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Barga Jazz
Renzo Cresti, Barga Jazz, anche con DVD, Marco Del Bucchia editore, Massarosa 2011




Mi sono sempre interessato a tutte le musiche, senza esclusioni, a 360 gradi: da ragazzo ho suonato rock e blues, poi anche un po' di jazz; ho partecipato e partecipo al mondo delle Bande e della musica popolare. Ancora oggi seguo con attenzione lo svolgersi della cosiddetta musica giovanile.
Cfr. nella sezione Saggi Jazz oggi.

Sul jazz ho scritto un libro su Giorgio Gaslini e questo sul concorso e festival di Barga Jazz, libro disponibile anche con DVD (che illustra la preparazione della rassegna).

Nel 1994 divento Consulente del Teatro del Giglio di Lucca e organizzo il Festival Internazionale di musica Jazz "Anfiteatro Jazz", dal nome della bella piazza liucchese, il festival va avanti fino al 2008 compreso (quando la nuova giunta di destra Fazzi lo cancella).

Partecipo spesso a varie manifestazioni jazzistiche e faccio parte della Giuria di Barga Jazz, per alcuni anni ne sono anche il Presidente.

Tengo il corso di Storia del Jazz presso l'Istituto di alta formazione musicale "Boccherini" di Lucca (dove insegna Storia della  musica e dove sono stato pure stato direttore).

Il libro su Barga Jazz prende in esame, anno per anno, la storia del concorso di composizione e arrangiamento, il festival concertistico e i suoi protagonisti. Contiene una preziosa testimonianza di Giancarlo Rizzardi e foto.


Indice del libro
 
Prefazione di Bruno Tommaso
 
Il jazz passa da Barga
La geo-musica e il nuovo rapporto col pubblico
1986, i motivi di Barga jazz
1987, le ragioni di un concorso
1988, la lucida follia prende corpo
1989, grandi strumentisti in orchestra e collaborazione con Siena jazz
1990, il jazz si danza
1991, la stupidità degli amministratori           
1992, se jazz vuol dire donna
1993, piccolo è bello
1994, una rassegna a dicembre
1995, Bollani e filmati d’epoca
1996, Rizzardi deus-ex-machina
1997, Anfiteatro jazz di Lucca e le piazze cittadine di Barga
1998, gruppi prestigiosi e un convegno
1999, inaugurazione del teatro dei Differenti
2000, Rava a Barga
2001, Trovesi, Coscia e il festival che si fa itinerante
2002, grande successo per Barga in jazz e apertura del Jazz club
2003, il premio Luca Flores, Girando alla tonda e Lee Konitz
2004, il grande Gaslini e Serravalle jazz2005, da Shorter a Fasoli
2006, per il ventennale un giusto riconoscimento a Bruno Tommaso
2007, Kenny Wheeler e la Jazzmania big bang
2008, David Liebman, gemellaggio con Glasgow e Autumn live2009, Tom Harrel e tanti gruppi nei bei luoghi della provincia
2010, Steve Swallow e la mitica piazza Angelio
 
Testimonianza di Giancarlo Rizzardi
 
Appendice fotografica
 
 
 
Il jazz passa da Barga
 
Un libro su Barga jazz è imperativo perché insegna tante cose. È la doverosa documentazione di un percorso musicale che ha portato la stupenda cittadina, situata nella Media valle del Serchio alle porte della Garfagnana, a pochi chilometri da Lucca, a diventare una delle capitali del jazz in Italia, ma è anche la testimonianza di passioni vere che hanno agitato e che ancora oggi scuotono e commuovono molti musicisti e il vasto pubblico che partecipa ai concerti; è inoltre la descrizione di un contesto sociale ricco, complesso, appassionato e contraddittorio. Infine è lo straordinario resoconto dei tanti jazzisti di fama internazionale che hanno onorato Barga della loro presenza, che hanno dato lustro alla big band e che Barga ha donato all’ammirazione dei jazzofili provenienti da tutta la provincia, dalla regione e oltre. I nomi degli ospiti di Barga jazz è impressionante e si potrebbe con loro scrivere un’intera storia del jazz italiano, ma altrettanto stupefacente è la qualità della big band che s’è formata e che costituisce una delle migliori orchestra jazzistiche italiane. Ma tutto questo non poteva nascere senza l’indefessa fede di un musicista barghigiano dalle molteplici esperienze sonore, senza quella incrollabile passione che è riuscita a superare mille difficoltà per far nascere il concorso e il festival e a condurre il tutto con intelligenza; Barga jazz non sarebbe nata senza Giancarlo Rizzardi.

