontananza? Noi siamo ancora qui, fra le pagine di un libro, nascosti in un romanzo o forse in un altro. Guardiamo ancora queste pagine indulgenti, prima che spariscano.
 


A Donata Bertoldi





 



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