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Musica presente, intervista di Alessandro Duma a Renzo Cresti
A proposito dell’uscita di Musica presente
Intervista di Alessandro Duma a Renzo Cresti
 
  1. Attraverso le introduzioni alle sue opere riguardanti la musica del nostro tempo Lei ha sempre implicitamente posto l’accento sull’importanza del “discorso sulla musica” complementare alla produzione e alla fruizione della stessa. Quanto pensa che le riflessioni estetiche presenti nel suo prossimo lavoro possano influenzare l’operare dei compositori che ne verranno a contatto e in particolare i più giovani?
In questo nuovo libro, ancor più che nel precedente Ragioni e sentimenti, faccio una riflessione, che corre per tutto il volume, sulla metodologia aperta che occorre mettere in pratica per impostare ciò che tu chiami ‘il discorso sulla musica’.
Per affrontare il presente occorre un metodo che non sia quello storicistico né quelli analitici o, di contro, sociologici di tipo accademico. Occorre una metodologia flessibile, mobile e veloce che permetta di vedere fatti e cose da prospettive differenti.
Parlare di musica è sempre un girarci attorno, le parole sono una cosa e i suoni un’altra. Si può ‘parlare’ di musica con un’estensione metaforica. Il discorso intorno alla musica serve per capire le motivazioni e le finalità di un oggetto musicale, il capire come è fatto, il suo cosa e il suo perché. Ciò che è importante è essere consapevoli di ciò che si ascolta, per questo è fondamentale contrarre l’estetica in etica, altrimenti l’estetica si risolve in una idealistica ricerca del bello, ma bello e buono hanno la stessa etimologia, L’e(ste)tica è la riflessione sulla vita tramite la musica. L’esistenza che pone le sue domande attraverso il suono.
Ho scritto molti libri sulla musica di oggi e conosco pressoché tutti i compositori italiani, dalla generazione dei maestri, quelli nati negli anni Venti e Trenta, sui quali ho scritto numerosi saggi, a quelli delle generazioni successive, ovviamente il dialogo è stato fondamentale per entrambi. Io sono stato molto fortunato a frequentare questi Giganti, ma credo che anche per loro sia stato uno scambio di idee e di esperienze prolifico. Per i giovani leggere, anzi, studiare e riflettere sulle molte considerazioni che si trovano nel mio libro o su un altro libro di un altro musicologo è un obbligo culturale, a prescindere dal condividerle o meno.
 
  1. Dall’uscita di Ragioni e Sentimenti è cambiato qualcosa nella Sua personale percezione della realtà della produzione musicale? Vi è una continuità nelle riflessioni oppure sono emerse considerazioni radicalmente nuove?
Entrambe le cose, da una parte vi è una continuità, anche metodologica, nell’affrontare argomenti, tendenze, prospettive e compositori, dall’altra, però, molte tematiche sono nuove, si sono profilate negli ultimissimi anni. Ragioni e sentimenti parte dall’inizio del Novecento e poi si sofferma nel mutamento dal Moderno al Postmoderno, questo nuovo libro prende in considerazioni l’età strettamente attuale, quella che ha superato il Postmoderno e che ha l’esigenza di riconsiderare molti aspetti. I compositori sono tutti nuovi, Ragioni e sentimenti si ferma ai nati entro il 1950, mentre il libro in uscita parte da quella data e arriva a considerare autori nati fino agli anni ’90. Continuità e cambiamenti.
 
  1. Attraverso il lavoro di  redazione di questo nuovo libro può tirare un bilancio dell’odierna situazione della produzione compositiva italiana rispetto a quella di altri paesi?
La situazione italiana è molto ricca, purtroppo non sostenuta dalle istituzioni. Il mondo della composizione sembra vivere nel lato in ombra sia dal punto di vista sociale sia da quello culturale. Il predominio della musica pop e del mercato è quasi assoluto, ricopre il 95%. L’arretratezza delle programmazioni teatrali, più attente al botteghino che a presentare cose nuove, più premurose a non disturbare il sonno degli abbonati che non a porre loro degli interrogativi, fanno il paio con l’assenza delle istituzioni e della scuola di ogni ordine e grado, dove la musica strettamente contemporanea è pressoché mancante. Questo è ciò che ci distingue in maniera negativa da Paesi quali la Germania, la Francia, la Svizzera, l’Olanda, dove la musica del presente è molto più incoraggiata che da noi.
 