Le origini potrebbero sembrare lontane, ma in realtà quell’humus che ha alimentato le esperienze degli anni settanta non ha smesso di alimentarle: è il terreno fertile del grande amore per la musica e della perseveranza di realizzare un sogno, quello di concretizzare, in una cittadina di provincia, fra l’altro fuori dalle grandi vie di comunicazione e, 40 anni fa, anche dalle importanti traiettorie culturali e turistiche, un punto di aggregazione per i musicisti jazz e per gli amanti di questa straordinaria musica che sembrava, fino agli anni ottanta, troppo particolare, rivolta alla nicchia degli amatori, una musica straniera dunque un po’ strana, ascoltata con sufficienza dal mondo della musica accademica e con difficoltà da quello della canzone italiana.

Il jazz si stava inserendo fra le pieghe della musica a ballo, con le prime orchestre swing che fungevano da modelli, come quelle dirette da Pippo Barzizza e da Korni Kramer, esempi che negli anni settanta venivano recepiti anche nella provincia italiana. È proprio il labile confine fra le orchestre che eseguivano la musica a ballo più evoluta e moderna e quelle più commerciali che viene percorso da Rizzardi, come da tanti altri strumentisti che hanno dato origine a Barga jazz. Ovviamente i grandi solisti accendevano la fantasia dei musicisti più sensibili al fascino della musica sincopata: i pianisti Giorgio Gaslini, Armando Trovaioli, Renato Sellani, Enrico Intra, i sassofonisti Gianni Basso, Mario Schiano, i trombettisti Nuzio Rotondo, Oscar Valdambrini, Enrico Rava, Eraldo Volontè, i contrabbassisti Giorgio Azzolini, Giorgio Buratti, Giovanni e Bruno Tommaso, il chitarrista Franco Cerri, il batterista Gilberto Cuppini e moltissimi altri che stavano creando il jazz italiano. Alcuni di loro, insieme a star internazionali e ai migliori giovani emergenti che hanno fatto parte dell’orchestra di Barga (basterebbe pensare a Fresu, Bollani, Flores, Trovesi, Scalzi, Lama, Pareti, Tofanelli e tanti altri) hanno costituito la punta dell’iceberg di un fenomeno assai complesso che comprende motivi sociali, educativi e di formazione musicale per avvicinare tutti al jazz.

Chi suonava musica leggera guardava spesso al jazz come al genere più interessante e inseriva, ogni tanto e in fine di serata, alcuni standard che spezzavano la banalità della musica d’intrattenimento e accendevano un qualche interesse nel pubblico. C’era ovviamente da sopportare i mugugni dei gestori dei locali – come racconta Rizzardi nella sua testimonianza - che volevano solo musica a pronta presa e qualche protesta del pubblico più chiuso, appiattito sulla musica commerciale, ma con una forte costanza alcuni brani jazz entrarono finalmente nel repertorio di diverse formazioni orchestrali. L’ambizione dei musicisti che si riunivano attorno al factotum Giancarlo Rizzardi era quella di creare un vero ensemble jazz, non si sarebbero mai accontentati di inserire solo alcuni pezzi in stile jazzistico fra i tanti di stampo leggero, l’obiettivo era quello di dedicarsi interamente all’amata musica.