  1. Rimanendo in Italia, secondo Lei, si può oggi parlare di Scuole o di precisi orientamenti individuabili nella produzione dei compositori da Lei trattati e se sì, esistono fra loro differenze dovute a diverse realtà sociali e geografiche?
No, oggi non esistono delle vere e proprie scuole come decenni ora sono, la stessa creatività è diffusa e poco concentrata. Certo, alcuni compositori hanno una rilevanza nell’insegnamento e numerosi sono i loro allievi, penso a Ivan Fedele, ad Alessandro Solbiati e altri. Come esistono delle differenze socio-geografiche, infatti, malgrado che le criticità del Sud si siano assai ridotte in questi ultimi vent’anni, il mondo della musica e della composizione non è uniforme.
 
  1. Presentando con questo nuovo volume tanti giovani compositori, della maggior parte dei quali Lei ha conoscenza diretta, ha percepito in essi la necessità di sentirsi parte di un comune sentire nei confronti dell’atto del comporre e del pensare la musica oggi oppure, secondo Lei, prevale di più un atteggiamento volto solo al proprio operare? Vi sono in questo differenze fra essi e i compositori di precedenti generazioni da Lei conosciuti?
Il sentire comune appartiene all’epoca storica, ognuno, anche non volendo, fa parte del proprio tempo e, anche inconsapevolmente, non può non sentirsi parte di una comunità, ma pochi riflettono sulle problematiche di questa comunità, pochissimi si fanno carico di portare avanti un dibattito su questioni tecnico-formali, una discussione su aspetti e(ste)tici, un confronto su tematiche sociali. La maggioranza coltiva il proprio hortus conclusus, dove ci si può sentire importanti. L’egocentrismo è tipico degli artisti, ma in questi ultimi anni s’è fatto evidente e fastidioso, non a caso si è parlato della ‘generazione dei narcisi’.
 
  1. Lei ha più volte rimarcato nei suoi scritti l’attenzione al concetto di comunicazione come atto di volontà artistica. Quanto emerge questo concetto nei compositori più giovani e quanto è  in linea con le sue personali convinzioni estetiche?
Emerge fin troppo, in maniera retorica. Oggi siamo dentro l’occhio del ciclone, ci passano accanto velocissimamente immagini e suoni, ma nulla ci tocca veramente. I nostri anni sono stati chiamati ‘l’età della comunicazione’, ma è una comunicazione che non comunica, rimane in superficie, è virtuale. La comunicazione è sempre stata un’esigenza di ogni musicista, compositore e interprete, ma avviene attraverso la forza con cui vengono comunicate le idee e la forma della composizione. Non si può essere preventivamente comunicativi!
 
  1. Esiste, secondo Lei, una continuità fra l’attuale generazione di compositori e quella di coloro che Lei ha definito i suoi Giganti nella dedica a Ragioni e sentimenti? E tale aspetto emerge  nel libro di prossima pubblicazione?
I miei Giganti sono coloro ai quali devo il compimento del mio essere. Sono tanti e io ho avuto l’onore di poter lavorare a contatto di gomito con loro, la fortuna di essere amico di molti. Questi maestri hanno aperto la strada alle generazioni successive, le quali sono poi andate in varie direzioni: una radice comune che si ramifica. In Musica presente si affronta proprio questo tema, capire da dove provengono i giovani compositori e quali sono le prospettive che hanno aperto e che percorrono.
Nel libro vi è un sostanzioso capitolo dedicato al jazz e delle finestre sul progressive, in nome di una musica inclusiva che attraversa aree musicali differenti.


 
Il libro uscirà a ottobre ma è già possibile prenotarlo alla Libreria Musicale Italiana telefono 0583-394464, mail lim@lim.it. Poi inizieranno le presentazioni, ne sono già programmate parecchie, così come si spera le recensioni.



 
 



Renzo Cresti - sito ufficiale