Molti musicisti fecero sforzi enormi per seguire Rizzardi nella creazione di un vero e proprio gruppo jazz: venivano da lontano e le prove erano fatte rubando tempo ed energie ad altri impegni. Stefano Scalzi veniva da Follonica, Mauro Grossi da Livorno, Mauro Malatesta e Claudio Boncompagni da Firenze, Marco Bartalini da Viareggio, Enrico Gherardi da Pisa, Piero Paolo Mannelli da Castelnuovo Garfagnana, fu questo lo zoccolo duro che, con la loro passione, consentì di spostare la lancetta sull’ora del jazz a Barga. Ma prima ci furono alcune tappe fondamentali. La prima fu a Prato al Circolo amici della musica, dove i nostri musicisti si ritrovarono avendo a disposizione una stanza ben attrezzata per fare le prove. Da questi incontri nacque la Prato big band che tenne dei concerti in vari locali nel fiorentino. Un altro posto, dove i musicisti si ritrovarono fu il ristorante “Spiedo d’oro” ad Antraccoli dove, sotto la direzione di Mauro Grossi, affrontarono anche un repertorio abbastanza complesso con brani scritti dallo stesso Grossi. Nel frattempo Rizzardi era riuscito ad aprire una scuola di musica in collaborazione con l’amministrazione comunale, e riuscì perfino a concretizzare una big band abbastanza stabile, anche grazie ai molti  musicisti conosciuti nei vari concerti: era la Serchio river band che riuscì ad esibirsi in diverse occasioni nella provincia di Lucca e in Toscana. Infine a Rizzardi venne la geniale idea del concorso di arrangiamento e composizione per orchestra jazz, il primo in Italia, idea originale e vincente. Ma mancava ancora un tassello.
Selezionare i brani in concorso, formare la giuria, organizzare l’orchestra, le prove e la concertazione, eseguire i brani vincitori richiedeva la presenza di musicisti d’esperienza e di alta professionalità. Il tassello mancante venne risolto con la presenza di Bruno Tommaso, che Rizzardi aveva avuto modo di conoscere suonando con lui.

Grazie alle capacità di Tommaso e alla sensibilità dell’allora assessore alla cultura del comune di Barga, Antonio da Prato, vide la luce quel concorso e quella rassegna concertistica che oggi si sono imposti in ambito internazionale.

La storia di Barga jazz è parallela a quella della generazione dei jazzisti che, dagli ottanta in avanti, ha portato il jazz a una diffusione mai avuta prima in Italia, generazione ch’è stata in gran parte sostenuta proprio dal festival barghigiano. Con i musicisti che all’epoca della fondazione di Barga jazz erano ventenni o poco più si è sviluppato il jazz italiano, uscendo dalla nicchia degli specialisti e degli amateur, per ottenere un successo diffuso.
 
Mai come negli ultimi anni il jazz ha dimostrato così evidente vitalità, capacità di autorigenerazione e di coinvolgimento. […] Si arrivò a conquistare la presenza del jazz nei conservatori, con specifiche cattedre che vennero affidate a Franco D’Andrea a Trento, al chitarrista Tommaso Lama a Rovigo, a Roberto Bonati a Parma, a Paolo Damiani a L’Aquila, a Mauro Lazzarini a Latina, a Roberto Mancini a Benevento, a Pier Paolo Pecoriello, Antonio Santangelo e Giuseppe Spagnoli a Foggia, a Nino De Rose a Campobasso, a Salvatore Santaniello e Reggio Calabria, a Ignazio Tarsia a Palermo e ad Agostino Frassetto a Sassari”[1].
 
Il primo a tenere una cattedra di musica jazz fu Giorgio Gaslini, al conservatorio Santa Cecilia di Roma. Contemporaneamente alla didattica istituzionale si venne a formare una rete di corsi e seminari che garantirono una diffusa pedagogia del pensiero e del fare jazzistico, anche Barga divenne un luogo di studio importante.

Barga jazz ha oggi un posto di assoluto rilievo nel mondo del jazz italiano, una posizione qualificata nelle rassegne jazzistiche. È riconosciuta l’idea originale del concorso di composizione e di arrangiamento, così com’è accreditato il valore indiscutibile della big band, una delle migliori non solo in Italia. Un tratto distintivo è stato ed è anche quello della purezza ossia di un percorso artistico concentrato solo sugli aspetti squisitamente musicali ed educativi, scevro da ogni condizionamento commerciale.
Fra gli anni ottanta e novanta nacquero molte manifestazioni jazzistiche come Siena jazz, il Jazz in’It a Vignola, l’Europa festival jazz di Noci, il Franton jazz festival di Jesolo, il Festival jazz di Bari, il Jazzfest di Roma, Grey cat music itinerante nella provincia di Grosseto, Rumori mediterranei di Rocella Ionica… e ovviamente Umbria jazz che, nel 1993, inaugurò la sezione invernale. Ma Barga ha un sapore particolare.
Come auspicato dai molti che lavorano a Barga jazz, sarebbe opportuno che questa esperienza si allargasse e soprattutto approfondisse lo studio della composizione, dell’arrangiamento e dell’orchestrazione,  attraverso seminari e corsi didattici, costituendo un pendant di Siena jazz, ma volto a quelle specificità che sono proprie alla storia di Barga jazz, e che, fin dalla sua nascita, sono legate al concorso. Corsi di formazione, anche di durata annuale, non sarebbero difficile da organizzare dal punto di vista musicale, in quanto moltissimi sono i musicisti di valore assoluto che Barga jazz sarebbe in grado di ingaggiare per le docenze; la difficoltà deriva, come sempre in Italia, dai finanziamenti che, in questo caso, andrebbero a finanziare non solo un progetto artistico ma anche educativo, con possibilità di collegamento ad altri centri didattici e a progetti di formazione, anche di respiro europeo.

Un’attività che non si fermerebbe al mese di agosto, ma che durerebbe l’intero periodo dell’anno creerebbe anche l’opportunità per la straordinaria big band di proporre concerti tutto l’anno e ovviamente non solo nella provincia di Lucca, con la disponibilità, da non sottovalutare, di svolgere un ruolo didattico, di avvicinamento alla musica jazz.
  
La geo-musica e il nuovo rapporto col pubblico
 
Sorto negli Stati Uniti fra la fine dell’ottocento e l’inizio del secolo successivo, il jazz è nato bastardo, fin da subito contaminato fra musica nera e bianca, religiosa o profana. È musica aperta, per sua natura, quindi disponibile a ogni contaminazione, diremmo musica democratica, che abbraccia tutte le culture del mondo, fra cui ovviamente quelle europee, ed è stato un processo naturale quello che ha visto ogni situazione geografico-culturale far propri gli stilemi che provenivano dall’America.

Le star internazionali invitate a Barga hanno creato uno stimolante confronto con i musicisti nostrani. I temi tratti da musiche celebri, riviste negli arrangiamenti di giovani compositori hanno creato rapporti stretti fra la grande musica internazionale e la sensibilità e l’intelligenza dei musicisti italiani, a livello compositivo ma anche interpretativo.

Il ruolo della musica nell’epoca della globalizzazione, non può che essere quello di far cooperare i vari linguaggi, in modo che ognuno si apra all’accoglienza dell’altro, diventando il viatico al dialogo fra uomini di culture differenti. Ogni diversità è un nuovo valore, un elemento propulsivo che deve creare l’arte dei popoli. Il jazz e soltanto il jazz, ch’è nato ibrido e meticcio, è la sola musica che ha fatto proprie queste tematiche e che ha capito che per tradurre la materia sonora in senso occorre aprire i linguaggi alla trasversalità, creando l’ethos del pellegrinaggio, un ethos ch’è l’essenza stessa della vita del jazz e che oggi più di ieri diviene imprescindibile. Fare jazz è dunque anche lanciare un messaggio sociale e questo a Barga lo hanno capito bene.

Le culture (musicali) si devono connettere fra loro perché all’una manca la verità dell’altra, ma proprio in questa mancanza occorre riconoscere ciò che le accomuna. L’indispensabile capacità di compromesso con la banalità quotidiana è, nella società di massa, un pregio non un difetto (fatta salva, ovviamente, la qualità). Ma la partecipazione sociale della musica non può configurarsi con quello ch’è stata l’art engagé degli anni sessanta-settanta, perché non può essere inchiodata all’evidenza, all’attualità; la musica trasfigura sempre la realtà che si rispecchia nell’immediatezza delle cose e dei fatti che, comunque, vanno interpretati. Il linguaggio della musica è sui generis[2] e sposa senso comune e utopia, approdando a un’e(ste)tica che abbina l’essere con l’esserci.
 
Il grande jazz del dopoguerra è nato con le stigmate della sofferenza e della ribellione contro i poteri che hanno massificato la polis moderna, contro l’arte ridotta a merce, contro le ingiustizie sociali. Le pratiche delle avanguardie hanno però descritto questa situazione con un atteggiamento sacrificale del linguaggio, mimando con un fare artistico nevrotico l’alienazione dell’uomo moderno. Fu una risposta coerente e di grande forza morale, se però lo scopo non è solo quello della denunzia, ma anche quello della risposta, allora le ricerche sperimentali hanno offerto responsi astratti e settoriali. L’artista deve sapersi rivolgere al pubblico, deve essere un educatore[3].

La riscoperta del valore della comunicazione avvenne, durante gli anni ottanta, riportando in primo piano l’architettura armonica e ritmica tipica degli standard, ponendo in evidenza la cantabilità, contaminandosi con la melodia latina e riscoprendo la scorrevolezza dello swing. Il successo che ha avuto Barga in jazz ossia i tanti concerti che si svolgono nelle piazze del borgo e quelli che vengono portati in giro per la Garfagnana, Turn Around, dimostra quanto il jazz abbia saputo conquistare il grande pubblico.
Oggi si parla tanto del supermento dei generi ebbene basta andare in agosto a Barga per rendersi conto che la problematica è puramente teorica, in quanto non solo si possono ascoltare attraversamenti dei tanti stilemi jazzistici ma anche molteplici aperture a ogni ‘genere’ musicale, contatti proficui vissuti in maniera profonda e naturale, così da non poter più classificare la musica in generi perché ogni stile, forma, tecnica può risultare utile al progetto compositivo, al di là che questi aspetti siano stati accademicamente classificati appartenenti alla musica classica piuttosto che a quella da film o da banda o leggera… I giovani oggi hanno sulla punta delle dite ogni sollecitazione, realmente viaggiano nella world music, con una velocità e con una naturalezza ad abbracciare la pluralità dei linguaggi prima sconosciute.
Il jazz d’avanguardia è stato una sorta di passaggio ‘attraverso lo specchio’, nel quale la musica free rappresentava l’aspirazione alla libertà politica e individuale, una musica libera da schemi e che sollecitava un flusso di coscienza, alla ricerca di una verità nascosta nell’inconscio dell’uomo sociale. Passati gli anni della ricerca sonora, difficile da seguire dal pubblico, da qualche anno la strada maestra è quella della comunicazione, piana e immediata, riconquistando il bel fraseggio e la bellezza del suono, senza troppi sperimentalismi tecnici. Barga jazz è nata nel momento in cui il postmoderno[4] si era affermato anche nella musica italiana ed ha seguito, con costanza e intelligenza, il suo evolversi.

Barga jazz non è mai stata una rassegna per addetti ai lavori, anzi ha sempre privilegiato, all’opposto di una musica sofisticata, il rapporto con il pubblico, perfino a scopi formativi. A Barga si è sempre sentita la creatività, l’estro, il talento degli strumentisti che si esprimono con eccezionale musicalità (ch’è qualità difficile da spiegare ma che si sente benissimo!)

A Barga s’intrecciano[5]  non solo le tecniche musicali ma anche le storie di vita, in una trama che avvolge forme e stili, passioni ed emozioni. La bravura tecnica è cosa pregevole ma non basta, la tecnica è condizione necessaria ma non sufficiente all’espressione dell’opera d’arte che deve sapersi collegare al vissuto dell’ascoltatore. L’ascolto è sempre impuro, ognuno ascolta dal suo punto di vista, condizionato dalla sua educazione, dalla sua cultura, dalle proprie idee e gusti, la musica deve catturare tutti questi aspetti e sta proprio qui la differenza fra una musica viva, com’è in generale il jazz, e quella accademica. Non bisogna disprezzare neppure una musica popular e di atmosfera, perché non significa affatto che sia una musica banale, per cui anche l’easy jazz, se di qualità e fatto con partecipazione, non è musica da rifiutare, anzi può avere molte carte da giocare nell’avvicinare i giovani. Non bisogna guardare dall’alto in basso la cultura mainstream, come ahimè fanno molti professori di conservatorio, commettendo l’errore che commisero i musicisti delle avanguardie che si isolarono in ambienti di nicchia, frequentati soprattutto da intellettuali. L’isolamento non è un fatto che salva dalla massificazione, oggi non bisogna aver paura della massa, il problema è rivolgersi al grande pubblico senza banalizzare il linguaggio, rimanendo fedeli a un credo di musica di qualità, senza compromessi con la mercificazione.

È difficile stabilire quando iniziò l’era delle big band, forse nel 1926 con i Red Hot Peppers di Jelly Roll Morton, quando accanto a sonorità tipiche dello stile di New Orleans se ne presentarono alcune che saranno tipiche delle big band. Senz’altro nel 1929, quando l’orchestra di King Oliver passò a Luis Russell. È comunque da Fletcher Henderson che prende forma la tipica formazione e il suono particolare della big band, poi sarà la volta dell’orchestra di Benny Goodmann e di molti altri da Artie Shaw a Bob Crosby, da Chick Webb a Jimmie Lunceford, da Count Basie a Stan Kenton, da Dizzy Gillespie a Duke Ellington… a Barga jazz big band!

Suonare in una big band richiede un’esperienza di musica d’insieme che non tutti i musicisti posseggono, anche scrivere pezzi originali o arrangiare standard per un’orchestra di fiati e percussioni non è cosa facile, più difficile che non per strumento solista o per piccolo ensemble, in quanto ci sono degli equilibri polifonici e di spessore fonico che devono essere attentamente soppesati. Per queste ragioni non è facile trovare in giro buone big band ed è ancora più raro imbattersi in composizioni scritte appositamente per questo organico o in arrangiamenti. Esser riusciti a istituire una big band eccezionale e aver offerto ai compositori di jazz la rara opportunità di potersi cimentare in scritture originali è il grande merito degli organizzatori di Barga jazz.
 


[1] Gian Carlo Roncaglia, Italia jazz oggi, De Rubeis, Anzio MCMXCV, pp. 11, 121.
[2] Cfr. Renzo Cresti, I linguaggi delle arti e della musica – L’e(ste)tica della bellezza, Il Molo, Viareggio 2007.
[3] Cfr. Renzo Cresti, Vent’anni dopo, con lo sguardo al futuro, in “Musica jazz”, Milano agosto 1999.
[4] Il percorso è parallelo a quello della cosiddetta musica colta, infatti, dopo le prime esperienze tedesche della metà degli anni settanta, all’inizio del decennio successivo s’è parlato di neo-romanticismo ossia di una musica che ripristinava gli elementi tradizionali del fare musica: concetto di forma, melodia, armonia tonale, ritmica regolare, musica ricca di citazioni, contaminazioni, con una dichiarata volontà espressiva.
[5] Sul concetto di intreccio cfr. Renzo Cresti, Fare musica oggi, Del Bucchia, Massarosa 2010.
 



La prima presentazione del libro è avvenuta a Lucca, l'8 luglio 2011, seguita da quella a Barga il giorno successivo e da quella a Castiglioni Garfagnana.



Per informazioni e richieste www.delbucchia.it delbucchia@gmail.com






Renzo Cresti - sito ufficiale